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Libri a fumetti
Miti mutanti 16
Un artista a
Coverciano 2
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PARITA' DI FUMETTI PER GLI
AFROAMERICANI
dal razzismo all'antirazzismo disegnato
Andrea Cantucci
Per ingrandire le immagini cliccarci sopra
Personaggi colonialisti e
post-colonialisti
Nei fumetti della prima metà del '900, così come
negli altri mass media occidendali dello stesso
periodo, gli Africani e gli altri popoli del terzo
mondo erano ancora visti come dei selvaggi
pericolosi e ingenui, che potevano aspirare a
partecipare di una qualche civiltà solo
sottomettendosi all'autorità dei colonizzatori
bianchi. Sia nei sogni del piccolo Nemo, creato da
Winsor McCay nel 1905, che nella precedente serie di
Rudolph Dirks "The Katzenjammer Kids", incentrata su
una famiglia di coloni tedeschi in Africa, gli
indigeni sono tutt'al più dei buffi pagliacci feroci
che fanno da contorno comico alle disavventure dei
protagonisti. Anche il primo eroe di colore dei
fumetti, il piccolo africano
Bilbolbul, creato
dall'italiano Attilio Mussino sulle pagine del
Corriere dei Piccoli, sarebbe una macchietta comica
piuttosto stereotipata se le sue avventure non
fossero arricchite da geniali metamorfosi grafiche,
che danno sostanza fisica a qualunque metafora
verbale.
Quanto alla minoranza afroamericana, nella
stragrande maggioranza dei fumetti dell'epoca
semplicemente non appariva e nei rari casi in cui si
vedeva era descritta in modo pesantemente
caricaturale e offensivo. La serie comica "Las
Aventuras del Negro Raùl", creata dall'argentino
Arturo Lanteri nel 1916, che mostra i tentativi
frustrati di prendere parte alla società dei bianchi
da parte del maldestro e bistrattato protagonista, è
in questo senso emblematica, benché qualcuno abbia
voluto vedervi dei contenuti di denucia antirazzista
che difficilmente potevano essere nelle intenzioni
dell'autore. Purtroppo il razzismo era ancora così
connaturato nella società dell'epoca, che
probabilmente i disegnatori rappresentavano i neri
in modo discriminatorio senza neanche accorgersene.
Quella che si potrebbe considerare come la prima
serie a fumetti politicamente corretta, e che
costituisce una totale eccezione per i tempi,
riguarda infatti gli Indiani d'America. Si tratta di
"Little Growling Bird in Windego Land" (La Piccola
Uccello Rinchiante nella Terra dei Windego),
realizzata da S.N.T. Crichton nel 1907 e incentrata
sull'amicizia tra una bambina indiana e una bambina
bianca. Questa serie di tavole anticipa di trent'anni
quella dell'indianino disneyano "Little Hiawatha",
che dall'omonimo cartone animato passerà ai fumetti
nel 1940 e a cui seguiranno nei decenni successivi
altri piccoli Nativi Americani creati da autori di
vari paesi, a partire dalla versione infantile
dell'indio patagone Patoruzù, un eroe comico
notissimo in Sudamerica, creato dall'argentino Dante
Quinterno nel 1931.
Ma tra gli anni '20 e '40 questi erano ancora casi
rarissimi, Gli appartenenti a minoranze etniche nei
fumetti di quei tempi per lo più facevano "colore",
sia che fossero minacciosi, come i servitori
orientali del patrigno miliardario dell'orfanella
Annie, sia che fossero semplicemente buffi, come il
cuoco cinese del giovane avventuriero Terry Lee.
Prima di diventare titolari di una propria breve
serie, dovevano aver acquistato notorietà come
comprimari di un protagonista bianco. Eppure anche
solo rappresentare in termini positivi una minoranza
etnica al fianco di un eroe particolarmente amato,
poteva contribuire a combattere dei radicati
pregiudizi razziali, così come i suoi eventuali
nemici o servitori di colore potevano invece
contribuire a sostenerli.
A questo proposito, il maestro belga Georges Rémi,
in arte Hergé, nella sua lunga serie del reporter
Tintin, iniziata nel 1929 e di recente trasposta al
cinema da Spielberg, ci offre sia un esempio di
razzismo che uno di antirazzismo. La storia "Tintin
in Congo" riflette la mentalità arretrata e
irrispettosa verso la cultura indigena dell'epoca in
cui quel paese era una colonia belga e, essendo
tutt'ora ristampata regolarmente senza aver mai
subito modifiche, nel 2011 è incorsa in una denucia
per razzismo da parte di un cittadino congolese ed è
stata rinviata a giudizio. D'altra parte nella
storia "Il Loto Blu" del 1931 Tintin stringe una
lunga e sincera amicizia con un ragazzino orientale
di nome Tchang, che in Francia è diventato così
famoso da essere immortalato su francobolli e monete
e che era ispirato ad un autentico amico cinese
dell'autore. Parlando con Tchang è lo stesso Tintin
ad esprimersi contro i ridicoli pregiudizi che
bianchi e cinesi nutrono gli uni verso gli altri; il
fatto è che il personaggio di Hergé trae ispirazione
dallo scoutismo cattolico ed oscilla quindi tra
paternalismo reazionario e sentimenti di amicizia
verso gli altri popoli.
Anche in fumetti tratti da cicli d'avventure
letterari, come quello di Tarzan
di Edgar Rice
Burroughs e quello di Conan di Robert Erwin Howard,
si trovano talvolta delle descrizioni abbastanza
razziste e offensive di popolazioni nere,
rappresentate come feroci cannibali, ma questo
dipende per lo più dalle fonti originali che
risalgono al periodo tra gli anni '10 e '30 del
'900, mentre alcuni fumettisti, a partire dagli anni
'70, hanno tentato di porvi rimedio, sorvolando
rapidamente sui dettagli più imbarazzanti. Ad
esempio Joe Kubert, riadattando il primo romanzo di
Tarzan, modificò radicalmente una scena in cui
l'eroe intrappolava un africano e lo assassinava a
sangue freddo, trasformandola in uno scontro leale
tra due guerrieri. Lo sceneggiatore dei fumetti di
Conan, Roy Thomas, si mantenne più fedele ai
racconti di Howard, ma fece disegnare in campo lungo
una scena in cui l'eroe barbaro uccideva un
cannibale alle spalle, in modo da renderla meno
evidente. In altri episodi, gli affiancò poi degli
amici di colore come compagni di lotta e ambientò un
suo lungo ciclo di avventure nel continente nero.
Nelle storie tratte direttamente dai primi romanzi,
invece, sia Tarzan che Conan facevano "amicizia" per
la prima volta con dei guerrieri africani
diventandone i capi, come se il rapporto tra gli
uomini neri e l'eroe bianco di turno potesse essere
solo di ostilità o di sudditanza.
Anche nelle storie di Tim e Spud (Cino e Franco), le
tribù africane erano regolarmente sottomesse a capi,
re o regine bianchi, mentre Mickey Mouse, nella
storia del 1937 "Topolino e il Gorilla Spettro"
diceva esplicitamente a dei portatori africani che
lui era il loro padrone e loro i suoi servi, in un
dialogo che fu radicalmente sostituito in una
ristampa del 1969, facendolo parlare di tutt'altro.
Altrettanto autoritario e paternalista verso gli
indigeni, visti ancora come ingenui e superstiziosi,
era agli inizi il pur affascinante e benevolo
giustiziere "The Phantom" (L'Uomo Mascherato),
creato dallo sceneggiatore Lee Falk nel 1936, che
come Tarzan, imponeva la sua legge di uomo bianco
sulla giungla facendosi passare per un essere
soprannaturale. L'altro eroe di Falk, l'ironico ed
elegante mago Mandrake, fin dalla sua creazione nel
1934, era invece sempre accompagnato dal forzuto
servitore africano Lothar. Entrambi i personaggi
subirono però una netta revisione in senso
antirazzista da parte dell'autore, a partire dagli
anni '60 del '900. Così Guran, il capo dei pigmei
agli ordini di Phantom, assunse sempre più un ruolo
di confidente e di vecchio saggio, al posto della
caratterizzazione da rozzo "selvaggio ignorante" che
aveva all'inizio. Anche Lothar, da principio
descritto come un bonaccione lento di comprendonio,
si fece più intelligente e fu rivestito con abiti
moderni, al posto della pelle di leopardo che
indossava prima. Smise in pratica di essere un
assistente pittoresco ma intellettualmente
subordinato a Mandrake, per assumere un ruolo di
amico alla pari. L'autore gli restituiva così una
sua piena dignità, approfittando anche del fatto
che, già alla fine degli anni '30, ne aveva rivelata
l'elevata condizione di nascita: si trattava
nientemeno che di un re africano (!).
Ben più razzisti, e senza nessun ripensamento, erano
comunque i fumetti italiani del periodo fascista,
tra gli anni '30 e '40 del '900 obbligatoriamente
allineati alle direttive del regime attraverso le
censure del Minculpop. Si va dalle tristi tavole
comiche di De Seta, che mostrano Africani
ammaestrati da piccoli Balilla, Abissini presi a
manganellate da Italiani, o turpi Ebrei che rubano
la merenda ai bambini, fino a racconti seri ma
ridicoli come "Di un'Altra Razza", di Giacomo
Ponticelli, sulle disgrazie a cui va incontro un
italiano per aver sposato una donna turca,
mentre un
eroe dalla mascella mussoliniana come il forzuto
Dick Fulmine, creato da Baggioli e Cossio nel 1938,
per lo più malmenava delinquenti cinesi, ebrei, neri
o sudamericani.
Nell'Italia fascista non sarebbe evidentemente stata
possibile una serie di strisce avventurose come
quella statunitense contemporanea di Charlie Chan,
in cui il protagonista era un ispettore di Honolulu.
In compenso nel 1941, in barba ai divieti contro i
fumetti stranieri, fu brevemente pubblicato anche da
noi "Lone Ranger", benché col nome autarchico de "Il
Solitario della Foresta", un pistolero mascherato
nato alla radio nel 1933 e trasposto a fumetti nel
1938, il cui amico indiano, pur chiamandosi Tonto,
era sempre rappresentato con rispetto e dignità. Ma
all'epoca le sue storie in Italia furono
opportunamente selezionate, forse anche perché
spesso difendeva i diritti dei pellerossa, così come
faranno in modo ancora più deciso altri eroi western
successivi, come l'italiano Tex, l'argentino
Sergente Kirk o il francese Blueberry. Tex tra
l'altro, nel 1950, sarà il primo protagonista bianco
a sposare un'indiana, la principessa navajo Lilyth,
battendo sul tempo il film dello stesso anno
"L'Amante Indiana" di Delmer Davis e distinguendosi
così in senso antirazzista da eroi precedenti come
Tarzan e Phantom, che pur regnando su popoli
indigeni compiono lunghi viaggi per trovarsi una
moglie della propria "razza".
Un altro giustiziere mascherato nato alla radio è
"The Green Hornet" (Il Calabrone Verde), che appare
in albi a fumetti nel 1940 accompagnato dal partner
e autista giapponese Kato. Quest'ultimo personaggio,
soprattutto nella versione televisiva del 1966 in
cui sarà interpretato da Bruce Lee, finirà per
rubare la scena al protagonista, contribuendo a
combattere, oltre al crimine, anche le
discriminazioni razziali contro gli orientali,
diffusesi ulteriormente negli USA dopo la guerra
contro il Giappone.
Eroi neri piccoli e grandi
Una delle prime serie a fumetti che testimoniano la
consistente presenza della minoranza afroamericana
negli USA è quella del detective mascherato "The
Spirit", creata da Will Eisner nel 1940, in cui fin
dall'inizio appare un ragazzino nero di nome Ebony
che ben presto diventa l'assistente dell'eroe. La
sua rappresentazione e quella degli altri
afroamericani è però pesantemente caricaturale,
secondo lo stereotipo del "bovero negro" del Sud
ingenuo e confusionario. L'autore rimedia solo in
parte nel dopoguerra, conferendo a Ebony uno spazio
sempre maggiore, approfondendo la sua psicologia e
facendone in pratica il primo personaggio
afroamericano protagonista di interi episodi comici
davvero elaborari ed espressivi, per senza diventare
mai titolare di una serie. Ma nonostante le buone
intenzioni, non riesce a liberarlo dalla
caratterizzazione offensiva che gli aveva dato
all'inizio. Alla fine, nel 1949, preferisce
sostituirlo con un analogo personaggio bianco. Sarà
poi l'autore Darwyn Cooke, nelle nuove storie di
Spirit pubblicate in questi ultimi anni, a
rielaborare radicalmente il personaggio di Ebony,
sia nel carattere, molto più sveglio e moderno, che
nell'aspetto grafico, ora del tutto politicamente
corretto.
Da parte sua, Eisner avrà modo di testimoniare anni
dopo il suo convinto antirazzismo realizzando un
fumetto rispettosamente ispirato ad una storia
africana, "Sundiata - A Legend of Africa", sulla
vita di un bambino che crescendo diventa il
liberatore e fondatore dell'impero del Mali. Ma
soprattutto, essendo d'origine ebraica, Eisner
realizza romanzi a fumetti contro l'antisemitismo,
come "Fagin the Jew" (Fagin l'Ebreo), in cui
l'omonimo personaggio di Dickens è mostrato sotto
una luce più obiettiva, e "The Plot" (Il Complotto),
in cui l'autore dimostra la totale falsità del
documento "I Protocolli dei Savi di Sion", che fornì
la scusa per le leggi razziali naziste.
Un altro piccolo afroamericano è protagonista della
serie per bambini "Bumbazine and Albert the
Alligator", creata da Walt Kelly nel 1943, ma il
bimbo nero scompare poco dopo e il titolare delle
storie diventa l'opossum Pogo, mentre la serie
cambia sede e contenuti trasformandosi in una
striscia satirica per adulti.
Durante gli anni '50 del '900, contemporaneamente ai
primi film western filoindiani, come "L'Ultimo
Apache" di Robert Aldrich, appaiono anche diverse
serie a fumetti con protagonisti degli Indiani
d'America, come "Apache Kid" di John Buscema,
"American Eagle" di John Severin, "Turok" di Paul S.
Newman, "Kociss", "Yado" e "Zà la Mort" scritti dal
nostro Gianluigi Bonelli, l'umoristico "Oumpah-Pah"
dei francesi Goscinny e Uderzo, fino a "Winnetou",
realizzato nel 1963 dal tedesco Walter Neugebauer.
Con gli anni '60, cominciano a diffondersi fumetti
con vari personaggi interrazziali su un piano di
parità, come la serie per bambini "La Ribambelle"
(La Combriccola), creata nel 1962 dal belga Jean
Roba, e soprattutto le strisce di "Wee Pals"
(Piccoli Amici), create nel 1965 dall'afroamericano
Morrie Turner. Sempre nel 1965 appare anche il primo
albo statunitense con protagonista assoluto un eroe
afroamericano, "Lobo", un cowboy nero ricercato per
un omicidio che non ha commesso.
L'anno seguente Stan Lee e Jack Kirby creano, sulle
pagine dei
Fantastici Quattro, il primo supereroe di
colore, Black Panther (Pantera Nera), che prende il
nome dall'omonimo movimento politico afroamericano e
sotto il cui costume si cela T'Challa, re
dell'immaginario stato africano di Wakanda, una
nazione piccola ma dotata di una tecnologia
superiore, grazie allo sfruttamento in proprio di un
preziosissimo e quasi miracoloso minerale
energetico, un'opportunità che nella realtà gli
intrighi delle multinazionali non hanno finora mai
concesso a nessuno stato del continente nero.
Apparso in seguito anche nelle storie di altri
supereroi della Marvel, la Pantera Nera finisce per
trovare una sua collocazione nel gruppo dei
Vendicatori, con cui combatte tra l'altro contro la
setta razzista dei Figli del Serpente, arrivando poi
ad ottenere una sua serie personale scritta da Don
Mc Gregor, uno degli sceneggiatori più impegnati
contro il razzismo e non a caso autore nel 1989,
insieme al disegnatore Gene Colan, del bel ciclo
intitolato "Panther's Quest" (La Ricerca della
Pantera), in cui l'eroe nero si reca in Sudafrica
alla ricerca della propria madre e si scontra
inevitabilmente con l'Apartheid, la politica di
separazione razziale del governo dell'epoca.
Nel 1967 appare invece, come nemico del supereroe
Aquaman, il
supercriminale Black Manta (Manta Nera),
che insieme ad altri dello stesso gruppo etnico,
vuole stabilire un suo regno sottomarino nell'oceano
per sfuggire alle discriminazioni razziali del mondo
di superficie. Nello stesso anno esce anche il primo
albo a fumetti con protagonista una coppia di eroi
interrazziale, "I Spy" (ribattezzato in Italia
"Partita a Due"), tratto dall'omonima serie
televisiva in cui l'agente nero era interpretato
dall'attore Bill Cosby (oggi più noto come
interprete del telefilm "I Robinson"). Anche nelle
strisce avventurose della serie "Dateline: Danger!"
(da noi intitolata "Inviati Speciali"), che
esordisce nel 1968 con i testi di John Sunders e i
disegni di Alden Mc Williams, troviamo un
personaggio nero e uno bianco che collaborano alla
pari, in questo caso due giornalisti che affrontano
insieme difficili incarichi e problemi sociali di
vario tipo.
Un'ennesima coppia interrazziale si forma nel 1969,
quando al vecchio
supereroe patriottico Capitan
America viene affiancato l'afroamericano Falcon, che
per un certo periodo avrà il nome inserito nella
testata della serie, e con lui conquistano
giustamente un piccolo spazio, in una collana che
dovrebbe rappresentare lo spirito degli U.S.A.,
anche la minoranza etnica a cui appartiene e le
bande dei ghetti. Nello stesso periodo anche negli
albi di Spiderman (L'Uomo Ragno) appaiono i problemi
razziali, insieme ai movimenti di protesta e a vari
personaggi di colore, come il giornalista Joe
"Robbie" Robertson, apparso dal 1967.
Improvvisamente insomma la minoranza afroamericana è
rappresentata sempre più spesso anche nel mondo dei
supereroi. L'incredibile Hulk, avendo la pelle verde
ed essendo perseguitato dall'esercito, nei campus
universitari diventa un simbolo delle
discriminazioni razziali e nel 1970 fa amicizia con
un ragazzo nero di nome Jim Wilson, che è costretto
a rubare per sopravvivere e che per un breve periodo
diventa l'unico di cui il mostro verde si fidi.
Intanto, sempre nel 1970, anche nella striscia
comica Beetle Bailey di Mort Walker, che prende in
giro la vita militare, dopo vent'anni dall'inizio
della serie appare il primo soldato afroamericano,
il tenente Jackson Flap, che giustamente esordisce
chiedendo perché non ci siano altri neri in quella
caserma. Va detto, tanto per rendersi conto del
razzismo di quegli anni, che tre giornali del Sud e
lo stesso giornale dell'esercito U.S.A. rifiutarono
di pubblicare le strisce in cui appariva questo
personaggio.
Nello stesso anno esordisce la striscia satirica "Doonesbury"
di Garry Trudeau, inizialmente ambientata in un
campus universitario, tra i cui personaggi troviamo
l'attivista nero Calvin, costantemente impegnato a
protestare per i diritti civili, e il piccolo
afroamericano Rufus, a cui il protagonista Mike
Doonesbury dà ripetizioni, ma che, vivendo nel
ghetto, è per certi versi più maturo del suo
insegnante bianco. Sempre nel 1970 appaiono anche
due strisce con protagonisti assoluti degli
afroamericani, ma entrambe di effimera durata:
Quincy di Ted Shearer, su un ragazzino di periferia,
e Friday Foster di Lawrence e Longaron, su una bella
fotografa che vedrà terminare la sua serie dopo
appena quattro anni, benché nel 1975 ne venga tratto
un film.
Intanto escono anche albi con protagonisti
appartenenti ad altre
minoranze etniche, come
l'indiano bianco "Firehair" (Capelli di Fuoco) di
Joe Kubert del 1969 e il giustiziere indiano "Red
Wolf" (Lupo Rosso) di Gardner Fox e Syd Shores del
1972, che evidenziano e denunciano esplicitamente il
razzismo verso i pellerossa, o il più longevo "Shang-Chi,
Master of Kung-Fu", un eroe cinese creato nel 1973
da Steve Englehart e Jim Starlin, sulla scia del
successo dei film di Bruce Lee. Shang-Chi è un
personaggio complesso, un lottatore espertissimo e
letale ma anche sensibile, riflessivo e altruista,
che tenta di staccarsi da vecchi stereotipi a cui
però è ancora in parte legato, essendo il figlio
ribelle del genio del male Fu-Manchu, arcicriminale
cinese apparso in un ciclo di romanzi decisamente
razzisti scritti dall'inglese Sax Rohmer negli anni
'10 del '900.
Ha resistito meglio al passare del tempo, tanto da
essere riproposta anche di recente in una versione
aggiornata, la serie degli albi di "Luke Cage, Hero
for Hire" (Luke, Eroe a Pagamento), creata nel 1972
da Archie Goodwin e George Tuska, in cui il
protagonista è un afroamericano di Harlem condannato
ingiustamente all'ergastolo che, sottoposto in
prigione ad un esperimento, acquista una notevole
foza e una relativa invulnerabilità, poteri che gli
permettono di evadere e di rifarsi una vita sotto un
altro nome, come "supereroe in affitto".
Chi invece non si fa mai pagare per aiutare il
prossimo è Skorpio, un altro originale giustiziere
afroamericano dei bassifondi di New York, creato nel
1974 dagli argentini Eugenio Zappietro ed Ernesto
Garcia Seijas, in una serie in cui, per una volta,
un eroe nero è assistito da un comprimario bianco,
l'aitante prete d'origine irlandese padre Flanagan.
Più disincantata è la coraggiosa ed esplicita
denuncia della violenza xenofoba contenuta nel breve
racconto "Incubo Bianco", pubblicato nello stesso
anno dal francese Jean Giraud, in arte Moebius.
Un altre eroe di colore è Blade, l'uccisore di
vampiri, che esordisce nel 1973 sugli albi di
Dracula di Marv Wolfman e Gene Colan, per poi
diventare protagonista di proprie saltuarie
avventure dall'anno seguente e arrivare al successo
presso il grande pubblico dal 1998, con i film a lui
dedicati.
A volte i supereroi di colore esordiscono come
sostituti provvisori degli eroi bianchi: ad esempio
l'architetto nero John Stewart, nel 1972, viene
arruolato nel corpo intergalattico delle Lanterne
Verdi come riserva dell'agente del settore terrestre
Hal Jordan, all'interno di un bellissimo ciclo di
avventure della serie "Green Lantern" scritto da
Denny O'Neil e disegnato da Neal Adams, in cui
vengono affrontate varie problematiche sociali,
politiche e anche razziali. Stewart avrà poi
realmente l'occasione di sostituire Jordan, anche
come membro stabile della Lega della Giustizia
formata dai principali supereroi della DC Comics.
Del resto molti altri gruppi (sia della DC che della
Marvel) d'ora in poi comprenderanno dei supereroi di
colore, a partire da "Forever People" (Gli
Immortali), una specie di hippy alieni creati da
Jack Kirby nel 1971, a cui segue la seconda
formazione degli X-Men, ideata nel 1975 da Len Wein
e Dave Cockrum con membri di vari paesi, di cui la
mutante afroamericana Ororo Munroe, detta Storm
(Tempesta), diverrà in seguito il leader, sfidando
così sia i pregiudizi razziali che quelli sessuali.
Un altro supereroe sostituto è l'afroamericano Jim
Rhodes, apparso nel 1979, che da pilota personale
dell'inventore miliardario Tony Stark passa ad
indossare al suo posto l'armatura di Iron Man per un
certo periodo, sia quando Stark cade preda
dell'alcolismo, sia quando viene dato per morto. Un
ennesimo sostituto di colore di un eroe bianco è poi
Jason
Rusch, che nel 2004 diventa il secondo
Firestorm dopo la morte del primo, un supereroe
nucleare dotato della facoltà di trasmutare gli
elementi, apparso originariamente nel 1978.
Curiosamente in seguito il Firestorm originale
resuscita e i due personaggi si fondono in un'unica
entità: un bianco e un nero che acquistano
superpoteri condividendo lo stesso corpo, il massimo
dell'antirazzismo.
Coppie miste e afroamericani geniali
Con gli anni '70 del '900, nei fumetti arrivano
anche le prime storie d'amore interrazziali tra
bianchi e neri. Negli albi della serie "Killraven",
nata nel 1973 e ambientata in un futuro dominato dai
marziani, si innamorano l'ex-gladiatore
afroamericano M'Shulla e la biologa bianca Carmilla
Frost. Per la cronaca il primo bacio interrazziale
della storia del fumetto americano appare
nell'episodio del luglio 1975, disegnato da P.Craig
Russell; lo sceneggiatore naturalmente è Don
McGregor. In un episodio successivo della stessa
serie appare anche un gruppo di afroamericani
rifugiatisi nel sottosuolo per allontanarsi dalle
discriminazioni subite nel mondo di superficie. Un
rapporto molto più
breve è quello che lega il
malinconico detective bianco Alack Sinner, creato
nel 1974 dagli argentini José Munoz e Carlos
Sampayo, a una ragazza nera di nome Enfer,
nell'episodio "Città Oscura", ma nonostante ciò
qualche tempo dopo scoprirà di aver avuto una figlia
da lei.
Matrimoni interrazziali con relativa prole si
moltiplicano anche nei fumetti western dopo
l'uscita, nel 1972, del film "Jeremiah Johnson" (in
Italia "Corvo Rosso non Avrai il mio Scalpo") di
Sidney Pollack, in cui Robert Redford interpreta un
mountain man che sposa un'indiana. Lo stesso accade
subito dopo a tre analoghi personaggi dei fumetti:
"Buddy Longway", creato nel 1972 dal belga Derib,
"Jonathan Cartland", realizzato dal 1974 dai
francesi Harlé e Blanc-Dumont e "Ken Parker",
pubblicato dal 1977 dagli italiani Berardi e
Milazzo. Del resto unioni tra uomini bianchi e donne
indiane si erano già viste nei fumetti italiani,
oltre che nel già citato Tex, anche nella "Storia
del West" creata da Gino D'Antonio nel 1967, tra i
cui protagonisti trova posto anche l'afroamericano
Abele e in un episodio della quale, "Croce di
Fiamma", si mostrano le violenze del Ku Klux Klan ai
danni degli ex-schiavi del Sud. A questo proposito,
merita di essere citato, come una delle più belle
storie antirazziste a fumetti di tutti i tempi,
anche l'episodio di Ken Parker
"Adah", in cui
Berardi e Milazzo ripercorrono la vita di una
ex-schiava dimostrando come sempre grande
sensibilità umana e poetica, perfino nel raccontare
le peggiori atrocità.
Restando in ambito western, nel 1976 è l'indiano
cheyenne Watami, creato quattordici anni prima dagli
argentini Héctor G. Oesterheld e Jorge Moliterni, ad
avere una storia d'amore con una donna bianca, che
però muore, anche se il suo fantasma continua a
vegliare su di lui. Una situazione abbastanza simile
si ripete brevemente anche nella serie "Wakantanka",
iniziata sempre da Oesterheld nel 1977. Più leggera
e scanzonata è la serie di Gino D'Antonio del 1984
"Bella e Bronco", su una coppia mista di
simpatici
lestofanti del West: un indiano civilizzato e una
sensuale bionda. Quest'ultima nel primo numero
supera i suoi pregiudizi razziali rendendosi conto
che il sesso non è per niente diverso anche se fatto
con un pellerossa.
Intanto nel 1977 la DC Comics risponde a "Luke Cage"
e a "Black Panther" della Marvel, dedicando
anch'essa una testata a un supereroe di colore:
"Black Lightning" (Fulmine Nero), dotato del potere
di controllare i campi bioelettrici, ma la serie
chiude sopo un solo anno e l'eroe è recuperato
cinque anni dopo come membro del gruppo degli
Outsiders guidato da Batman. Sono invece un ragazzo
nero e una ragazza bianca i due supereroi "Cloak and
Dagger" (Cappa e Spada), apparsi per la prima volta
nelle storie dell'Uomo Ragno nel 1982 e poi
protagonisti di una propria serie, due giovani che a
causa di una nuova droga sperimentale acquistano il
potere di manipolare rispettivamente le tenebre e la
luce e che usano tali facoltà per combattere
soprattutto contro spacciatori e trafficanti di
stupefacenti.
Sempre nel 1982, l'umorista Berke Breathed crea le
strisce della serie
"Bloom County" e, tra i bambini
che ne sono protagonisti appare il piccolo
afroamericano Oliver Wendell Jones, che giusto per
dimostrare l'assurdità di ogni teoria razzista, è un
giovane genio del computer, un vero e proprio
cervellone, capace di incredibili invenzioni ed
esperimenti informatici ai limiti del
fantascientifico. Ma è forse l'ambito musicale
quello in cui sarebbe più difficile mettere in
dubbio le grandi capacità degli interpreti
afroamericani, a cui non a caso alcuni fumettisti
hanno tributato doverosi omaggi.
Tra il 1975 e il 1984, è l'autore underground Robert
Crumb a raccontare a fumetti la vita leggendaria di
alcuni musicisti neri di Blues. Un altro musicista
di colore, ma di Jazz, è il protagonista de "L'Uomo
di Harlem", pubblicato da Guido Crepax nel 1979, che
vive una storia d'amore mancata con una ragazza
bianca, cercando di salvarla da dei gangsters. Nel
1990, nella storia "Blues" di Sergio Toppi, il
fantasma di un sassofonista afroamericano esce da
una vecchia foto e se ne va in giro a suonare,
evocando altri spettri del passato, mentre nello
stesso anno Munoz e Sampayo narrano a fumetti la
vita della grande cantante nera Billie Holiday.
Passando al poliziesco, troviamo un paio di coppie
interetniche in stile
Starsky e Hutch: quella di
"Detectives Inc.", un'originale miniserie dalla
grafica sperimentale incentrata sulla collaborazione
tra un investigatore bianco e uno nero, pubblicata
nel 1985 da Don Mc Gregor e Marshall Rogers, e
quella di "Nick Raider", una serie italiana meno
raffinata ma più longeva iniziata nel 1988, in cui
l'omonimo poliziotto della squadra omicidi fa coppia
con l'agente afroamericano Marvin Brown.
Rientrano invece nella fantascienza sociologica, due
serie in cui i conflitti etnici sfociano nel futuro
in vere e proprie guerre razziali: "Jeremiah",
creata nel 1978 dal belga Hermann Huppen e "Give Me
Liberty", pubblicata nel 1990 da Frank Miller e Dave
Gibbons. La protagonista di quest'ultima, la giovane
afroamericana Martha Washington, dotata di istintive
abilità informatiche, dopo essere riuscita ad
evadere da un ghetto che è di fatto una vera e
propria prigione, prima impara a sopravvivere
ferocemente per strada e poi si arruola nelle forze
d'invasione statunitensi, che dopo l'inattesa nomina
di un presidente liberal-democratico, vengono
impiegate per difendere l'ecosistema contro gli
eserciti mercenari delle multinazionali.
Nel 1993, dopo la provvisoria morte di Superman, tra
coloro che tentano di sostituirlo c'è il nuovo
supereroe Steel (Acciaio), sotto la cui armatura
tecnologica si cela lo scienziato afroamericano John
Henry Irons e che l'anno seguente diventa titolare
di una sua serie. Steel, oltre che contro le bande
da strada, combatte le compagnie produttrici di armi
e droga e dalla sua serie è stato anche tratto un
film.
Sempre nel 1993, un gruppo di fumettisti
afroamericani fonda l'etichetta Milestone Comics
(collegata alla DC Comics), che produce quasi
esclusivamente testate dedicate a supereroi di
colore: "Icon", un alieno mutaforma dotato di poteri
ancora più vasti di quelli di Superman; "Static",
l'ennesimo afroamericano dai poteri
elettromagnetici; "Hardware", un altro eroe nero in
armatura considerato uno dei più brillanti
scienziati del pianeta; o il gruppo multiculturale
"Blood Syndacate", composto da superumani di varie
etnie.
E' un fumettista afroamericano anche Aaron McGruder,
che nel 1996 crea
le strisce della serie "The Boondocks" (Le Benefiche Accuse), in cui fa satira
sulla politica e la cultura americana attraverso i
sarcastici e arguti commenti del protagonista, il
piccolo nero radicale Huey Freeman, approdato poi in
TV nel 2005 sotto forma di cartone animato.
Contemporaneamente, nella serie horror "House of
Secrets" (La Casa dei Segreti), creata nel 1996 da
Steven Seagle e Teddy Kristiansen, compare un
tribunale spettrale in cui il ruolo dell'avvocato
difensore è svolto dal fantasma di Ruby, una giovane
afroamericana dell'Alabama che trent'anni prima è
stata brutalmente aggredita, accecata e assassinata
da dei razzisti per aver fatto l'amore con un
ragazzo bianco.
Un altro eroe di colore, Michael Holt, atleta e
inventore, esordisce nel 1997 nella Società della
Giustizia col nome di Mister Terrific. Creatore di
dispositivi miniaturizzati di intelligenza
artificiale, Mr. Terrific, a dispetto di tutti i
pregiudizi razziali, ricopre il ruolo di presidente
del gruppo ed è considerato uno dei tre uomini più
intelligenti del mondo.
Nel 1999 Alan Moore e Chris Sprouse, con la serie di
"Tom Strong", creano invece quella che si potrebbe
considerare una versione antirazzista dei vecchi
eroi pulp, con il protagonista, nato nel 1900 e
rimasto orfano, che viene allevato amorevolmente
dagli indigeni di un'immaginaria isola delle Indie
Occidentali e in seguito sposa la principessa locale
Dalhua, avendo una figlia da lei, la geniale e
scapestrata adolescente di colore Tesla Strong. Tra
l'altro, tutti su quell'isola si nutrono di una
radice che ne accresce la longevità e ne potenzia
l'intelligenza, rendendoli in pratica fisicamente e
intellettualmente superiori alla maggioranza dei
bianchi. In un episodio Alan Moore si diverte anche
a creare una realtà alternativa in cui il padre di
Tom è un marinaio nero invece di uno scienziato
bianco e quindi l'eroe stesso, la prima volta che va
negli Stati Uniti negli anni '20 del '900, deve
scontrarsi coi pregiudizi locali per il colore della
sua pelle. Tra gli ultimi protagonisti di colore di
un fumetto si può citare anche l'avvocatessa Pepper
Russell, creata nel 2008 da Luciano Secchi e Dario
Perucca, il primo personaggio afroamericano a cui
sia stato intitolato un albo italiano.
Favolosa e tormentata è infine l'intensa storia
d'amore tra l'araba Dodola e il nero Zam, nel
bellissimo (e lunghissimo) romanzo a fumetti
"Habibi", pubblicato nel 2011 dall'americano Craig
Thompson, che attinge a piene mani alle tradizioni
mistiche mediorientali nel raccontare come il
rapporto tra i protagonisti, due giovanissimi
schiavi in fuga, si evolve gradualmente da un legame
protettivo di tipo materno, finché ritrovandosi dopo
una lunga separazione entrambi prigionieri
nell'harem di un sultano, la loro passione
spirituale si dimostrerà capace di superare e
trascendere ogni cosa, in un sentimento ben espresso
dal titolo che in arabo significa "mio amato".
Considerate le elevate capacità intellettive di
molti di questi ultimi personaggi, è evidente che
anche nei fumetti gli afroamericani hanno fatto
parecchia strada dai tempi del "negretto" Bilbolbul
del "servo" Lothar. I razzisti nei fumetti di oggi
sono giustamente relegati al ruolo di cattivi, come
l'assassino Bloodsport apparso nelle storie di
Superman nel 1993, che non solo massacra tutti i
neri che incontra ma anche i bianchi che hanno
rapporti con loro, in una sinistra anticipazione di
stragi reali come quella di Firenze del dicembre
2011. Viene allora da chiedersi: se uno
sceneggiatore americano, già vent'anni fa, aveva
saputo percepire nell'aria la persistenza di una
tale aberrante intolleranza, come mai noi non
abbiamo potuto prevederla ascoltando i tanti
discorsi inneggianti alla violenza dei troppi idioti
razzisti che ci circondano?
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