AUTOEVIDENTE
L’AMERICA FUOR DI METAFORA. FINALMENTE.
di Monica Pintucci
SHEEP GO TO HEAVEN.
GOATS GO TO HELL.
E noi? Sogniamo sbiancando cyber-pecorelle-elle-elle-ell-el-e…?
Stiamo qui a chiederci chi andrà in paradiso e chi all’inferno?
Siamo qui e ci chiediamo se stiamo sognando una galassia futura, o se una globale guerra intestina non lasci spazio nemmeno a una fantascientifica speranza per il vecchio, noto mondo (
Brave New World!). Ominidi, androidi, ogm, pecore, capre, biliosi, pacifisti, uomini forti, disobbedienti, umani… Siamo qui – nella Rete - anche per aprire gli occhi, essere insolenti pedanti invadenti - "debordare" da quel qualcosa di – comodamente – innominato che ci vorrebbe contenere e costringere – o concedere, magari preventivamente.
Con colpevole ritardo (immagino che il CD – distribuito in edicola dal 24 settembre 2003 con Il Manifesto, Liberazione, Carta - non sia più disponibile, ma vale la pena informarsi!) scelgo di far parlare la poetessa e cantautrice (folksinger?) americana Ani DiFranco, occhio vigile e lingua tagliente, sguardo sempre – caparbiamente - umano. Voce graffiante, viva e indipendente della cosiddetta ‘altra America’, Ani invita con rabbia - o forse sarebbe meglio parlare di un’amara severità - i connazionali ad aprire gli occhi e mettersi in discussione – è ormai indispensabile farlo. Il brano scelto è SELF EVIDENT (titolo da me tradotto con "autoevidente"), tratto dall’album "So much shouting, so much laughter", del 2002, di cui rappresenta un punto focale, parlando del post-11 settembre e della santa guerra preventiva all’Iraq. Potete trovare la versione musicata della poesia originale pubblicata sul sito di Ani (righteousbabe.com) subito dopo l’11 settembre 2001, oppure al seguente indirizzo: http://www.peace-not-war.org/Music/AniDiFranco/index.html. Ani vuole sbrogliare la matassa di ipocrisie e convenzioni, fare emergere la "metafora" per poi liberarsene con uno sforzo di estrema razionalità e pietà umane. All’indomani della tragedia delle Torri gemelle - DiFranco propone, chiede, una scossa e una pausa di silenzio; quando tutti invocano l’unità nazionale, mette in dubbio la legittimità democratica del presidente Bush, che già nell’agosto del 2002 preannunciava la prossima avventura bellica, confessando spudoratamente di non riuscire a trovare un motivo valido per convincere l’opinione pubblica della bontà delle ragioni di questa nuova scelta sanguinaria; nel momento in cui il concetto di ‘civiltà’ viene utilizzato come discriminante rispetto al mondo arabo, Ani afferma che "Geogr. Bush non è il nostro presidente: negli Stati Uniti c’è tanta gente arrabbiata, molta più di quanto la media facciano credere. Ma chi ne parla in paesi come l’America o l’Italia nei quali i governi hanno il monopolio dell’informazione?". La sistematica e cinica manipolazione dei mezzi di informazione – che con l’ultima guerra all’Afganistan è giunta al massimo livello di ‘oscuramento’ – fa dire ad Ani che l’unica arma in nostro possesso è reagire a questa ennesima truffa, con i mezzi di cui ognuno dispone
Ani DiFranco si dichiara "carica di vergogna" per il suo Paese, l’America degli aerei e dell’individualismo usato come alibi dell’affarismo: l’America che s’è schiantata contro le Torri di New York, quella che porta la guerra in giro per il mondo. L’America sognata da Ani DiFranco è quella dei treni, quelle interminabili teorie di vagoni che solcavano il paese da una costa all’altra col paesaggio riflesso sui finestrini, quella in cui velocità e profitto non erano le uniche priorità. In una delle strofe più poetiche di Self Evident, Ani sogna di andare in tour come un tempo faceva Duke Ellington: con la sua carrozza personale. Sogna l’attesa del treno sulla banchina di una grande stazione mentre l’aria le accarezza il viso. "Dove sono finiti i nostri treni e le nostre navi?", ti dice. "Li abbiamo sacrificati per rendere florida l’industria automobilistica e siamo diventati drogati di petrolio, che poi è un’altra ragione per cui interveniamo in Medio Oriente… Non so se l’America dei treni e di Ellington era migliore della mia: per certi versi sì, per altri no. Ma almeno c’era ancora fiducia nell’idea stessa di democrazia e i politici discutevano di idee rilevanti per la gente, non erano una facciata per gli affari delle multinazionali. Un Paese di "mera facciata", come dice lei, un governo che in Self Evident è rappresentato come una bestia col pene ben piantato in qualche deserto mediorientale. Un’immagine forte. Del resto, nella discografia di DiFranco, specie nei primi album, il potere è sempre maschio e sopraffattore.
La domanda è: la gente ha il potere di cambiare le cose? Ani risponde con entusiasmo che "abbiamo tantissimo potere e non lo usiamo. Lo sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, nelle piccole scelte che siamo chiamati a fare. So che non è facile, ma so anche che una volta che prendi posizione contro gli abusi del potere, qualcun altro ti seguirà. Dobbiamo essere disposti a sacrificare un po’ del nostro benessere."
Ani non può che essere una patriota. E questa, ti dice lei, è solo una delle tante parole che ci hanno rubato, che hanno svuotato di significato trasformandola in un luccicante distintivo dietro cui celare arroganza e avidità. L’alternativa è essere amorfi o cinici, ovvero soccombere alle forme mentali che i media spacciano come "alternative" e desiderabili assieme alla disillusione, tomba d’ogni spirito d’iniziativa. "Il compito della mia generazione e di quelle future è trasformare la rabbia in energia positiva, in forza di cambiamento. Se il sogno americano è diventato un incubo globale, io voglio essere cittadina del mondo e lottare com’è successo a Seattle, a Praga, a Genova."
È ora di fare silenzio, come chiede DiFranco negli ultimi versi di Self Evident: sshhh… Sulla banchina, ad aspettare il treno, la folksinger non è più sola.
"Dieci anni fa giravo l’America con la mia auto", ti dice, "passavo da un bar all’altro a cantare le mie piccole canzoni e facevo la dura. Ma ero sola. Più mi relaziono agli altri, e più mi sento parte di una comunità. E allora capisco di non essere isolata e sento che la responsabilità di cambiare le cose è anche mia, è anche tua."
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Quello che vi propongo – ora che anche noi abbiamo i nostri morti da piangere – è una mia traduzione del testo, liberamente ispirata alla splendida e ben recitata versione di Lella Costa, pubblicata nel CD "Danni collaterali", allegato a Carta, Manifesto, Liberazione e Rinascita: si tratta di un progetto promosso da Ricky Gianco, Gianfranco Manfredi e Velia Mantegazza. "Danni collaterali" è l’odiosa espressione che nei bollettini di guerra è spesso usata per definire le vittime civili. La raccolta in questione nasce da un’iniziativa pacifista realizzata grazie al contributo del Comune di Forlì; l’intero ricavato sarà devoluto ad Emergency al Tavolo di Solidarietà con le opopolazioni dell’Iraq. Gli artisti che vi hanno aderito nutrivano l’intento di ‘fare qualcosa di utile’ per i movimenti e le associazioni che si battono fattivamente per la pace, quindi non meramente per assecondare una spinta emotiva. Il CD – venduto a richiesta con l’acquisto de Il Manifesto, Liberazione, Carta, Rinascita – contiene 15 brani: il messaggio è: non siamo violenti né antiamericani, ma solo anti-Bush. A testimoniarlo, il fatto che molte canzoni del CD sono reinterpretazioni, con opportuna traduzione, di celebri brani anglo-americani di autori sensibili al tema pacifista [1]. A concludere la raccolta, il brano di Ani DiFranco, una poesia "fuor di metafora" sulle Torri Gemelle abbattute, un confidenziale ma duro monologo di 7 minuti che s’interroga sul tragico non-sense dell’11 settembre e sulla metafora mistificatrice, accompagnato da una sottile filigrana jazzata e reso splendid@amente in italiano da Lella Costa. Segue il mio tentativo.
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Ani DiFranco SELF EVIDENT
yes, |
AUTOEVIDENTE
Sì, siamo tutti poesie al 90% metafore con una povertà di significato vicina all’iperdistillazione eppure un tempo eravamo raggi di luna e scivolavamo giù per il collo di una giraffa sì, correvamo giù per il lungo corridoio nonostante gli annunci dell’impianto voce sì, correvamo giù per le lunghe scale con il whiskey dell’eternità fermentato e distillato per 18 minuti, che ci bruciava la gola giù per il corridoio giù per le scale di un palazzo così imponente che resterà lì per sempre sì, è parte di una coppia là sulla prua dell’arca di Noè la coppia più prestigiosa che si rimanda la palla contro un cielo perfettamente blu in un mattino sublime bagnato d’indiana brezza estiva il giorno in cui l’America cadde in ginocchio dopo aver camminato impettita per un secolo senza mai dire grazie o per favore e lo shock fu subsonico e il fumo assordante perché quel giorno eravamo tutti puntuali al lavoro e tutti ci siamo imbarcati su quell’aereo e quando le fiamme infuriavano ci siamo tutti arrampicati sul davanzale e ci siamo presi per mano, prima di lanciarci nel cielo e ogni distretto ha alzato gli occhi quando ha sentito il primo scoppio e ogni stupido film d’azione è sembrato superato e quell’esodo di persone e automobili assomigliava alla guerra più di qualunque cosa che avessi visto fino ad allora, per ora
così fiero e ingegnoso uno spettro poetico ricomparso dopo secoli che ogni commentatore idiota si ritrovò a balbettare una litania di ‘oh mio dio’ e ‘è incredibile’ e avanti, così, per ore e ore e vi dico una cosa, già che ci siamo potete tenervi il Pentagono la propaganda e ogni singola televisione che ha cercato di convincermi ad aderire al piano di qualche fanatico liceale per orchestrare la ritorsione organizzare la vendetta proprio mentre il fumo bluastro e tossico della nostra ritorsione ancora ammorba l’aria e abbiamo cenere sulle scarpe e tra i capelli un manto di limo da Hell's Kitchen a Brooklyn e le strade sono piene di storie di svolte impreviste e provvidenziali ritardi e ogni bar aperto si riempie di leggende di disastri evitati per un soffio e il whiskey scorre come mai era accaduto mentre in tutto il paese la gente scuote la testa e si versa da bere E allora brindiamo a chi vive in Palestina, Afghanistan Iraq El Salvador un brindisi a quelli che vivono nella riserva di Pine Ridge sotto lo sguardo di gelida pietra del Mount Rushmore E ora un brindisi a tutte le infermiere e a tutti i medici che ogni giorno offrono una scelta alle donne che affrontano una minaccia grande come Oklahoma City solo per ascoltare la voce di una ragazza un brindisi a tutti i condannati a morte in attesa del boia, soffocati dal terrore unica fuga possibile il rifugio nel sogno Toglieteci le Playstation e siamo una nazione da terzo mondo dominata da una specie di erede blasonato che ha usurpato lo studio ovale e quelle elezioni fasulle, voglio dire non ci vuole certo un meteorologo per guardare che tempo fa Jeb aveva detto che avrebbe consegnato la Florida, altroché se ci è riuscito, e queste sono le nostre verità autoevidenti:
3) i media non mi prendono in giro Perché io sono solo poesia, attenta all’iperdistillazione non ho spazio per una bugia così prolissa abbraccio con lo sguardo tutta la mia famiglia di esseri umani e alzo il bicchiere per brindare al nostro ultimo sorso di carburante fossile giuriamo di farla finita con questo veleno di disperdere gli sciami di aerei pendolari e ritrovare quel biglietto del treno che avevamo perduto perché c’è stato un tempo in cui la ferrovia costeggiava il fiume e curiosava nei cortili e c’era il bucato steso e graffiti ammiccanti da ponti e muri di mattoni giravamo tra montagne e vallate sotto le stelle io sogno di viaggiare come Duke Ellington nella mia carrozza privata sogno di aspettare su alte panchine di legno biondo in una stazione centrale inondata di grazia e poi in piedi sul binario a sentire l’aria sul volto restituire alla notte il fischio lontano restituire alle tenebre l’anima mandare affanculo una volta per tutte le grandi compagnie petrolifere e reimparare il rock’n roll sì, gli esempi ci circondano e un cambiamento ci aspetta e dunque è ora di smuovere le macerie, ripulire le strade e rinfrescare l’aria costringere il governo a tirar fuori il suo grosso uccello piantato nella sabbia del deserto di qualcun altro rinfilarselo nei pantaloni e farla finita con gli slogan ipocriti di libertà duratura perché quando quel telefono ha chiamato nel 2001 alle nove e dieci il 911 il numero che tutti abbiamo chiamato quando quel telefono squillò dietro la parete della nostra scrivania fino al corridoio lungo le scale interminabili di un edificio così alto che il mondo intero s’è voltato solo per vederlo cadere e già che ci siamo ricordate la prima volta? la bomba? il camion? il parcheggio sotterraneo? la principessa che non si era neppure accorta del pisello? ricordate come ci scherzavamo sopra? riuscite a immaginare quanti bicchieri di carta dovrebbero cambiare decorazione inseguendo l’incredibile cambiamento dello skyline di New York? era solo uno scherzo, naturalmente solo uno scherzo, allora, ed è accaduto solo pochi anni fa e allora che l’inchiesta dimostri che l’FBI era coinvolta nel caso che la trama era evidente e leggibile nel volto di tutti. e ad esaminare la zona religiosamente la CIA - - o il KGB? che ha commesso innumerevoli crimini contro l’umanità sempre con questa eventualità come scusa per tutti gli abusi perpetrati uno dopo l’altro, senza mai un indizio guardate, c’è un’altra finestra lassù, al 104° piano guarda un’altra chiave un’altra porta letterale al 10% al 90% metafora 3000 poesie travestite da persone in una giornata quasi perfetta meriterebbero qualcosa di più che essere pedine nella sacra rappresentazione di qualche stronzo così adesso tocca a voi e tocca a me fare in modo che non siano morti vane. sshh… ascolta, piccola lo senti il treno? |
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Written, performed & produced by
Ani DiFranco © 2002 Righteous Babe Records Ltd |
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Il progetto collettivo dietro al CD "Danni collaterali" ha focalizzato l’attenzione sulle vittime civili e sui problemi che la guerra procura alla democrazia e alla convivenza dei popoli, volendo tenacemente essere qualcosa di diverso da una mera antologia.
Guardando oltreoceano, troviamo artisti australiani come i Midnight Oil, The Mark of Cain e Sia tra i promotori e sostenitori del globale movimento contro la guerra, che hanno contribuito alla realizzazione del doppio CD PEACE NOT WAR, raccogliendo fondi e funzionando come veicoli della comunicazione. Tra i partecipanti al progetto no-profit troviamo Public Enemy, Ani DiFranco, Billy Bragg, Massive Attack, Chumbawamba, Coldcut e Ms Dynamite.
L’operazione musicale promossa da Gianco, Manfredi e Mantegazza è dunque ispirata anche a Peace Not War: entrambi veicolano i temi della protesta contro la guerra e del bisogno di solidarietà tra i popoli, accanto alla necessità di raccogliere fondi e scuotere le coscienze, informando sui movimenti pacifisti in Europa, Australia, in tutto il mondo. La musica può ritagliarsi uno spazio centrale nel diffondere parole di pace, qualcosa di impossibile da trovare nei "mainstream media", come dichiarano i produttori australiani della compilation Peace Not War, Kelly & Mudge: "We believe musicians can inform and inspire people to stop the war" [2] (
http://www.peace-not-war.org/Information/index.html).Per tutti noi. Con un grazie a Ani & C., a tante bandiere e straccetti bianchi e catene di e-mail e mani intrecciate alzate o battute con rabbia e/o entusiasmo: a tutti gli ‘sforzi collaterali’ che, in luoghi e circostanze molto diversi, cercano - almeno: pace.
E allora… buona incazzatura.
E BUON VIAGGIO.
… E OSSERVATE IL PANORAMA, DAL FINESTRINO!
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P.S. Memorie di un caffellatte amaro
Giovedì 20 marzo 2003, e-mail delle 21:39
Che assurdità essere svegliata stamattina dalle parole "è iniziata la guerra" e ancora semiaddormentata accendere la CNN e vedere la faccia da scimmia di Bush che dice "We will carry on the work of peace". Anche se ormai questa era una guerra scontata, è stato come uno schiaffo in piena faccia nel rincoglionimento mattutino: OK, ci vuole una buona dose di retorica e faccia tosta per dire a un popolo intero in tutta tranquillità che ha ufficialmente mandato a morire i loro parenti, amici, connazionali, oltre a dare inizio al massacro del popolo irakeno, ma sentirgli dire ancora una volta che l’obiettivo è la pace e che l’unico scopo dell’azione bellica è restituire il controllo del paese ai suoi abitanti, mentre gli si leggeva in faccia lo sforzo per non pronunciare la parola petrolio mi faceva venire da vomitare. Ma ancora peggio è stato vedere il faccione ceronato di Berlusconi orgoglioso di dire che Bush lo ha avvertito con una telefonata dell’inizio del conflitto e che l’Italia mette a disposizione degli americani basi e spazio aereo. Che schifo. Come si può rallegrarsi di dare un sostegno attivo a questa guerra?Non penso certo che Saddam sia un benefattore, ma Bush non mi sembra poi tanto diverso: Saddam impone la sua dittatura in Iraq, Bush vuole imporsi sul mondo dietro la maschera di parole come ‘democrazia’ e pace’. E se purtroppo ci riesce è solo perché siamo deboli e America-dipendenti. Nonostante tanti discorsi e veti anti-guerra, non ci saranno azioni contro l’America, cosa che accadrebbe per qualsiasi altro paese. Ma, in fondo, nelle cose piccole e in quelle grandi, la legge non è mai uguale per tutti. L’Austria è stata sanzionata quando Haider è entrato a far parte del governo perché leader del partito di destra, per la paura che ne venisse fuori un dittatore: Hitler era pur sempre austriaco!
Ma in America Bush gioca col mappamondo e in Italia Berlusconi è Primo Ministro, AN fa parte del governo
ormai da tanto, eppure nessuno sembra accorgersene, né valutare il rischio…
E intanto su RAI 1 va in onda "La vita indiretta" con un servizio su nonna Giuseppa che ha compiuto 100 anni e ancora spacca da sola la legna per la stufa…
L’Italia: il Paese dei Balocchi.
E mentre zappo da un canale e un sito all’altro in un mix di notizie, opinioni e parole tedesche, inglesi, italiane, mi sento sempre più estranea al mio paese e penso che è sempre più difficile resistere da quaggiù. Soprattutto dall’Austria, che oggi mi appare come l’unico paese europeo coerente: ha detto NO all’inizio e continua a farlo negando l’uso delle basi e dello spazio aereo agli americani, mentre persino i francesi che avrebbero posto il veto, oggi lasciano svolazzare americani e inglesi nei propri cieli e aggiungono che nel caso Saddam usi armi chimiche entreranno in guerra. La coerenza è una virtù sempre più rara.
E intanto l’America si accorge della guerra perché l’inizio del campionato di baseball è stato rinviato e forse lo saranno anche gli Oscar, mentre giapponesi basiti chiedono in Piazza Venezia a Roma che cosa succede, vedendo persone radunarsi per l’ennesima fiaccolata per la pace, che purtroppo non fermerà la guerra, ma farà almeno sentire le voci dei dissidenti, quei "mezzi criminali" tanto temuti dal Berlusca che invita a "non aspettarsi niente di buono dalle manifestazioni pacifiste" (vedi President Bush Addresses the Nation: (
http://www.whitehouse.gov/news/releases/2003/03/20030319-17.html).Sento che l’unico risultato del primo attacco statunitense sono stati un morto e 14 feriti civili. E di certo non saranno gli unici.
Ormai è chiaro che questa guerra finirà solo quando lo vorrà Bush, e che le fiaccolate, i bei discorsi, le bandiere della pace, le petizioni e tutto il resto non possono più niente, eppure penso con orrore a come sarebbe se non ci fossero, se davvero tutto il mondo guardasse a quel che succede con indifferenza.
Scusate, ma oggi proprio non riuscivo a stare zitta. In fondo, come sempre, "chi tace acconsente". E io non sono d’accordo.
Ilaria G.
NOTE
1. Spesso i pacifisti vengono accusati di essere anti-americani, e si è voluto allora sottolineare le radici (anche) anglo-americane della canzone pacifista. [torna su]
2. "Crediamo che chi fa musica possa essere un veicolo di informazione e di promozione della campagna mondiale contro la guerra." (traduzione mia) [torna su]