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Verde antico
di Andrea Cantucci

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Verde antico
 

Oh dea Nut, fai verde la terra come tu sei verde,
come il re è verde, come le piante verdi dei vivi.
da "I Testi delle Piramidi"

La parola "verde" deriva dall'egiziano antico "vrd", che oltre al colore omonimo, indicava anche i concetti di esistenza, frescura e rigoglio, cosìcché in egiziano, per dire "essere vivi" si diceva "essere verdi". In latino diventò "viridis", che, oltre al colore, significava anche giovane, forte, vigoroso, fiorente e fresco e, nella stessa lingua, aveva una certa assonanza con i vocaboli "vir", "uomo" e "virtus", "valore". Ciò che è verde rimandava insomma alla vita, e precisamente al periodo in cui si è giovani e nel pieno delle forze. Alberi e piante infatti perdono il colore quando l'estate cede il posto all'autunno, rinnovandosi alla primavera successiva, in un ciclo virtualmente interminabile. Perciò il verde era simbolo di rigenerazione, resurrezione e immortalità, concetti rappresentati soprattutto dagli alberi "sempreverdi".
Ma il verde era ovviamente il colore di ogni albero venerato dagli antichi, dalla quercia, sacra a molti popoli europei, al frassino, adorato in particolare dai Vichinghi, dalla betulla e l'abete, simboli cosmici per gli sciamani siberiani, all'olivo, sacro ai popoli mediorientali, dal lauro, simbolo di immortalità per i Cinesi, al ciliegio, dotato di poteri benefici secondo i Giapponesi. Il fico invece secondo molti sarebbe stato l'albero originale del mitico paradiso terrestre, poiché era ritenuto fonte di fecondità e conoscenza tanto dai popoli mediterranei quanto dagli Indiani e dai Buddisti, che lo considerano l'albero dell'illuminazione. Gli Egizi identificavano sia il fico che la palma con l'albero della vita che nutre gli dèi e col pilastro simbolo del dio Osiride.
In Egitto Osiride, che era chiamato il "Grande Verde" e veniva spesso raffigurato con la pelle di quel colore, era il dio che moriva e resuscitava periodicamente nei rituali stagionali, incarnando la rinascita della natura e in particolare del grano, con cui il suo corpo era identificato. Allo stesso modo, nell'aldilà di cui era il signore, faceva resuscitare a nuova vita i defunti. Anche altri dèi egizi connessi alla fertilità del suolo, come il dio Ptha o il dio della terra Geb, erano a volte raffigurati con la pelle del tutto o parzialmente verde.
Presso gli Etruschi, il nome del dio che presiedeva al cambio di stagione era invece Vertumno, dal verbo "vertere" che significava "mutare", ma l'assonanza col colore di cui stiamo parlando non può essere casuale. Il potere più tipico di Vertumno, oltre a dispensare frutti a volontà dalla sua cornucopia, era naturalmente quello di ringiovanire dopo essere invecchiato.
Analoghe divinità del Verde, tutte collegate alla fertilità, alla resurrezione e all'immortalità si ritrovavano anche in molte altre culture antiche, dal dio sumero Dumuzi al suo corrispondente babilonese Tammuz, il "Padre della Vegetazione" di cui in estate si piangeva la morte in attesa del suo ritorno, dal frigio Attis, dio dei pini sempreverdi di cui si celebrava la morte e risurrezione nello stesso periodo dell'attuale Pasqua, fino al greco Dioniso, il "dio dai verdi frutti" a cui erano sacri tutti gli alberi ma in particolare l'edera, la vite e il vino. E' evidente come dai culti di tali dèi della natura e dal loro simbolismo siano poi derivati i miti e i rituali cristiani, in cui però la gioiosa ebbrezza vitale che spesso li caratterizzava fu sepolta da inibizioni e contenuti moralistici.
Il verde è anche simbolo della salute, in quanto è il colore delle piante magiche che donano l'immortalità e proteggono da ogni male, in antichi miti come quelli di Gilgamesh o di Ulisse. Non a caso gli Egizi usavano indossare talismani verdi come portafortuna, portavano abiti verdi nei giorni di festa e si truccavano gli occhi con tinture dello stesso colore, a somiglianza dell'occhio del dio solare Horus che, nel mito, dopo essere andato perduto, era stato ricreato di colore verde, come simbolo dell'avvenuta guarigione.
Del resto erano decisamente verdi anche molti dei paradisi dell'antichità, i luoghi dove i morti resuscitavano per vivere per sempre. Già nella mitologia egizia, riferimento per molte tradizioni successive, l'aldilà era collocato in un luogo celeste chiamato "Campo Verde" o "Lago di Smeraldo". La stessa parola "paradiso", derivata dal persiano, significava originariamente "giardino", mentre ancora oggi nella tradizione cristiana si parla di "Verdi Pascoli del Cielo".
Dovevano essere verdi anche i Campi Elisi dei miti greco-romani, dove risiedeva il dio Saturno (da "sator", "seminatore"), che aveva regnato sul mondo nella mitica Età dell'Oro, un'era di armonia e simbiosi con la natura, che forse rievocava arcaiche società agresti matriarcali e prefigurava già le aspirazioni ambientaliste di ritorno alla Madre Terra. L'epiteto di dea madre dato alla natura coincideva col nome della dea greca della fertilità Demetra, chiamata anche "spiga verde di grano", a cui erano sacri i prati e i fiori, mentre la dea latina Venere, in origine probabilmente associata anch'essa alla vegetazione, nei suoi riti sacri era rappresentata con i "capelli verdi della primavera".
Altri verdi giardini paradisiaci apparivano nell'antico mito mesopotamico dell'albero della vita, che si diceva sorgesse vicino alla città di Eridu, così come in quello del biblico Eden, collocato proprio tra i fiumi della Mesopotamia e forse ispirato ai giardini pensili di Babilonia, o nel mito greco del giardino delle Esperidi, col suo albero dai pomi d'oro, o ancora nel magico frutteto della dea scandinava Idunn, tutti luoghi dai nomi abbastanza simili (e dalla vaga assonanza con la parola "verde"), in cui erano sempre custoditi dei frutti che donavano l'immortalità, spesso difesi od offerti da un grande serpente o drago, altra antica metafora della rinascita, della salute e della fertilità, in un simbolismo dalle valenze anche sessuali.
Non è un caso che alcuni di questi verdi paradisi fossero collocati non in cielo ma in luoghi circondati da fiumi, o su vere e proprie isole, poiché l'acqua è un altro simbolo della fertilità primordiale, anticamente associato al dio serpente e al colore verde. Dagli egizi infatti anche il mare era chiamato "il Grande Verde" ed è sempre dal mare che nacque la dea greca Afrodite, visto che dall'acqua trae esistenza e nutrimento la vita. Perfino Pinocchio, nel libro originale di Collodi, viene preso nella rete di un "pescatore verde", il cui colore non può che essere dovuto alla vicinanza con l'elemento liquido da cui trae sostentamento.
Ma l'isola verde per eccellenza è l'Irlanda e vestiti di verde erano molti folletti locali, tra cui i più caratteristici, i Leprecauni, celavano la loro notevole forza sotto apparenze gracili, incarnando così i poteri nascosti della natura vegetale. Lo stesso si può dire per le fate, creature elementali affini alle ninfe greche, che come loro abitavano particolari piante, fonti, o comunque luoghi immersi nella natura, personificando il Verde sia nel suo aspetto vegetale che in quello liquido.
Si diceva che la pianta preferita delle fate fosse il timo, ma la Dama Verde di Caerphilly assumeva invece l'aspetto dell'edera, mentre le belle e subdole ninfe delle acque chiamate Glaistig portavano lunghe vesti verdi per nascondere le gambe caprine. In Inghilterra poi si temevano le mostruose streghe verdi, che si riteneva vivessero all'interno di certi fiumi particolarmente pericolosi.
Anche in molte leggende celtiche si ritrovavano le isole dell'immortalità, chiamate "Isole Felici" e descritte come ricche di verdi pascoli. Nella tradizione irlandese prendevano nomi come Tir nan Og, "Terra della Gioventù", o Tir fa Thon, "Terra sotto l'Onda", una sorta di aldilà sottomarino che in una versione gallese era chiamato "i Verdi Prati dell'Incanto". Allo stesso modo, doveva essere verde anche l'isola fatata di Avalon, che significava "Terra delle Mele". L'etimologia del nome, affine all'inglese "apple", rimandava anche al dio Apollo, che con le Muse presiedeva alle arti nei verdi giardini del monte Parnaso e che, avendo trionfato sul serpente Pitone che custodiva l'oracolo di Delfi, era il dio della rivelazione occulta.
Per i Celti infatti era il melo ad essere considerato l'albero della conoscenza e della rivelazione, i cui frutti cancellavano fame, dolore o malattie; è quindi ad Avalon che venne condotto re Artù morente perché potesse "guarire". In alcune versioni della storia, là era anche conservato il sacro Graal, altro simbolo per eccellenza di guarigione e vita eterna, che, secondo una leggenda islamica, sarebbe stato anch'esso di colore verde, in quanto ricavato da uno smeraldo. La sacra coppa poteva essere semplicemente un'altra versione del mistico frutto dell'immortalità, mentre una reminiscenza del drago che lo sorvegliava sembrava sopravvivere nel cognome del re ferito, Arthur Pendragon.
Aveva una certa assonanza con la parola "verde" anche il nome di Erda, o Jord, la dea nordica della terra (da cui deriva l'inglese Earth), così come quello del leggendario mago gallese Myrddin o Merddin (reso in latino come Merlinus e in italiano Merlino), che in alcune delle versioni medievali più antiche era descritto come un folle uomo selvatico che profetizzava immerso nel verde della foresta. L'origine del personaggio va certo ricondotta, se non ad una divinità vera e propria, almeno all'archetipo dei sacerdoti celtici, i druidi, che compivano i loro riti in radure consacrate all'interno di boschi profondi e disabitati. Era tale il loro legame con la vegetazione che ancora oggi in gallese la parola per "mago", gwyddon, è un derivato di gwydd, che significa "albero". Nel poema gallese "Cad Goddeu" ("La battaglia degli Alberi"), il mago Gwyddyon (come dire il mago per eccellenza), trasformava i guerrieri britanni in piante perché potessero sopraffare i loro nemici.
Altri uomini selvatici, con facoltà più o meno magiche, o identificabili con quello che nel folclore britannico era chiamato il "Green Man", l'"Uomo Verde", personificazione della natura, erano presenti anche in testi scozzesi o irlandesi. Ma il più emblematico e originale era forse quello di un poemetto inglese del trecento, "Sir Gawain e il Cavaliere Verde". Il protagonista raccoglieva la sfida di un uomo misterioso dal colore e i vestiti interamente verdi, che sopravviveva al taglio della testa e dava appuntamento all'eroe l'anno seguente in un luogo chiamato la Cappella Verde, per rendergli il colpo ricevuto. Forse la storia derivava da riti legati ai cicli naturali, poiché il Cavaliere Verde sembrava un essere affine agli antichi dèi vegetali, di cui aveva sia l'immortalità che la capacità di ritornare nella giusta stagione. Il fatto che Gawain dovesse prenderne il posto l'anno seguente, sottomettendosi a sua volta al taglio della testa, poteva rappresentare un avvertimento, un contrappasso per l'offesa arrecata allo spirito sacro della natura, ma rievocava anche i sacrifici umani, laddove sacrificarsi significava "diventare sacro", cioè offrirsi simbolicamente alla morte rituale per identificarsi col dio che muore e resuscita ciclicamente in tutte le cose.
Circa nello stesso periodo, sempre in Inghilterra, i beffardi spiriti verdi dei boschi sembrarono essere impersonati da una banda di briganti, nelle ballate con protagonisti Robin Hood e i suoi allegri compagni della foresta di Sherwood, vestiti di verde per mimetizzarsi (o identificarsi?) con la vegetazione. Anche se pare sia esistito più d'un personaggio storico così chiamato, alcuni studiosi di folclore hanno voluto riconoscere nel celebre fuorilegge, o nella figura che impersonava, una derivazione dal folletto Robin Goodfellow, che come lui portava una piuma colorata sul cappello (Robin in inglese significa "pettirosso"), o da divinità nordiche più o meno incappucciate (Hood vuol dire "cappuccio"), come il dio germanico Hodekin, o il dio scandinavo Hödr, che dimostrava grande abilità con l'arco pur essendo cieco. Ma gli scrittori che, raccogliendo e ridefinendo la leggenda, a partire dal 1600 ne fecero un eroe d'origini nobiliari, ignorarono del tutto le possibili implicazioni mitologiche del personaggio di Robin Hood, così come i riferimenti religiosi al culto mariano (versione cristiana del culto della dea madre), che ricorrevano nelle sue prime ballate.
La più antica ballata di Robin Hood giunta fino a noi, si svolgeva tra l'altro a Maggio e Maggio in origine significava "mese di Maia", l'antica dea italica dei frutti e della fertilità, poi sostituita nel Cristianesimo dalla quasi omonima Maria, a cui ancora oggi è dedicato quel mese. In quel periodo o poco prima, in tutta Europa e in particolare a Firenze, si svolgevano le processioni del Maggio, ovvero la festa della Primavera, con lo spirito arboreo rappresentato da un giovane o un pupazzo rivestito di foglie o fiori. Per gli inglesi era "Jack in the Green", "Gianni nel Verde", che ricoperto di edera e agrifoglio ballava in giro il giorno del Primo Maggio; per Slavi e Rumeni era il Verde Giorgio, che veniva festeggiato e gettato in acqua nel giorno di San Giorgio. Anche questo leggendario eroe uccisore di un drago, quindi riconducibile ai simboli del giardino dell'immortalità, era tradizionalmente raffigurato con una cappa verde non troppo diversa da quella di Robin Hood.
Consapevole di maneggiare questo materiale mitico, sia pure in forma riadattata per i bambini, fu il commediografo James Matthew Barrie, quando ai primi del XX secolo diede vita a un altro eroe vestito di verde ma dichiaratamente magico col suo "Peter Pan", che ereditava il nome di un dio greco della natura, indossava "foglie secche e umori che stillano dagli alberi" e, come una divinità o un folletto, abitava con le fate in un'isola in cui tutti restavano eternamente giovani…"sempreverdi" si potrebbe anche dire.
La costante comune alla maggior parte di questi personaggi, simili a verdi elfi, è proprio il legame con l'antico significato di vivo, forte, vigoroso, fiorente e fresco, che questo colore aveva e magari potrà continuare ad avere, almeno fino a quando l'Umanità riuscirà a non distruggere tutto il Verde del mondo.

Andrea Cantucci


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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
31 maggio 2014. Il prossimo tema: La musica.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
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