FUGA DALLA LIBERTA’

Erich Fromm

 

 

A cura di Lorenzo Carpentiero

 

 

FUGA DALLA LIBERTA’

Erich Fromm

Edizioni di Comunità 1963, Saggi febbraio 1987

 

 

 

"Se non sono per me stesso, chi sarà per me?

Se sono per me stesso soltanto, che cosa sono?

Se non ora, quando?"

Detto talmudico

Mishnah, Abot

 

 

"Né del cielo né della terra, né mortale né immortale ti abbiamo creato, sicchè potessi essere libero secondo la tua propria volontà e onore, per essere il tuo proprio creatore e costruttore. A te solo abbiamo dato crescita e sviluppo dipendenti dal tuo libero arbitrio. Tu porti in te i germi di una vita universale".

Pico della Mirandola

Oratio de Hominis Dignitate

 

 

 

Nulla quindi è immutabile, salvo gli innati e inalienabili diritti dell’ uomo

Thomas Jefferson

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggere "Fuga dalla libertà" di Erich Fromm significa delineare meglio i propri contorni, uscire di casa inquieti, avvertire la mediocrità, cercare di scavalcarla.

E’ doveroso precisare che la mia intenzione è di realizzare un lavoro agile che sia spunto per ulteriori ricerche.

Per comprendere esaustivamente l’ inquadratura attraverso la quale si sviluppa l’ analisi risultano essenziali alcuni dati biografici. Erich Fromm (Francoforte 1900-Locarno 1980), dopo aver studiato psicoanalisi in Germania, si trasferisce negli Stati Uniti nel 1934 dove proseguirà la carriera accademica.

Il processo che ha definito la prima forma di libertà si è sviluppato con la progressiva consapevolezza dell’ uomo di essere un’ entità separata dalla natura circostante e dagli altri uomini; questo "distacco dell individuo dai suoi legami originari" è definito da Fromm il fenomeno dell’ "individuazione". Ma l’ atto che simboleggia l’ inizio della libertà è il cogliere e assaporare il frutto edenico, disobbedendo al comando dell’ autorità trascendente. Dall’ atto di disobbedienza, di ribellione alla coercizione celeste scaturiscono libertà e ragione.

Il saggio sostiene come tesi fondante che l’ uomo, dopo secoli di emancipazione, stia perdendo la capacità di agire come individuo libero.

E il nodo che estrinseca ulteriormente il tema centrale, con la sua fragorosa tragicità, è la quasi totale inconsapevolezza che caratterizza lo sviluppo di tale processo.

Già nelle prime pagine viene prospettato uno dei rischi per la libertà facendo riferimento all’ ambito storico: la libertà è anelata dagli oppressi, che sono disposti a lottare per conquistarla ma, ottenutala, diventano nemici di essa avendo a loro volta dei privilegi da difendere da chi ne è rimasto privo. Gli esempi ovvi a tale proposito sono rappresentati dalle più grandi conquiste della storia dell’ uomo: il liberalismo economico, la democrazia politica, l’ autonomia religiosa e l’ individualismo nella vita personale: la difesa dei diritti raggiunti lede inevitabilmente lo sforzo libertario di chi si trova ancora nello stato del "tendere a" (esprimendolo con termini fichtiani). Il meccanismo socio-psicologico descritto trova un significativo caso di realizzazione nell’ esasperazione delle condizioni della classe proletaria come conseguenza dell’ emancipazione della borghesia.

"Incoercibile" sostiene Fromm è la necessità di evitare la solitudine fisica e morale, perchè tale stato alla stregua dell’ inedia condurrebbe alla morte. Come Robinson Crusoe non poteva prescindere da Venerdì così nessun uomo ha potuto o potrà sopravvivere senza la presenza e l’ ausilio di altre menti ed altri corpi. Tale caratteristica che si riferisce a tutti gli ambiti del sapere (dalla psicologia all’ economia, viste qui come estremità) è osservabile in tutta la sua evidenza nel bambino (e questo è uno dei tanti tributi di Fromm al maestro Freud anche se su vari temi se ne distacca, cfr. Grandezza e limiti del pensiero di Freud 1979) "la comunicazione con gli altri è per lui una questione di vita o di morte".

Ma l’ interessante elemento appena analizzato rappresenta un’ ulteriore cagione della grave tesi primaria. Infatti l’ instancabile ombra che segue e attenta alla fragilità umana è proprio la tentazione di risolvere la solitudine in meccanismi che discostano l’ individuo dalla libertà. Come si evince dall’ incedere dell’ innovativa riflessione di Fromm, la solitudine giunge a causa dello stretto rapporto relazionale che si crea con il processo di individuazione; questo elemento aggiuntivo rafforza l’ immagine della fragilità della libertà nel suo legame con il singolo. "La struttura della società moderna influisce sull’ uomo contemporaneamente in due modi: egli diventa più indipendente, autosufficiente e critico, e al tempo stesso diventa più isolato, solo, impaurito".

Le caratteristiche di quest’ analisi di Fromm, che presentano forti connotazioni di ambivalenza mi spingono a riferirmi a Hegel e quindi alla struttara triadica dialettica. Infatti, la logica di tale modello costituisce il vero motore del mondo essendo applicabile a infiniti processi; Sergio Givone, noto filosofo contemporaneo, evidenzia l’ antiteticità intrinseca ai sistemi umani nel saggio Eros/Ethos (edito dalla Biblioteca Einaudi nel 2000) in cui dimostra le compenetrazioni e le repulsioni osservabili tra le due forze agenti. Proprio da qui scaturisce la nostra inconsapevolezza: "[...]per abitudine pensiamo in termini non dialettici e siamo portati a dubitare che due tendenze contrastanti possano derivare simultaneamente da una sola causa" sentenzia amaramente Fromm, anche se le sue attitudini e il suo spirito lo conducono a veleggiare lontano da spiagge di rassegnazione.

Pur appartenendo alla "Scuola di Francoforte", di cui è lampante l’ impostazione ideologica che immerge le proprie radici nel marxismo, Fromm non smarrisce la sua vocazione di grande regista che descrive la realtà accostando fotogrammi accuratamente selezionati. Tale sfumatura sulla tavolozza del pensiero dello psicanalista tedesco si evidenzia nell’ analisi che riguarda le corrispondenze tra capitalismo e sviluppo della libertà individuale: "In breve, il capitalismo non solo ha liberato l’ uomo dai vincoli tradizionali, ma ha anche contribuito enormemente all’ accrescimento della libertà positiva, allo sviluppo della personalità attiva, critica, responsabile". Non posso esimermi dal notare che la riflessione riportata è apparentemente agli antipodi di quella del filosofo di Treviri che insisteva fortemente su caratteri alienanti ascritti proprio all’ avvento della rivoluzione industriale e ai movimenti sinuosi e ingannevoli della lunga mano del mercato a cui si riferiva Adam Smith.

Dal luogo in cui è posizionata la mia macchina da presa, è evidente che Fromm basi la sua asserzione analizzando soprattutto le fasce sociali agiate (classi medio-alte). Ci sarebbe molto da discutere sull’ emancipazione della fascia bassa della popolazione, anche se Fromm, mediante un lungo studio sui caratteri del tardo feudalesimo risulta convincente nell’ individuare una sostanziale importanza in tale passaggio storico-sociologico. Anche Max Weber, il più grande sociologo tedesco, considera il capitalismo impulso imprescindibile per lo sviluppo della personalità individuale perchè avrebbe discostato l’ uomo dai vincoli della tradizione che lo ingabbiavano (cfr. Etica protestante e spirito del capitalismo). Risultava meno protetto dalla rete sociale di aiuti e sussidi ma era anche proiettato in una dimensione atomistica che ne esaltava la creatività e le capacità individuali, molto più riconosciute e gratificate (in una parola, in accordo con la old ela new economy self-management).

E proprio in questo egoismo atomistico in questa "libertà da" vi sono i primi germogli della solitudine dell’ uomo contemporaneo che tanti scrittori e poeti non hanno potuto far a meno di avvertire. Approfondendo, a ragione si può concludere che Fromm considera questa una falsa libertà, una libertà da, mentre la massima aspirazione è quella di una libertà positiva ("libertà di") che sia definita e posta in essere dall’ interno, una libertà in sé rivolta verso di sé che non debba scaturire da eventi alieni alla persona.

Ben lungi dai rigidi e assoluti principi dell’ idealismo hegeliano, Fromm immagina la "libertà di" riferendola a elementi immanenti e quasi contingenti in quanto la vede riflessa e contenuta nella quotidianità, mentre sottolinea le componenti alienanti del capitalismo che esulano da tale idillio e che necessariamente non vi conducono: "Nel capitalismo l’ attività economica, il successo, i guadagni materiali diventano fini a se stessi. Diventa destino dell’ uomo contribuire allo sviluppo del sistema economico, accumulare il capitale non per la propria felicità o salvezza, ma come fine in sé. L’ uomo diventa un semplice ingranaggio dell’ immensa macchina economica – importante se possiede molto capitale, irrilevante se non ne possiede affatto – ma pur sempre un ingranaggio volto ad un fine a lui esterno. Questa disposizione a sottomettersi a fini extraumani venne in realtà preparata dal protestantesimo benchè nulla fosse più lontano dalla mente di Lutero e Calvino dell’ approvare una tale supremazia delle attività economiche."

Il brano riportato è di enorme interesse perchè ci riconduce a sovrapporci coi binari su cui si svolge il nostro viaggio, dopo doverose precisazioni e confronti con la letteratura che si occupa delle tematiche trattate. Il capitalismo si ritrova a costituire il fulcro fondamentale del processo di individuazione perchè se da una parte ha offerto nuove prospettive all’ uomo del tardo feudalesimo, dall’ altra presenta sotto le sue pupille le vie di fuga dalla propria libertà: l’ autoritarismo (e la sottomissione che ne deriva), la distruttività e il conformismo ossessivo.

Nella prima categoria vi è innanzi tutto la tendenza a sottomettersi ad un capo, ad un’ autorità che occupi una collocazione più alta nella scala del processo produttivo. Tale fenomeno può verificarsi anche ad un livello indiretto, qualora sia evidente la discrepanza fra il valore dei beni posizionali (termine economico che si riferisce a quei beni di un certo valore monetario che collocano gli individui nelle fasce sociali) o quando vi sia una differenza sostanziale di potere politico e di conseguenza di rilevanza sociale. E qui risiede un’ altro tassello del mosaico innovativo di Fromm: collegare questi comportamenti ad alcune forme di perversione sessuale. Intrinseci alla sottomissione e al dominio sarebbero infatti il masochismo e il sadismo.

Questo è un’ altro punto di collegamento con Sigmund Freud, il primo a studiare sistematicamente tali manifestazioni della natura umana. L’impotenza (intesa nell’ accezione generale) spinge l’ individuo a volersi sottomettere oltre che moralmente anche fisicamente provandone piacere sessuale o, nella forma opposta, a recare dolore ad altri. (Fromm pare accettare anche l’ ulteriore passaggio di Freud che sostiene che in ogni bambino vi siano degli elementi sado-masochisti che possono essere più o meno sviluppati nel tempo). Anche la brama di potere trae origine da tale mancanza, dall’ incapacità di realizzare le proprie possibilità partendo dalla libertà e dall’ integrità dell’ io.

E’ particolarmente interessante insistere su questo punto: "Il carattere autoritario ama le condizioni che limitano la libertà umana, ama venir sottomesso al destino" contrariamente a quanto comunemente si crede, fuggendo nell’ autoritarismo, la sottomissione è anelata fortemente anche in forma passiva. Il destino può essere la legge naturale, la sorte dell’ uomo, la volontà del Signore, ildovere. L’ uomo non si può ribellare secondo tale visione: "il carattere autoritario venera il passato. Ciò che è stato sarà. Volere agire per ciò che non è mai esistito prima è delitto o follia. Il miracolo della creazione – e la creazione è sempre un miracolo – esula dai limiti della sua esperienza emotiva". E ancora più nettamente: "Il tratto comune a tutto il pensiero autoritario è la convinzione che la vita sia dominata da forze estranee all’ uomo stesso al suo interesse, ai suoi desideri. La sola felicità possibile risiede nella sottomissione a queste forze. L’ impotenza dell’ uomo è il leitmotiv della filosofia masochista. [...] Soffrire senza lamentarsi è la più alta virtù dell’ uomo".

La sottomissione può avvenire anche tramite la personificazione di un "protettore magico". I desideri risultano esaudiibli solo attraverso la sua azione. La questione non è più come vivere ma come manipolare lui per non perderlo. Evidente è il riferimento ad alcuni rapporti amorosi. Quando si è instaurato tale meccanismo si tende a cercare, qualora lo si perdesse, un nuovo protettore creando una "dipendenza a vita". Collegandolo alla persistenza di attrazione sessuale per uno dei genitori, Freud lo riferisce al complesso di Edipo. In molte persone normali o sane (Fromm precisa che si tratta di persone capaci di svolgere il ruolo sociale che sono tenute ad assumere e di partecipare alla riproduzione della società realizzando anche la propria felicità) si ha in tali casi una rinuncia totale al proprio io individuale mentre tra i nevrotici (mancato sviluppo della personalità, mancanza di efficienza sociale) è diffusa la resistenza e la combattività anche se si mantiene il legame con la figura del protettore magico. La nevrosi è quindi un tentativo (sostanzialmente non riuscito) di risolvere il conflitto tra questa fondamentale dipendenza e l’ aspirazione alla libertà.

La seconda possibilità di fuga dalla libertà è rappresentata dalla distruttività. L’ impotenza rispetto al mondo esterno spinge a distruggerlo, questo è ovviamente il più disperato tentativo di salvarsi dal venirne schiacciato. Il sadismo mira a incorporare l’ oggetto, la distruttività a rimuoverlo. Fromm sostiene che i rapporti interpersonali siano caratterizzati dalla distruttività, o meglio dalla razionalizzazione di essa. "L’ amore, il dovere, la coscienza, il patriottismo sono usati per distruggere gli altri o se stessi". Gli impulsi distruttivi, caratteristica della natura umana, trovano sempre il modo di estrinsecarsi e quindi di porsi in essere. Se fallisce il tentativo di esercitarla contro gli altri l’ istinto necessariamente si volgerà, orientandosi verso la propria persona; il livello parossistico di tale tendenza può condurre ad una situazione assai grave di devianza sociale che in alcuni casi si conclude col suicidio. Anche Freud riconosce (in ritardo, secondo Fromm) che oltre alla libido, segno di vitalità, vi sia nell’ uomo un istinto di morte rivolto alla distruzione della vita stessa. Rispetto a questa tesi Fromm precisa che la distruttività varia in misura sostanziale tra i vari individui: nella classe media inferiore europea il peso del fenomeno era sicuramente maggiore di quanto si riscontri nella classe operaia e nelle classi superiori. Da qui infatti germoglia il seme delle dittature nazi-fasciste

Una delle cause più evidenti dell’ istinto volto a distruggere è "il soffocamento [...] della spontaneità, dello sviluppo e dell’ espressione delle facoltà sensuali, emotive e intellettuali dell’ individuo [...] La distruttività è il risultato della vita non vissuta ".

Ma il più diffuso meccanismo di fuga è il "conformismo da automi": l’ individuo cessando di essere se stesso diventa come tutti gli altri e come questi pretendono che egli sia. Sono risolti il disagio esistenziale, l’ ansietà e la solitudine a prezzo della perdita dell’ io. Come ho già sottolineato il livello di tale fenomeno è inconscio e qui risiede il dramma sostanziale. "Possiamo avere pensieri, sentimenti, desideri e persino sensazioni che soggettivamente avvertiamo come nostri; e che tuttavia sono stati immessi in noi dall’ esterno, sono fondamentalmente estranei e non sono davvero quello che pensiamo, sentiamo e così via". L’ individuo deve quindi cercare di discernere tra pensiero genuino e pseudopensiero.

La soppressione del pensiero critico comincia dopo pochi anni di vita (Fromm prende in esame una bambina di cinque anni). Con genitori autoritari che permettono poche critiche si estinguerà quell’ intuitività e quella ricerca di giustizia e verità della piccola. Sembrerà infatti inutile e pericoloso esercitare tali capacità, si sarà invece pronti a accettare idee esterne come proprie vedendo che questo arreca felicità e stabilità familiare. In un museo si riterranno belli taluni quadri solo perchè si è tenuti a giudicarli in tal modo. Nel sentimento come nel pensiero vi è la parte genuina e lo pseudosentimento. In una festa l’ individuo spesso si sforza (inconsciamente) di essere felice perchè i criteri di piena accettazione sociale prevedono questo. Di conseguenza vi sono anche la pseudovolontà (pseudodesideri) e le pseudoazioni; il risultato finale del lineare processo è la sostituzione dell’ io autentico con uno pseudoio. "Talvolta in sogno, nelle fantasie o nell’ ubriachezza può riaffiorare qualcosa dell’ io originario, sentimenti, pensieri che l’ individuo non ha più avuto da anni". Spesso ha represso tale magma per paura o vergogna, spesso sono le cose migliori sommerse per non essere attaccato o schernito. Contro il panico derivato dalla perdita dell’ io originario e quindi della propria identità la si cerca nella continua approvazione-riconoscimento da parte degli altri, lampante è la gravità dello stato finale: forte alienazione che gli offre sicurezza e la liberazione dal dubbio.

L’ individualità è dunque un’ illusione nell’ età adulta. Il bambino è costretto ad accettare anche ciò che rifiuterebbe (cose ma soprattutto persone, gli si insegna che deve essere cordiale con tutti e i falsi sorrisi sono assunti come automatismo dalla sua personalità), ed è represso nella sfera sessuale. Due sono le possibili conseguenze: inibizione o ossessività. Ma tale violenza indebolisce tutte le potenzialità di espressione. Vengono scoraggiate le emozioni in quanto essere "emotivo" è sinonimo di instabile, squilibrato, debole, il suo pensiero viene impoverito e appiattito. Ma gli elementi repressi non cessano mai di esistere. Le emozioni, inappagate nella sfera intellettale trovano sfogo nel mercato dei film e delle canzonette, "espressione di un sentimentalismo insincero".

Le domande del bambino vengono spesso evitate dai genitori creando una situazione di profondo caos nel piccolo: centinaia di nozioni quasi prive di nessi logici. Sbagliano: "Quanto maggiore è l’ integrazione della personalità dell’ individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande è la sua forza. Il "conosci te stesso" resta uno dei comandamenti fondamentali, che mirano a creare la base della forza e della felicità dell’ uomo". Scoraggiare chi non riesce in tale tentativo provoca insicurezza e ricerca di aiuto. Egli disprezzerà tutto ciò che è carta stampata accettando solo la posizione autoritaria di uno specialista.

Spesso è quasi impossibile concludere il percorso che conduce alla felicità in quanto non si è sicuri dell’ obbiettivo da perseguire. I fini verso cui tendiamo sono quelli che ci interessano? Ad esempio i voti a scuola, la carriera da adulti; questo dubbio mina alla base l’ esistenza individuale. L’ uomo moderno però vuole quel che ci si aspetta che voglia (conformismo da automa) e proprio da qui scaturisce la questione. "Poiché, essendo un automa, non riesce a vivere la vita come attività spontanea, prende come suo surrogato qualsiasi forma di emozione e brivido: il brivido del bere, degli sports, del vivere vicariamente le emozioni di personaggi irreali sullo schermo".

C’ è però, come in tutto, una via d’ uscita: "uno stato di libertà positiva in cui l’ individuo esiste come indipenente e tuttavia non è isolato ma unito al mondo, agli altri uomini e alla natura". L’ uomo lo raggiunge conoscendo se stesso e essendo se stesso. Si realizzeranno in tal modo tutte le potenzialità intellettuali, emotive e fisiche. "La libertà positiva consiste nell’ attività spontanea della personalità totale". Queste sono generalmente riconosciute come le caratteristiche dell’ artista affermato (in caso contrario è considerato un eccentrico, un nevrotico) ma anche, in parte, quelle di un bambino. L’ amore (se non si verifica la perdita dell’ individualità) e il lavoro (se inteso come creazione) sono altre due realizzazioni della libertà positiva. In entrambi i casi ciò che conta (anche se nella nostra civiltà spesso è il contrario) è il processo non il risultato. Tale ragionamento trova spazio anche in economia in cui si distingue, analogamente, tra utilità di processo (UP) ed utilità di scopo (US).

L’ accento si sposta quindi dalla soddisfazione recata dalla creazione al valore del prodotto finito. Si perde la realizzazione dell’ individuo scaturita dall’ attività del momento presente protesi verso l’ illusoria felicità del successo. Solo la libertà può dare sicurezza eliminando le condizioni di instabilità che rendono necessaria l’ illusione. Se lo psedo-io si sovrappone all’ io invece non ci sarà una crescita organica in rispetto assoluto della peculiarità dell’ io. La libertà positiva rappresenta per Fromm un diritto inalienabile per ogni uomo e non può essere subordinato in nessun caso.

Da materialista precisa che tale libertà trova il proprio presupposto nell’ aspetto economico, nella struttura, in accordo con Marx. Ma aggiunge che il capitalismo soffoca la possibilità di partecipare con la propria creatività, elemento essenziale per realizzare la libertà positiva. Non essendo un economista, Fromm rimane vago ma si scorge un confuso riferimento ad un modello che presenta caratteristiche comuni con quello socialista (anche se premette che il nome non ha importanza e si discosta dall’ esempio russo) dove ci sia un controllo dell’ individuo sui meccanismi economici complessi che si tinge anche di sfumati elementi federalisti: decentramento (per garantire la partecipazione attiva).

Oltre al carattere individuale descritto, Fromm sottolinea il carattere di necessità intrinseco al carattere sociale (caratteristiche comuni ai membri di un gruppo) ai fini della "libertà di" proprio perchè lì risiede una fondamentale risorsa. "Le idee possono diventare forze potenti, ma solo nella misura in cui costituiscono risposte a specifiche esigenze umane predominanti in un determinato carattere sociale". La funzione soggettiva del carattere è di agire soddisfando sia i bisogni materiali che quelli di natura psicologica. Ma "Il carattere sociale interiorizza le necessità esterne e così imbriglia l’ energia umana a vantaggio delle mete di un determinato sistema economico e sociale". Si ha la costruzione di un’ "autorità interna" – la coscienza (che "è un aguzzino che l’ uomo mette dentro se stesso") e il dovere ("intensamente colorato di ostilità contro l’ io") – che esercita un controllo ancora più capillare.

La libertà è però un’ erba miracolosa ed inestirpabile, non cessa mai di esistere in potenza, ed indica la sua presenza mediante l’ odio cosciente o inconscio da cui la soppressione è sempre accompagnata.

Un’ altra distinzione fondante è quella tra fenomeni di carenza e di abbondanza. Il primo è sempre presupposto dell’ altro e corrisponde alla fase iniziale della nostra esistenza. Le azioni libere appartengono al secondo ambito. La psicologia della carenza di Freud definisce il piacere come la soddisfazione derivante dall’ eliminazione della tensione dolorosa. I fenomeni dell’ abbondanza come l’ amore o la tenerezza non svolgono in realtà alcun ruolo nel suo sistema.

Mi pare particolarmente interessante chiarire ora le principali tendenze interpretative e il rapporto di ciascuna con il complesso pensiero dell’ autore del saggio in analisi.

Fromm si discosta dal metodo psicologistico di Freud appena citato (i fattori sociali sono radicati in elementi psicologici) che spiega il capitalismo come il risultato di un erotismo anale e lo sviluppo del primo cristianesimo come risultato dell’ambivalenza verso la figura del padre. Netta è la distanza dall’approccio economicistico pseudomarxista che è parossistico nel sostenere l’essenzialità della struttura. Contro la posizione idealistica di Max Weber (cfr. Etica protestante e spirito del capitalismo), che ripone tutta l’attenzione nella sfera sovrastrutturale religiosa, opina che "le ideologie e la cultura in generale sono radicate nel carattere sociale" che deriva dalla società e tende a plasmarla in perfetta circolarità. Estrema relazionalità vi è quindi tra carattere sociale e processo sociale.

Proprio attraverso il carattere sociale, pur mantenendo limpido quello di natura individuale, si può aspirare alla libertà positiva ma, come emerge da un’ analisi organica del presente saggio, non si tratta di un processo a termine, bensì di un "tendere a" in senso fichtiano.