Intervista a Marta Mangiabene
Marta Mangiabene nasce ad Ascoli Piceno il 10 aprile
1967. |
Marta accetta di venire a casa mia a Firenze, nonostante il caldo soffocante del primo pomeriggio – è martedì 22 luglio 2003 e fuori ci sono almeno 38°C. L’intervista si svolge in salotto, davanti al consueto registratore e ad una bottiglia d’acqua fresca. Il clima, superato il primo imbarazzo davanti al registratore, diventa presto rilassato e amichevole. Ho incontrato in precedenza poche volte Marta, per motivi di lavoro – ho infatti collaborato all’impaginazione del catalogo delle sue opere edito in questi giorni per le Edizioni Tierre, presso cui svolgo attività di grafico – ma c’è stata da subito stima e sintonia nei confronti di questa giovane ma già affermata pittrice toscana, che attualmente vive e lavora a Montevarchi (AR); in lei scopro un’artista colta e preparata che affronta ogni domanda con intelligenza, professionalità e simpatia.
I: Intervistatore (Massimo Acciai)
M: Marta Mangiabene
I: Cominciamo con i tuoi studi, la tua formazione culturale.
M: Ho studiato al liceo artistico e mi sono diplomata all’Accademia di Belle Arti di Firenze, poi mi sono specializzata in grafica d’arte alla scuola "Il Bisonte" di Firenze, scuola internazionale d’arte grafica, dopodiché ho iniziato la mia attività presso varie gallerie toscane.
I: Quando ti sei formata come pittrice? Ti ricordi il tuo primo quadro?
M: Il mio primo quadro risale ad epoche lontane. Fin da quando ero molto piccola, da quando ancora non riuscivo a tenere la matita in mano – piangevo per questo – avevo intenzione di dedicarmi a questa attività. Il soggetto preciso non lo ricordo però. Ho sempre avuto questa passione.
I: Ti ricordi la tua prima esposizione?
M: La mia prima esposizione è avvenuta in Città della Pieve, il luogo d’origine dei miei genitori, in Umbria, in provincia di Perugia al confine con la Toscana. Ho fatto una prima mostra personale nella galleria di un amico pittore, Antonio Marroni, amico di famiglia; la ricordo perfettamente, è stata molto emozionante.
I: C’è un’opera che senti come più rappresentativa? Se sì, qual è?
M: Io amo raffigurare il corpo umano, il volto le mani, le espressioni. Mi concentro molto sull’espressività delle figure più che sulla parte esteriore, su una eventuale bellezza del corpo che rappresento. Mi concentro sulle emozioni che mi dà una certa espressione del volto, per esempio. Non c’è un quadro particolare che mi ricordi in modo particolare. Riaffiorano sempre le figure che prediligo – cavalli, figure umane – ma non c’è un quadro in particolare.
I: Qual è la mole della tua produzione in termini quantitativi? In media quanti quadri dipingi in un anno?
M: Secondo il gallerista con cui lavoro da qualche anno la mia produzione è piuttosto scarsa rispetto alle sue esigenze. Comunque in media un centinaio di quadri all’anno li faccio, forse anche di più, però il mio ritmo naturale sarebbe un altro. Il fatto che comunque vivo di pittura e devo mantenere un rapporto con una galleria e devo consegnare dei quadri mi porta a lavorare di più.
I: Quali sono stati i tuoi modelli pittorici, gli artisti che hai amato di più, che hanno contribuito a formare il tuo stile?
M: La corrente artistica che prediligo è l’espressionismo e di conseguenza il capostipite in assoluto è Klimt e da lui tutto l’espressionismo tedesco. Fine ‘800, primi del ‘900, sicuramente, perché mi piace il non finito, non mi piace la riproduzione esatta del vero, mi piace che sia visibile l’interpretazione personale, lo stile personale, quindi anche la deformazione.
I: Quale peso ha il retroterra culturale nella creazione artistica?
M: Come tutti gli studenti ho subito l’influenza da parte dell’insegnante, della linea che lui seguiva nella pittura, delle sue tendenze artistiche, però me ne sono poi allontanata concentrandomi su quelli che erano i miei stati d’animo. Questo accanimento nella ricerca di uno stile personale, la classica liberazione artistica di cui si parlava tanto all’accademia, doveva essere forzata, in realtà è poi una cosa che viene spontanea, e naturalmente corrisponde a quelle che sono le esperienze quotidiane. Io non vado alla ricerca di un’emozione forte a tutti i costi. Mi concentro magari su delle piccole cose della vita comune. Ci sono tanti stati d’animo, tante emozioni che passano inosservate perché oggi si corre continuamente e non ci si sofferma sulle proprie emozioni. La mia professione me lo permette fortunatamente.
I: A proposito dei tuoi soggetti prediletti – i cavalli al galoppo e i nudi femminili – posso chiederti le ragioni di queste scelte?
M: Non c’è una ragione specifica, è istintivo. Non sono andata a ricercare determinati soggetti perché li prediligevo ad altri. Sicuramente c’è un contrasto espressivo nella realizzazione di un cavallo o nella realizzazione di una figura umana perché sono due stati d’animo contrastanti, questo me l’hanno anche fatto notare. Il cavallo è per me in assoluto il simbolo della vitalità, della forza, della libertà, quindi forse quando dipingo il cavallo sono più aggressiva rispetto a quando faccio una figura riflessiva, pacata, in rilassamento. Sono due stati d’animo contrastanti. Sono i due lati del mio carattere; affiora una volta uno e una volta l’altro.
I: C’è un rapporto tra questi due soggetti nella tua opera, analogamente a quanto è stato notato in letteratura, a partire dal Decamerone, ossia del cavallo visto come metafora della donna?
M: Ah, mi interessa! Sì, potrebbe essere una spiegazione, ma è una cosa non voluta, forse inconscia. Mi interessa perché mi viene chiesto spesso, da parte di coloro che si interessano alla mia pittura, il motivo della mia scelta di questi soggetti e non altri. Forse nella donna, nella figura umana mi identifico di più, riesco ad esprimermi meglio, ma poi non è neanche così importante perché io credo che lo stesso stato d’animo si possa esprimere non necessariamente con una figura ma anche con un paesaggio o un’altra cosa. Non c’è un motivo razionale per cui ho deciso di fare queste cose, mi viene spontaneo, però forse nell’inconscio ci sono delle spiegazioni.
I: Quale visione hai della donna?
M: La donna di oggi naturalmente è una donna emancipata, una donna libera, una donna molto diversa dal passato. Io non la sento comunque come un essere rivoluzionario che ha sempre e solo in positivo cambiato la società; ci sono molte cose estreme che non condivido. È stata una cosa che mi hanno riconosciuto negli anni passati, cioè una visione della donna che affiora nei miei quadri un po’ antica, nel senso che è una donna che non appartiene ad un’epoca precisa, come tutti i miei soggetti. Gli unici oggetti che a volte si accostano alla figura che io rappresento sono elementi atemporali. Mi concentro molto su questo ritrovarsi della donna, questo raccoglimento, questa riflessione, che è forse anomalo oggigiorno che la donna è sempre più in corsa, è raro vederla in atteggiamenti raccolti. Un modo di essere, uno stato d’animo forse più vicino alla mentalità orientale, della riflessione, del dare comunque un motivo ai piccoli gesti del quotidiano. Un ritratto più interiore che esteriore della donna.
I: E la visione dell’uomo?
M: Dipingo più spesso la donna rispetto all’uomo perché, come ho detto prima, mi immedesimo molto di più nella figura femminile e riesco ad esprimere così quello che sento, però a volte nella realizzazione di un quadro non sono concentrata sulla figura in quanto donna o in quanto uomo; sono concentrata sull’espressione degli occhi, su quello che sento, e mi viene abbastanza naturale realizzare un quadro, dando certo un’entità alla figura però… non c’è una spiegazione. Ho ritratto anche l’uomo, però credo di potermi esprimere meglio con la figura femminile. Ci può essere in minima parte, anche se spero di no, un’influenza della tradizione in cui il soggetto femminile viene apprezzato di più in un quadro per interni, è forse più decorativo; io lo trovo più espressivo, il nudo in particolare, poi per quanto riguarda l’espressione del viso ho ritratto anche uomini, anche idealizzati, non necessariamente presenti, perché ho studiato anche l’espressione maschile ai tempi dell’accademia: come ho studiato la modella ho studiato il modello. Ci sono poi anche lì due caratteristiche diverse, come la donna e il cavallo, così nello scegliere l’uomo o la donna ci sono degli stati d’animo diversi. La morbidezza femminile non ha nulla a che vedere con la forza muscolare dell’uomo, anche se oggi la donna ha ribaltato completamente questo aspetto con il culturismo femminile. Sono cose che ritengo estreme, forzate e non le condivido. Per me la donna non ha bisogno di dimostrare la sua forza fisica per essere alla pari dell’uomo; per me lo è comunque mantenendo le sue caratteristiche storiche.
I: Le donne che hai ritratto sono tutte donne reali?
M: Quasi mai. Mi può colpire l’espressione di un’amica, di una conoscente, di una persona perfettamente sconosciuta che vedo in autobus. Posso memorizzare quell’espressione e partire per realizzare un quadro; ci sono infatti delle fisionomie che ricorrono, somiglianze di familiari, però in linea di massima non ritraggo mai una persona perfettamente uguale. Ci sono degli input da cui parto. Spesso uso la macchina fotografica per fotografare cose che mi colpiscono, come un gioco di luci di una parete, le nuvole o il mare, anche delle persone, però poi vado sempre oltre quello che memorizzo con la macchina fotografica; per me la macchina fotografica è il taccuino del pittore antico, trovo quindi giusto utilizzare il mezzo moderno.
I: Cosa pensi del rapporto tra la pittura e le nuove tecnologie di comunicazione di massa? Pensi che Internet possa contribuire a diffondere le opere d’arte, a farle conoscere ad un pubblico più vasto? Pensi che oggigiorno lo possa fare in misura maggiore?
M: Penso che Internet sia un mezzo fantastico per poter diffondere i propri lavori. Ho dei dubbi che possa essere un mezzo di vendita o comunque può risultare un mezzo di diffusione dell’immagine però non ha niente a che vedere con l’impatto fisico di un osservatore che guarda un quadro e vuole capire come è realizzato tecnicamente, questo Internet non lo permette. È comunque un approccio freddo. Io mi devo sporcare le mani, il mio è ancora un lavoro artigianale, lontano dal mondo di oggi per certi aspetti. Credo che comunque come diffusione sicuramente Internet sia importante.
I: Le parole chiave dell’èra attuale, battezzata "èra digitale" sono: multimedialità, mass media, integrazione, virtualità. Cosa hanno cambiato le nuove tecnologie digitali nella creazione artistica, se hanno cambiato qualcosa? C’è un reale contrasto tra passato e futuro?
M: Mi viene in mente quando facevo le incisioni; lavoravo direttamente le matrici con gli acidi, con le esalazioni con tutti gli inconvenienti, mi sporcavo, mi potevo anche ferire, c’era però la passione proprio nel lavoro artigianale, a volte dedicavo anche un mese a fare una lastra per un’incisione e vedevo alla fine un risultato dopo tanto tempo dedicato al buio, perché non vedevo quello che facevo, perché realizzavo in negativo l’immagine e quest’attesa per me nel lavoro artistico è fondamentale, avere poi la sorpresa finale di quello che lavori con passione e il mezzo di oggi invece cancella completamente questa attesa, vedi subito il risultato, però mi sento molto lontana, non ci posso fare niente. Questa modernizzazione la trovo quasi una violenza per il mio modo di vedere le cose. L’immagine al computer la trovo molto fredda. Pensa che ancora non ho il computer in casa.
I: Hai un sito web?
M: Dovrebbe essere realizzato a breve un nuovo sito dedicato alla diffusione dei nuovi lavori, l’indirizzo sarà presente sul catalogo. Speriamo che possa curarlo e aggiornarlo. Verrà realizzato da Renato Saggiorato [il direttore delle Edizioni Tierre, la casa editrice che sta curando la pubblicazione del catalogo di Marta e che contiene già nel proprio sito – alla pagina www.emmj.it\ilragno\club-ragno2.htm – un catalogo virtuale di alcuni quadri]. Se n’è parlato ieri al telefono. In questo momento mi preme che il catalogo venga stampato bene.
I: E’ interessante come parlando si notino affinità tra arti diverse, ricordo infatti che quando all’università ho seguito un corso di storia dell’arte, il professore faceva spesso riferimenti letterari.
M: Ricordo anch’io all’Accademia avevo un professore di storia dell’arte di una cultura notevole, che saltava durante la lezione da un settore all’altro. Ti rendi conto davvero che non ci si può fossilizzare.
I: Le arti poi si influenzano; letteratura, pittura…
M: Mi ha fatto molto piacere quando è venuto da me Pier Francesco Listri, autore della presentazione del catalogo. È venuto a casa mia, ha guardato i quadri, e ha trovato dei riferimenti nel tipo di impostazione che io uso con le scenografie e comunque immagini teatrali, e ha fatto riferimento – visto che gli avevo anticipato la mia fase iniziale di studio, la mia vita – ha fatto dei precisi riferimenti a quella che potrebbe essere stata un’influenza del fatto che mio padre lavorava alla SIAE ed ha avuto moltissimo contatti con il teatro e di conseguenza anch’io sono cresciuta in teatro. Ho passato tantissimo tempo al Teatro Comunale, al Teatro della Pergola, ero sempre lì, anche perché avevo sempre il biglietto omaggio, magari però anche in un’età prematura, perché alle elementari e alle medie non c’è questo grande interesse per determinate cose. Poi per interesse ho respirato quest’aria teatrale, infatti quando ho frequentato l’accademia ero incerta se seguire di più l’aspetto scenografico piuttosto che quello pittorico. Ho respirato insomma un tipo di arte che non è prettamente pittorica. Vengo da una famiglia immersa nell’arte: mio padre aveva una predisposizione per la pittura, anche se poi non l’ha coltivata, mio fratello ha una grande passione per la musica, mia madre cantava e recitava da giovane. Credo che comunque sia una bella cosa intrecciare questi aspetti artistici, non fermarsi; ascoltare musica mentre si dipinge in qualche modo arricchisce.
I: Mi interessa molto questo tuo riferimento al teatro, perché anch’io ho avuto a che fare in tempi recenti con questo mondo affascinante, non come attore ma come autore di testi, assistevo sempre alle prove [mi riferisco alle performance promosse dalla rivista on-line Porpore].
M: A me ha sempre affascinato il teatro, magari con i miei occhi di bambina potevo rimanere più impressionata da certe cose, però poi al di là della finzione, dell’irrealtà, il teatro è il riflesso della vita reale.
I: Anche se poi sbirciando dietro le quinte magari vedi l’attore e l’attrice che litigano e poi si baciano in scena. A me faceva un’impressione un po’ strana.
M: Sì, sono i due lati estremi della fantasia e della libertà dell’espressione e nello stesso tempo il rigore, soprattutto se uno se lo sceglie come lavoro.
I: Progetti per il futuro.
M: Poter continuare a lavorare e a vivere di pittura, poter continuare a lavorare serenamente facendo quello che mi sento di fare e non quello che mi viene ordinato di dipingere, questa è la cosa a cui io tengo in assoluto. Il compromesso l’ho accettato per alcuni versi però mai un compromesso che mi limitasse nell’espressione. Questo è ciò che io mi aspetto come base dal futuro, poi naturalmente programmi, mostre, probabilmente a novembre una mostra a Padova. Il Veneto lo vedo molto come una possibilità di proposta; secondo me determinate zone, forse per un fatto culturale, sono più aperte, più disposte ad apprezzare un certo tipo di pittura. Ogni luogo per un fatto storico ha un gusto diverso per apprezzare determinate cose. In passato l’ho notato, avendo avuto un rapporto di lavoro della durata di qualche anno con una galleria a S.Gimignano, località che vive di turismo, quindi con una grande presenza di tedeschi, inglesi, americani, ho venduto tantissimo ai tedeschi, non a caso essendo un’appassionata dell’espressionismo tedesco, c’erano delle affinità, delle simbiosi, avevo apprezzamenti e acquisti da parte di persone che venivano dalla Germania. Anche in Italia ci sono alcune regioni, come il Veneto, in cui credo ci sia questa tendenza ad apprezzare un certo tipo di figurativo. Non è casuale questa scelta. Sono stata invitata dal direttore di un giornale di Padova, è da anni che me lo sta dicendo, sarà un’occasione interessante. Sto aspettando il termine del catalogo per spedirlo. Tra una settimana dovrebbe essere pronto, ne sai qualcosa anche tu visto che sei stato coinvolto nella realizzazione. Spero anche di mantenere con entusiasmo il rapporto con la Galleria Spagnoli per cui lavoro da anni.
I: Il tuo rapporto con l’editore Saggiorato?
M: Dovrebbe continuare una collaborazione anche con lui.
I: Per curiosità, come hai conosciuto Saggiorato?
M: Renato l’ho conosciuto in seguito ad un convegno cinque o sei anni fa; un convegno al Palazzo dei Congressi a Firenze; credo ci sia "simbiosi" tra il suo lavoro e il mio, inoltre è nata un’amicizia anche con la sua famiglia.
I: Una cosa che apprezzo di lui è questa apertura che ha verso nuove iniziative.
M: La trovo una persona disponibile umanamente.