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Il razzismo o La
paura dello straniero
E' inutile tentare di negare la presenza del
razzismo nella società occidentale. Fateci
caso. Spesso certi tipi che dichiarano con
forza di non essere razzisti, hanno appena
terminato di enunciare una lunga serie di
affermazioni totalmente e gratuitamente
razziste....
di
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Il razzismo o La paura dello
straniero
E' inutile tentare di negare la presenza del
razzismo nella società occidentale. Fateci caso.
Spesso certi tipi che dichiarano con forza di non
essere razzisti, hanno appena terminato di enunciare
una lunga serie di affermazioni totalmente e
gratuitamente razziste.
Come tutti ricorderanno, il tredici dicembre 2011, a
Firenze, un idiota assassino toscano, prima di
suicidarsi, ha barbaramente trucidato due uomini e
ne ha feriti gravemente altri tre. Qualcuno può
pensare che quelle persone sarebbero state
massacrate ugualmente se non fossero stati dei
senegalesi, se non avessero avuto cioè un colore
della pelle diverso da quello del loro aggressore?
Gianluca Casseri, l'assassino in questione,per di
più era in qualche modo un nostro "collega" (benché
un collega di cui avremmo fatto volentieri a meno),
in quanto curava una fanzine letteraria sul genere
fantastico, il ché può farci percepire come la
violenza fanatica e il modo di (non) ragionare
aberrante dei razzisti possano annidarsi anche
vicino a noi, in persone che condividono anche
alcune nostre passioni e interessi. Ma i gusti
letterari di certi fanatici saranno davvero simili
ai nostri?
Nel primo numero della sua fanzine il Casseri aveva
scritto che dopo Dune non gli era "capitato di
leggere un solo romanzo di fantascienza degno di
questo nome, né dopo Shining di vedere un solo film,
né dopo Conan di rimirare un solo fumetto", per poi
vantarsi della sua "intransigenza". Le opere citate
uscirono tra il 1965 e il 1980. Forse i loro
protagonisti aggressivi e feroci facevano
particolarmente presa su un estremista di destra
cultore della violenza come lui? Può darsi, ma ne
sono apparsi di ben più violenti negli anni
successivi.
Solo che in precedenza non esisteva ancora il
concetto del "politicamente corretto" e buona parte
dei media propagandava spesso idee razziste e
discriminatorie, finendo anche, nei casi più
estremi, per sostenere esplicitamente la dominazione
e la violenza etnica.
Ad esempio, in un romanzo del '700 come "Robinson
Crusoe", si possono leggere le più ingenue ed
ipocrite tesi razziste basate sulla sopraffazione
coloniale,
religiosa e culturale dei popoli indigeni di paesi
lontani, descritti in questa e altre opere d'epoca
come selvaggi barbari e superstiziosi, in base ai
pregiudizi dei cosiddetti uomini civili, ovvero di
quella arrogante "civiltà del profitto" che, con la
scusa di imporre le superstizioni cristiane, ha
schiavizzato e depredato mezzo mondo e che, pur di
non restituire alle sue vittime di ieri neanche le
briciole di ciò che ha sottratto loro, spesso
preferisce continuare a demonizzarle.
Non dimentichiamo, per fare un altro esempio, che il
primo lungometraggio americano del 1915, "Nascita di
una Nazione" di Griffith, così come il romanzo e il
dramma teatrale da cui era tratto, aveva per
protagonista un "eroico" membro del Ku Klux Klan che
lottava contro bande di ribelli neri "cattivi", un
soggetto che giustamente oggi sarebbe bollato come
razzista da chiunque abbia
un minimo di intelligenza e cultura, ma che
all'epoca provocò accese proteste solo da parte
della gente di colore. Subito dopo l'uscita di
questo film, oltre a gravi violenze isolate ai danni
dei neri, si assistette ad una improvvisa rinascita
del movimento razzista del Ku Klux Klan, ma la cosa
più allucinante è che le tesi piene di pregiudizi
che vi erano sostenute furono largamente condivise
dagli storici statunitensi bianchi almeno fino alla
metà del '900. Ai neri era perfino negato di
recitare nel ruolo di sé stessi: tanto nella
pellicola di Griffith che nel primo film sonoro del
1927, "Il Cantante di
Jazz", i ruoli degli afroamericani erano
interpretati da bianchi con la pelle annerita.
Ancora negli anni '40, il Federal Theatre era stato
chiuso dal comitato governativo "per le attività
antiamericane" per aver osato mettere in scena un "Macbeth",
diretto da Orson Welles, interpretato esclusivamente
da attori di colore. Uno dei primi registi a
denunciare le discriminazioni razziali, Edward
Dmytryk, autore nel 1947 del film "Odio
Implacabile", fu perseguitato dal solito comitato
inquisitorio governativo, condannato a sei mesi di
carcere e poi costretto ad emigrare in Europa per
poter continuare a lavorare.
D'altronde è certo che razzismo e xenofobia non
esistono solo tra i bianchi nordici: sono stati
ferocemente razzisti verso le loro diverse etnie gli
abitanti di società chiuse come quella dell'Isola di
Pasqua, di antiche civiltà come quelle del Medio e
dell'Estremo Oriente, di paesi africani come il
Ruanda, né sono mai mancate, nella storia di tutto
il mondo, le popolazioni d'ogni colore che
considerassero come nemici e prede da sopprimere
spietatamente tutti quelli al di fuori del loro
piccolo gruppo. Se si guarda al passato della
maggioranza dei popoli, compresi in particolare
quelli monoteisti, si vede chiaramente come il
precetto di non uccidere, o in generale di
rispettare gli
altri, fino a relativamente poco tempo fa venisse
fatto valere solo per gli appartenenti al proprio
gruppo etnico, religioso o nazionale, l'unico a cui
si riconoscesse la piena umanità, in una logica che
si può definire di razzismo tribale e che purtroppo
non è ancora del tutto scomparsa.
Forse il punto è che alla base di ogni violenza e
odio razziale c'è sempre la paura: paura atavica di
essere minacciati da altri popoli, paura di
confrontarsi alla pari con chi è solo in apparenza
diverso, paura di perdere i propri "privilegi",
paura di essere uguali a ogni altro abitante del
pianeta e
superiori a nessuno, paura di essere noi gli
inferiori o i più deboli, paura di soccombere se non
ci si dimostra aggressivi fino ad arrivare a negare
l'umanità dell'altro, paura della responsabilità
delle nostre crisi personali o collettive che porta
alla ricerca di facili capri espiatori, paura di
ammettere
che spesso i "mostri" siamo stati noi e non coloro
che abbiamo discriminato, paura di scoprire di
essere dei completi ignoranti rispetto alle altre
culture e che certi pregiudizi sono privi di ogni
fondamento.
Infatti sarà bene ricordare che scientificamente
esiste un'unica razza umana, la cui reale evoluzione
è spesso passata attraverso ogni sorta di incroci e
fusioni tra le sue varie etnie. E' solo per
giustificare il loro opportunistico razzismo che le
etnie dominanti dell'antichità hanno creato dei miti
su misura, come quello indiano del dio universale
dal cui torso avrebbero preso vita le
caste superiori ariane dalla pelle chiara e dai cui
piedi sarebbe nata la casta dei lavoratori dalla
pelle più scura, o quello biblico dello scuro Cam,
condannato dal padre Noè a diventare lo schiavo dei
fratelli più chiari insieme ai suoi discendenti, una
storia immaginaria usata per secoli dai Cristiani
per dare ridicole motivazioni "religiose" ad un
inumano ed economicamente conveniente schiavismo
razziale. Anche per questo vari afroamericani
emancipati, come Malcolm X e Cassius Clay, si
convertirono all'Islam, forse senza rendersi conto
di come anche i popoli arabi, che condividono molti
miti con la tradizione ebraico-cristiana, hanno per
secoli praticato lo schiavismo
ai danni degli africani neri.
Fortunatamente, a dispetto di chi ancora coltiva
arretrati modi di pensare incentrati sull'odio verso
altri popoli, gran parte della letteratura e
narrativa degli ultimi decenni ha fatto propri quei
minimi principi di uguaglianza, tolleranza,
comprensione e solidarietà verso le altre culture di
cui oggi c'è più che mai bisogno e che sono sempre
stati diffusi dagli scrittori più umanisti e
illuminati, come confido che anche gli autori di
questo numero della nostra rivista possano in
qualche modo testimoniare.
Andrea Cantucci
redattore della sezione arti visive
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
31 agosto 2012. Il prossimo tema:
crisi.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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