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Editoriale
Progetto Emmaus
Il romanzo thriller di Marco Bazzato, autore
de
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di
Marco Bazzato
Caffè Letterario Musicale
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Verde antico
Oh dea Nut, fai verde la terra come tu sei verde,
come il re è verde, come le piante verdi dei vivi.
da "I Testi delle Piramidi"
La parola "verde" deriva dall'egiziano antico "vrd",
che oltre al colore omonimo, indicava anche i
concetti di esistenza, frescura e rigoglio, cosìcché
in egiziano, per dire "essere vivi" si diceva
"essere verdi". In latino diventò "viridis", che,
oltre al colore, significava anche giovane, forte,
vigoroso, fiorente e fresco e, nella stessa lingua,
aveva una certa assonanza con i vocaboli "vir",
"uomo" e "virtus", "valore". Ciò che è verde
rimandava insomma alla vita, e precisamente al
periodo in cui si è giovani e nel pieno delle forze.
Alberi e piante infatti perdono il colore quando
l'estate cede il posto all'autunno, rinnovandosi
alla primavera successiva, in un ciclo virtualmente
interminabile. Perciò il verde era simbolo di
rigenerazione, resurrezione e immortalità, concetti
rappresentati soprattutto dagli alberi
"sempreverdi".
Ma il verde era ovviamente il colore di ogni albero
venerato dagli antichi, dalla quercia, sacra a molti
popoli europei, al frassino, adorato in particolare
dai Vichinghi, dalla betulla e l'abete, simboli
cosmici per gli sciamani siberiani, all'olivo, sacro
ai popoli mediorientali, dal lauro, simbolo di
immortalità per i Cinesi, al ciliegio, dotato di
poteri benefici secondo i Giapponesi. Il fico invece
secondo molti sarebbe stato l'albero originale del
mitico paradiso terrestre, poiché era ritenuto fonte
di fecondità e conoscenza tanto dai popoli
mediterranei quanto dagli Indiani e dai Buddisti,
che lo considerano l'albero dell'illuminazione. Gli
Egizi identificavano sia il fico che la palma con
l'albero della vita che nutre gli dèi e col pilastro
simbolo del dio Osiride.
In Egitto Osiride, che era chiamato il "Grande
Verde" e veniva spesso raffigurato con la pelle di
quel colore, era il dio che moriva e resuscitava
periodicamente nei rituali stagionali, incarnando la
rinascita della natura e in particolare del grano,
con cui il suo corpo era identificato. Allo stesso
modo, nell'aldilà di cui era il signore, faceva
resuscitare a nuova vita i defunti. Anche altri dèi
egizi connessi alla fertilità del suolo, come il dio
Ptha o il dio della terra Geb, erano a volte
raffigurati con la pelle del tutto o parzialmente
verde.
Presso gli Etruschi, il nome del dio che presiedeva
al cambio di stagione era invece Vertumno, dal verbo
"vertere" che significava "mutare", ma l'assonanza
col colore di cui stiamo parlando non può essere
casuale. Il potere più tipico di Vertumno, oltre a
dispensare frutti a volontà dalla sua cornucopia,
era naturalmente quello di ringiovanire dopo essere
invecchiato.
Analoghe divinità del Verde, tutte collegate alla
fertilità, alla resurrezione e all'immortalità si
ritrovavano anche in molte altre culture antiche,
dal dio sumero Dumuzi al suo corrispondente
babilonese Tammuz, il "Padre della Vegetazione" di
cui in estate si piangeva la morte in attesa del suo
ritorno, dal frigio Attis, dio dei pini sempreverdi
di cui si celebrava la morte e risurrezione nello
stesso periodo dell'attuale Pasqua, fino al greco
Dioniso, il "dio dai verdi frutti" a cui erano sacri
tutti gli alberi ma in particolare l'edera, la vite
e il vino. E' evidente come dai culti di tali dèi
della natura e dal loro simbolismo siano poi
derivati i miti e i rituali cristiani, in cui però
la gioiosa ebbrezza vitale che spesso li
caratterizzava fu sepolta da inibizioni e contenuti
moralistici.
Il verde è anche simbolo della salute, in quanto è
il colore delle piante magiche che donano
l'immortalità e proteggono da ogni male, in antichi
miti come quelli di Gilgamesh o di Ulisse. Non a
caso gli Egizi usavano indossare talismani verdi
come portafortuna, portavano abiti verdi nei giorni
di festa e si truccavano gli occhi con tinture dello
stesso colore, a somiglianza dell'occhio del dio
solare Horus che, nel mito, dopo essere andato
perduto, era stato ricreato di colore verde, come
simbolo dell'avvenuta guarigione.
Del resto erano decisamente verdi anche molti dei
paradisi dell'antichità, i luoghi dove i morti
resuscitavano per vivere per sempre. Già nella
mitologia egizia, riferimento per molte tradizioni
successive, l'aldilà era collocato in un luogo
celeste chiamato "Campo Verde" o "Lago di Smeraldo".
La stessa parola "paradiso", derivata dal persiano,
significava originariamente "giardino", mentre
ancora oggi nella tradizione cristiana si parla di
"Verdi Pascoli del Cielo".
Dovevano essere verdi anche i Campi Elisi dei miti
greco-romani, dove risiedeva il dio Saturno (da "sator",
"seminatore"), che aveva regnato sul mondo nella
mitica Età dell'Oro, un'era di armonia e simbiosi
con la natura, che forse rievocava arcaiche società
agresti matriarcali e prefigurava già le aspirazioni
ambientaliste di ritorno alla Madre Terra. L'epiteto
di dea madre dato alla natura coincideva col nome
della dea greca della fertilità Demetra, chiamata
anche "spiga verde di grano", a cui erano sacri i
prati e i fiori, mentre la dea latina Venere, in
origine probabilmente associata anch'essa alla
vegetazione, nei suoi riti sacri era rappresentata
con i "capelli verdi della primavera".
Altri verdi giardini paradisiaci apparivano
nell'antico mito mesopotamico dell'albero della
vita, che si diceva sorgesse vicino alla città di
Eridu, così come in quello del biblico Eden,
collocato proprio tra i fiumi della Mesopotamia e
forse ispirato ai giardini pensili di Babilonia, o
nel mito greco del giardino delle Esperidi, col suo
albero dai pomi d'oro, o ancora nel magico frutteto
della dea scandinava Idunn, tutti luoghi dai nomi
abbastanza simili (e dalla vaga assonanza con la
parola "verde"), in cui erano sempre custoditi dei
frutti che donavano l'immortalità, spesso difesi od
offerti da un grande serpente o drago, altra antica
metafora della rinascita, della salute e della
fertilità, in un simbolismo dalle valenze anche
sessuali.
Non è un caso che alcuni di questi verdi paradisi
fossero collocati non in cielo ma in luoghi
circondati da fiumi, o su vere e proprie isole,
poiché l'acqua è un altro simbolo della fertilità
primordiale, anticamente associato al dio serpente e
al colore verde. Dagli egizi infatti anche il mare
era chiamato "il Grande Verde" ed è sempre dal mare
che nacque la dea greca Afrodite, visto che
dall'acqua trae esistenza e nutrimento la vita.
Perfino Pinocchio, nel libro originale di Collodi,
viene preso nella rete di un "pescatore verde", il
cui colore non può che essere dovuto alla vicinanza
con l'elemento liquido da cui trae sostentamento.
Ma l'isola verde per eccellenza è l'Irlanda e
vestiti di verde erano molti folletti locali, tra
cui i più caratteristici, i Leprecauni, celavano la
loro notevole forza sotto apparenze gracili,
incarnando così i poteri nascosti della natura
vegetale. Lo stesso si può dire per le fate,
creature elementali affini alle ninfe greche, che
come loro abitavano particolari piante, fonti, o
comunque luoghi immersi nella natura, personificando
il Verde sia nel suo aspetto vegetale che in quello
liquido.
Si diceva che la pianta preferita delle fate fosse
il timo, ma la Dama Verde di Caerphilly assumeva
invece l'aspetto dell'edera, mentre le belle e
subdole ninfe delle acque chiamate Glaistig
portavano lunghe vesti verdi per nascondere le gambe
caprine. In Inghilterra poi si temevano le mostruose
streghe verdi, che si riteneva vivessero all'interno
di certi fiumi particolarmente pericolosi.
Anche in molte leggende celtiche si ritrovavano le
isole dell'immortalità, chiamate "Isole Felici" e
descritte come ricche di verdi pascoli. Nella
tradizione irlandese prendevano nomi come Tir nan Og,
"Terra della Gioventù", o Tir fa Thon, "Terra sotto
l'Onda", una sorta di aldilà sottomarino che in una
versione gallese era chiamato "i Verdi Prati
dell'Incanto". Allo stesso modo, doveva essere verde
anche l'isola fatata di Avalon, che significava
"Terra delle Mele". L'etimologia del nome, affine
all'inglese "apple", rimandava anche al dio Apollo,
che con le Muse presiedeva alle arti nei verdi
giardini del monte Parnaso e che, avendo trionfato
sul serpente Pitone che custodiva l'oracolo di
Delfi, era il dio della rivelazione occulta.
Per i Celti infatti era il melo ad essere
considerato l'albero della conoscenza e della
rivelazione, i cui frutti cancellavano fame, dolore
o malattie; è quindi ad Avalon che venne condotto re
Artù morente perché potesse "guarire". In alcune
versioni della storia, là era anche conservato il
sacro Graal, altro simbolo per eccellenza di
guarigione e vita eterna, che, secondo una leggenda
islamica, sarebbe stato anch'esso di colore verde,
in quanto ricavato da uno smeraldo. La sacra coppa
poteva essere semplicemente un'altra versione del
mistico frutto dell'immortalità, mentre una
reminiscenza del drago che lo sorvegliava sembrava
sopravvivere nel cognome del re ferito, Arthur
Pendragon.
Aveva una certa assonanza con la parola "verde"
anche il nome di Erda, o Jord, la dea nordica della
terra (da cui deriva l'inglese Earth), così come
quello del leggendario mago gallese Myrddin o
Merddin (reso in latino come Merlinus e in italiano
Merlino), che in alcune delle versioni medievali più
antiche era descritto come un folle uomo selvatico
che profetizzava immerso nel verde della foresta.
L'origine del personaggio va certo ricondotta, se
non ad una divinità vera e propria, almeno
all'archetipo dei sacerdoti celtici, i druidi, che
compivano i loro riti in radure consacrate
all'interno di boschi profondi e disabitati. Era
tale il loro legame con la vegetazione che ancora
oggi in gallese la parola per "mago", gwyddon, è un
derivato di gwydd, che significa "albero". Nel poema
gallese "Cad Goddeu" ("La battaglia degli Alberi"),
il mago Gwyddyon (come dire il mago per eccellenza),
trasformava i guerrieri britanni in piante perché
potessero sopraffare i loro nemici.
Altri uomini selvatici, con facoltà più o meno
magiche, o identificabili con quello che nel
folclore britannico era chiamato il "Green Man",
l'"Uomo Verde", personificazione della natura, erano
presenti anche in testi scozzesi o irlandesi. Ma il
più emblematico e originale era forse quello di un
poemetto inglese del trecento, "Sir Gawain e il
Cavaliere Verde". Il protagonista raccoglieva la
sfida di un uomo misterioso dal colore e i vestiti
interamente verdi, che sopravviveva al taglio della
testa e dava appuntamento all'eroe l'anno seguente
in un luogo chiamato la Cappella Verde, per
rendergli il colpo ricevuto. Forse la storia
derivava da riti legati ai cicli naturali, poiché il
Cavaliere Verde sembrava un essere affine agli
antichi dèi vegetali, di cui aveva sia l'immortalità
che la capacità di ritornare nella giusta stagione.
Il fatto che Gawain dovesse prenderne il posto
l'anno seguente, sottomettendosi a sua volta al
taglio della testa, poteva rappresentare un
avvertimento, un contrappasso per l'offesa arrecata
allo spirito sacro della natura, ma rievocava anche
i sacrifici umani, laddove sacrificarsi significava
"diventare sacro", cioè offrirsi simbolicamente alla
morte rituale per identificarsi col dio che muore e
resuscita ciclicamente in tutte le cose.
Circa nello stesso periodo, sempre in Inghilterra, i
beffardi spiriti verdi dei boschi sembrarono essere
impersonati da una banda di briganti, nelle ballate
con protagonisti Robin Hood e i suoi allegri
compagni della foresta di Sherwood, vestiti di verde
per mimetizzarsi (o identificarsi?) con la
vegetazione. Anche se pare sia esistito più d'un
personaggio storico così chiamato, alcuni studiosi
di folclore hanno voluto riconoscere nel celebre
fuorilegge, o nella figura che impersonava, una
derivazione dal folletto Robin Goodfellow, che come
lui portava una piuma colorata sul cappello (Robin
in inglese significa "pettirosso"), o da divinità
nordiche più o meno incappucciate (Hood vuol dire
"cappuccio"), come il dio germanico Hodekin, o il
dio scandinavo Hödr, che dimostrava grande abilità
con l'arco pur essendo cieco. Ma gli scrittori che,
raccogliendo e ridefinendo la leggenda, a partire
dal 1600 ne fecero un eroe d'origini nobiliari,
ignorarono del tutto le possibili implicazioni
mitologiche del personaggio di Robin Hood, così come
i riferimenti religiosi al culto mariano (versione
cristiana del culto della dea madre), che
ricorrevano nelle sue prime ballate.
La più antica ballata di Robin Hood giunta fino a
noi, si svolgeva tra l'altro a Maggio e Maggio in
origine significava "mese di Maia", l'antica dea
italica dei frutti e della fertilità, poi sostituita
nel Cristianesimo dalla quasi omonima Maria, a cui
ancora oggi è dedicato quel mese. In quel periodo o
poco prima, in tutta Europa e in particolare a
Firenze, si svolgevano le processioni del Maggio,
ovvero la festa della Primavera, con lo spirito
arboreo rappresentato da un giovane o un pupazzo
rivestito di foglie o fiori. Per gli inglesi era
"Jack in the Green", "Gianni nel Verde", che
ricoperto di edera e agrifoglio ballava in giro il
giorno del Primo Maggio; per Slavi e Rumeni era il
Verde Giorgio, che veniva festeggiato e gettato in
acqua nel giorno di San Giorgio. Anche questo
leggendario eroe uccisore di un drago, quindi
riconducibile ai simboli del giardino
dell'immortalità, era tradizionalmente raffigurato
con una cappa verde non troppo diversa da quella di
Robin Hood.
Consapevole di maneggiare questo materiale mitico,
sia pure in forma riadattata per i bambini, fu il
commediografo James Matthew Barrie, quando ai primi
del XX secolo diede vita a un altro eroe vestito di
verde ma dichiaratamente magico col suo "Peter Pan",
che ereditava il nome di un dio greco della natura,
indossava "foglie secche e umori che stillano dagli
alberi" e, come una divinità o un folletto, abitava
con le fate in un'isola in cui tutti restavano
eternamente giovani…"sempreverdi" si potrebbe anche
dire.
La costante comune alla maggior parte di questi
personaggi, simili a verdi elfi, è proprio il legame
con l'antico significato di vivo, forte, vigoroso,
fiorente e fresco, che questo colore aveva e magari
potrà continuare ad avere, almeno fino a quando
l'Umanità riuscirà a non distruggere tutto il Verde
del mondo.
Andrea Cantucci
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
31 maggio 2014. Il prossimo tema:
La musica.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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