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Editoriale

L'arte delle muse
di Andrea Cantucci

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L'arte delle muse
 

Musica significa Arte delle Muse, qualcosa che quindi appartiene al divino. In origine le Muse erano tre ninfe delle sorgenti dai poteri profetici: Melete (La Mente), Mneme (La Memoria) e Aede (Il Canto). I Romani le identificarono con le dèe italiche chiamate Camene (Le Cantanti), che analogamente proteggevano le fonti, il canto e la divinazione. Più tardi divennero le nove dèe greche figlie di Mnemosine (La Memoria) che presiedevano alle arti più elevate, ovvero quelle che permettono di comporre opere non con le mani, ma con l'intelletto: la Scrittura, la Poesia, il Teatro e naturalmente la Musica. Per i Greci tali discipline non erano nettamente separate e si può dire che ogni Musa le incarnasse tutte: Clio (La Gloria) presiedeva alla Storia, Calliope (La Bella Parola) all'Elegia e all'Epica, Tersicore (Che Gode delle Danze) alla Lirica Corale e alla Danza, Melpomene (La Cantante) alla Tragedia, Erato (L'Amorosa) alla Poesia d'Amore, Euterpe (La Rallegrante) al Canto Lirico, Talìa (La Fiorente) alla Commedia, Polimnia (Dai Molti Inni) al Canto Sacro e Urania (La Celeste) all'Astronomia. Ognuna, più che un'arte come noi la intendiamo, incarnava una poetica, un genere, un sentimento, che riecheggiava nello strumento che usava o si diceva avesse creato.
A Tersicore era attribuita l'invenzione dell'arpa, le cui molte corde vibravano all'unisono come le voci dei cori o i corpi dei danzatori che proteggeva. Erato era vista come l'inventrice della lira e del liuto, strumenti usati dagli amanti come le poesie d'amore che lei ispirava. Euterpe proteggeva i cantori e i suonatori di flauto, che usavano entrambi il respiro per creare le melodie a lei sacre. L'Epica era legata alla musica, in quanto i poemi come l'Iliade e l'Odissea erano stati cantati dagli aedi e accompagnati da musiche, prima di essere solo recitati. Anche commedie e tragedie potevano contenere musica e canti e la Storia poteva fornire temi a opere poetiche, musicali e teatrali. Ciò che forse si comprende meno è cosa c'entrasse l'Astronomia, che per noi oggi è una scienza, con l'Arte e la Musica.
Il fatto è che nell'antichità la Musica non era solo qualcosa di terreno ma anche di celeste, come un ponte che attraverso la risonanza delle note può unire il mondo fisico con quello spirituale fuori e dentro di noi. La musica delle sfere non era un semplice modo di dire. Delle precise e volute corrispondenze venivano stabilite tra le sette note e i sette pianeti, in un'epoca in cui tutto ciò che era al di sopra di noi era visto come appartenente al mondo degli dèi. Secondo gli insegnamenti di Pitagora, ciò che univa la Musica al moto degli astri era la Matematica, le cui leggi regolano tutto. Secondo Platone, erano direttamente i movimenti dei pianeti a generare la Musica. L'idea che ci sia una simile affinità tra la Musica e il Cosmo, e che addirittura l'Universo stesso sia stato generato dalla Musica, da un suono primordiale, da una serie di canti, da un Verbo divino, o comunque da una qualche forma di vibrazione, è in effetti comune ai miti di moltissimi popoli.
Nella teologia egizia di Menfi, il dio Ptah generò tutte le cose per mezzo della lingua, cioè la parola (o il canto), mentre a Ermopoli si sosteneva fosse stato il dio Amon in forma di oca, a mettere in moto l'Universo gridando (o cantando). In un altro mito egizio, Thot, dio della scrittura, della magia e della musica, creò diversi esseri e fenomeni con vari suoni e generò il dio supremo emettendo tre note musicali.
Per le religioni dell'India, il mondo è generato e permeato dall'energia del Brahman (che si può tradurre pensiero vibrante, parola sacra, o inno) e il suono all'origine di tutto è la sillaba OM, o AUM, incarnata da divinità come Ganesh e Shiva, che danno forma al mondo e lo mantengono in moto danzando. Sono considerate composte da suoni e inni anche entità metafisiche come l'Atman (il pensiero o anima individuale) o come Prajapati (il dio creatore). Quest'ultimo, a seconda delle versioni, fu generato dal canto di sette poeti mitici, o da un concerto di diciassette tamburi, e a sua volta generò poi il mondo cantando, o pronunciando sette sillabe creatrici, che, come i sette poeti, ricordano le sette note.
Per gli aborigeni australiani, furono gli Antenati divini a creare tutte le cose coi loro canti, prima di ritornare dentro la Terra da cui erano sorti. Per vari popoli della Polinesia, il dio creatore generò il mondo con parole e canti che evocarono la luce. Per i nativi americani della California, la Terra fu generata dai canti emessi da una penna, o una piuma, che volava sulle acque. Per gli Cheyenne, il suono che generò il mondo si identificava con la voce del Tuono, mentre per gli Arapaho il dio creatore evocò la Terra suonando il flauto.
Anche al di fuori dei miti di creazione, alla musica sono attribuiti spesso poteri simili. In molte leggende celtiche, si combattono duelli magici per mezzo di canti poetici e lo stesso accade in quelle finniche sul mago cantore Väinähmöinen, o in quelle maori della Nuova Zelanda, in cui i canti sacri danno grandi poteri ma comportano grossi rischi al minimo errore. Ma la natura magica del canto, da cui non a caso derivano i termini incanto e incantesimo, ricorre anche in altre mitologie. In quella indiana, gli dèi si nutrono dei canti dedicati loro dai mortali e li ricambiano con l'immortalità o altri doni. Nelle leggende cinesi abbondano invece gli strumenti musicali magici, dato che anche in Oriente la Musica è considerata l'essenza del Cielo e della Terra e, dopo esser stata creata da eroi o esseri mitici, è spesso offerta come sacrificio sonoro agli dèi.
Ci sono molte tradizioni su maghi o sciamani che usano canti, strumenti e danze per ricreare la musica della creazione e influire sulla realtà, evocando il sole o la pioggia, la primavera o la salute, a seconda delle necessità. I suoni emessi da sciamani o sacerdoti si ispirano spesso a quelli degli animali e della natura, per entrare in risonanza con essa e col mondo degli spiriti da cui la si ritiene abitata. Concetti analoghi sono alla base dei tanti riti religiosi collettivi in cui musiche, danze e canti sono ritenuti fondamentali per connettersi con una dimensione che trascenda l'io individuale. Ciò accomuna i riti induisti che si affidano soprattutto al canto, le danze vorticanti dei Sufi, le elaborate coreografie degli indios messicani, la Danza del Sole del Nord-America, o i rituali di popoli africani come gli Yoruba, evolutisi poi nel Vudù di Haiti, nel Candomblé brasiliano e nella Santerìa di Cuba, da cui derivano danze ritmate come la rumba e la samba.
In Oriente, da riti mongolici, buddisti e scintoisti, come le danze sacre giapponesi dette kagura (musica degli dèi), sono invece derivate particolari sintesi di musica, recitazione, danza e canto, come l'Opera Lirica in Cina e il Teatro Kabuki e il Teatro Nô in Giappone. Kabuki significa arte della danza e della poesia mentre nô significa arte, abilità, come il cinese kung, che in origine voleva dire musica e oggi indica ogni attività che, come la musica, aspiri alla perfezione di modelli divini. Non a caso è anche il nome del leggendario filosofo Kung-fu-tzu (il maestro Kung), o Confucio, che tra l'altro si dedicò infatti anche allo studio della musica.
Tutto fa pensare che dall'uso magico ed esclusivo della musica da parte di sciamani e sacerdoti, si sia poi passati a un suo uso puramente estetico da parte di semplici artisti, a cui però i profani devono aver continuato a lungo ad attribuite facoltà misteriose, per l'evidente potere "di incantamento" che la musica esercita sui sensi, con effetti rilassanti o eccitanti, suscitando in chi la ascolta la voglia di cantare e ballare. Così dovettero naturalmente nascere leggende come quelle cinesi sui musicisti che fanno danzare gli animali, equivalenti a quelle su Orfeo che placa le bestie e gli dèi inferi col canto, o alla fiaba del pifferaio che attira i topi con la sua musica. Il chiaro significato dell'allegoria è che l'intelletto può controllare e guidare gli istinti e le passioni, ma anche che le giuste vibrazioni sono in grado di curare l'anima e liberarla da ciò che l'affligge.
I miti simbolici hanno poi trovato conferma in risultati concreti, visto che oggi la musico-terapia è una pratica ampiamente accettata nel trattamento di disagi psichici di varia natura. È probabile quindi che anche certi "esorcismi musicali" degli sciamani, in realtà consistessero proprio in questo. Del resto già Aristotele aveva osservato gli effetti rilassanti di certe melodie su persone disturbate, mentre pare che Pitagora sia stato tra i primi ad usare coi malati di mente quella che lui chiamava "medicina musicale". Ma i Greci attribuivano simili cure anche al dio-medico Esculapio, nei cui templi c'erano dei cantori che assistevano i pazienti.
Del resto il padre di Esculapio era ritenuto Apollo, il dio solare patrono delle Muse, che era allo stesso tempo dio della Musica e della Medicina. Secondo alcuni, Apollo stesso era anche l'inventore della kythara, la grossa lira con sette corde che suonava, secondo altri l'ebbe da Ermes, l'originario dio della magia e delle arti, ambiti in seguito attribuiti ad Apollo. In ogni caso, le sette corde della sua lira, forse equivalenti alle sette note, avevano un significato mistico, in quanto simbolo dell'armonia razionale, ed è probabile che fossero quindi suonate anche a scopo terapeutico. Corrispondevano alle sette vocali del tardo alfabeto greco, appositamente modificato dai sacerdoti di Apollo. Anche in Egitto i sacerdoti intonavano inni agli dèi pronunciando "sette vocali" in successione, che avevano un "piacevole effetto musicale" sugli ascoltatori.
Alla lira di Apollo era invece contrapposto l'aulos, il flauto a due canne, simbolo della melodia passionale. Benché la sua invenzione fosse attribuita ad Atena, dea dell'intelletto, il flauto era collegato al culto di Dioniso, dio dell'ebbrezza e della natura selvaggia. A causa del forte impatto della sua musica sulle emozioni, i Greci ritenevano che il flauto producesse la catarsi, ovvero che svolgesse un'azione purificatrice destando e facendo sfogare le passioni. Analogamente gli Arabi usarono la musica del flauto per la cura dei disturbi mentali e qualcosa di simile accadeva anche nell'Europa medievale, in cui il disturbo nervoso chiamato tarantolismo era curato per mezzo di musiche e danze frenetiche.
Invece la musica della lira, o di altri strumenti simili, secondo Aristotele contribuiva allo sviluppo della mente, forse anche perché poteva accompagnare i canti. In Occidente furono appunto i versi dei canti lirici, una volta che furono semplicemente recitati, a dare origine a quella che chiamiamo Poesia, un'arte basata sulla composizione di frasi secondo un senso e un ritmo musicale, pur in assenza di musica. Secondo gli antichi Greci, oltre a dar voce ai cantori e agli indovini, Apollo e le Muse possedevano e ispiravano allo stesso modo anche i poeti, che venivano adornati con corone di foglie d'alloro, o lauro (da cui il termine laurearsi). Questa pianta era sacra ad Apollo in quanto nata al posto di una ninfa da lui vanamente desiderata, Dafne, che significa appunto lauro, ma che essendo femminile sarebbe più giusto tradurre Laura, come l'ispiratrice del Petrarca. Il mito non dice se il dio avesse poi composto canti su di lei, ma la storia di Apollo e Dafne sembra suggerire come l'ispirazione poetica nasca spesso da un desiderio inappagato, da un'unione apparentemente impossibile e solo sognata, come quella tra il reale e il divino, tra la Natura e la Musica.

Andrea Cantucci


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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
31 agosto 2014. Il prossimo tema: La follia.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

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