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Editoriale
Progetto Emmaus
Il romanzo thriller di Marco Bazzato, autore
de
Il Campo del Vasaio (Mt. 27,7), è
ordinabile tramite Segreti di Pulcinella...
la redazione
Stampare libri all'estero
Stampare un libro in Italia sia per le piccole
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che desiderano vedere pubblicata una loro
opera ha spesso un costo insostenibile...
di
Marco Bazzato
Caffè Letterario Musicale
E-book
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Catalogo
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L'arte della follia
"Tutti coloro che sono posseduti dagli dèi, danno
uno spettacolo impressionante"
dal Convivio di Senofonte
"Quando voglio vedere un matto non devo fare
altro che guardarmi allo specchio."
Seneca
"Ma non ho nessuna voglia di andare a far visita
a dei matti!" osservò Alice.
"Oh, non ne puoi fare a meno! Siamo tutti matti
qui…"
da Alice nel Paese delle Meraviglie, di Lewis
Carroll
"ho trovato libertà e salvezza nella mia pazzia"
da Il Folle, di Kalhil Gibran
Secondo lo storico delle religioni Mircea Eliade, un
periodo di pazzia era un passaggio importante per
raggiungere lo stadio di sciamano, nelle culture di
ceppo nordico-mongolico. Scrive Eliade a proposito
delle malattie mentali, nel suo saggio Lo
Sciamanismo e le Tecniche dell'Estasi : "tali
malattie appaiono avere quasi sempre un certo
rapporto con la vocazione dell'uomo-medicina. Ma il
mago primitivo, l'uomo-medicina o lo sciamano non
sono semplicemente dei malati: essi sono anzitutto
dei malati guariti, dei malati che sono riusciti a
guarirsi da sé stessi. (…) se essi si sono guariti
da sé e sanno guarire gli altri, ciò fra l'altro è
dovuto al fatto che essi conoscono il meccanismo - o
meglio ancora, la teoria - della malattia." Si
spiegherebbe così il delirio che tra i Siberiani
coglierebbe chi sta per divenire sciamano e le
allucinazioni a cui questi assiste durante la sua
malattia, forse auto-indotta, visioni in cui vede il
proprio corpo torturato, fatto a pezzi, cotto in un
paiolo e poi ricomposto, un processo iniziatico
simbolicamente equivalente a una discesa agli inferi
e una rinascita. In pratica il candidato sciamano
colto da tale accesso di follia, è lasciato a terra
privo di sensi in preda "agli spiriti", cioè alla
sua malattia, finché non si riprende da solo, segno
che il suo spirito ha saputo rinascere guarendosi da
sé e perciò è considerato ora capace di guarire
anche altri colpiti dallo stesso male.
Nel volume Alce Nero Parla, in cui l'etnologo John
Neihardt ha raccolto le testimonianze di uno
sciamano sioux, questi racconta come da bambino ebbe
la grande visione della sua vocazione, dopo essere
caduto improvvisamente ammalato, seguita poi da
altre, durante cerimonie in cui i Sioux danzavano
fino a cadere a terra sfiniti appositamente per
procurarsi tali visioni. La sua non fu mai
considerata follia, perché viveva in una società in
cui sogni e visioni non erano visti come cose futili
o semplici allucinazioni, ma come messaggi del
Grande Spirito. I folli erano coloro che non
riuscivano più a ritornare dal mondo delle visioni
ed erano considerati sacri dai Sioux e dagli altri
indiani delle pianure, perché comunque il Grande
Spirito parlava loro, anche se non erano in grado di
sostenere il peso di tali rivelazioni conservando la
sanità mentale.
Anche nel mondo classico greco-romano, si riteneva
ci fosse un rapporto tra la follia e il divino, ma
la pazzia non era vista come un dono bensì come una
punizione degli dèi. La forza divina che possedeva
gli uomini dai Romani era chiamata Mania, da cui il
termine maniaco. Le tre dèe dai Greci chiamate
Erinni (Colleriche), ma più spesso Eumenidi
(Benevole) per non incorrere nella loro ira, e a cui
i Romani davano il nome di Furie, perseguitavano
invece in particolare chi compiva crimini di sangue
contro i familiari, fino a farlo impazzire.
Da qui deriva l'aggettivo furioso per indicare i
pazzi incontrollabili, ovvero in preda alla furia,
cioè dominati da una delle dèe, o l'espressione
"andare su tutte le furie", quando si perde il
controllo diventando momentaneamente folli, perché
tutte e tre le Erinni si sono metaforicamente
impossessate di noi. Le Erinni, rappresentate come
vecchie latranti con serpenti per capelli, secondo
Euripide si chiamavano rispettivamente Aletto
(Furore), Tisifone (Vendetta) e Megera (Odio), ecco
così indicati chiaramente nel mito i sentimenti che
possono condurre più facilmente e rapidamente alla
pazzia, una pazzia in questo caso violenta e per
niente positiva o piacevole, ma tutto dipende sempre
dal fatto che da essa si riesca o meno a ritornare
indietro.
In fondo tutte le religioni, comprese quelle
considerate (chissà perché) più evolute, non fanno
che riproporre in modo più o meno complesso la
soluzione offerta dai riti sciamanici per tentare di
guarire lo spirito umano. Usano miti e visioni di
per sé folli e senza alcuna attinenza con la realtà
concreta, di cui però il sacerdote-sciamano ha il
controllo attraverso la sua approfondita conoscenza
della logica distorta di quel mondo immaginario
collettivo. Questi guida chi si affidi a lui e
accetti di condividerne le teorie spirituali, verso
uno stato di sufficiente pace interiore e serenità
che gli permetta di affrontare le difficoltà della
vita e i sensi di colpa derivanti dalle sue azioni
senza impazzire, ovvero senza perdersi nel suo
personale e generalmente più caotico mondo interiore
(in quello che le religioni chiamano Inferno e la
psicanalisi Inconscio).
Tutto ciò gli sciamani siberiani sostengono di farlo
comunicando con gli spiriti o scacciandoli, i
sacerdoti monoteisti invece esorcizzando i demoni o
perdonando le anime, ma tra le due cose non c'è gran
differenza, così come non c'è sostanzialmente
differenza tra la follia sciamanica e le visioni
mistiche dei profeti ebraici o dei santi cristiani,
che si identificavano in sogno col proprio messia
rivivendone la morte e resurrezione, esattamente
come gli sciamani che muoiono e resuscitano nel loro
viaggio interiore. L'esigenza del perdono però, può
anche essere alimentata dall'esagerata enfasi data
ai sensi di colpa per i propri presunti peccati. Ciò
accade tra i Cristiani ma non solo, succedeva per
esempio anche tra gli Aztechi, che infatti, prima
ancora che gli Europei sbarcassero in America,
praticavano in punto di morte una loro forma di
confessione.
Facendo aumentare i sensi di colpa e minacciando
terribili pene infernali per chi non si sottomette o
non obbedisce ai sacerdoti (o agli dèi che
rappresentano, il ché è lo stesso), si tenta
evidentemente di tenere sotto controllo le masse, ma
si corre il rischio concreto di ottenere l'effetto
contrario di condurre i fedeli verso una maggiore
follia anziché verso la guarigione spirituale. Si
rischia di contribuire, per così dire, a farli
cadere preda delle Furie che rappresentano quei
sensi di colpa e che provocano reazioni violente,
come dimostrano gli innumerevoli secoli di spietate
persecuzioni verso i tanti considerati nemici o
eretici, solo perché appartenenti a diversi culti
religiosi, gruppi etnici, o, di recente, movimenti
politici, tendenze stragiste che i popoli monoteisti
condividono con gli antichi dominatori del Messico e
non soltanto con loro.
La tecnica di scacciare con violenza le malattie o i
demoni, come fanno sia gli sciamani siberiani che i
sacerdoti cattolici, può servire a convincere della
guarigione colui che crede davvero d'essere
posseduto, o costituire genericamente uno sfogo per
le tensioni represse, ma le Furie che rappresentano
i nostri sensi di colpa e sentimenti negativi
continueranno a controllarci e renderci violenti
fino a ché eviteremo di affrontarle e confrontarci
con loro. Le Furie, come tutti gli dèi, sono parte
di noi e vanno anzitutto comprese più che
combattute. Occorre trattare e riappacificarci con
loro, magari offrendo qualcosa perché ci lascino in
pace, purché non si tratti di inutili sacrifici di
sangue, masochistiche penitenze senza senso o azioni
ai danni di altri, che non farebbero che alimentare
il nostro delirio e la spirale di sofferenze
irrisolte in cui ci dibattiamo.
Nel mondo dello sciamanesimo e delle società tribali
questa offerta poteva essere qualche forma di
rituale, atto, componimento o manufatto simbolico,
che un tempo sarebbe stato chiamato magico, dato il
potere che tentava di esercitare sugli spiriti
dentro e fuori di noi, ma che oggi può avere forse
come solo nome ancora plausibile quello di Arte,
ovvero di terapia artistica. È infatti ormai
ampiamente accettato l'uso della musica, del teatro
o della pittura come efficaci terapie psicologiche.
Del resto gli sciamani siberiani stessi, come gli
antichi bardi celtici, sono insieme guaritori, poeti
e musicisti, oltre che educatori e profeti, proprio
come il mitico Orfeo, che col suo canto placò le
Furie facendole piangere durante il suo viaggio
negli Inferi (cioè nell'Inconscio) alla ricerca
dell'anima di Euridice. Una ricerca quella di Orfeo
che corrisponde esattamente a quella degli sciamani
che, per curare un malato, a volte dicono di dover
andare a cercarne l'anima per reintegrarla al suo
posto nel corpo, o a quella del paladino Astolfo,
che nell'Orlando Furioso dell'Ariosto va a cercare
il senno dell'amico sulla Luna, universalmente
considerata il regno dei sogni e dell'immaginazione.
Si tratta sempre di un viaggio iniziatico alla
ricerca di sé stessi, del proprio vero io che tenta
di ritrovare il suo posto, il suo centro
d'equilibrio che gli permetta di esistere e vivere
in modo integro. Certi esperimenti di deprivazione
del sonno tendono a dimostrare come senza i sogni
che rielaborano e integrano ciò che viviamo giorno
per giorno, non si riesca a mantenere la propria
sanità mentale. L'Arte, che come i sogni pare essere
una delle poche attività umane il cui scopo non è
minimamente concreto ma puramente spirituale, quando
nasce da spontanee esigenze interiori può
sicuramente svolgere una simile funzione di catarsi
e di sollievo per le tensioni dell'animo, diventare
una cura sciamanica per i propri dèi e demoni più
intimi, che se tendono a farci impazzire devono pur
avere le loro ragioni. Sono queste ragioni che vanno
comprese e osservate, se si vuole restare sani di
mente, e l'Arte, anche al livello più dilettantesco,
è uno dei modi migliori per farlo.
Quando persone digiune di tali meccanismi fanno la
facile, abusata e semplicistica equazione tra
artista e folle, attribuendo la presunta pazzia di
questo o quell'autore alla sua attività creativa,
stanno chiaramente confondendo l'ordine in cui di
solito si svolgono i due processi, quello
dell'impazzire e quello del fare Arte.
L'ordine abituale è ben rappresentato dalla leggenda
gallese medievale di Myrddin Willt, Merlino il
Selvaggio. Questi impazzisce dopo la battaglia di
Arderydd in cui ha visto morire i propri fratelli e
ha dovuto uccidere suo nipote, si rifugia quindi
nella foresta di Kelyddon vivendo una vita selvatica
e, mentre in lui si alternano momenti di follia e di
lucidità, diventa un bardo, ossia un cantore che
compone versi considerati profetici, evidentemente
per alleviare in qualche modo le sofferenze del
proprio animo. Una cosa simile accade anche in altre
leggende, come quella irlandese del chierico Suibhne,
che dopo la battaglia di Mag Rath, a seguito di una
maledizione, impazzisce e fugge nelle foreste in
preda a un delirio che non gli dà pace, mentre la
rapidità dei suoi movimenti frenetici sembra farlo
volare sopra la vegetazione. Impazzire significa
insomma perdere il contatto con la realtà,
sconnettersi dal contesto in cui si vive (il ché, se
si devono affrontare eventi insopportabili, non è
necessariamente così brutto), ma impazzisce
soprattutto chi sperimenta una distanza incolmabile
tra le sue azioni e ciò che lui stesso ritiene
essere l'ordine naturale o umano del mondo.
Tale distanza, nel caso delle Furie e di Merlino, è
ben rappresentata dall'omicidio di un parente, cioè
di una parte di sé stessi, l'azione meno ammissibile
e accettabile sia in natura che nel consesso civile.
Tutto ciò accade però prima che il soggetto si
dedichi a un'eventuale attività artistica, che
rappresenta semmai il suo tentativo, consapevole o
inconscio, di curare da solo i propri disagi
psicologici, grandi o piccoli che siano, esplorando
e rendendo visibile il proprio mondo interiore,
proprio come fanno gli sciamani. Se poi i simboli
dei sogni e delle visioni individuali coincidono con
miti e archetipi collettivi (come i canti di Myrddin
sul fato della Britannia), la sua arte potrà
svolgere un'azione positiva e "curativa" anche per i
malesseri e le follie della società, diventando, nei
casi realmente più efficaci, un patrimonio comune
della cultura di cui fa parte.
A questo proposito, nella simbologia medievale
troviamo l'immagine del Fool, il Matto, che, come
scrive il filosofo William Willeford, "difettandogli
una normale comprensione e valutazione dell'ordine,
riammette il potere magico del caos" e il Matto è
raffigurato nei Tarocchi, che costituiscono una
sorta di catalogo di allegorie rinascimentali, come
un giullare che viaggia, con gli abiti laceri e il
tipico bastone da vagabondo.
Tale iconografia derivava probabilmente dall'aspetto
dei chierici vaganti medievali, che facevano i
giullari per imbonire le folle, ma, come nel caso
del buffone di re Lear, esprimerà poi il valore
dialettico della Follia rispetto alla Ragione che,
per così dire, regna abitualmente sulla psiche, la
capacità cioè di seminare dubbi mettendo in
discussione decisioni, certezze, autorità e ogni
tipo di legge e ordine precostituito. Il
matto-giullare-vagabondo è un aspetto dell'archetipo
del mago-artista-guaritore, che smaschera le follie
nascoste dietro il velo dell'apparente razionalità e
solleva gli spiriti attraverso scherzi e risate
liberatorie. Possono infatti esistere opere buffe, o
di autori sconosciuti, più curative per i nostri
particolari malesseri interiori di quelle del più
noto pittore o romanziere, reso "serio" e
"autorevole" dalle consacrazioni accademiche o
critiche, e, se ci capita di incontrarne qualcuna,
la sorpresa aggiunge ulteriore felicità alla
scoperta.
Ma anche tra gli artisti che hanno rappresentato la
follia o le visioni inconsce, i primi nomi che
vengono alla mente sono i più famosi, quelli di
pittori come Hieronymus Bosch, Pieter Bruegel,
Francisco Goya o Salvador Dalì, che coi loro dipinti
e incisioni, spesso grotteschi o arditi come gli
scherzi di un folle, hanno mostrato come il Regno
della Morte, l'Inferno e l'Inconscio si assomiglino
molto, almeno nell'immaginario collettivo.
Tra gli scrittori che hanno tentato di raccontare il
mondo della follia e i ragionamenti sottili e
insensati che possono condurvi, si possono ricordare
invece, su un piano umoristico Erasmo da Rotterdam o
Lewis Carroll e, su un piano più drammatico Franz
Kafka, August Strindberg, Luigi Pirandello o Mary
Jane Ward, autrice del romanzo di ambientazione
manicomiale La Fossa dei Serpenti, da cui fu tratto
un film negli anni '40.
Altri, come il pittore William Hogarth, il medico e
romanziere Mario Tobino, o l'autore teatrale Ascanio
Celestini, hanno mostrato e raccontato i malati di
mente soprattutto come appaiono dal di fuori,
all'interno delle strutture in cui la nostra
cosiddetta civiltà ha tentato negli ultimi secoli di
isolare e allontanare dalla vista chi ci appare
troppo diverso e incomprensibile, chi per qualche
motivo, a volte solo per l'accanirsi della sorte o
per una malattia indipendente da lui, non ce la fa
proprio a vivere e comportarsi come tutti gli altri.
Ci sono poi autori essi stessi realmente impazziti,
o che hanno passato periodi in case di cura, a volte
anche fino al termine della loro vita, autori come
Dino Campana, Guy De Maupassant o Vincent Van Gogh,
perché nonostante il totale impegno e dedizione alla
propria arte, a volte il malessere è troppo grande e
la distanza tra le profondità dell'anima e la
superficialità del mondo troppo incolmabile anche
per le opere più alte.
Andrea Cantucci
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
31 gennaio 2015. Il prossimo tema:
Le maschere.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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