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Editoriale
Progetto Emmaus
Il romanzo thriller di Marco Bazzato, autore
de
Il Campo del Vasaio (Mt. 27,7), è
ordinabile tramite Segreti di Pulcinella...
la redazione
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di
Marco Bazzato
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Catalogo
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Il ritorno dell'eterno
viaggiatore
"Sergentmajù, ghe rivarem a baita? (Sergente
maggiore, ci arriveremo a casa?)"
la frase ricorrente del soldato Giuanin, da Il
Sergente nella Neve
"Tornerai tardi e dopo gravi sofferenze, dopo aver
perso tutti i cari compagni"
la profezia di Tiresia, da l'Odissea
Nella letteratura greca un intero genere a sé
era costituito dai nóstoi, i ritorni, in particolare
quelli degli eroi achei reduci dalla guerra di
Troia, che tornavano a casa per mare dopo dieci anni
di combattimenti, e il nóstos più famoso di tutti è
naturalmente quello di Ulisse. Lo stesso termine
nóstos è interessante. È connesso col verbo néomai,
tornare a casa, ma sembra avere un legame
etimologico anche con la parola nóos, che in greco
significa mente, pensiero. Ulisse, l'eroe che tornò
più tardi di tutti, ma riuscì comunque a tornare
dopo enormi difficoltà e peripezie nonostante fosse
ormai dato per morto, ritornò proprio grazie alla
sua astuzia e intelligenza. I suoi compagni che
invece si perdettero e non tornarono, finirono per
perire lungo la strada a causa della loro mancanza
di acume e di prudenza, in poche parole per la loro
carenza di intelletto. Da nóstos deriva anche
nostalgia, il sentimento di chi vorrebbe tornare a
luoghi o a persone cari.
Psicologi e mitologi hanno teorizzato che il ritorno
dell'eroe sul tipo di Ulisse, che non solo tutti
avevano dato per morto ma che nel mito ritorna dopo
essere stato effettivamente nel regno dei morti,
rappresenterebbe il ritorno alla vita razionale e
alla coscienza da una condizione di sonno o di morte
apparente, di deliri irrazionali inconsci o di morte
vera e propria, fisica o mentale che sia. In questi
casi quello che ritorna a una vita più piena e
consapevole, legata a esigenze di tutti i giorni,
può essere un individuo che a un certo punto sceglie
di indirizzare meglio la propria esistenza (e i
compagni persi lungo il viaggio possono
rappresentare cose o parti di noi, tendenze o
atteggiamenti a cui è necessario rinunciare), ma il
simbolo del ritorno si può riferire anche alle forze
della natura che tornano a vivere ciclicamente, ad
esempio dopo il letargo invernale o dopo il riposo
notturno. Infatti la divinità che nelle mitologie di
ogni paese è stata più associata all'eterno ritorno
dall'aldilà è il Sole, che visto dal nostro pianeta,
ogni giorno sembra riemergere da oltre l'orizzonte
come resuscitando da sottoterra e che ogni volta col
suo ritorno porta di nuovo la vita a tutti gli
esseri.
Nel ciclo solare annuale, il ritorno del dio della
luce e salvatore del mondo è sempre stato
festeggiato da tutti i popoli nel periodo del
solstizio d'inverno, ovvero tra il ventuno e il
venticinque Dicembre. Nei tre giorni che li separano
e che dovevano sembrare fatidici agli antichi, il
Sole smette di abbassarsi sull'orizzonte e di
conseguenza le giornate smettono di accorciarsi, ma
non accenna ancora a risollevarsi da quella
posizione. Solo dopo il terzo giorno per così dire
risorge, cioè risale di nuovo sempre più alto nel
cielo e le giornate si fanno sempre più lunghe,
finché il ciclo si ripete di nuovo in una
progressione all'apparenza infinita. A ogni
solstizio però l'umanità di un tempo non troppo
lontano, che non poteva afferrare il reale
meccanismo di tali fenomeni naturali, doveva tornare
a trattenere il fiato nel timore che, dopo i tre
giorni di esitazione, quella volta il Sole non
tornasse a risollevarsi nel cielo, ma sprofondasse
definitivamente nell'aldilà oltre l'orizzonte.
Di qui dovette derivare probabilmente l'esigenza di
personificare sempre di più il salvatore solare in
un personaggio concreto e visibile, dall'apparenza
di un uomo tra gli uomini, che tornasse
periodicamente a rassicurarli sul destino del mondo,
che si dimostrasse capace di resuscitare dalla morte
per risalire nuovamente in cielo dov'era il suo
posto, o che ritornasse un'ultima volta per portarli
definitivamente con sé in un altro mondo con
maggiori sicurezze e meno paure di questo. Dal dio
egizio Horus dall'aspetto di falco al profeta
persiano della luce Zarathustra, dal benevolo e
invincibile dio indiano Krishna al potente semidio
greco Heracles difensore degli uomini, dal dio
dell'amicizia Mithra al saggio Buddha che risveglia
tutti gli esseri alla coscienza, dal viaggiatore
Dioniso che libera dalle inibizioni al predicatore
Gesù che promette la vita eterna nell'aldilà, ogni
nuova divinità inventata di volta in volta, nel
corso dei secoli, per sovrapporsi e sostituirsi al
dio del Sole e dell'eterno ritorno, è regolarmente
nata il venticinque Dicembre e ogni anno in quella
data se ne festeggia nuovamente il ritorno, o la
rinascita che dir si voglia. In genere tutte queste
figure divine solari hanno la facoltà di salire a
uno stato più elevato di coscienza, che lo si
collochi nei cieli, in un paradiso, sul monte degli
dèi o in un più vago e indistinto nirvana, per poi
ritornare eventualmente tra gli uomini sotto qualche
forma anche diversa, data la loro capacità divina di
mutare fattezze o di incarnarsi in corpi diversi. Lo
stesso a ben vedere fa Ulisse, quando ritorna nella
sua casa travestito e magicamente mutato
dall'intervento della dea Atena, il ché può far
pensare che anche lui in origine potesse essere
un'ennesima versione di quella stessa divinità
solare che periodicamente scende e risorge dagli
inferi, prima d'essere umanizzato sotto la forma di
un eroe in cui gli uomini potessero identificarsi
maggiormente.
La differenza è che l'eroe umano, al contrario degli
dèi, può ritornare soltanto perché non è veramente
morto, mentre altri eroi più tragici, anche dotati
di maggiori doti fisiche ma con minor acume
intellettuale, come Achille, cercano e trovano
effettivamente la morte in battaglia senza poter poi
tornare. Nell'oltretomba greco infatti i morti
diventano ombre prive di memoria e intelletto. È
questo che li rende incapaci di tornare.
Anche per quei filosofi greci che credevano nella
reincarnazione, le anime dei morti non ritornavano
mai del tutto nel mondo, poiché non potendo
conservare i ricordi delle presunte vite precedenti
sarebbero state ogni volta come persone nuove,
inconsapevoli del loro stesso ritornare alla vita.
Perfino l'astuto Ulisse, quando in seguito riprese
il mare, è come se avesse scelto infine di cedere le
armi per andare incontro al destino comune, in modo
definitivo e senza ritorno, avventurandosi oltre il
più estremo occidente allora conosciuto, ovvero
proprio là dove gli antichi ritenevano che il Sole
andasse a morire alla fine di ogni giornata.
Nelle figure salvifiche invece la tragica esperienza
della morte può accompagnarsi alla capacità di
ritornare ad apparire nuovamente, visto che la loro
natura divina consentirebbe loro di sopravvivere
alla morte e resuscitare con relativa facilità,
conservando tranquillamente il proprio nóos,
l'intelletto, ovvero ciò che permette di compiere
realmente il nóstos, il ritorno, che è un'azione
mentale prima ancora che fisica. Infatti Ulisse per
poter tornare a casa deve resistere o reagire a
varie situazioni (i Lotofagi, la maga Circe, le
Sirene, la ninfa Calipso) che tendono a ottundere il
suo intelletto e fargli dimenticare la vita che
conduceva nel mondo concreto e umano in cui si
realizzava veramente. Nel suo caso però per
ritornare rinuncia a diventare un dio, o meglio a
una natura divina offertagli da altri e che non gli
appartiene, che lo subordinerebbe a chi gliela offre
rendendolo un ben povero dio, incapace di vivere
come prima e ritornare veramente uomo.
Secondo teorie freudiane, nell'infanzia il ritorno
desiderato di un certo soggetto di particolare
importanza per la propria vita, come la madre o il
padre, può essere rappresentato dal bambino nel
gioco di gettare e subito dopo ottenere indietro un
oggetto, il ché avrebbe effetti rassicuranti
convincendolo che ritorneranno da lui anche altre
cose o persone che desidera. Se un meccanismo simile
agisce anche in ambiti sociali più ampi, può darsi
che i miti sull'atteso ritorno di personaggi
leggendari, come divinità messianiche e re
guerrieri, o le opere letterarie che narrano
situazioni analoghe, abbiano avuto diffusione e
affermazione proprio perché a livello popolare
soddisfano l'esigenza di sentirsi rassicurati che
una figura autoritaria o eroica di cui si sente il
bisogno ritornerà prima o poi per assisterci e
risolvere ogni problema, così come fanno (o
dovrebbero fare) i genitori quando siamo bambini.
Miti religiosi, leggende e storie epiche di questo
tipo, nonostante la seriosità con cui possono essere
narrati o la pretesa di rivolgersi agli adulti,
risulterebbero quindi, per certi versi, volti ad
assecondare atteggiamenti più o meno infantili di
dipendenza verso un aiuto esterno eternamente
atteso.
Invece in molte fiabe rivolte ai bambini, le
innumerevoli prove che deve superare il protagonista
(di solito lui stesso un bambino o un personaggio
svantaggiato) per riuscire a ritornare a casa dopo
le avventure in cui si è trovato coinvolto,
rappresentano piuttosto delle metafore delle
molteplici e disagevoli difficoltà che si devono e
si possono superare per conquistare una propria
indipendenza e un proprio posto nel mondo, ovvero
sostanzialmente per diventare adulti. In questo caso
il personaggio che ritorna non è più esattamente la
stessa persona che era quando era partito, ma nel
suo viaggio ha imparato delle lezioni, acquisito
delle capacità o ottenuto dei vantaggi, che gli
saranno utili nella sua vita da quel momento in poi.
I ritorni a casa di bambini smarriti come Hansel e
Gretel o Pollicino, o in fiabe più recenti di bimbe
sognatrici come Alice, la Dorothy del Mago di Oz o
la Wendy di Peter Pan, coincidono sempre con la
consapevolezza di dover ora affrontare una vita più
adulta e concreta e che l'avventura appena vissuta o
sognata può aiutare in questo, pur essendo
indispensabile lasciarla indietro e andare avanti
per poter vivere veramente. È significativo che
anche Pollicino e gli altri eroi delle fiabe, più
deboli di Ulisse fisicamente ma altrettanto dotati
quanto ad astuzia, riescano a ritornare a casa
soprattutto grazie alla propria intelligenza, che
permette loro di ingannare creature pericolose ma
ottuse e di sfuggire ai vari pericoli che incontrano
sul loro cammino.
Con la letteratura romanzesca dell'800, il ritorno
dell'eroe creduto morto o comunque scomparso, che
analogamente a Ulisse spesso agisce sotto mentite
spoglie per arrivare a vendicarsi o fare giustizia,
diventa uno dei principali topoi (luoghi o forme
ricorrenti) della narrativa d'evasione, a partire
almeno da Il Conte di Montecristo di Alexandre
Dumas. In questi casi il tipo dell'eroe predestinato
o semidivino di miti e leggende, che ritorna dalla
morte per rimettere le cose a posto ed a volte è
capace di mutare fattezze, si fonde con quello più
verosimile dell'eroe fiabesco, un eroe umano che nel
suo viaggio lontano da casa ha acquisito nuovi mezzi
o capacità e solo al suo ritorno è in grado di
affrontare e vincere le battaglie lasciate in
sospeso.
Invece in certe famose opere letterarie del '900, il
ritorno verso casa di personaggi totalmente e
profondamente umani, costretti ad assistere e
partecipare a conflitti, stragi e infamie inumane, è
stato argomento di romanzi come Il Sergente nella
Neve di Mario Rigoni Stern, doloroso resoconto della
marcia dei soldati italiani di ritorno dalla
disastrosa campagna di Russia, o La Tregua di Primo
Levi, altrettanto sentita narrazione del ritorno a
casa dei pochi che sopravvissero al campo di
concentramento di Auschwitz. Entrambi questi due
romanzi sono perfetti esempi di moderni nóstoi,
ritorni di quanti assistettero di persona a vere
situazioni di sanguinari conflitti e ingiustizie
generati dalla follia umana, tanto più che quelli
che dovettero affrontare Rigoni Stern e Levi furono
degli inferni ben più veri e concreti di quelli
visitati da Ulisse.
A differenza degli antichi poemi e tragedie greci,
nelle storie dei due scrittori italiani non esistono
più le esaltazioni guerriere degli eroismi bellici o
di una vendetta spacciata per giustizia, ma solo
l'elegia amara e sofferta di chi ha visto di cosa
gli uomini possano realmente rendersi colpevoli.
Tale significativa differenza è dovuta al fatto che
qui si tratta di testimonianze dirette di veri
superstiti e testimoni oculari, non più di
rievocazioni leggendarie condite qua e là da
compiaciuti accenti propagandistici, così che il
ritorno alle proprie case di chi ha davvero visto la
guerra e l'orrore diventa soprattutto la speranza
del ritorno a un più profondo e fraterno senso di
autentica umanità, un ritorno che ancora oggi tarda
sempre più ad arrivare...
Andrea Cantucci
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
30 settembre 2015. Il prossimo tema:
Le lingue inventate. In
occasione di questo particolare tema saranno
accettate solo poesie scritte in una lingua
inventata (dall'autore o già esistente) con
traduzione in italiano.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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