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Grandezza e decadenza delle
civiltà
Approcci scientifico e animistico a confronto
In questi ultimi decenni molti
studiosi hanno richiamato l'attenzione sui problemi
ecologici e sui limiti e le contraddizioni inerenti
al nostro sistema. Tra questi un posto di rilievo
merita sicuramente il vincitore del premio Pulitzer
Jared Diamond, biologo e evoluzionista americano
oggi docente di geografia e scienze ambientali
all'UCLA. L'impatto avuto dalle sue opere più note
Armi, acciaio e malattie: breve storia del mondo
negli ultimi tredicimila anni (Einaudi, 1997) e
Collasso: come le società scelgono di morire o di
vivere (Einaudi, 2005), sulla cultura mondiale e in
particolare in tutta l'area "verde", è notevole. Il
tema centrale di Armi è quello dello sviluppo delle
disuguaglianze tra le società e delle cause della
crescente complessificazione delle civiltà, con
particolare riferimento alla civiltà europea.
Collasso tratta prevalentemente delle cause di
quelle cadute verticali di complessità delle società
che l'autore chiama "collassi" e di cui l'infausto
destino dell'isola di Pasqua rappresenta un simbolo
nell'immaginario collettivo. Sintetizzando, questi
lavori, apprezzati tra l'altro da importanti capi di
stati come Bill Clinton e Nicolas Sarkosy,
affrontano la questione della grandezza e della
decadenza delle società umane adottando una ottica
neodarwiniana in virtù della quale l'autore
attribuisce alle sue tesi uno statuto scientifico
puro. La tesi più centrale afferma che a determinare
lo sviluppo o il collasso delle civiltà sarebbero i
fattori geografici e ambientali che possono
avvantaggiare o meno certi popoli, assieme al
cattivo uso delle risorse naturali e al
deterioramento delle loro relazioni. La novità di
peso introdotta da Diamond consiste nel proporre una
analisi razionale e determinista dello sviluppo
delle società e al tempo stesso di concepire
l'umanità come necessariamente integrata ad una
realtà ecologica che la trascende e che può di
ritorno rimetterla in causa oppure distruggerla. Per
cui, alla fine, sopravvivono e si sviluppano
maggiormente quelle civiltà che si adattano meglio
al loro ambiente e che fanno il miglior uso delle
risorse ambientali. Diamond smuove dunque le
frontiere della disciplina storica integrando le
scienze naturali nel cuore della logica dello
sviluppo delle civiltà. Tuttavia, egli relativizza
oltremodo il ruolo della cultura in questo sviluppo,
finendo per attribuire una importanza di gran lunga
preminente ai fattori ambientali. In una epoca in
cui, purtroppo, i problemi ecologici sono sempre più
all'ordine del giorno, una simile tesi assume
certamente un peso particolarmente rilevante dal
punto di vista culturale, prima ancora che
scientifico. Che le zone propizie al sostentamento,
agli scambi e agli spostamenti possano favorire lo
sviluppo delle civiltà non è di certo una novità.
Tutte le grandi civiltà si sono originariamente
insediate in luoghi propizi dal punto di vista
geografico e ambientale: fiumi, terre fertili,
foreste ricche in biodiversità… Volendo però
abbordare la questione partendo da un altro punto di
vista, quello della psicologia animistica , dovremmo
chiederci quanto l'anima dei luoghi (fiumi,
montagne, foreste, conformazioni geologiche…) abbia
influito sulla psiche individuale e collettiva dei
popoli e sia stata determinante nelle loro scelte.
Generalmente, nei lavori che trattano il tema del
rapporto tra uomo e ambiente tale criterio non viene
mai preso in considerazione. Quelli di Diamond non
fanno eccezione. La possibilità di una percezione
animistica, non razionale, del mondo risulta
forclusa, cioè "non pensata". Essa appare troppo
lontana dalla mentalità moderna per essere anche
solamente avvistata. Un fatto, questo, che rende
abbastanza bene l'enorme distanza che separa ormai
la cultura occidentale da quella animistica. Eppure,
per i membri tribali come del resto (seppur in modo
e in misura diversi) per i popoli antichi, l'anima
dei luoghi era considerata una realtà tangibile con
la quale fare necessariamente i conti. I membri
tribali basano molte loro scelte, anche di politica
territoriale, in primis su questa facoltà che
potremmo chiamare "percezione animistica". Per loro
un luogo può per esempio, sulla base delle
impressioni profonde (positive o negative) che è
suscettibile di produrre sulla psiche, essere
ritenuto propizio o sfavorevole per la caccia o per
l'insediamento. E' bene sottolineare che tali
giudizi e scelte emergono in massima parte
dall'inconscio e quindi non possono considerarsi
frutto di valutazioni prevalentemente razionali
basate sulla predisposizione geografica e ambientale
dei luoghi. Molti popoli tribali hanno scelto di
vivere in zone estremamente improbabili da questo
punto di vista. Si pensi per esempio a certe etnie
della Siberia o del deserto africano. Alcune civiltà
tribali vivono da tempi immemori in luoghi che per
via della loro inospitalità ambientale avrebbero
dovuto essere razionalmente scartati. Le stesse
montagne sacre, dalle vette dell'Himayala agli Ayers
Rock dell'Autralia, consistono in luoghi impervi e
arridi, ma che tuttavia fanno da importante scenario
geografico spirituale alla vita tribale. Così, nelle
culture animistiche le scelte individuali e
collettive risentono almeno in misura eguale dalla
percezione inconscia che dal pensiero razionale.
Come ho sostenuto in una opera di recente
pubblicazione , l'animismo non consiste in una forma
arcaica o ingenua di pensiero, ma in un altra
modalità di funzionamento della psiche nella sua
globalità . Una modalità in cui le parti consce ed
inconsce coesistono senza frattura coinvolgendo in
modo armonioso il mondo naturale che
tradizionalmente funge da ricettacolo per le
proiezioni di contenuti inconsci. Per questo motivo
essenzialmente i luoghi (e le altre entità) possono
entrare in risonanza psichica con gli individui,
ispirarli o intimorirli. Capire queste differenze
profonde di psicologia suggerisce addirittura una
riconfigurazione di quel che Jung chiama processo di
individuazione inteso come realizzazione del Sé . Il
fatto che certi popoli tribali vivono nello stesso
identico modo da oltre 40.000 anni non sembra dovuto
ad un arresto della loro evoluzione, ma piuttosto al
raggiungimento di un soddisfacente grado di armonia
con la Natura e con l'inconscio. Proprio in questo
grado di armonia sembra consistere la realizzazione
del Sé. Per cui viene meno per queste comunità
l'esigenza di ulteriori differenziazioni. Per Jung,
realizzare il Sé significa raggiungere un grado
ottimale di equilibrio funzionale tra le parti
consci ed inconsce della personalità. Per i membri
tribali quell'equilibrio non saprebbe essere tutto
interiore, ma deve coinvolgere anche la Natura che
funge da contenitore e da tramite tra la coscienza e
l'inconscio. In altri termini, essi vivono
l'inconscio in gran parte nel loro rapporto
quotidiano con la Natura, la quale diventa per
questa via sacra, misteriosa e in grado di offrire
dei riscontri pressoché ignoti a noi moderni, ma non
per questo necessariamente meno importanti per
l'adattamento. Tale parere potrà forse lasciare
perplessi considerando il comune giudizio che
nutriamo verso questi popoli "inferiori" , ma di
fatto esso si esprime anche in diversi prodotti
culturali moderni. Per esempio, nel film Il pianeta
verde alcuni esponenti di un popolo avanzato
decidono di tornare sulla Terra. Essi atterrano
presso una tribù aborigena dell'Australia
sorprendendosi per quanto questi umani, che
conoscono la telepatia e vivono in armonia con la
Natura, si siano evoluti ! Salvo poi accorgersi che
la maggior parte dei terrestri vivono in modo
radicalmente diverso, abitano in città grigie e
inquinate, isolati nel loro ego e scisse dal mondo
naturale. Anche il filosofo americano James Hillman
sembra avere intuito la necessità di cambiare
modello psicologico e di operare un passaggio
dall'ego all'anima. Puntando sul suo "fare anima",
egli mostra di preferire un modello psicologico che
prevede una infinità di modi di essere ispirati agli
archetipi espressi nei miti, alla realizzazione del
Sé intesa come identificazione ad un unico archetipo
. Quei personaggi della mitologia classica ai quali
Hillman propone di ispirarci rammentano da vicino le
anime della Natura e gli antenati totemici dei
popoli tribali. Non a caso gli dei in tutto il mondo
erano originariamente descritti e rappresentati come
esseri in parte animali e in parte umani.
Ora, se per l'uomo moderno una conversione pura e
semplice all'animismo appare impossibile , tornare
ad avvertire la dimensione animistica dei luoghi e
degli esseri potrebbe rappresentare un significativo
passo in avanti sul cammino della sua
individuazione. Quel recupero probabilmente
implicherebbe il passaggio ad una concezione
dell'inconscio che non crei compartimenti stagni tra
Psiche e Natura, tra mondo interiore e mondo
esteriore. Un passaggio le cui modalità restano
tuttavia da inventare visto che al momento non è
contemplato da nessun sistema psicologico o
filosofico.
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