à CONTRO/TEMPO ß
a cura di Monica Pintucci
PER CHI RESTA – DESTO
Voci da e per Meena, poetessa e donna leader della resistenza afghana.
(Modestamente consigliato a chi vuole vivere, amare, scrivere.)
"Era me che stavano seppellendo.
Sono seppellita.
Hanno fatto lega tutti quanti per sprofondarmi.
Neanche questa sera non un segno di vita.
E sanno bene che le notti di festa dove tutti quanti se la spassano mangiano e chiavano
la gente sola la gente in lutto ha il suicidio facile.
Gli farebbe comodo che scomparissi
hanno un bell’avermi relegata
sono come un cardo dentro le loro mutande
ah no non gli farò questo piacere.
Io voglio vivere voglio rivivere."
Simone de Beauvoir
La parola "femminista" è una di quelle proprio pesanti, di quelle che penso due volte prima di usare. Sta un po’ nel mio codice genetico una certa ‘ritrosia linguistica’ di fronte a questa parola (controtempo?), che però non è diventata – almeno, lo spero - pre-giudizio.
Perché in questo, come in molti altri casi, la posta in gioco è davvero molto alta.
E le parole, dicevo, pesano. MP.
Una
"donna che si è destata" si è autodefinita MEENA Keshwar Kama in
un uno dei suoi componimenti; nata a Kabul nel 1956, Meena è stata una
poetessa e un’attivista legata alla nascita di RAWA ("Revolutionary
Association of the Women of Afghanistan": fondata nel 1977, è l’unica
organizzazione femminista rivoluzionaria in lotta per i diritti della donna e
per un governo democratico, contro "il più orrendo regime fondamentaslista del
mondo", come leggiamo nel sito web [1]). Meena è stata uccisa
il 4 Febbraio 1987, nella casa di Quetta, in Pakistan. Si sa, schierarsi
contro russi e fondamentalisti è un vezzo isterico e autolesionista per una
donna che il regime vorrebbe tacita e accondiscendente – e del tutto rassegnata
a allo stato delle cose. Meena è quindi un tragico esempio di -? Martire
del fondamentalismo ultra-maschilista? Antieroina condannata all’oblio? O – più
"semplicemente" - di una donna svegliatasi dal torpore del disagio e
responsabilizzatasi di fronte al "vero nemico" da combattere? Il diritto a
prendere parte a ciò che si vive - lo si subisca o lo si scelga - è la molla che
fa scattare rabbia e indignazione. Pensiamo a cosa abbia significato la
negazione di questo diritto per Meena e molte altre donne - magari non poetesse,
magari prive di altri canali di "sfogo" e espressione di sé -, migliaia di donne
"comuni" oppresse e messe a tacere con motivazioni di carattere religioso,
morale, culturale. Donne che non hanno potere nel mondo governato dal
fondamentalismo, donne balocco e proprietà, fiori recisi e catturati in una
tetra urna, impossibilitati a splendere al giorno. Tante creature secondarie e
passive. condannate alla claustrofobia, al buio.
Chi ha assassinato Meena? Il dito è puntato contro il KHAD, braccio afghano del KGB, che avrebbe agito in connivenza con i fondamentalisti di Gulbuddin Hekmatyare, i "Mujaheddin" (gruppo foraggiato economicamente dagli Stati Uniti allo scopo di "combattere i comunisti afghani": da qui ha attinto linfa l’escrescenza talebana): l’attivismo sociale concreto e la decisa presa di posizione di Meena contro le posizioni dei fondamentalisti e del regime fantoccio hanno esasperato l‘ira di fondamentalisti e russi. (
Prima dell'assassinio, Meena aveva ricevuto minacce di morte per il dichiarato impegno anti-Jihad (la ‘Guerra santa’), ma non ricevette evidentemente adeguata protezione dalle autorita' pakistane.)E ora, nel suo Afghanistan, tra le donne rimaste, la depressione sta diventando una malattia diffusissima, un fenomeno davvero preoccupante. In una società retta in tal modo dalla legge islamica, non esiste modo di stabilire con certezza la percentuale di suicidi, ma chi vive e lavora nel paese stima che la percentuale di suicidi fra le donne sia aumentata significativamente: dal momento che non sono disponibili cure adatte per forme gravi di depressione, queste donne "scelgono" di togliersi la vita pur di non vivere in quelle condizioni. Le donne hanno goduto di una relativa libertà - della possibilità di lavorare, vestire più o meno come volevano, guidare e apparire in pubblico da sole - fino al 1996, anno in cui i Talebani prendono il potere. Da allora, le donne hanno dovuto portare il burqua - un lungo velo che arriva fino ai piedi - e sono state picchiate e lapidate in pubblico perché non abbigliate adeguatamente, anche se questo significava semplicemente avere gli occhi scoperti. Le donne hanno perso il diritto al lavoro e persino quello di apparire in pubblico senza un parente maschio; professioniste come docenti, traduttrici, dottoresse, avvocatesse, artiste, scrittrici e via dicendo sono state costrette a lasciare il lavoro e rinchiudersi in casa. L'espressione "violazioni dei diritti umani" è qui indubbiamente adeguata a descrivere la realtà. La velocità della transizione e' forse la principale causa della depressione e dei suicidi; donne che erano educatrici o medici, o semplicemente abituate alle più elementari libertà, sono ora duramente limitate e trattate come esseri subumani nel nome del fondamentalismo islamico; e si pensi che le restrizioni afghane relative al sesso femminile rappresentano qualcosa di estremo anche per quelle culture dove il fondamentalismo è la regola. Le cure mediche per le donne sono quasi del tutto assenti. In uno dei rari ospedali femminili, un giornalista ha trovato sui letti corpi immobili in lenta consunzione, quasi privi di vita, avvolti nei burqua, senza il minimo segno di voglia di parlare, mangiare, fare qualsiasi cosa. Altre impazziscono in altro modo, e le vedi rannicchiate in un angolo, sui talloni, in un continuo, caratteristico dondolio. Un dottore è giunto a considerare l'idea di protestare lasciando queste donne di fronte alla residenza presidenziale, una volta esaurite le poche medicine disponibili.
Contro questo ed altro si volgeva la rabbia di Meena.
Durante il periodo degli studi, a Kabul e in altre città afghane, gli studenti si stavanno organizzando in attività sociali, impegnandosi attivamente nella società e tra la gente. Lontano nel tempo, quindi, prima di RAWA e del relativo sito web, e molto prima dell’attenzione del mondo alla tragedia del popolo afghano, stretto tra la follia talebana e la foga bellica di Bush, la giovane Meena decide di abbandonare gli studi e l’università per dedicarsi completamente all’attivismo sociale, unendosi ai movimenti di massa degli studenti, e cercando in primo luogo di organizzare le donne e di educarle: per queste finalità promuove numerose iniziative mirate a dare alle donne - private di ogni diritto e costrette al silenzio – la possibilità di istruirsi e di acquisire gli strumenti necessari alla lotta per il diritto alla libertà e alla parola. Meena ha scopi precisi da perseguire - la causa per ottenere il diritto alla libertà e all'espressione, ad esempio -, e conduce attività politiche parallele. Per tutti questi motivi – e per il suo effettivo ruolo di leadership all’interno del movimento rivoluzionario RAWA, si è soliti affermare che Meena ha posto le premesse e le basi per la fondazione di questa associazione, la sola organizzazione femminista e antifondamentalista, nata a Kabul nel 1977 nel contesto dei crescenti movimenti di massa come organizzazione indipendente in lotta per i diritti umani e la giustizia sociale in Afghanistan. RAWA - sfidando apertamente le forze russe e il loro regime fantoccio - intendeva dare voce alle donne afghane sul terreno dei diritti politici e della partecipazione alla vita politica e sociale del Paese: vengono organizzate scuole clandestine per bambine, bambini e rifugiati in Pakistan, e corsi di alfabetizzazione per donne in entrambi i paesi. RAWA gestì e gestisce tuttora un'organizzazione clandestina di medici in Pakistan e in Afghanistan, ma l'ospedale - tenuto in piedi a fatica negli ultimi 11 anni - ha chiuso di recente per mancanza di finanziamenti. L'associazione promuove inoltre progetti di autofinanziamento per le donne afghane, come la produzione di marmellata e la vendita di prodotti di artigianato. Ha poi l’importante funzione di fornire alle organizzazioni umanitarie preziose informazioni e testimonianze sulle violazioni di diritti umani. RAWA produce anche cassette a scopo educativo, gestisce un archivio di poesie e racconti, e pubblica libretti, poster e bollettini, nonché la rivista bilingue (Persiano[2]/Pashtu) "Payam-e-Zan" (Il messaggio delle donne), con supplementi in Urdu e inglese, fondata nel 1981 al fine di propagare idee e obiettivi del movimento rivoluzionario, nonché di aiutare le donne afghane ad acquisire consapevolezza sociale e politica dei loro diritti e delle loro potenzialità. (Ricordiamo, a questo proposito, che possedere libri proibiti è punito con la morte nell’Afghanistan fondamentalista, come convertirsi ad altra religione.) Nonostante ciò, attraverso "Payam-e-Zan", RAWA valica le frontiere nazionali, e ha finalmente modo di lanciare con coraggio ed efficacia la causa delle donne afghane, denunciando costantemente la natura criminale dei gruppi fondamentalisti. Contemporaneamente, Meena continua il proprio progetto per l’alfabetizzazione. A sostegno delle attività dell’ associazione rivoluzionaria è il progetto dell’apertura della biblioteca-centro di alfabetizzazione intitolato all’antieroina Meena (vedi:http://www.ecn.org/reds/donne/coordrawa/coordrawa0306biblioteca.html),
nato nell’ambito delle attività scolastiche, culturali e informative organizzate da RAWA tra i profughi afghani in Pakistan. La Biblioteca Meena verrà situata tra Islamadad e Rawalpindi, nel quartiere con più alta concentrazione di rifugiati afghani (circa 20.000 famiglie), dove RAWA opera attivamente soprattutto in campo scolastico e medico. L'obiettivo è quello di promuovere l'alfabetizzazione delle donne, la cultura e l'informazione nella vasta comunità afghana ancora presente in Pakistan (oltre 200.000 persone), dando ai rifugiati la possibilità di accedere gratuitamente agli strumenti di conoscenza negati alla popolazione negli ultimi 25 anni e necessari alla comprensione della propria cultura e delle altre culture del mondo. La comunità afghana presente ad Islamabad, infatti, non ha possibilità di accesso ai servizi locali pakistani sia per motivi economici, sia per diversità di lingua (la lingua ufficiale del Pakistan è l'urdu). La Biblioteca Meena [3] si propone di essere uno spazio di scambio culturale all’interno di una società gravemente segnata dalla guerra e sfigurata dalla privazione della libertà e dalle violazioni dei diritti umani; in particolare, intende essere un luogo di cultura accessibile alle donne, le principali vittime, alle quali, nell'ultimo decennio, sono state negate l'identità, la dignità, il ruolo sociale nonché l'accesso all'istruzione e alla cultura. Il progetto vuole dunque contribuire a promuovere una cultura di pace, di rispetto delle diversità, dei diritti umani e dei diritti delle donne.
Prima del colpo di stato diretto da Mosca nell’aprile del 1978, le attività di RAWA "si limitavano" [4] all'agitazione per i diritti delle donne e la democrazia, ma successivamente - e soprattutto dopo l'occupazione sovietica dell'Afghanistan, nel dicembre 1979 - RAWA fu direttamente coinvolta nella guerra di resistenza. In contrasto con l'assoluta maggioranza dei 'Guerriglieri della libertà’ - fondamentalisti islamici della guerra antisovietica di resistenza -, RAWA fin dall'inizio chiede democrazia e secolarizzazione. Nonostante gli orrori e l'oppressione politica, l'interesse per RAWA e la sua influenza crescono negli anni del lavoro tra le donne rifugiate in Pakistan. Nel 1979, Meena dà vita ad una campagna contro le forze russe e il loro regime fantoccio, e si dedica all’organizzazione di numerose marce e incontri nelle scuole, nel college e nell'Università di Kabul, allo scopo di mobilitare, scuotere l'opinione pubblica. Gli obiettivi di RAWA nei programmi dei suoi fondatori, un gruppo di donne intellettuali afghane sotto la guida di Meena, si muovono nella prospettiva di coinvolgere un crescente numero di donne in attività politiche e sociali al fine di conquistare i diritti umani per le donne e contribuire alla lotta per il ristabilimento di un governo del Paese fondato sui valori della democrazia [5].
L’attività politico-sociale di Meena va ancora oltre, ed è, appunto, focalizzata sulla necessità dell’istruzione: organizza le scuole Watan per i bambini e le bambine rifugiati in Pakistan e crea centri d'artigianato per le compagne, al fine di sostenere finanziariamente le donne afghane. Alla fine del 1981, su invito del Governo francese, Meena rappresenta il movimento afghano di resistenza al Congresso del Partito Socialista Francese. La delegazione sovietica presente al Congresso abbandona la sala quando i partecipanti applaudono Meena. Oltre alla Francia, la leader antifondamentalista visita anche altri paesi europei e incontra personalità importanti, fino a quando il suo lavoro sociale attivo, unito all’effettiva lotta contro le posizioni dei fondamentalisti e del regime fantoccio, provocano l'ira dei russi e dei fondamentalisti, sfociata nell’assassinio avvenuto a Quetta, Pakistan, nel febbraio 1987. Sei anni dopo lo smacco inflitto ai russi, un instancabile attivismo le costa la vita: 31 anni.
Meena
Keshwar Kamal
poetessa femminista
fondatrice della RAWA (‘Associazione rivoluzionaria delle donne
dell’Afghanistan’),
assassinata nel 1987
R A W A
Rage
against the fear of silence, my sisters.
Extinguish the sounds of hopelessness, my mothers.
Vindication of our plight is staggering, from an
Overpraised society, destroying its own
Life, the seeds of it birth, the wombs of men.
Useless violence from our fathers, brothers, and sons;
Tears of fallen women creating blood filled oceans,
Incinerating our apprehensions, killing forced
Obedient, to a society that empowered itself,
Naming the cruelty of men, as gods of the world.
Arise my sisters, my mothers, my daughters,
Revolt against the extinction of women.
Yell in union, one by one, all for freedom.
Arise ye women, from around the world
Stand up for justice,
Stand up for peace,
Open up your hearts let your eyes see that,
Combining our strength will set us free.
Icons of peace was the role we played,
A loving mother, daughter, and sister …
Trampled underfoot, arousing our great
Indignation, at watching our daughters
Overpowered by an early death, a
Never-ending saga to every day life.
Offered up on the alter, our daughters,
For the amusement of their fathers, sacrificed.
Tied up in rags, are the faces of beauty
Hidden away, so the world will not see, the
Evil raw hatred men in power, breed against
Women, the well from which all life is drawn.
Oh my sisters, my mothers, my friends …
Mourning will not save our daughters lives from
Evil, that lives in the heart of destruction, and a
Nation that seeks to name us, its enemy.
Offered up on the alter, our mothers
For the amusement of their sons, sacrificed.
Arise, oh ye women of the world!
Focus on the reality of men pretending to be
Gods, killing women in the name of jihad.
Hell spawn angels with jealous intentions,
Against women, who gave birth to them;
Nestled them in her bosom to feed, sharing her
Inner essence. Nurturing beloved
Sons, who will one day rise up,
Tear open their wombs and kill their sisters!
Arise, oh ye women of the world, break the
Noose from around your heart, set us free!
RAWA
A
lziamo la testa, donne di tutto il mondo,Solleviamoci
in nome della giustizia,
Solleviamoci in nome della pace,
Ordinate al cuore di aprirsi e agli occhi di vedere che,
Combinando le nostre forze guadagneremo la libertà.
Icone di pace dovevamo essere,
Amorevoli madri, figlie, e sorelle…
Zerbini schiacciati sotto i piedi, una grande
Indignazione
ci ha colto vedendo le nostre figlie
Ormai sopraffatte da morte precoce, una saga che
Non avrà fine, giorno dopo giorno, in
Eterno.
Rabbia contro
la paura del silenzio, sorelle.
Ingoiate l’urlo della disperazione, madri.
Vendetta per il nostro flagello, questo chiediamo ad
Ogni civile società, che distrugge
La vita
stessa, i germogli della rinascita, il ventre degli uomini.
Una violenza inutile è quella dei nostri padri, fratelli, figli;
Zampilli di sangue nell’oceano delle lacrime delle donne cadute,
Incenerendo le
nostre paure, uccidendo la forzata
Obbedienza, in favore di una società che ha preso il potere
Nutrendo la crudeltà degli uomini, padroni del mondo.
Alzatevi sorelle, madri, figlie,
Ribellatevi a chi ci vuole estinte.
Insieme gridiamo il nostro diritto
Alla libertà.
Distese inermi
sull’altare, le nostre figlie,
E del divertimento paterno
Le vittime fatali,
Le innocenti sacrificate, in
Eterno.
Donne, sorgente di vita.
Oh sorelle, madri, amiche…
Non sarà portando il lutto che salveremo le nostre figlie
Non fermeremo così il male e la distruzione
E una nazione che ci ha eletto suoi nemici.
Alzatevi, donne di tutto il mondo!
Fate luce sulla realtà dei semidèi che
Giocano alla guerra santa sacrificando la vita delle donne.
Hanno voltato le spalle, genia di angeli caduti e gelosi,
Nutrendoli e proteggendoli,
E che ora spezzeranno le catene che stringono i loro cuori, per liberarci tutte.
(Traduzione di Monica Pintucci):
Una poesia di Meena
Meena non fu solo attivista politica contro l’occupazione russa e i fondamentalisti islamici, editrice e fertile ideatrice di progetti concretamente realizzabili, ma scrisse lei stessa componimenti poetici, i cui temi restano – diremmo, un po’ impropriamente e generalizzando, dato il pochissimo materiale a nostra disposizione – "civili", o – più modernamente - sociali. La poesia era una grande passione artistica di Meena, che coltivava e alimentava costantemente, cercando di trasmetterla alle bambine delle sue scuole. Purtroppo, la scarsa aneddottica sulla vita di Meena è parallela alla mancanza di materiale sulla sua attività poetica. Propongo qui di seguito la traduzione inglese di una poesia di Meena pubblicata su "Payam-e-Zan" No.1,1981:
I’ll never return
I’m the woman
who has awoken
I’ve arisen and become a tempest through the ashes of my burnt children
I’ve arisen from the rivulets of my brother’s blood
My nation’s wrath has empowered me
My ruined and burnt villages fill me with hatred against the enemy,
I’m the woman who has awoken,
I’ve found my path and will never return.
I’ve opened closed doors of ignorance
I’ve said farewell to all golden bracelets
Oh compatriot, I’m not what I was
I’m the woman who has awoken
I’ve found my path and will never return.
I’ve seen barefoot, wandering and homeless children
I’ve seen henna-handed brides with mourning clothes
I’ve seen giant walls of the prisons swallow freedom in their ravenous
stomach
I’ve been reborn amidst epics of resistance and courage
I’ve learned the song of freedom in the last breaths, in the waves of blood
and in victory
Oh compatriot, Oh brother, no longer regard me as weak and incapable
With all my strength I’m with you on the path of my land’s liberation.
My voice has mingled with thousands of arisen women
My fists are clenched with the fists of thousands compatriots
Along with you I’ve stepped up to the path of my nation,
To break all these sufferings all these fetters of slavery,
Oh compatriot, Oh brother, I’m not what I was
I’m the woman who has awoken
I’ve found my path and will never return.
Mai tornerò indietro
(Traduzione dalla versione inglese di Monica Pintucci)
Sono una donna che si è destata
Mi sono alzata e mi sono fatta tempesta
attraverso le ceneri dei miei figli
Dai flutti di sangue di mio fratello morto sono rinata
L'ira della mia nazione mi ha dato la forza
I villaggi distrutti e bruciati mi riempiono di odio contro il nemico,
Sono una donna che si è destata,
Ho trovato la mia strada e più non tornerò indietro.
Ho spalancato le porte dell'ignoranza
Ho detto addio a tutti i bracciali d'oro
Oh compatriota, non sono più ciò che ero.
Sono una donna che si è destata.
Ho trovato la mia strada e più non tornerò indietro.
Ho visto bambini a piedi nudi, smarriti e senza casa
Ho visto spose con le mani dipinte di henna indossare abiti a lutto
Ho visto gli alti muri delle prigioni inghiottire la libertà
nel loro insaziabile stomaco
Sono rinata tra vicende epiche di resistenza e coraggio
Ho imparato la canzone della libertà negli ultimi respiri,
nei flutti di sangue e nella vittoria
Oh compatriota, oh fratello, non vedermi più debole e incapace
Sono con te con tutta la mia forza sulla via di liberazione della mia terra.
La mia voce si è unita a quella di migliaia di donne rinate
I miei pugni si stringono insieme ai pugni di migliaia di compatrioti
Insieme a voi ho camminato sulla strada della mia nazione,
Per cancellare la sofferenza, spezzare le catene della schiavitù,
Oh compatriota, oh fratello, non sono più ciò che ero
sono una donna che si è destata
Ho trovato la mia strada e più non tornerò indietro.
Sono le parole energiche e vive di una donna afghana "rinata" che si rivolge alle compagne e ai compagni di lotta. Di una donna sconosciuta alla maggioranza, e probabilmente condannata a cadere nell’abisso della cancellazione dalla memoria, in un mondo dove si tollerano le stragi di esseri umani per fame, guerra, inquinamento ambientale. Sono versi talvolta crudi che esprimono indignazione per l'oppressione subita e la volontà rabbiosa di rinascita e liberazione, e che incitano con energia a proseguire lungo il tortuoso cammino verso l’autoliberazione, e verso uno stato democratico. Perché chiunque ha il diritto ad una vita umanamente tollerabile, anche se donna in un paese musulmano.
"È buffo, quando ci penso, che negli scacchi la donna possa fare ampi spostamenti e muoversi liberamente in ogni direzione – nella vita le cose vanno assai diversamente."
Antonia S. Byatt - Possessione. Einaudi, p. 281. Trad. di A. Nadotti e F. Galuzzi.)
Tributi a Meena.
Segue la traduzione inglese di una poesia "in onore" di Meena, scritta dal poeta iraniano Reza Farmand:
Blind faith
Of how many wild beasts are needed
To justify
Such gleeful, wanton human slaughter?
Is it Faith that solidifies,
Turns black,
And like tombstones in the graveyard
Lies heavy on the chests of men?
Which Satan blew the sinister blare of the Trumpet*
To rouse these corpses
From their graves
To thus pollute the clean air of Existence
With their murky, misty gospel?
Meena!
The faith these corpses profess
Prohibits your name
Your word is banned
Your thought is banned
Your body is banned
Your love is banned.
Meena!
The faith these corpses profess
Is too unfit, too unqualified,
To teach them about your glory.
But who cares?
The sun of womankind,
-- This shining side of humanity -
Is emerging from the dark and cruel shadow
Of historical eclipse.
Fede cieca
Quante bestie selvagge sono servite
A giustuificare
Simili esultanti, gratuite carneficine
di esseri umani
E’
la fede a sorreggere,
Tinger di nero,
E come pietre tombali nel cimitero
Grava pesante sul petto degli uomini?
Quale Satana ha soffiato sinistro nella Tromba
Per destare questi cadaveri
Farli alzare dalle tombe
Contaminando così l’aria pulita dell’Esistenza
Con
il loro cupo, ambiguo gospel?
Meena!
La fede professata da questi cadaveri
Vieta di pronunciare il tuo nome
La
tua parola è bandita
Il tuo pensiero è bandito
Il tuo corpo è bandito
Il tuo amore è bandito.
Meena!
La fede professata da questi cadaveri
È inadeguata
A far comprendere la tua gloria.
Dell’eclissi storica.
Meena!
Il tempo è adesso reso più puro e trasparente
Dalla tua voce,
E in ogni istante
Le parole si purificanno dalle scorie
Della fede cieca.
La logica e il ragionamento obsoleti
Di
queste salme
- Usate come armi arrugginite -
Ho visto nei musei.
Ho fiducia
Che questi cadaveri torneranno al sonno eterno
Nei
sarcofagi della Storia.
Questo io so perché
da molto ormai, il Tempo
Ha separato la Fede dalla Spada.
Il componimento seguente (presentato nella traduzione italiana da me curata) è stato scritto per il 15° anniversario dell’uccisione di Meena, il 4 febbraio del 2002. L’autore, Neesha Mirchandani, lo dedica alla RAWA con stima e affetto
MEENA VIVE DENTRO NOI
MEENA: è il faro della speranza che da dentro ci guida
Riluce la sua lanterna nell’oscurità
È la parte di noi che crede in un domani migliore,
se la lotta prosegue e la luce viene accolta.
È la parte di noi che mai si scoraggia
È in ogni attività della RAWA, in ogni pagina del sito,
in ogni intervista dei media.
Ogni distribuzione di coperte in ogni campo di profughi.
In ogni scuola e ogni orfanotrofio da Islamabad a Kandahar.
Se la luce della speranza ancora alberga nel tuo cuore,
Meena è ancora viva.
MEENA: è la voce del coraggio dentro noi
non teme il potere del potente
È la parte di noi che parla ad alta voce, cpn coraggio
È la parte di noi che fa svanire oceani di disperazione
E parla senza timore ai potenti.
È ad una manifestazione della RAWA a Islamabad.
È nello stadio do Kabul mentre tu riprendi Zarmeena.
È là ad accoglierti quando viaggi verso luoghi strani, per raccontare la tua
storia.
Se la voce del vostro coraggio può ancora essere udita,
Meena è ancora tra noi.
"Mi troverà senz’altro ingenua.
-No. […] No, non è la parola giusta. Fissata e zelante, piuttosto. Può darsi che abbia ragione.
Forse ciò che lei considera disorientante è un’omissione sistematica."
Antonia S. Byatt (Possessione. Einaudi, p. 275. Trad. di A. Nadotti e F. Galuzzi)
Mi scuso – non so mica bene se dovrei davvero farlo…, ma meglio peccar di
cortesia! - per l’ampiezza attribuita in questa rubrica all’espressione
"Letteratura straniera".
se potete, non abbiatevene per questo.
Altrimenti: scrivetemi e criticatemi ferocemente! Alas! MP
Link utili
- Women for Women: donne contro i fondamentalismi:
http://www.wforw.it/index.html
- Coordinamento italiano per Rawa:
http://www.ecn.org/reds/donne/coordinamentoRAWA.html
- DONNE IN NERO:
- POESIE:
http://rawa.fancymarketing.net/poems.htm
http://www.islamic-paths.org/Home/English/Discover/Poems/Content/Meena.htm
- " Senza tailleur ":
http://www.angelisullapelle.com/tailleur_afg.htm
- Traduttori per la Pace:
http://web.tiscali/traduttoriperlapace
NOTE
[1] Per saperne di più, è appunto possibile visitare il sito web della R.A.W.A., una delle organizzazioni locali indipendenti più attive in campo sociale, sia in Afghanistan, sia nella comunità dei rifugiati in Pakistan: vedi www.rawa.org. Qui le donne afghane, vittime della follia talebana, raccontano al mondo cosa vuol dire per la donna vivere nel regime talebano, e tentano di aiutare le loro connazionali a educarsi, ribellarsi e sopravvivere. [torna su]
[2] Il persiano è la lingua ufficiale dell'Afghanistan, mentre il pashto è il dialetto più diffuso. [torna su]
[3] La realizzazione della biblioteca costerà circa 80.000 euro. [torna su]
Per i versamenti: Banca Intesa Bci
Via Segantini, 2, 50142 Firenze
C.C.B. n. 130711/68 intestato a :
Circolo ARCI Isolotto
Causale "Sostegno Afghanistan"
ABI 3069-2 CAB 02841-5
Per contatti: Debora Picchi
Tel. 3286652796
e.mail debora.picchi@inwind.it
Comitato Fiorentino Sostegno RAWA
C/o Circolo Arci Isolotto, via Maccari 104, 50142 Firenze
Tel e fax 055780070
[4] L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell'Afghanistan (RAWA) è da sempre impegnata nell'affermazione della democrazia, della laicità, della giustizia sociale e dei diritti umani. In particolare, RAWA lavora per restituire consapevolezza, dignità ed autonomia. alle donne, profondamente minate dalle violenze perpetrate dai regimi fondamentalisti, e per promuovere la loro partecipazione attiva nella vita sociale e politica. [torna su]
[5] Al fine di orientare le sue energie sui bisogni immediati delle donne rifugiate e dei bambini, RAWA organizza scuole con collegi per ragazzi e ragazze, un ospedale per donne afghane rifugiate e bambini a Quetta in Pakistan, corsi di infermeria, di letteratura e di educazione delle donne. Le dimostrazioni e le agitazioni contro gli invasori sovietici e i loro alleati e più tardi il sostegno alle istanze democratiche secolariste e antifondamentaliste contro i fondamentalisti con la denuncia dei loro tradimenti e dei loro crimini, sono all’origine e la motivazione delle persecuzioni subite da RAWA e testimoniate dal martirio di Meena e di un gran numero di attiviste. [torna su]
[6] "Sono una donna di colore e comprendo fin troppo bene l’oppressione subita dalle donne in molte parti del mondo. Sono nata negli Stati Uniti, nello stato del Mississippi, in un periodo in cui era ancora necessario alzare le voci in coro per ottenere diritti basilari. Tuttora stiamo lottando per la completa parità. Ho scritto questa poesia acrostica dopo aver visitato il sito RAWA. Qualcosa mi ha toccato nel profondo dell’anima, e tutto quello che ho potuto restituire sono queste parole di solidarietà e comprensione. È un piccolo regalo a tutte le donne della Rawa. Il mio nome vero è Amias, quello americano è Linda Jones." (Trad. di Monica Pintucci) [torna su]