Testi di Massimo Acciai
L’ULTIMO RESPIRO SULLA TERRA Credano pure non vi sia mai stato un dio sull’estremità di questo mondo che diede vita alla relativa gente dal cuore aperto come uccelli senza ali da un’altra base drammatico come un gioco evasivo come un’ombra schermo archivio di tragiche follie; ma non importa! Qui oggi il cielo rosso racconta al suo racconto, ma gli unici occhi che ascoltano sono i miei la pace fra le colline la notte riguarderà tutto il coraggio. Loro sorrisero dai corpi liberi, attendono ancora lavando sulla luna la loro esperienza, sorridono dei miei cedimenti. Sì, percorreremo insieme il percorso dalla mia sede, conservate fuori della notte la lama ghiacciata aspetterò tra pesci silenziosi fra le erbacce e l’acqua viscosa l’altro lato dello specchio. Voglio bere quest’acqua prodigiosa! Firenze, 21 agosto 2001
La Parola
Di un intero popolo non era rimasta che una sola parola. Non si aveva nessuna notizia precisa sulla nazione che parlava la lingua a cui la Parola apparteneva; nemmeno sul territorio che esso abitava i pareri degli storici erano concordi. Per un certo periodo sembrava che fosse vissuto da un capo all’altro del pianeta, vista la disparata provenienza delle fonti attestanti la Parola. Si sapeva solo che detta parola non apparteneva a nessuna lingua di nessun popolo noto.
Si riteneva che fosse un popolo barbaro, ma alcuni avanzarono l’ipotesi che fosse anzi altamente progredito. Era opinione comune, tra gli studiosi, che tale parola, dal suono così aspro e sgradevole, non poteva che appartenere ad un popolo bellicoso, ma neanche su questo sono tutti d’accordo.
In fondo qualsiasi ipotesi può essere avanzata quando di un popolo non ci resta che una parola, sebbene in un alfabeto ben noto. Di una etnia, solo otto lettere.
C’è stato anche chi si è domandato come può una razza intera scomparire senza lasciare traccia, né regge l’ipotesi che si sia trattato di una lingua con pochi parlanti. La stessa identica parola, stampata su oggetti identici, dalle rive dell’Oceano Meridionale alle pendici di Morë Oron, non può essere una coincidenza. Sempre più improbabile appare l’ipotesi di un evento catastrofico; pare che il popolo della lingua sconosciuta fosse in estrema decadenza già nell’epoca a cui risalgono i reperti. Probabilmente si è spento poco a poco, come molti imperi del passato, affondando nella memoria del proprio passato glorioso. Chissà cosa scopriranno gli storici quando riusciranno a decifrare la Parola, chissà cosa significa quella strana sequenza di suoni come si pronuncia e quale bizzarro oggetto (se di sostantivo si tratta) indicava.
C’è persino chi sostiene che in realtà non è mai esistito tale popolo, che non è altro che un’invenzione, un inganno, un complotto…
Firenze, 6 ottobre 2002
SEGRETI DI PULCINELLA Siete vento freddo, ma nessuno deve scoprirlo, vendete la luce solare attraverso gli alberi per mantenerli caldi, in tonalità pacifiche di verde. Tuttavia nella nerezza della mia mente la famiglia platonica, un applauso della mano, colpisce una barretta nel giardino zoologico, perforato l’orologio d’argento nella roccia dorata. Sono perso in un sottopassaggio, intuisco il tempo perso. C’è un uomo che guarda uno scomparto. ma nessuno deve scoprirlo, io sono indietro ancora. Ritenete le ceneri dal fuoco che li ha mantenuti caldi. La relativa comodità sparisce, è suscettibile attraversa per ripartire effettua uno studio sulla disperazione, uno ha troppe tendenze schizofreniche, le mantiene in conservazioni complicate. Firenze, 20 agosto 2001
Ì
Ti racconto la storia, la leggenda, i racconti di guerra e di antichi cavalieri. Il cuore sopravvive, sopravvive, nei sogni che cammino dal vostro lato. Se fossi un cavaliere antico nobile farei una pausa. Uno spende la livella da solo, è su fuoco liar, brucia il suo tempo nel camino. Un sogno. Battaglie, trappole, miracoli. Un conto alla rovescia finale e ce ne andremo su Marte alla ricerca di elfi platonici. Sembra ieri quando l’autunno sapeva di caldarroste e foglie morte; la lotta contro le slot machines e i videopoker dimostrò l’esistenza di un demone concreto, eppure sei uno sciocco se pensi alle nuvole mentre lavi il pavimento del bar o corri incontro alla notte su ali tenere. Bocche d’ombra per andare a caccia di parole acute.
Apro un libro sbertucciato polveroso. Il sapiente filosofo costruì su tanta erudizione l’edifizio del suo invidiato metodo terapeutico. Ciò gli procurò ingenti guadagni nella cura delle malattie veneree, ma non gli evitò la sua propria fine per febbre, di ritorno da una visita alla duchessa, come da tipica profezia rinascimentale. Già, polvere aristotelica a colazione e angeli eretici nel buio delle sale. Le locandine parlano di rinunce e di amplessi in dolby stereo. La castità è una leggenda, non un’invenzione, e circola clandestina in rifilature e sussurri. Melting pot. Background genetico nelle tasche del destino, i centri commerciali vendono ancora lettering e immagini in quadricromia. Il senso della vita ha una risoluzione minima, sparisce sulle pellicole in fantasmiche retinature. Drammi che commuovono me soltanto, mentre mando in stampa un articolo su sospette glicosurie.
L’hotel ha dodici porte, dodici camere in cui il sonno mangia i clienti e i cuscini raccontano di giochi atavici. La matrice è nella caverna, nei documentari su gnu e lemuri. La personalità emicranica è caratterizzata da rigidità esigenza perfezionismo ipersensibilità compulsività. Nella notte stellata e gelida mi siedo a guardare il cielo e penso a lei. Forse la luna conosce il destino dei trilobiti e rischiara acque di felicità. Non mi piace ingannarmi con la pornografia, preferisco una partita a carte colla necessità. Amica amicae, antico vocabolo equilibrista, nominativo genitivo singolare. Single. I bambini di questo tempo capiranno il secolo delle e-mail e degli sms, dei fast food e dei dvd? Lo capiranno almeno loro?
Io continuo a mettere caffellatte nello zucchero.
Firenze, 7 dicembre 2002
c
La Vita… Già, la Vita! … inizia in modo così strano… Strano come? Un paradosso! Come… Come una suoneria musicale che manda melodie all’interno. Già. Già. Tutti hanno bisogno del sole e di farsi ombra con la mano. Hai un’espressione ebete. Cerco vendetta. Osserva la parete, là sul pavimento, sotto il cuscino, dietro il portello: c’è una crepa nel mondo. Ne ho forse colpa io? La bestia reale non si è dimenticata. Lo so! L’orologio ha barba di bambino. Quanta saggezza nei proverbi popolari! E quanti corpi hanno cuori e reni! Spandono il loro seme. Nasce un rododendro. Una mimosa. Una quercia secolare. Una rosa. La verginella rosa, è venuta dai giardini del re. L’ho vista domani, giocava con una canzone e si è cronometrata gli occhi. Prendi questo libro. Ha colline russe e borchie di tungsteno. Narra la storia di John il Fotosensibile. Lui ballava coi giganti e si spegneva sigarette sulle mani. Desiderava un tamburo immune a tutto il nostro carattere erbicida. Gli dissero che l’uomo dei mezzi gli aveva rubato un foro. Non ci credo! Rumore! No, suono… Calore No, tuono! Sudore Amore? Parabolica che deve morire, deve morire, deve morire. E perché mai? In piedi nella stanza il mio corpo ha cominciato ad invecchiare velocemente, lasciando un bambino-mente all'interno. I desideri del corso della vita si sono sollevati attraverso il portale di scimmia, l’anello del potere… Ma questa è la storia del Pancale Abbandonato! Ma no, è che i lavoratori non qualificati hanno costruito le ferrovie in Antartide. Il costo in termini umani da solo era molto alto... … eppure il re mangiava anche allora cibo per gatti. E di quello buono anche! Poveri gatti! Poveri marsupiali!! E poi? Andai fino al Triangolo del Diavolo, cercai il Giardino delle Vite Senza Fine e imparai che la pace è un uccello che canta. Una pace di giada. Ma insomma, quando dirai "hpei" al tuo amore? Quando lei mi risponderà "tät", è logico! Mica tanto; io coltivo creature botaniche in serre amichevoli, bagnate da un sole morente, mentre l’acqua ristagna ad ovest e la neve avanza da sud. Eppure qualche tic tac toc verrà pure a salvarci! Non ci giurerei, il flusso dell’anima è alla sua bassa marea e il cuore ha angolature smerigliate. C’è un momento d’amore per ogni segno zodiacale. Volare sulle maree del cosmo non è da tutti, dobbiamo raccogliere pietre di fango e incendiare le menti stanche di annotazioni sul pentagramma. Il suono è oscuro, le onde della notte portano frammenti di ristoranti e ombrelloni alla mia spiaggia deserta. Triste pesca stanotte. Il vento porta memorie di autogrill e schiuma solare, là dove il solleone rompe le catene arrugginite. Una poetessa aprì il suo cuore e ne uscirono visioni lucide e graffi intellettuali. Era bello. E’ come un iceberg platonico, dove le mani non aderiscono e il fiato è trattenuto. Ho visto riflessi d’acciaio e vetro colorato, da cui osservare il mondo è cambiare prospettive e labbra. Si può anche tornare indietro, qualche volta. Andarsene. Pelle profumata, inseguimento di sogno di amore e di carne. E’ rischioso, meglio il ghiaccio dell'intelletto astratto e razionale. Uomini-macchine. Uomini-bestie? Uomini-uomini! Leccare il gelato estivo, osservare lanterne accese nel buio, ascoltare la risacca notturna, non andare alle feste, ballare nella mente eccitata, mettere aspartame nel caffellatte e non domandarsi mai cosa affiorerà nel vortice della sopravvivenza. Nel ventre della balena non entrano luce e critiche ermeneutiche. E gli hotel sono discreti spettatori di tragedie nascoste, di violenze e violini, di perduti bambini. Il freddo è moneta, la regina di mezzanotte si libera della corona che non sa di avere e si veste da pappagallo. La pioggia bagna gli occhi sbarrati. Ma non c’è solo pioggia a questo mondo! Sì, c’è anche un cuore di donna illuminato dall’alba di un mondo perfetto. Un consiglio: osserva dappertutto, ma non all’interno di te stesso. Non sono d’accordo. Quando cambia il vento, si possono ingannare dispositivi mentali e baciare all’improvviso chi ami. Ma poi? Faremo un brodo di bugie e ci rimboccheremo le maniche scucite. Tabelle e banane, i palmi delle mani chiederanno affetti e guanti. Tutta la totalità della mattina vivrà in schermi silenziosi. L’alito saprà di vino fragolino e vedremo scintillare scarpe da tennis e mocassini. Beh, certo che è strano… Cosa? …come finisce… Cosa? …la vita e inizia la Vita.
Firenze, 22-23 novembre 2002
Testi di Maria Chiara
FERMI
Nata di rabbia
di mani tese per poi ritrarsi
è la paura di amarsi
che rende immobili
i tentativi di vento
che spazza via la noia
ma rimane la sera
con i palazzi fermi
e le periferie
d'ingegneri ed architetti
con i soldi
e le loro mogli
che han tutto,
ma no adesso
sono io che sbaglio...
BUONANOTTE
La solitudine è attraente e mi fa compagnia.
A quale luna mi abbraccerò se non ci sarai più.
Buonanotte a tutti i mestieri
a questa vita che sa di pane caldo e di vaniglia,
amica della luna.
A tutti voi.
Voi che sapete
che la nostalgia taglia il respiro.
Ma tu sei mio.
Il tuo sorriso aiuta anche il dolore più indifferente.
Buonanotte a tutti
anche a chi si vende lungo la via.
Alla donna più sola voglio dare un po' di questo amore
che sa di buono ed è attento.
Buonanotte al coraggio
e ai più piccoli tra di noi
a chi vive di poco ma è più vivo che mai,
ma non lo sa.
A quest'alba nuova, buonanotte,
che nasce senza far tanto casino.
Voglio proprio te
e sarà Iddio sarà quel che sarà
sarà noia sarà casa mia
o sarà un caso
ma il sole tornerà
che tu lo voglia o no.
Io vedi... io ci sarò.
Testi di Andrea Cantucci
AVREI VOLUTO
Avrei voluto essere diverso.
Avrei voluto essere migliore.
Avrei voluto essere me stesso.
Vienimi a prendere, Sonno, che aspetti?
Il giorno è vuoto, la notte è vita
e nella mia gola ammuffisce un pensiero.
"Non sono povero, anche se non ho soldi
e non ho freddo, anche se non ho vesti."
Proverò a scrivere sempre dormendo,
così potrò ricordare i miei sogni.
Si potrà scrivere senza guardare?
senza seguire le linee obbligate?
Se solo potessi sognare una storia
e poi trascriverla istantaneamente...
"Il Sole si alzò come sempre,
ma la Luna non era al suo posto..."
Andrea Cantucci (1996)
CORPO DI SOGNO
C’è un corpo di sogno racchiuso nel buio
che teme di vivere e attende di nascere,
che non ha altra esigenza che crescere
e sembra svegliarsi ogni volta che muoio,
tra l’inizio di oggi e il finire di ieri,
e non sarai più la persona che eri,
tu che conosco col nome di io
e che non ho ancora capito chi sei.
E’ un corpo che è figlio di onirici dèi
ed ogni sua vita è sognata da un dio
ed ogni suo sogno è un momento infinito
ed ogni momento è un silenzio inaudito
che urla all’interno dell’animo mio
ed io non so più cosa son diventato
da quando dal sogno mi sono svegliato
nel corpo di un rozzo animale parlante.
Andrea Cantucci (1995)
IL SOLE SORGERA’
Il Sole sorgerà da domestici inferni
sopra i monti e le valli dei paesaggi più interni,
sopra i mari e i ruscelli che riflettono i cieli
sulla terra e nascondono più profondi misteri,
sopra a uomini e donne, superati gli inverni
in cui hanno lottato pur sentendosi inermi,
sopra i servi e i ribelli, che non sono nemici
ma soltanto più o meno rassegnati o felici,
sopra i matti e i sapienti, ugualmente dotati
di saggezza ma non equamente ascoltati,
sopra i vecchi e i bambini, che si sentono sciocchi
a non fare carriera o cercare altri sbocchi,
sopra gli alberi e i fossi, che in un senso o nell’altro
al livello uniforme delle cose non stanno
sopra i varchi e i confini, che dividono il mondo
in chi passa e chi resta chiuso dentro il bisogno,
su montagne nebbiose distaccate da tutto,
sopra a valli ignorate il cui accesso è distrutto,
sui mondi che qualcuno ha esplorato in sé stesso,
su vite mai vissute ma che vivono adesso.
Il Sole sorgerà tra i destini più incerti
per chi non l’ha mai visto e per quelli più esperti,
per chi fu condannato a una vita reclusa
avendo un ideale che il potere non scusa,
per chi non ha creduto che sarebbe mai sorto
un giorno luminoso o ad attenderlo è morto,
per chi non sa chi è stato nella vita che ha avuto
rinchiuso in un lavoro senza chiedere aiuto,
per chi si crede solo nella folla e non sente
nessuno a lui vicino ma è vicino alla gente,
per quelli che mi sono più lontani o che amo,
per tutti i prigionieri che siamo.
IO SON FANTASIA
Io son fantasia
Io sono ciò che manca
al nome delle cose, a una coscienza stanca
chiusa nel vuoto di ciò che mai non sia
Io son frenesia
di alzarsi e dimostrare
al mondo e al mio bisogno cos’è che si può fare
fondendo in un istante verità e magia
Io son l’idea che non vuole vegetare
Io son l’alchimia
che unisce gelo e fiamme
nel centro di un tormento e in nuove esterne forme
che possan soddisfare un’insistente fame
Io son l’età che sogna e che non dorme
Io son l’utopia
di aver cambiato il mondo
riuscendo a far sentire e a usare fino in fondo
la forza che si cela dietro l’armonia
Io son l’amore che vivo e non nascondo
Io son l’energia
che illumina la stanza
il fuoco che s’innalza in un’eterna danza
l’istinto che crescendo diverrà follia
Io son la vita e la passione a oltranza
Andrea Cantucci (2001)
LA SERPE SI AVVOLGE
La serpe si avvolge alla base del tronco,
radici di un albero chiuso in un uomo,
tre giri di spire del mostro che dorme
si stringono in fondo alla forza che cresce
tra abissi di tenebre in fiamme in cui nasce
l’inerte materia animata che scorre,
la carne d’argilla, la linfa del sangue
che preme e s’innalza, va giù e si confonde,
risorge in maree di lapilli di lava
e lo sguardo di dentro che arrossa la luna
si attrae verso l’alto nell’aria incendiata,
nei cerchi dei cicli costanti dei fiumi
di forme incostanti in cui attende la vita,
nei gorghi che espandono i grumi dei corpi
che ancora non hanno emozioni o pensieri
ma sanno la danza degli atomi interni
che brucia al cospetto dei volti dei soli,
gli apatici inferni capaci di agire
soltanto in meccaniche assenze di sensi
nei quali il capire e il sapere non c’è.
Il cerchio che porta alla base del centro
conduce alla forza nel punto più basso,
visioni di un mondo di semplice essenza,
assenza d’intenti e concreta realtà,
reazioni incapaci di scelte coscienti,
nessuna natura al di fuori dei sensi,
né impulsi di gioia, o espansione, né altri,
ma solo la voglia di esistere ancora,
la sopravvivenza istintiva ed oscura,
un attaccamento morboso a una forma,
il drago che stringe la sua prigioniera,
la forza una sposa rinchiusa sul fondo,
la gemma un tesoro nascosto più giù
che splende alla morte del proprio guardiano.
Rinasce il serpente e ruotando si snoda
al di là della Terra, oltre il luogo in cui giace
la sua spoglia creduta mortale.
UNA RETE INFINITA
Una rete infinita delimita il campo
nel quale la vita passare dovrà.
Chi vuole fuggire non troverà scampo.
Chi non vuol morire rimanga al qua.
Una rete di ferro invisibile a tutti
a cui sempre mi afferro e che mai cade giù,
ostruisce il passaggio e protegge quei frutti
dei quali l’assaggio per tutti è tabù.
Una rete intrecciata con fine ignoranza
è stata innalzata da santi e da re,
perché nessun abbia l’ardita arroganza
di romper la gabbia e pensare da sé.
Una rete di sangue percorre la Terra,
in cui ancora langue chi è in schiavitù.
Non basta la pace, non serve la guerra,
finché il servo tace la sua servitù.
Una rete infernale impossibile a aprirsi
trattien l’animale che fingere sa
d’avere vissuto e di divertirsi,
se anche ha perduto la sua libertà.
Una rete di vile apatia e indifferenza
circonda l’ovile in cui vivono i più.
Il gregge ringrazia chi gli usa violenza.
La pecora è sazia e non chiede di più.
Una rete infinita conduce ai macelli
e un’unica uscita si vede al di là.
E’ questo l’inferno dei candidi agnelli,
fedeli in eterno a chi li sbranerà.
Andrea Cantucci (1995)
VITA NASCENTE
Dov’è un’idea che accolga nel suo ventre
tutte le cose che non sono state?
e immersa nel futuro gridi, mentre
nuove speranze ne escono, neonate?
La Vita che nasce, la madre che grida,
delirio che cresce, speranza esaudita,
che appaia indistinta, splendente od oscura
del tutto ti avvolge, di cosa hai paura?
La Madre di fango, la Madre di sole,
ti nutre e ti legge i pensieri a parole.
Non chiede mai niente, fin troppo ti dà.
Tua madre ti perde, tua madre ti ha.
Rinchiude il tuo volto in un muro d’amore.
Ti dona il suo corpo e non è un’illusione.
La madre divina, al di là del suo bene,
si sente incosciente, si sente in dovere.
La Madre che ha forma di bestia adorata
a volte è affettuosa, a volte è adirata.
Di certo è imperfetta, di certo è delusa,
la Vita sua colpa, la madre tua scusa.
Ma è sempre una madre che in te ammirerà
la propria esistenza e la propria realtà,
finché lei continua a rinunciare per te
ad ogni sua scelta e ad ogni perché.
E fu una madre a stringere la corda
tanto stretta e lunga, talmente troppo corta,
con cui legarti in un nodo di pazienza
per esserti vicina, non solo all’occorrenza.
Ancora una madre, al poco tuo presente
dedica il suo tempo, dicendo "non è niente",
ma tu fuggirai, appena tutto accade,
dentro ad un ventre, chissà se di una madre,
e nascerà di nuovo, ma non sarai più tu,
un figlio di te stesso che non vivrà mai più,
e tutto è come sempre, e tutto è già cambiato,
e tutto è superato, e tutto ricomincia,
e un unico Sé si è di nuovo incarnato
in un io separato, e si attende, e si annuncia
in tutto ciò che non era mai stato.
Testi di Monica Pintucci
IL SOLE E' ALTRO
Non sarà una serata ispirata.
Spengo sigarette svettanti di rosso e fuoco
su specchio orizzontale,
inevitabilmente
testardo, invasivo.
Lama fedele.
No, non amo le carneficine.
E poi….
il sole è altro.
Il Maestro
"Non avevo veramente un’idea chiara di cosa dovesse fare un maestro, ma immaginavo per esperienza che non facesse molto, oltre a esaltare vizi e virtù dell’allievo – esasperandoli forse? -, così, un po’ da mastro contabile della virtù…"
"Salgo lo scalino e inizio a percorrere il corridoio. Penombra tremula di candele. Pareti di mattoni rossi consunti e smussati con visibili crepe e soffitto arcuato. Per terra, forse, briciole di porpora. Il mio sguardo è alto e dritto, marziale, insolente. Al mio fianco, una figura senza età, che veramente non saprei descrivere, né paragonare ad altra specie più nota nella massa dei mortali comuni. Con un’aura, però… che non soggiogava. Un freddo custode e tutore in sandali duri e saio color crema, capitato lì, per me, per caso. Senza guardarmi o fare gesti, parla per darmi secchi consigli, e non tradisce emozione, un’umana incertezza. Probabile che non ne abbia. Niente di male. Si dice esistano già simili esseri. Probabile che non si arrabbi. O che non si sia troppo arrabbiato, nel passato, tanto da non portarne né cicatrici né stellette. Tanto da non meritare un nome. Saggezza conscia dei propri limiti. Cura senza morbo.
Camminiamo affiancati senza guardarci, passi regolari e braccia lunghe distese, io in silenzioso ascolto, la mia guida, invece, facendo scivolare una ad una le garbate parole severe dalla bocca composta. Asciutta. Catturo il suono che subito muore. Non ricordo dov’è che ci separiamo, dov’è che il mio custode e tutore si ferma e io proseguo verso il portone di legno a fatica visibile alla fine del cunicolo. E’ da solo che lo apro. Da solo entro nello stanzone illuminato a giorno, sapendo che non potrei né dovrei farlo. E qui, ci sono i Pazzi."
I Pazzi. Come dire, con la "P" maiuscola - proprio così, articola la parola con la bocca asciugata dal sobrio scandito raccontare - una categoria dello spirito, insomma, e anche del corpo, e dell’abito, tutti magri calvi e occhi scavati, vestiti di bianco, accucciati in un angolo al momento del suo ingresso nell’antro proibito.
"E appena metto un piede dentro, un po’ stordito dalla luce, uno scatta in piedi e mi è addosso. Mi è addosso, ma non mi afferra. Rivarco la soglia e correndo percorro all’indietro il lungo corridoio. Verso la salvezza, spero. Ma sono inseguito, ancora inseguito. A distanza ravvicinata. Sono due. Corrono. E correndo passiamo accanto al maestro. Che non muove un passo per il discepolo. Lo sfioriamo, quasi. Impassibile. Niente. Si è già dato. Come statua di sale, non vede né agisce. Tracciando forse solchi invisibili sotto i miei piedi. Con chissà quali poteri. Silenzioso, immobile, sobria statua di uomo in saio e sandali, solido monolite, veicolo della mia conoscenza. E i Pazzi non si accaniscono su di lui, nemmeno lo vedono, forse. Corrono. Ma non c’è affanno, né impotenza. Solo distanze che si ostinano a rimanere uguali e traguardi raggiungibili, appena il tempo riprenderà a scorrere. Lo scalino. La presa. Riesco a vederli. Due individui ormai abituati allo sforzo della corsa, e a non toccare la meta, la preda. Figure di atleti devoti alla tensione perpetua…!
E qui finisce. Non c’è altro."
…è che, quando qualcuno mi racconta un sogno, riesco a immedesimarmi moltissimo. Purché dica tutta la sua verità (e se ci fosse altro, ancora? Quale maestro potrebbe guidarmi nella scoperta?). Allora, se percepisco questa verità urgente, inconscia e insieme manifestamente prepotente, penso che valga la pena stare un po’ dentro, a guardare, e sentire, e mordere, discretamente, con altra parola.
ALI DI SABBIA
"Ciao ciao, niente lacrime addii e spante emozioni, tieni pure questo manto di luci, io sarò al fianco del sole, e non tornerò giù, più giù…"
Sono seria. Non sorride e non sudo e mai immaginereste la mia lussuria. Quando danzo.
Una presenza svelta e rassicurante sul palco, pilastro flessuoso di porcellana e tulle che s’inarca e protende verso di te senza mai sfiorarti, o volerti rubare un sorriso. Senza dare fiato al respiro. Una figura netta e decisa, onesta, puoi fidarti se hai perso il passo e la via: "Guardatemi, care, povere sorelle ansiose e sudate, sorridere vi costa ma io vi guiderò, verso il Ritmo e l’Agilità, la Perfezione. Vi orienterò." Bussola. Faro. Dalle vette dell’ultramondo.
So che il virtuosismo altrui indispone, e la coerenza alla lunga annoia. Freddezza e severità sono impopolari, lo so E so che sono l’antipatica, fiera incarnazione di entrambe. La mia lussuria è proprio e solo questa perversa tendenza alla perfezione. L’unica a non patire il caldo di riflettori, lustrini, aliti acidi. Non sudo, io, non mangio non dormo e così via – rapidamente – in un battito d’ali…
E forse è qui il segreto della mia onnipotenza senza delirio. E dell’odio che attiro, con le ossa minute ma così importanti, quasi lucide e un po’ effettivamente sporgenti, i muscoli sottili tesi e levigati, i capelli compatti in una minuscola solida crocchia, come dipinti. No, senza farmene un cruccio.
Mai sbaglio, mai esagero, tutto è ossessivamente controllato provato misurato, e il pubblico mi guarda, non può evitare di sforzare gli occhi - occhi grumi rappresi di passione carnale – è costretto a piegarsi e tacere. A disagio per l’austerità scomoda e del tutto inaspettata che lo fa muovere inquieto alla ricerca di una prospettiva meno spigolosa, che smussi l’asprezza e restituisca il godimento del passivo osservare, il conforto della poltrona. Primo bottone sganciato, epa in libertà, scarpette scalzate per piedini doloranti. Insignificanti.
Il pubblico, insomma, è costretto a guardarmi. E non ho da prevaricare, non devo forzare il movimento, sgomitare, fare anche la minima concessione al comune senso del grazioso sgambettare. Non ho bisogno di usare vera e propria violenza (quella immateriale, che solo noi creature tra cielo e terra conosciamo) nei confronti delle mie affannate compagne, né ricorro sotto il cerone e fuori dal cuore alla patetica subdola ruffiana arma del sorriso. La mia lussuria, se volete, è anche assoluto rifiuto di compromesso.
In fondo, lo so, è l’invidia che vi agita, che mette in movimento le vostre gambette molli e sprovvedute, sempre stanche o dolorose, pesanti come la rabbia che vi consuma dentro quando mi guardate danzare senza fermarmi a rifiatare, filigrana ambrata e fluttuante. Invidia di un’autodisciplina perfetta, ignoranza di quel sapere che ti porta al di sopra di bisogni passioni debolezze, carne e nervi. "Non ha espressione", "Sembra infelice", "Sembra cattiva", "Brava ma poverina", "Regge l’anima coi denti": litania appiccicosa delle prime file. Anoressica, per gli scientifici. E più indietro, nella penombra, il candore di tenera bimba inquieta che annusa la potenza, accoglie la scintilla e pensa - già accaldata: "Datemi quella leggerezza e quella forza, datemi un tutù e prenderò il volo in un fru-fru, e non tornerò più giù. Più giù!" Esaltante, lo so. Provateci. Proviamoci.
La mia danza precisa e misurata è uno sberleffo silenzioso proprio in faccia ai loquaci che vedono la lussuria in un giocattolo di carne. Sensuale fino all’eccesso, io domino i miei sensi, e voi che guardate capite subito che godo di un’estasi superiore. Meravigliatevi pure: godo. E godendo, miglioro la perfezione, che non ha limiti, né surrogati, e non lascia spazio alle pretese di estranei ottusi e minacciosi. Innocua e solitaria, non minaccio né offendo nessuno, se non con la vibrante magrezza. Ma questo è un problema vostro. Tutto sommato, mi avete fatto meno male di quello che sembra - o che sembra voi crediate. Compiacetevi pure. Studiatemi.
Ma non penso proprio che asseconderò mai i vostri struggimenti romantici da morte del cigno, che vi gratificherò, vezzeggerò le vostre individualità da botteghino. Siete solo il Pubblico, un tutto inscindibile che non mi comprende e mi osserva pietoso da distanza di sicurezza. E vorrei capiste che non vi sto vendendo proprio niente di me. Sono incorruttibile. Non mi mischio a voi, non cedo alle lusinghe, e - se così dev’essere per amor di Bellezza e Purezza - trapasserò sulla scia di un leggerissimo jeté sauté. Continuerete a sognarla, una leggerezza così.
Sì, è il corpo rigonfio e peloso che mi disturba nelle farfalle. E più grosso è, più mi disgusta.
Io ho, invece, ali di sabbia. Filigrana argentea finissima che sfugge ogni presa.
Oltre
Al di là del prodotto,
e del concesso,
di ogni eclissi futura e passata,
di ogni rassegnazione a vizze cicatrici,
rinuncia spontanea o necessaria,
vorrei scorgere negli occhi di ascolta
come un ibrido brivido.
Oltre 2
Al di là del concetto,
e del rispetto,
vorrei veder scorrere ai miei piedi
lava d’argento.
Testi di Riccardo Morelli
Siamo una foresta di sguardi, d’intenti nello svolgere, sguardi tomografia. Pare contraria o realizzabile, disgustoso o platealmente inutile, di probabile utilità o oltre, l’ odore combinerà le forme dell’ aprirsi vero, sostantivi di peso, cadenzati voluttuosi, volutamente spigolosi o complicativi, gli umori escono irrefrenabili guardiani o ipocriti ruffiani
per saziare o nutrire, fagocitare o risucchiare, sventolarsi poi stendardi al di sopra degli scheletri o a farsi sgozzare come agnelli per il dolce odore che a nessuno piace ma tutti attira, poi, non mantenere la promessa e dedicarsi a chi ha più bisogno, perché tutti hanno bisogno; annusami e dimmi se non dico la verità, oppure scusa ci ho ripensato. Era il sentiero delle viole quello che m’interessava, ero portato per il giardinaggio e non lo sapevo. Eppure pensavo d’ aver superato questa passione per la terra ma ne son meccanismo, che cosa devo far? Stringo di più il nodo della cravatta oppure ecco cambio sottoveste, impenetrabile, che la vista del tesoro che ho ci sia mi raccomando. Così che si rimanga li ad adorarmi, pronti a spostarsi dentro la mia aura e, satellite perché unione la notte quando tutto si fa stella e pianeta e l’ uniformità ci consoci.
Odio il tuo respiro ora che dormi, lo amo perché indifeso, mi avvicino e annuso, o consorte mi volto ad aspettare un risveglio, speriamo sia mio e devoto alla mia forza, l’ elettricità che ti fa tirare le gambe giù dal letto mi disturba la digestione di tanti sogni accumulati senza poterci stringere
Togliti il sapore e il respiro se vuoi che ti ami.
L’errore che non dovevo commettere era di percorrere il viavai senza attività o senso che poi mi portò davanti allo schermo che riflette la mia immagine con lo sfondo che avevo scordato. La volta prima ero una sfera e la volta prima ancora ero un prisma multicolore, con gli arti che non servono che a cambiare la rotazione o il movimento. Sento in questi momenti soltanto e immediatamente il desiderio di una morte elettrica, con uno sguardo che rimanesse fisso su una rara bellezza, è questo che non riesco nelle mie forme, ad ottenere un’ impronta visiva di me sufficientemente distorta.
Labile congruenza al non modello nell‘ abile necessario, si chiama incoerenza il ricorrere a ciò?
Fui generato e plasmato al volere dell’ uomo e della donna secondo modelli e valori antichi e affamati, fu per tempo necessario e afflitto che osservandone le forme e le volontà seguenti che terminai la mia umanità.
C’erano pieghe di luce accecanti nei miei occhi, spazi che si riempivano di paura e difesa, battaglia e disegno anatomico dal colore rubino del sangue appena stillato da un corpo, sesso che mi entrava in testa centralmente, ossessivo. Tu hai uno spazio diverso per collocare tutto ciò? Un corpo progredito con sufficienti difese dai paradossi dai tuoi simili?
Storditi essi mettevano le ali al tempo dal loro creato, sferzavano, sputavano languori e bagliori inconsistenti: le ali al tempo da loro creato, che si spiegavano maestose nelle fosse della terra dove andavano a marcire.
Avevano senso le distruzioni familiari nelle decisioni di vita? Solo una finale stanchezza e rigurgiti notturni trasformati.
Erano belli i vostri volti: forme e linee di sostanza, un tratto che le univa o un solco che le divideva, in gole percorribili e curate negli specchi senza responsabilità per quello che erano: umide fessure che assumevano stratagemmi e necessità, percepivano luce e onde nutrendosene o chiudendosi, alternando il rifiuto al bisogno, mai paghe al desiderio, in un lento o impercettibile spazio sempre devoto al tempo, reso maestro di tutto, giudice, ultimo beneficiario o vittima in quelle forme corruttibili al volere proprio o del branco.
E’ questa atavica paura che si è stabilita, un’ emozione coinvolta nella storia antica, creduta di sempre poi sfuggita alla miseria. Il racconto delle origini è stato per tutti un finto dichiararsi immortali, la riproduzione, una corsa contro il tempo stabilito che si ripiegò.
Non era mai nato, mai esistito, eppure giunse come avrebbero detto, la sua ora.
Nessuno poté sapere questo, non ce n’ era coscienza o quantità, si avviluppò su se stesso semplicemente come per riposarsi ad un attimo stabilito e che non veniva mai per nessuno, la coscienza diventò forma non tangibile ma riconoscibile, nei colori dallo spettro mai noto, un fiore dei sogni che avevamo portato dentro senza dargli libertà. La forza ebbe il sopravvento finché ci fu cosa da stringere o manipolare dopo di essa la pura essenza, il colore trovato o ritrovato diventò la nuova vita. Trasparenze nelle inconsistenze, archi e lampi di luce negli sfregamenti necessari: coalizzavamo in armonia e in quiete ci scontravamo talvolta inesorabilmente, senza metamorfosi accondiscente, fu la non morte, la vita quello che costi, forme libere di quieta sostanza: perse le umide fragranze ingannatrici, persi i caldi venti che scaldavano le ossa preparandole alla riproduzione, annientato lo stare e il fare. Soli in ricerca di prossima unione, depositarsi senza perché senza perdita d’ energia ad osservare la nostra creazione di noi stessi e del resto saputo o perso.
Una luna nuova o un raggio di lei. Il suo polo mi attraeva lento, mi avvicina questo simile, una sensazione ne segue la scia, le mie forme si fanno molteplici come a descrivermi davanti a lui, un vacuo e transitorio ricordo del piacere che davo e avevo alla suzione di un capezzolo, un addome, ritorno al mare aperto e fresco, attraente nelle sue evoluzioni, possente, invitante al colore, stimolo d’ unione. Combatto il senso d’ annullamento, ho un interrogativo davanti a questo: perché questo senso di piacere alla vicinanza mi fa sentire così vicino alla morte, perché questo sgomento nel piacere?
Rappresenti la sua forte identità per me un finale? Un fine, un inizio o un indizio di me nella mia comprensione di me stesso o di dove andrò a fermarmi per rimanervi. Ora vorrei restare qui mutevole e integro nelle mie specialità, sviscerarmi a lui in tutta la mia luce e ricevere e dare segnali in una lingua che antica si è fatta senza suono, poiché estasi è un mio bagliore piacevole a lui poiché ricevo carezze di luce.
Ho perso l’ inizio del mio ciclo, la mia velocità, non so quando sia iniziato il suo. Adesso è qui, adesso per me e le nostre velocità collimano in questa danza sopra alle montagne e sotto gli oceani, ogni materia che ci attraversi ci unisce e c’è d’ energia, che riflettiamo radiosi, che disperdiamo gioiosi. Altre unioni si formano in questo lento scorrere e volo al di sopra del mio auspicabile, tornare indietro farebbe paura, perciò anelerei segretamente per un momento a spiegare le ali come gli antichi avrebbero fatto nei loro momenti di gloria.
Trepido stare in quieto vivere: è tutto ciò che ci aspettava da sempre?
Le forme cangianti al destino e molteplici alla mia ricerca di bellezza assoluta si complicano nello studio, si ritardano nella mia conoscenza: c’è tanto da imparare. Avrò da lui le risposte? Esse saranno sempre state segretamente dentro di me?
Ogni attimo andrebbe fissato a memoria, ogni immagine un quadro di noi stessi insieme, io dentro lui, lui dentro di me costituiremmo un valore di circostanza da rendere noto poi a chi? A quale giudice che ne considerasse cosa in base a che? Il ‘tribunale dell’eternità’ forse "Ecco signori del nostro meglio".
La nostra migliore elettricità e in cambio di cosa?
Il nostro premio saremmo noi stessi e il nostro vivere vivi, nel nostro migliore scambio senza ricevere, vorrò se possibile un po’ della tua saliva da assaggiare per goderne come frutto della presenza di vita in questo posto assumerò la mia più bella forma e questo sarà tutto, passerò davanti allo schermo, e sarò soddisfatto: quella era l’ immagine che cercavo.
Ti sento: bastardo che alzi il sole su questo mondo. Cane, figlio di un cane che getta la sua merda e copre tutti i morti per fame, vomita annegando tutte le guerre e con il suo piscio tutti i bambini che non ce la fanno marchiando e dividendo il suo territorio. Grazie sei il più fedele compagno dell’ "uomo".
La notte forma gran parte delle cose interne ed esterne, si può accedere alla luce dove non smette di fremere il battito dell’ angelo che voleva bruciarsi le ali nel fuoco.