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Editoriale

Il ritorno dell'eterno viaggiatore
di Andrea Cantucci

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Catalogo

Il ritorno dell'eterno viaggiatore
 

"Sergentmajù, ghe rivarem a baita? (Sergente maggiore, ci arriveremo a casa?)"
la frase ricorrente del soldato Giuanin, da Il Sergente nella Neve

"Tornerai tardi e dopo gravi sofferenze, dopo aver perso tutti i cari compagni"
la profezia di Tiresia, da l'Odissea

Nella letteratura greca un intero genere a sé era costituito dai nóstoi, i ritorni, in particolare quelli degli eroi achei reduci dalla guerra di Troia, che tornavano a casa per mare dopo dieci anni di combattimenti, e il nóstos più famoso di tutti è naturalmente quello di Ulisse. Lo stesso termine nóstos è interessante. È connesso col verbo néomai, tornare a casa, ma sembra avere un legame etimologico anche con la parola nóos, che in greco significa mente, pensiero. Ulisse, l'eroe che tornò più tardi di tutti, ma riuscì comunque a tornare dopo enormi difficoltà e peripezie nonostante fosse ormai dato per morto, ritornò proprio grazie alla sua astuzia e intelligenza. I suoi compagni che invece si perdettero e non tornarono, finirono per perire lungo la strada a causa della loro mancanza di acume e di prudenza, in poche parole per la loro carenza di intelletto. Da nóstos deriva anche nostalgia, il sentimento di chi vorrebbe tornare a luoghi o a persone cari.
Psicologi e mitologi hanno teorizzato che il ritorno dell'eroe sul tipo di Ulisse, che non solo tutti avevano dato per morto ma che nel mito ritorna dopo essere stato effettivamente nel regno dei morti, rappresenterebbe il ritorno alla vita razionale e alla coscienza da una condizione di sonno o di morte apparente, di deliri irrazionali inconsci o di morte vera e propria, fisica o mentale che sia. In questi casi quello che ritorna a una vita più piena e consapevole, legata a esigenze di tutti i giorni, può essere un individuo che a un certo punto sceglie di indirizzare meglio la propria esistenza (e i compagni persi lungo il viaggio possono rappresentare cose o parti di noi, tendenze o atteggiamenti a cui è necessario rinunciare), ma il simbolo del ritorno si può riferire anche alle forze della natura che tornano a vivere ciclicamente, ad esempio dopo il letargo invernale o dopo il riposo notturno. Infatti la divinità che nelle mitologie di ogni paese è stata più associata all'eterno ritorno dall'aldilà è il Sole, che visto dal nostro pianeta, ogni giorno sembra riemergere da oltre l'orizzonte come resuscitando da sottoterra e che ogni volta col suo ritorno porta di nuovo la vita a tutti gli esseri.
Nel ciclo solare annuale, il ritorno del dio della luce e salvatore del mondo è sempre stato festeggiato da tutti i popoli nel periodo del solstizio d'inverno, ovvero tra il ventuno e il venticinque Dicembre. Nei tre giorni che li separano e che dovevano sembrare fatidici agli antichi, il Sole smette di abbassarsi sull'orizzonte e di conseguenza le giornate smettono di accorciarsi, ma non accenna ancora a risollevarsi da quella posizione. Solo dopo il terzo giorno per così dire risorge, cioè risale di nuovo sempre più alto nel cielo e le giornate si fanno sempre più lunghe, finché il ciclo si ripete di nuovo in una progressione all'apparenza infinita. A ogni solstizio però l'umanità di un tempo non troppo lontano, che non poteva afferrare il reale meccanismo di tali fenomeni naturali, doveva tornare a trattenere il fiato nel timore che, dopo i tre giorni di esitazione, quella volta il Sole non tornasse a risollevarsi nel cielo, ma sprofondasse definitivamente nell'aldilà oltre l'orizzonte.
Di qui dovette derivare probabilmente l'esigenza di personificare sempre di più il salvatore solare in un personaggio concreto e visibile, dall'apparenza di un uomo tra gli uomini, che tornasse periodicamente a rassicurarli sul destino del mondo, che si dimostrasse capace di resuscitare dalla morte per risalire nuovamente in cielo dov'era il suo posto, o che ritornasse un'ultima volta per portarli definitivamente con sé in un altro mondo con maggiori sicurezze e meno paure di questo. Dal dio egizio Horus dall'aspetto di falco al profeta persiano della luce Zarathustra, dal benevolo e invincibile dio indiano Krishna al potente semidio greco Heracles difensore degli uomini, dal dio dell'amicizia Mithra al saggio Buddha che risveglia tutti gli esseri alla coscienza, dal viaggiatore Dioniso che libera dalle inibizioni al predicatore Gesù che promette la vita eterna nell'aldilà, ogni nuova divinità inventata di volta in volta, nel corso dei secoli, per sovrapporsi e sostituirsi al dio del Sole e dell'eterno ritorno, è regolarmente nata il venticinque Dicembre e ogni anno in quella data se ne festeggia nuovamente il ritorno, o la rinascita che dir si voglia. In genere tutte queste figure divine solari hanno la facoltà di salire a uno stato più elevato di coscienza, che lo si collochi nei cieli, in un paradiso, sul monte degli dèi o in un più vago e indistinto nirvana, per poi ritornare eventualmente tra gli uomini sotto qualche forma anche diversa, data la loro capacità divina di mutare fattezze o di incarnarsi in corpi diversi. Lo stesso a ben vedere fa Ulisse, quando ritorna nella sua casa travestito e magicamente mutato dall'intervento della dea Atena, il ché può far pensare che anche lui in origine potesse essere un'ennesima versione di quella stessa divinità solare che periodicamente scende e risorge dagli inferi, prima d'essere umanizzato sotto la forma di un eroe in cui gli uomini potessero identificarsi maggiormente.
La differenza è che l'eroe umano, al contrario degli dèi, può ritornare soltanto perché non è veramente morto, mentre altri eroi più tragici, anche dotati di maggiori doti fisiche ma con minor acume intellettuale, come Achille, cercano e trovano effettivamente la morte in battaglia senza poter poi tornare. Nell'oltretomba greco infatti i morti diventano ombre prive di memoria e intelletto. È questo che li rende incapaci di tornare.
Anche per quei filosofi greci che credevano nella reincarnazione, le anime dei morti non ritornavano mai del tutto nel mondo, poiché non potendo conservare i ricordi delle presunte vite precedenti sarebbero state ogni volta come persone nuove, inconsapevoli del loro stesso ritornare alla vita. Perfino l'astuto Ulisse, quando in seguito riprese il mare, è come se avesse scelto infine di cedere le armi per andare incontro al destino comune, in modo definitivo e senza ritorno, avventurandosi oltre il più estremo occidente allora conosciuto, ovvero proprio là dove gli antichi ritenevano che il Sole andasse a morire alla fine di ogni giornata.
Nelle figure salvifiche invece la tragica esperienza della morte può accompagnarsi alla capacità di ritornare ad apparire nuovamente, visto che la loro natura divina consentirebbe loro di sopravvivere alla morte e resuscitare con relativa facilità, conservando tranquillamente il proprio nóos, l'intelletto, ovvero ciò che permette di compiere realmente il nóstos, il ritorno, che è un'azione mentale prima ancora che fisica. Infatti Ulisse per poter tornare a casa deve resistere o reagire a varie situazioni (i Lotofagi, la maga Circe, le Sirene, la ninfa Calipso) che tendono a ottundere il suo intelletto e fargli dimenticare la vita che conduceva nel mondo concreto e umano in cui si realizzava veramente. Nel suo caso però per ritornare rinuncia a diventare un dio, o meglio a una natura divina offertagli da altri e che non gli appartiene, che lo subordinerebbe a chi gliela offre rendendolo un ben povero dio, incapace di vivere come prima e ritornare veramente uomo.
Secondo teorie freudiane, nell'infanzia il ritorno desiderato di un certo soggetto di particolare importanza per la propria vita, come la madre o il padre, può essere rappresentato dal bambino nel gioco di gettare e subito dopo ottenere indietro un oggetto, il ché avrebbe effetti rassicuranti convincendolo che ritorneranno da lui anche altre cose o persone che desidera. Se un meccanismo simile agisce anche in ambiti sociali più ampi, può darsi che i miti sull'atteso ritorno di personaggi leggendari, come divinità messianiche e re guerrieri, o le opere letterarie che narrano situazioni analoghe, abbiano avuto diffusione e affermazione proprio perché a livello popolare soddisfano l'esigenza di sentirsi rassicurati che una figura autoritaria o eroica di cui si sente il bisogno ritornerà prima o poi per assisterci e risolvere ogni problema, così come fanno (o dovrebbero fare) i genitori quando siamo bambini. Miti religiosi, leggende e storie epiche di questo tipo, nonostante la seriosità con cui possono essere narrati o la pretesa di rivolgersi agli adulti, risulterebbero quindi, per certi versi, volti ad assecondare atteggiamenti più o meno infantili di dipendenza verso un aiuto esterno eternamente atteso.
Invece in molte fiabe rivolte ai bambini, le innumerevoli prove che deve superare il protagonista (di solito lui stesso un bambino o un personaggio svantaggiato) per riuscire a ritornare a casa dopo le avventure in cui si è trovato coinvolto, rappresentano piuttosto delle metafore delle molteplici e disagevoli difficoltà che si devono e si possono superare per conquistare una propria indipendenza e un proprio posto nel mondo, ovvero sostanzialmente per diventare adulti. In questo caso il personaggio che ritorna non è più esattamente la stessa persona che era quando era partito, ma nel suo viaggio ha imparato delle lezioni, acquisito delle capacità o ottenuto dei vantaggi, che gli saranno utili nella sua vita da quel momento in poi. I ritorni a casa di bambini smarriti come Hansel e Gretel o Pollicino, o in fiabe più recenti di bimbe sognatrici come Alice, la Dorothy del Mago di Oz o la Wendy di Peter Pan, coincidono sempre con la consapevolezza di dover ora affrontare una vita più adulta e concreta e che l'avventura appena vissuta o sognata può aiutare in questo, pur essendo indispensabile lasciarla indietro e andare avanti per poter vivere veramente. È significativo che anche Pollicino e gli altri eroi delle fiabe, più deboli di Ulisse fisicamente ma altrettanto dotati quanto ad astuzia, riescano a ritornare a casa soprattutto grazie alla propria intelligenza, che permette loro di ingannare creature pericolose ma ottuse e di sfuggire ai vari pericoli che incontrano sul loro cammino.
Con la letteratura romanzesca dell'800, il ritorno dell'eroe creduto morto o comunque scomparso, che analogamente a Ulisse spesso agisce sotto mentite spoglie per arrivare a vendicarsi o fare giustizia, diventa uno dei principali topoi (luoghi o forme ricorrenti) della narrativa d'evasione, a partire almeno da Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas. In questi casi il tipo dell'eroe predestinato o semidivino di miti e leggende, che ritorna dalla morte per rimettere le cose a posto ed a volte è capace di mutare fattezze, si fonde con quello più verosimile dell'eroe fiabesco, un eroe umano che nel suo viaggio lontano da casa ha acquisito nuovi mezzi o capacità e solo al suo ritorno è in grado di affrontare e vincere le battaglie lasciate in sospeso.
Invece in certe famose opere letterarie del '900, il ritorno verso casa di personaggi totalmente e profondamente umani, costretti ad assistere e partecipare a conflitti, stragi e infamie inumane, è stato argomento di romanzi come Il Sergente nella Neve di Mario Rigoni Stern, doloroso resoconto della marcia dei soldati italiani di ritorno dalla disastrosa campagna di Russia, o La Tregua di Primo Levi, altrettanto sentita narrazione del ritorno a casa dei pochi che sopravvissero al campo di concentramento di Auschwitz. Entrambi questi due romanzi sono perfetti esempi di moderni nóstoi, ritorni di quanti assistettero di persona a vere situazioni di sanguinari conflitti e ingiustizie generati dalla follia umana, tanto più che quelli che dovettero affrontare Rigoni Stern e Levi furono degli inferni ben più veri e concreti di quelli visitati da Ulisse.
A differenza degli antichi poemi e tragedie greci, nelle storie dei due scrittori italiani non esistono più le esaltazioni guerriere degli eroismi bellici o di una vendetta spacciata per giustizia, ma solo l'elegia amara e sofferta di chi ha visto di cosa gli uomini possano realmente rendersi colpevoli. Tale significativa differenza è dovuta al fatto che qui si tratta di testimonianze dirette di veri superstiti e testimoni oculari, non più di rievocazioni leggendarie condite qua e là da compiaciuti accenti propagandistici, così che il ritorno alle proprie case di chi ha davvero visto la guerra e l'orrore diventa soprattutto la speranza del ritorno a un più profondo e fraterno senso di autentica umanità, un ritorno che ancora oggi tarda sempre più ad arrivare...

Andrea Cantucci


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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta hanno inviato il loro prezioso contributo a questo numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri autori che ancora non hanno trovato spazio sulle pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere entro il
30 settembre 2015. Il prossimo tema: Le lingue inventate. In occasione di questo particolare tema saranno accettate solo poesie scritte in una lingua inventata (dall'autore o già esistente) con traduzione in italiano.

Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
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