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Il Cartaio
Sinfonia Techno-Gotica di Claudio Simonetti
Non è facile presentare un’opera così complessa e articolata come il nuovo lavoro di Claudio Simonetti. Il
Cartaio è un album ricco, pieno di atmosfere e di sensazioni, di intensi colori notturni, di gotico romanticismo, di oscurità calda e avvolgente, di ossessive visioni techno.
Un contributo importante per questo articolo me lo ha dato lo stesso Claudio Simonetti, che ha accettato di rispondere ad alcune mie domande specifiche su questo suo nuovo lavoro. Le sue risposte le ho citate, in corsivo, direttamente nel testo.
La cosa che mi ha colpito all’acquisto del disco è la grande quantità di tracce, ben 28, ognuna con un titolo direttamente legato al film: "Effettivamente le tracce sono tante, e anche se alcune sono corte, ho comunque preferito metterle per dare un prodotto più completo al pubblico, tutta la score intera anziché solo i brani principali. Ho cercato di fare la scaletta rispettando più o meno quella del film." È chiaro fin da subito, quindi, che non si tratta di un normale album di brani strumentali in senso tradizionale ma piuttosto di una vera e propria serie di immagini musicali, talvolta complesse, talvolta semplici, ma comunque sempre estremamente efficaci, che mano a mano percorrono, rappresentano e interpretano la storia raccontata dal film. Immagini rielaborate in musica, traboccanti di sensazioni intense, talvolta puro riflesso sonoro di una serie di stati d’animo più o meno marcati dall’ossessione onirica di morte che pervade tutto il film.
Come lo stesso Simonetti afferma nel libretto che accompagna
il CD, Il Cartaio è una colonna sonora "completamente composta e suonata
con soli strumenti elettronici" perché questa era stata la richiesta specifica
di Dario Argento per il suo film: musica elettronica densa di
elementi techno: "Dario, vista l'ambientazione tecnologica del film,
aveva già previsto fin dall'inizio una musica completamente elettronica
proprio per sottolineare la modalità del rapporto fra l'assassino e la
polizia attraverso Internet, e così mi ha chiesto di fare. Naturalmente,
essendo amante della musica elettronica, mi sono trovato subito a mio
agio...
e fortunatamente non ho avuto grossi problemi!" .
Non è possibile
commentare in questa sede tutte le 28 tracce dell’album. Mi limiterò ad
una scelta, cercando di mettere in evidenza quei brani che riflettono
in modo più significativo lo spirito globale dell’opera. Possiamo forse
dividere le molte tracce dell’album in tre categorie principali: brani
a ritmo veloce principalmente techno ma dalle venature gotiche,
brani a ritmo lento in cui prevale l’aspetto gotico e melodico, comunque
unito a venature techno, e brani descrittivi, ossia non costruiti intorno
a
una melodia dominante e "cantabile" ma vòlti esclusivamente a raffigurare
attraverso i suoni particolari momenti del film.
Cominciamo con il primo gruppo. L’album si apre con il
brano che prende il titolo dal film, in cui l’elemento techno si evidenzia
fin da subito con un ritmo che definirei "delicatamente" ossessivo perché,
pur essendo martellante, riesce comunque a mantenere una base di atmosfera
gotica grazie ai sintetizzatori in sottofondo,
atmosfera che gradatamente raggiunge il suo culmine con il subentrare della
coinvolgente melodia di piano che, in diverse varianti, ricomparirà anche
in altre tracce dell’album e che poi costituisce il leitmotiv del film. È anche
in questo che risiede l’originalità di Simonetti, ossia nel saper fondere
il gotico con il techno, e lo fa non solo mantenendo inalterata l’efficacia
di entrambi gli stili ma facendo sì che essi si arricchiscano a vicenda:
attraverso le venature techno il gusto notturno-sepolcrale del gotico
si fa più incombente, ossessivo, psicotico,
mentre grazie all’influsso delle atmosfere gotiche i ritmi martellanti dei
brani veloci si impregnano della linfa notturna e inquietante dei sottofondi
e delle
melodie dei sintetizzatori, trasformandosi così da freddo rullare elettronico
in ossessiva forza oscura che ben rispecchia il delirio delle vittime di fronte
alla morte.
Pur essendo un appassionato di musica da più di vent’anni e un cultore
di quasi ogni genere musicale, dal Black Metal norvegese al Fusion, dal Country
a Vivaldi,
non mi ero mai avvicinato alla musica techno prima d’ora perché, francamente,
credevo che non mi sarebbe piaciuta. Questo disco invece me l’ha fatta invece
scoprire e apprezzare, o meglio, me l’ha fatta apprezzare usata nel modo in
cui Simonetti la usa, ossia sfruttandone al massimo le potenzialità trascinanti
e eliminando l’elemento monotono e assordante che, soprattutto nella versione
techno-house, sfondava le teste dei discotecomani di qualche anno fa. Il techno
di Simonetti non è mai fine a se stesso ma funziona sempre come una sorta
di amplificatore di sensazioni, pompandole fino all’ossessività ed infondendo
in esse un alito incombente, vivo, velato di follia, di fuga, di paura ansimante.
Un’altra traccia estremamente interessante per quanto riguarda l’uso di atmosfere
techno è "Video Machine". Molto azzeccata l’unione tra l’atmosfera del brano
e il riferimento del titolo. Nel film il videogioco (videopoker) è elemento
di morte. L’assassino sfida i poliziotti a videopoker e se questi perdono lui
uccide la ragazza rapita mostrando l’omicidio attraverso una webcam. L’elettronica,
la tecnologia, sono in questo caso al servizio della morte e il videogioco,
la macchina, è lo strumento attraverso il quale l’assassino semina il terrore.
Il brano è ossessivo ma allo stesso tempo coinvolgente, trascinante, irruento,
come ad esprimere l’ossessività che si sprigiona dalla macchina, un’ossessività che
assume caratteri quasi onirici nella martellante parte centrale del brano,
in cui una vaga melodia elettronica sembra descrivere l’inquietudine dilagante
delle vittime del videopoker. Le parti di sintetizzatore che costituiscono
il motivo
principale del brano sono talmente esaltanti e avvolgenti che viene voglia
di chiudere gli occhi e di lasciarsi andare ad una non meglio definibile danza
scatenata
di solenne inquietudine.
Sempre sul filone techno vorrei anche citare due brani
che la parola "techno" ce
l’hanno perfino nel titolo: "Fasan Techno" e "Techno Train". Mi viene da pensare
qui che la scelta di usare la parola techno nel titolo non sia riconducibile
soltanto al contesto musicale ma esprima qualcosa di più. È come se "techno" fosse
per certi aspetti sinonimo di "ossessivo", "incombente", "angosciante". "Il
primo dei due brani "techno" si chiama Fasan Techno ed è dedicato al montatore
del film Walter Fasano con il quale mi sono trovato molto bene fin dall'inizio
e
con il quale abbiamo ascoltato molti CD del genere (molti dei quali erano suoi)." Nonostante
il riferimento del titolo, "Fasan Techno" non costituisce in nessun modo una
rottura con le atmosfere del resto dell’album. Il brano, meno martellante di "Video
Machine", trasmette, nel suo ritmo meno incisivo ma comunque estremamente sostenuto,
una sensazione ipnotica, quasi di stordimento percettivo. È come se gli echi
prodotti dai sintetizzatori fossero in realtà prodotti dalla mente smarrita
nei fumi di angoscianti visioni di morte. Per chi ha visto il film le atmosfere
del
brano "Techno Train" sono immediatamente associabili alle immagini: "Dario
voleva proprio questo tipo di musica, soprattutto per la scena finale del film,
quando l'assassino mette
un CD di musica "techno/ossessiva" nell'autoradio della macchina per giocare
la sua ultima partita con Anna Mari sui binari del treno in arrivo. Penso che
sia stata un'ottima scelta che rende molto bene la schizofrenia del personaggio." Proprio
così. Quale strumento può meglio del techno esprimere l’avvicinarsi inesorabile
del treno che rischia di dilaniare la protagonista legata ai binari. Brano
sicuramente trascinante, in parte anche ipnotico nel suo riprodurre l’incessante
technorumore di un technotreno ignaro portatore di martellante technomorte.
Al secondo gruppo di brani appartengono invece quelli in cui l’elemento gotico
e d’atmosfera prevale su quello prettamente techno, comunque sempre presente,
anche se secondo modalità diverse da quella tradizionale.
In questo secondo gruppo mi viene subito da citare "Darkness", uno dei miei preferiti
del CD, in cui la capacità di Simonetti di creare atmosfere gotiche e inquietanti
raggiunge uno dei momenti più alti della colonna sonora de Il Cartaio. L’orrore
che Simonetti descrive e interpreta ha spesso un gusto arcaico, gotico, in
parte anche romantico (nel senso storico-letterario del termine). È una musica
colma di oscurità, inquietudine, terrore, ma anche di calore e poesia, una
poesia capace di stimolare l’anima e di trovarle un rifugio nella pace di un’onirica
e violetta penombra lunare. Ed è qui che risiede l’elemento romantico cui accennavamo
prima, proprio nella capacità della musica di farsi morbido tappeto per l’anima
nonostante le atmosfere lugubri, anzi, grazie a queste. Il gotico si fa quindi
una sorta
di intimo focolare, quadro poetico dalle infinite sfumature pastello blu e
violette, dove il crepuscolo diventa culla di emozioni e l’inquietudine, mai
come ora così calda
e avvolgente, si fa rifugio. Questa è l’atmosfera che troviamo in "Darkness",
che si apre con uno scambio di battute tra sintetizzatori e piano elettrico
per poi aprirsi in una melodia dal ritmo lentissimo, echeggiante di elettroniche
voci umane e intervallata da rallentamenti introspettivi e inquietanti elaborati
su arpeggi di piano elettrico.
A questo secondo gruppo di brani appartiene anche "Anna and John" che descrive
e interpreta l’amore tra i due protagonisti del film. Quello che però è interessante è che,
benché si tratti di un brano che descrive un sentimento, ha comunque in sé una
marcata componente di inquietudine, che lo tiene comunque in sintonia con l’atmosfera
generale del film. Chi ha visto il film sa che l’amore tra i due protagonisti
finirà tragicamente, e questa fine tragica e dolorosa incombe già nel brano,
che pur prende spunto dal loro amore. È una fusione interessante tra due atmosfere
contrapposte, ossia amore e morte, cosa che ci fa pensare ancora una volta
al romanticismo letterario. L’elemento inquietante è anche legato alla scelta
di utilizzare come tema principale lo stesso che ritroviamo nel brano che prende
il titolo dal film. È come se l’assassino fosse in qualche modo presente all’interno
della coppia. Una cosa che ho molto apprezzato in questo brano, in quanto bassista, è l’uso
del basso con l’effetto fretless [1]. Sinceramente non sapevo
che Simonetti si cimentasse anche sul basso e con risultati così apprezzabili. Questo mi
ha incuriosito e mi ha fatto venire voglia di saperne di più sul Simonetti
bassista: "Ho sempre
amato il basso. Ho cominciato a suonare nei complessini rock anni '60 suonando
la chitarra e poi la batteria per un certo periodo, per poi passare alle tastiere,
visto che avevo studiato piano fin dall'età di 8 anni. Poi però, alla fine
degli anni '70, quando iniziai a fare la "disco music", volevo che il basso
fosse suonato in una certa maniera e non riuscivo a trovare nessuno che lo
facesse (in Italia). Così mi dedicai a suonare io stesso il basso (slap, ecc.),
cosa che ho fatto in tutti i dischi degli Easy Going, Vivien Vee, Kasso....ho
persino suonato il
basso in un album di Raffaella Carrà. Ho cambiato tanti bassi ma il mio preferito
rimane sempre il mio vecchio Music Man del 1978 (purtroppo non ho un fretless
anche se ho suonato il mio con i tasti in modo che sembrasse tale)."
Un altro brano che inserirei in questo gruppo è "The House", riferito alla casa-covo
dell’assassino in cui il protagonista troverà la morte. Ed è proprio inquietudine
e morte che traspariscono dall’atmosfera del brano, che si apre con un arpeggio
di piano trascinante e ossessivo su un sottofondo di sintetizzatori dagli echi
elettronici. A questo si alterna poi un secondo arpeggio, questa volta eseguito
con un effetto che ricorda la chitarra acustica. L’unione dei due arpeggi,
il primo più ossessivo e martellante, il secondo più cadenzato, contribuisce
a dare a "The House" una delle atmosfere più coinvolgenti e trascinanti di
tutto l’album.
Il pezzo è incombente in ogni istante, ed ascoltandolo è facile immaginare
il protagonista guardarsi intorno senza sosta in preda alla tensione e alla
paura
che possa accadergli qualcosa. Anche in questo caso è da segnalare un breve
ma bell’assolo di basso, per il quale Simonetti dimostra ancora una volta di
avere un gusto veramente notevole.
Al terzo e ultimo gruppo appartengono invece quelli che
definirei brani prettamente descrittivi, ossia quelli che non sono costruiti
intorno a una melodia dominante
e "cantabile" ma il cui intento è piuttosto quello di raffigurare in musica
il concetto espresso dal titolo. Ecco quello che Claudio ci dice in
proposito: "Molti
dei brani de IL CARTAIO sono solo di commento alle immagini e quindi fatti
solo di atmosfere e suoni surreali, chiaramente costruiti sulle scene. Questo è il
vero modo di scrivere una colonna sonora secondo me, sottolineando la scena
passo per passo. È molto più creativo che scrivere un pezzo fine a sè stesso
e basta." Benché i
brani di questo tipo siano sicuramente godibili anche da chi non ha visto il
film, è comunque vero anche che chi conosce le immagini a cui sono associati
riesce ad apprezzarli in modo più profondo e a trovarvi un coinvolgimento.
Si tratta generalmente di pezzi piuttosto brevi ma sempre molto intensi, nei
quali
Simonetti non cerca la melodia accattivante a tutti i costi ma lascia che siano
le immagini del film a trasformarsi in suoni. Le composizioni di questo tipo
sono molte, ne segnaleremo qui solo qualcuna. Molto bella è "Mad Man" che ben
descrive gli anfratti tetri e contorti della follia dell’assassino. Interessante
il susseguirsi e l’intrecciarsi di "tappeti" musicali elettronici diversi nella
parte centrale, che si apre con una bellissima entrata synth, certo un momento
di particolare intensità per l’anima di gusto crepuscolare (come la mia...).
Questo ancora una volta a dimostrare quanto Simonetti sappia calibrare e fondere
le sue atmosfere musicali, talvolta tanto semplici quanto azzeccate.
Segnalerei poi "John’s Theme", brano suggestivo dalle melodie rarefatte capace
di esprimere, con i suoi volteggianti arpeggi di piano, un’intensa dolcezza
velata di una leggera inquietudine, presagendo quasi la tragica fine del protagonista.
L’atmosfera principale è comunque positiva, aperta, ariosa, rilassante, avvolgente,
come ad esprimere la ricchezza di sentimenti del personaggio, il suo amore,
la sua forza, il suo coraggio. Forse varrebbe la pena che un pezzo così durasse
un po’ di più.
Mi colpiscono poi i tre brani riferiti alle tre partite
a carte con l’assassino,
ossia "First Game", "Second Game" e "Third Game". Qui l’atmosfera si fa pesante,
irrespirabile. I suoni opprimono, aggrediscono, martellano, stridono nel loro
mescolarsi, nel loro intersecarsi e amalgamarsi con forza l’uno nell’altro.
Ogni partita significa in realtà morte o comunque prosecuzione di un gioco
di morte. Il gioco è truccato e l’assassino non perde mai il controllo della
situazione, neanche quando sembra che i poliziotti riescano a vincere. Interessante
poi
il fatto che, nel passaggio da una partita all’altra, l’atmosfera dei brani
si faccia progressivamente sempre più opprimente, aggressiva, psicotica, ipnotica.
Il gioco di morte si fa infatti sempre più pesante, le vittime aumentano,
la tensione cresce, la follia guadagna terreno. Tutto questo progressivo degenerare
di situazioni, emozioni, stati mentali è a mio parere ben espresso dalla sequenza
dei tre brani (non in sequenza diretta nell’album ma separati da altre tracce).
Non posso qui commentare tutti i brani descrittivi, penso
di avere già analizzato
e dissertato abbastanza. Vorrei solo menzionare, per concludere, anche "Bloody
Fingers", che fonde benissimo atmosfere lugubri di ispirazione gotica con
incisive aperture synth-techno, "Telephone Call" che è un altro eccellente
esempio di quell’inquietudine calda e avvolgente di cui parlavamo prima, e "Remo’s
Dream",
bellissimo intreccio di mutevoli ritmi techno con linee elettroniche tanto
rarefatte quanto trascinanti e di effetti vocali malinconici e cullanti.
Concludo qui la presentazione di questo bellissimo album, raccolta infinita
di arie, atmosfere, melodie più o meno rarefatte, più o meno aggressive, ma
anche dolci, malinconiche, un immenso e fitto bosco al chiaro di luna, ammantato
in
intensi colori pastello sfumati di violetto crepuscolare, di sentimenti, di
anima. Musica che ci si sente addosso, capace di farci rifuggire la luce accecante
del quotidiano per richiamarci verso gli infiniti universi notturni che imperano
dentro e fuori noi stessi.
Auguriamoci che Claudio Simonetti continui a creare sempre con questo gusto
e con questa intensità, è importante che ci siano musicisti che compongano
non solo per l’orecchio, ma anche per l’anima.
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Note
Il basso fretless (lett. "senza tasti") è un normale
basso elettrico la cui tastiera però è completamente liscia come quella
di un contrabbasso. Questa caratteristica permette allo strumento
di produrre suoni molto più caldi, uniti e ricchi di sfumature rispetto
al basso elettrico tradizionale, in cui i tasti sono separati
da barrette di metallo. Il
fretless ha una potenzialità melodica enorme e in molti casi è usato anche
come strumento solista. [torna alla nota del testo]
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