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(Fanta)Storia
24/8/79. Marco passeggiava nel sole di un
mattino d'agosto, inebriato dal profumo del mirto
portato dalla brezza marina...
di Massimo
Acciai
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Marco passeggiava nel sole di un mattino d'agosto,
inebriato dal profumo del mirto portato dalla brezza
marina. Si sentiva una strana leggerezza nel cuore
quel giorno. Aveva riposato bene per la prima volta
dopo mesi, durante una tregua concessa dall'insonnia
cronica, ed aveva persino fatto un sogno che gli
aveva messo allegria. Non era un sogno erotico,
piuttosto qualcosa di grandioso. Aveva sognato il
Mondo Futuro. Un mondo luminoso, pieno di uomini
industriosi e costruzioni magnifiche, che sembravano
progettate da dèi. C'erano uomini volanti
nell'azzurro del cielo e uomini pesce negli abissi
marini. Le macchine correvano a velocità
impressionanti, sopra e sotto archi rilucenti di
metallo turchino. Immensi edifici color panna e
torri di cristallo cangiante si alzavano fino a
toccare le nuvole rade. Le ombre tagliavano nette,
fredde, con spigoli appuntiti, le strade lisce,
fatte di uno strano materiale grigio granuloso.
Immagini gigantesche si affacciavano sulle vie
affollate e ovunque era un vortice di voci e suoni
sconosciuti. Calava la sera e la notte era
rischiarata quasi a giorno da mille luci di natura
sovrannaturale, luci che non proiettavano ombre, che
trasformavano in pallidi fantasmi i passanti. Luci
che trasformavano in innumerevoli occhi accesi le
finestre dei palazzi immensi. Le luci non si
spegnevano mai del tutto, duravano fino all'alba.
L'alba del mondo futuro! Bella e magnifica! Un altro
giorno cominciava sul cuore robusto e massiccio
della megalopoli.
- Perché sorridi Marco?
Lucio, il fedele servitore, lo salutò con un cenno
della mano. Marco riemerse di malavoglia dalle sue
fantasie. L'incanto del mondo futuro era spezzato.
Stava per rimproverare bonariamente il servo,
indaffarato a potare una siepe, quando la terra
cominciò a tremare. La memoria tornò improvvisamente
indietro di diciassette anni, al terremoto che aveva
colpito la città quando lui aveva appena nove anni.
Come allora, istintivamente cercò la posizione
supina, fetale, mentre già qualche calcinaccio si
staccava dalle colonne e le tegole precipitavano con
gran fracasso sul lastricato. Un tubo si ruppe nella
fontana al centro del chiostro e l'acqua cominciò a
sprizzare incontrollata.
Il cielo si oscurò in pochi minuti. Dalla strada
giungevano urla e lamenti. Una pioggia di ceneri e
lapilli, mescolata a meteoriti ardenti, rompeva i
tetti e copriva strade e palazzi. Una nube che
colava dalle pendici del Vesuvio si stava
avvicinando rapidamente, con silenziosa minaccia di
morte. Marco si sentì mancare il respiro. L'aver
visto una città che sarebbe esistita secoli e secoli
dopo la sua amata Pompei non gli era di nessuna
consolazione, e tutta la sua filosofia si
carbonizzava insieme al legno e alle sue stesse ossa
investite dalla nube ardente. Fu una cosa rapida.
Marco accolse la morte con una risata strozzata, e
forse nemmeno pensò a fuggire. |
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