La tragedia del Rwanda
Articolo di Barbara Cornaglia
Lo ammetto mi sono ritrovata
all’ultimo momento senza avere la minima idea di cosa diavolo scrivere nel mio
articolo, poi mentre stavo abbrustolendomi sulla spiaggia capto (siamo sinceri…
ascolto spudoratamente!) i discorsi del mio vicino d’ombrellone ed eccola…. l’illuminazione!!! Ho intenzione di raccontarvi i fatti
avvenuti in Rwanda nel 1994, anche se sono ormai
passati più di dieci anni dai massacri il 90% degli italiani non ha ancora la
minima idea di cosa sia accaduto e perché, salvo ricordare forse l’intervento
dell’ONU ad aiutare “quei barbari che si ammazzavano a colpi di machete e che
ora vivono insieme come se nulla fosse successo” (è più o meno quello che
diceva il mio vicino d’ombrellone l’altro giorno).
Io invece lo ammetto sono matta
non riesco a pensarla così, quando succede qualcosa nel
mondo DEVO capire perché accade, non posso farne a meno. Con gli anni e grazie
ai miei studi ho scoperto che niente come la storia aiuta a capire veramente
cosa è successo, quindi ora, se vogliamo riuscire a comprendere un minimo di
quanto è accaduto, dobbiamo deciderci a cominciare. Prima di farlo però direi
che è necessario farsi una ripassatina di geografia per sapere almeno dov’è il Rwanda: un paese dell’Africa centro-orientale
con capitale Kigali che, come potete vedere, confina
con l’Uganda a nord; la Tanzania a est; il Burundi a sud ed a ovest con il Kivu, una regione del Congo (ex Zaire)
di cui spero avremo occasione di parlare nei prossimi numeri di Segreti di
Pulcinella.
Adesso che sappiamo di cosa
stiamo parlando....
iniziamo ad essere un po’ più seri anche perché purtroppo l’argomento
che sto per trattare lascia poco spazio al divertimento.
Il 7 aprile
1994 appena pochi minuti dopo l’esplosione dell'aereo del presidente Habyarimana sull'aeroporto della
capitale inizia il genocidio dei tutsi[1]. In
soli tre mesi furono uccise dalle 500.000 a 1.500.000 di persone a seconda delle stime; oltre 2.800.000 i rifugiati che
lasciarono il Rwanda per i paesi vicini e 2 milioni i
profughi all'interno del paese, su un totale pensate di soli 7 milioni di
abitanti. Di fatto tutti i ruandesi
hanno avuto un parente o un amico coinvolto nello sterminio.
Ma come è stata possibile un tale dose di violenza in un lasso
di tempo così ristretto? Poco più di cento giorni? Dovete capire che lo
sterminio è il risultato di una perfetta pianificazione programmata da tempo da una élite[2]
formata da alti esponenti militari, intellettuali, politici ma che per
funzionare realmente necessitò della condivisione e della partecipazione
dell'intera popolazione hutu. I tutsi
da mesi erano presentati dai media[3],
controllati dal governo, come i complici del FPR che stava invadendo il paese
per soggiogare la maggioranza hutu e riappropriarsi
del potere politico ed economico[4].
Incitata e spesso costretta dai capi locali, dalle milizie estremiste hutu e dall'esercito, la popolazione hutu
si trasforma così in artefice del genocidio. Quando il
4 luglio 1994, il FPR entra nella capitale Kigali e
conquista il potere il genocidio termina. L'esercito dell'ex-regime (FAR), i
corpi armati speciali, gli esponenti politici e amministrativi rimasti in Rwanda in quei mesi, lasciano il paese[5] per i
campi profughi del Kivu, assieme alla loro gente.
Quindi
ora che abbiamo chiarito il quadro di quei drammatici tre mesi del 1994,
cerchiamo di analizzare meglio le cause storiche e contingenti del dramma.
Periodo coloniale
Per farlo è necessario compiere
un bel balzo indietro nel tempo per arrivare al periodo coloniale, verso la
fine del XIX secolo, all’epoca la popolazione del Rwanda fu percepita dai primi coloni europei come un
ibrido. Una percezione dovuta ai diversi stili di vita dei
due gruppi principali, agricoltori e pastori, che sono diventati poi noti come hutu e tutsi. La
suddivisione dei due gruppi in etnie contrapposte fu una “costruzione
intellettuale prodotta dagli europei”[6]; al
momento della conquista coloniale era difficile, se non impossibile,
identificare in Africa tribù e etnie con confini
culturali, linguistici e di organizzazione politica ben riconoscibili l’una
dall’altra. Gli hutu e i tutsi, condividevano la stessa lingua e gli stessi costumi,
e come scrive Gorus “sembrano aver formato una
società diseguale ma piuttosto integrata, nella quale i due gruppi giocano
ruoli sociali ed economici specifici”[7]. La
questione dell’origine storica degli hutu e dei tutsi forse non darà mai risolta in modo definitivo, ma
quello che storicamente è certo è che nella seconda metà del
XIX secolo, in Rwanda, si stava realizzando un
processo di trasformazione politica radicale, col sorgere di una monarchia
centralizzata, con un re pastorale in grado di soggiogare un certo numero di
potentati locali, fu in questo processo di avviata centralizzazione del potere
che si inserì la colonizzazione europea.
Il governo
belga avendo bisogno per il controllo del paese di un appoggio tra le
popolazioni locali così decise di rafforzare il potere dell’élite
emergente e favorire il suo accesso alla modernizzazione (fornendo ad esempio
una formazione culturale e politica avanzata e lasciando invece gli agricoltori
hutu nell’arretratezza). Nel Novecento poi
l’amministrazione belga giunse anche a cristallizzare la polarizzazione in atto
tra hutu e tutsi con
l’introduzione nel 1933 della Carta di Identità
obbligatoria[8].
Il Belgio tentò di legittimare la
propria politica di governo, basata sull’esclusione e sullo sfruttamento degli hutu, esaltando la naturale attitudine dei tutsi al comando, sottolineandone
le abilità non comuni rispetto anche ad altre popolazioni africane. Descrivendo invece gli hutu come pigri,
inferiori e completamente inadatti a dirigere gli affari pubblici.
Questa impostazione influenzò profondamente la percezione che hutu e tutsi avevano
di sé, contribuendo questo sì allo sviluppo di identità etniche diverse[9].
Dopo aver creato e rafforzato la
dicotomia tra hutu e tutsi
nella società ruandese e aver apertamente appoggiato
la supremazia dei secondi, le autorità civili e religiose belghe mutarono
repentinamente politica alla vigilia dell’indipendenza, cioè
quando tra le élite tutsi cominciarono a serpeggiare
le prime rivendicazioni indipendentiste. Da quel momento l’assistenza belga
andò ai partiti hutu di recente creazione
contribuendo, ancora una volta, ad accrescere la polarizzazione
etnica nella politica e nella società ruandese. I
partiti hutu svilupparono infatti
un’ideologia di ingiustizia sociale basata su linee etniche, in cui gli hutu (maggioranza nazionale) erano oppressi da una razza
“straniera”[10] la cui élite governava il
paese. La scelta di basare la lotta politica come battaglia etnica, può essere
spiegata dal momento in cui:
ü
le élite hutu avevano completamente assorbito il pregiudizio
razziale promosso dalla colonizzazione, divenuto ormai elemento di
auto-rappresentazione sia per i tutsi che per gli hutu;
ü
l’uso di dati
statistici, quindi “scientifici”, 85% hutu contro 15%
tutsi permetteva di sottolineare il carattere
democratico della rivendicazione.
La Rivoluzione hutu del 1959 fu vittoriosa principalmente grazie
all’intervento militare belga, che costrinse decine di migliaia di tutsi a lasciare il Rwanda,
mentre quelli che restarono furono esclusi da qualsiasi forma partecipazione
politica al nuovo stato hutu.
La Repubblica hutu
Il nuovo stato repubblicano hutu si basò sempre su un unico assunto, l’esclusione e la
repressione dei tutsi residenti, questo avvenne sia durante il regime di Kayabanda
che durante la dittatura militare instaurata da Habyarimana
il 5 luglio 1973. Entrambi i governi utilizzarono la propaganda anti-tutsi per sviare le critiche e l’opposizione interna
che chiedeva con sempre maggiore insistenza più democratizzazione.
Tra l’altro la situazione economica del Rwanda, tra
la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, era decisamente
negativa: il crollo del prezzo del caffè e la scarsità di terre fertili
comportò la crescita esponenziale del numero di hutu
in gravi difficoltà economiche. La risposta del governo di Habyarimana
fu una campagna antitutsi
violentissima, tutti i problemi del Rwanda
attuale erano fatti ricadere sui tutsi verso cui la
propaganda convogliava l’odio popolare. I tutsi
fungevano da perfetti capri espiatori. Anche perché, ne abbiamo
già parlato ma è giusto spiegarlo meglio, dai campi profughi del vicino Kivu iniziarono ad organizzarsi gruppi militari tutsi che procedettero all’invasione del Rwanda tra il 1990 e il 1994. Il governo hutu si trovò stretto in una morsa tra l’opposizione
interna e quella esterna. La scelta dell’élite che non
accettò di rinunciare a parte del proprio potere fu il
genocidio: non un evento inspiegabile, eccezionale o dovuto alla “violenza
insita nelle popolazioni africane”, ma la perfetta realizzazione di piani già
pronti nel 1992. Una violenza che primi colpì, va ricordato, gli oppositori
moderati hutu. Poi toccò ai tutsi
e fu la carneficina di cui abbiamo già parlato.
L’Africa è un continente problematico ma dobbiamo saperlo, non possiamo nasconderci
dietro l’ignoranza, molti di quei problemi dipendono da noi occidentali, la
crisi del Rwanda ha completamente destabilizzato la
regione del Kivu in Congo, una regione che interessa
moltissimo le nostre multinazionali perché lì vi si trovano le più grandi
miniere di diamanti e di litio del mondo; ma anche il Burundi si è ritrovato
sull’orlo della guerra civile tra hutu e tutsi dopo l’ondata di profughi del 1994. Abbiamo visto
come la Francia sia intervenuta in Rwanda
per sostenere i suoi interessi economici legati agli hutu,
ma come credete che i tutsi siano riusciti a
finanziare il loro esercito e la loro guerra? Beh possiamo dire che ora qualcun
altro ha degli interessi da difendere in Rwanda… La
prossima volta vedremo se tornare a parlare dell’Ottocento o continuare la
nostra storia sulla storia del Novecento. Spero che l’argomento via abbia
interessato, e soprattutto spero per me di riuscire a prepararmi per tempo per il prossimo numero. Saluti!
[1] Ancora oggi le circostanze dell’esplosione risultano sconosciute: c’è chi accusa gli estremisti hutu (che rifiutavano gli accordi di pace), chi il Fpr, chi infine la moglie del Presidente che per la prima volta rinunciò all’ultimo a viaggiare con lui.
[2] Detta rete Akazu col tempo divenuta una vera e propria rete criminale (la droga del Sudamerica arrivava in Europa via Kigali sull’aereo presidenziale), composta dai più stretti collaboratori e famigliari del Presidente.
[3] Ad esempio
la Rtml (Radio delle Mille Colline, l’unico strumento
di informazione per una popolazione a maggioranza
analfabeta) che incitava all’odio contro i tutsi con
una tale violenza che il «23 dicembre 2003 il Tribunale Penale Internazionale
per il Rwanda ha emesso una condanna all’ergastolo
per Ferdinand Nahimana (uno
dei fondatori) e Hassan Ngeze
il direttore responsabile della rivista Hutu “Kangura” con l’accusa di “complicità e incitamento al
genocidio”», Eleonora FORMISANI, Hotel Rwanda, in http://www.carta.org/agenda/occhi/cinema/050309rwanda.htm
[4] Come era sempre accaduto prima dell’indipendenza.
[5] Grazie
anche alla Francia e alla sua operazione Turquoise (turchese), operazione formalmente umanitaria, ma
condotta come una riconquista militare: con cacciabombardieri Jaguar, Mirage F1, elicotteri da
combattimento, artiglieria pesante, blindati, ecc. Coi militari francesi
accolti al grido di "Vive la France” da parte
degli assassini hutu. Azione comunque
tarda per la Francia perché il Fpr che sperava di
fermare, per proteggere i propri interessi economici nella regione (legati alle
élite hutu), è alle porte di Kigali.
L'operazione Turchese ha sicuramente salvato la vita a circa 10mila tutsi, ma ha permesso anche alle menti del genocidio e al
loro esercito di spostarsi verso la Repubblica democratica del
Congo, dove hanno continuato a mantenere il proprio controllo su una
popolazione di due milioni di civili hutu che li hanno
seguiti nell'esilio. Ai confini del Rwanda i
miliziani e i soldati dell'esercito hutu preparano apertamente la "riconquista", pronti a
"completare il lavoro", vale a dire lo sterminio dei tutsi. In François SCHLOSSER,
Rwanda, genocidio oscuro, http://esteri.rifondazione.co.uk/Notizie04/NM0243.htm,
10 aprile 2004.
[6] Anna Maria GENTILI, Etnia, etnicità e rappresentazioni del conflitto etnico in Africa, in www.africamediterraneo.it/articoli/art_gentili_2_95.doc
[7] Jan F.J. GORUS, Lo stato come strumento dell’etnicità: costruzione etnica e violenza politica in Rwanda, p. 116, in BUTTINO-ERCOLESSI-TRIULZI, Uomini in armi, l’Ancora 2000, Napoli, pp. 115-128. Di fatto i due gruppi rappresentavano due classi sociali distinte, ma appartenenti allo stesso gruppo etnico.
[8] “Con la colonizzazione, la distinzione hutu e tutsi assume
connotati etnici e razziali. Le identità vengono
cristallizzate come categorie fisse, alle quali vengono dati poteri politici ed
economici differenti. Questo è all’origine di tensioni conflittuali prima
inesistenti. Per chiarire, al loro arrivo i colonizzatori, tedeschi prima e
belgi dopo, si sono trovati nella necessità di identificare un gruppo autoctono
che fungesse da intermediario fra l'amministrazione
coloniale e la popolazione africana nelle attività di amministrazione e
governo. Osservando superficialmente le società precoloniali,
agli europei è sembrato che i tutsi fossero una razza
superiore agli hutu sia per caratteristiche fisiche
che per livello economico-sociale, e li hanno ritenuti gli interlocutori ideali
a cui affidare i compiti amministrativi della colonia. I tutsi
vengono così istruiti nelle missioni cattoliche, dove
imparano la lingua del potere coloniale; diventano i supervisori delle
coltivazioni; controllano il reclutamento della manodopera; sono gli esattori
delle tasse e i maggiori coltivatori di caffè. Già dai primi anni della colonizzazione belga, tutti i settori della vita politica e
amministrativa del Rwanda passano nelle mani dei tutsi. Gli hutu, invece,
subiscono forme di discriminazione e sfruttamento economico: vengono
costretti al lavoro forzato nelle piantagioni coloniali e all'impiego
obbligatorio nella costruzione di opere pubbliche; sottostanno a un regime di
imposte insostenibile e non possono accedere a nessuna carica pubblica o
amministrativa. Nel 1933, l'amministrazione belga istituisce la Carta
d'Identità, obbligatoria per ogni ruandese, sulla
quale viene segnata l'etnia di appartenenza:
l'innovazione cristallizza definitivamente l'identificazione etnica come
categoria determinante dello status politico, economico e sociale.”
In http://www.regione.toscana.it/conflitti/Rwanda_nuovo/rwa_storia_conflitto.doc
[9] Che va sottolineato con forza prima della colonizzazione non esistevano affatto, poiché tra hutu e tutsi non sussistevano differenze di lingua, cultura, religione o organizzazione politica.
[10] Ora i tutsi sono stranieri in quanto membri di una etnia diversa, non vengono riconosciuti dall’ideologia repubblicana hutu come una semplice classe sociale ma di una stessa etnia come è in realtà.