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Evoluzioni alternative e
rivoluzioni naturali
L'idea definitiva di evoluzione, soprattutto dal
punto di vista biologico, fece il suo dirompente
ingresso nella Storia, nella Letteratura e nella
Cultura del XIX non solo con la pubblicazione nel
1859 del famoso libro di Charles Darwin intitolato
"On the Origin of Species by Means of Natural
Selection" (Sull'Origine delle Specie per Mezzo
della Selezione Naturale), ma anche con i precedenti
studi di un altro naturalista inglese, Thomas Henry
Huxley, che solo basandosi sulle somiglianze tra le
varie specie era già giunto alle medesime
conclusioni, poi ampiamente avvalorate dalle ben più
ampie, accurate e complete osservazioni di Darwin.
Naturalmente non è che prima non ci si evolvesse.
Pare che non solo noi umani, ma tutte le cose che ci
circondano si siano sempre evolute, soltanto che
prima non ce ne rendevamo conto più di tanto, come
dire che non ci avevamo proprio fatto caso. Del
resto l'Evoluzione è da sempre una faccenda
lentissima. In biologia si parla di milioni di anni
perché una specie si evolva in un'altra. Se uno
dovesse star lì ad aspettare i risultati,
l'Evoluzione sarebbe quindi una faccenda abbastanza
noiosa… Lo dice bene lo scrittore Saul Bellow nel
suo romanzo "Il Dono di Humboldt" (vincitore del
Pulitzer nel 1975): - "È un tormento immaginare
tutto questo procedere a tentoni, per continui
tentativi: tutto questo annaspare, tramestare nei
pantani, tutte le cacce, gli agguati, le prede, e la
lotta per la riproduzione, la noiosa lentezza con
cui si svilupparono tessuti, organi, membra. E che
noia poi attendere che compaiano esemplari più
evoluti, e che alla fine venga fuori l'uomo. Che
monotona la vita nelle selve paleolitiche, la lunga,
lunghissima incubazione dell'intelligenza."
Come si sa, l'idea darwiniana di selezione naturale
(ormai scientificamente dimostrata, nonostante
persistano opposizioni e pregiudizi dei soliti
fanatici monoteisti) prevede che l'evoluzione si
compia attraverso graduali e lentissime selezioni
degli individui più adatti a sopravvivere e
riprodursi. Nella nostra attuale società edonista e
capitalistica i più sicuri di potersi riprodurre
sarebbero in pratica i più bellocci e/o i più
ricchi. Chissà allora come mai non ci siamo ancora
evoluti in una specie di soli playboy strafichi…
sarà perché i soldi non bastano per tutti?… o forse
solo per l'esasperante lentezza di cui sopra? Ecco
quindi che la scorciatoia di una rapida rivoluzione
è spesso apparsa più conveniente ed efficace
rispetto alla graduale e paziente evoluzione, almeno
se uno ci tiene a fare in tempo a vedere dei
risultati concreti nel corso della sua breve vita,
qualunque sia la cosa o l'insieme di cose che
vorrebbe far cambiare, fosse pure l'intero sistema
in cui vive.
In realtà l'evoluzione particolare della specie e
della società umana, fattasi col tempo sempre più
complessa ma non per questo necessariamente più
giusta e felice, si è sempre svolta attraverso una
successione di lenti e graduali cambiamenti
alternati con improvvise e rapide rivoluzioni, a cui
naturalmente sono seguite talvolta anche resistenze
e reazioni, ma quasi mai queste hanno potuto alla
lunga opporsi all'inevitabile trasformazione
evolutiva in atto. Le rivoluzioni funzionerebbero un
po' come i quanti teorizzati dal fisico Planck. In
quel caso, raggiunta una certa soglia di energia,
gli atomi liberano dell'energia in eccesso tutta
insieme. Quando una lenta evoluzione è diventata
insufficiente a dar sfogo alle tensioni e alle
esigenze vitali che col tempo si sono andate sempre
più delineando, il momento della rivoluzione, o se
vogliamo della vera e propria mutazione evolutiva,
diventa inevitabile e questo è probabilmente vero
anche in biologia.
Devono esserci stati dei momenti in cui delle specie
all'improvviso sono state costrette a mutare
rapidamente in altre, per far fronte a condizioni
ambientali insopportabilmente avverse, se volevano
sopravvivere. O meglio, quelle che in tali
circostanze non sono riuscite a mutare non sono
neanche riuscite a sopravvivere, il ché è più o meno
il destino a cui finiscono per andare incontro anche
i fanatici conservatori e reazionari a oltranza. In
fondo si potrebbe benissimo dire che la più
eclatante rivoluzione evolutiva verificatasi sul
nostro pianeta appena pochi milioni di anni fa, sia
stata proprio l'apparizione della specie umana…
Nonostante le immediate critiche e derisioni che
Darwin ricevette da coloro che si offesero al
pensiero di discendere dalle scimmie e che non
riuscirono ad accettare che le loro convinzioni
religiose fossero dei miti, il suo primo volume,
"L'Origine della Specie", non trattava per nulla
l'evoluzione umana, ma solo le regole generali della
selezione naturale, dedotte dall'osservazione di
altre specie animali. "L'Origine dell'Uomo" fu
invece il titolo e l'argomento del successivo libro
di Darwin ("The Descent of Man", del 1871). Al
momento della sua pubblicazione erano già stati
ritrovati i primi resti di uomini di Neanderthal, ma
molti volevano pensare che fossero degli uomini
deformi, mentre oggi sappiamo che erano uomini
preistorici appartenenti a una linea evolutiva ormai
estinta. In quello stesso anno si rinvennero vicino
a Grosseto i primi resti di oreopiteco, un primate
vissuto tra i sette e i nove milioni di anni fa che
fu il primo a essere dotato di un pollice opponibile
identico al nostro, ma anch'esso sembra essersi poi
estinto senza evolversi ulteriormente.
Altri ritrovamenti di ominidi e uomini preistorici
furono resi pubblici poco tempo dopo, compreso
quello del primo pitecantropo conosciuto, rinvenuto
a Giava nel 1891, un primate che collocandosi più o
meno a metà strada tra le scimmie e l'uomo
confermava coi fatti le teorie di Huxley e di
Darwin. Entrambi infatti, anche senza prove dirette
e basandosi semplicemente sulle evidenti analogie
tra certi animali e gli esseri umani, avevano già
dedotto in modo sostanzialmente corretto da quali
tipi di specie siamo chiaramente derivati.
Darwin faceva anche già notare, proseguendo gli
studi di Huxley, come gli embrioni umani nell'utero
materno ripercorrano nei nove mesi della gestazione
l'intera scala evolutiva dalle specie più semplici a
quelle più complesse. Lungo questa scala evolutiva,
di cui per ora abbiamo la presunzione dei
considerarci l'apice, la lentezza delle mutazioni
graduali in certi periodi deve aver lasciato il
posto anche a delle improvvise "rivoluzioni
anatomiche", dei cambiamenti evolutivi più rapidi e
decisivi, che si imponevano perché in quel momento
soltanto chi in qualche modo vi si fosse adattato
sarebbe potuto riuscire a sopravvivere.
Uno dei periodi decisivi dell'evoluzione umana,
quello in cui abbiamo cominciato a sviluppare dei
piedi al posto delle mani agli arti inferiori, delle
gambe più lunghe, un'abituale postura eretta e
presumibilmente anche il grasso sottocutaneo al
posto della pelliccia animale, insieme a molti altri
piccoli e grandi dettagli anatomici che ormai ci
differenziano irreversibilmente da tutti gli altri
primati del pianeta, non è ancora stato
approfonditamente chiarito dal punto di vista dei
ritrovamenti archeologici. Tutto ciò che questi
finora testimoniano è solo l'evoluzione dall'australopiteco
e dai primi ominidi all'homo erectus e poi all'homo
sapiens, ovvero i passaggi che hanno visto aumentare
statura, volume toracico e massa cerebrale dei
nostri antenati, fino ad arrivare agli esseri umani
attuali. Ma l'australopiteco aveva già piedi affini
ai nostri e, dalla sua conformazione ossea dotata di
gambe più lunghe delle scimmie, si deduce che
camminasse usando normalmente la postura eretta, che
invece le scimmie, avendo gambe più corte, usano
poco e con fatica.
Com'è accaduta la rivoluzione evolutiva che ha
portato all'australopiteco? Com'è successo che siamo
passati dall'essere dei pelosi quadrumani
preistorici a trasformarci almeno fisicamente in
uomini, sia pur primitivi?
I biologi e paleo-antropologi ufficiali non si
sbilanciano. Parlano vagamente di casualità legate a
cambiamenti climatici e identificano nell'ardipiteco
vissuto tra sei e quattro milioni di anni fa il
primo ominide a essersi pienamente distaccato dalle
scimmie. Anche le caratteristiche peculiari dell'ardipiteco
comprendevano, come nel successivo australopiteco, i
piedi umani e la statura eretta, mentre certe specie
di preominidi più antiche erano molto più simili a
scimmie antropomorfe, come il ramapiteco vissuto
dodici milioni di anni fa, o il dryopiteco, o altre
appartenenti alla famiglia di antropoidi denominati
proconsul, vissute nel pliocene.
Dunque tra i dieci e i cinque milioni di anni fa
circa, in Africa, deve essere accaduto qualcosa che
ha reso necessario tale cambiamento, che ancora
prima dello sviluppo cerebrale, ha innescato la
nostra evoluzione, facendo staccare il già quasi
umanoide ardipiteco dai suoi antenati più
scimmieschi del tipo proconsul.
Tra le teorie che tentano di spiegare in modo
cervellotico il fenomeno, ma che nonostante la loro
artificiosità ricevono una certa attenzione
ufficiale, c'è quella di Owen Lovejoy secondo cui ci
saremmo a un tratto alzati sulle gambe per avere le
mani libere e poter portare più cibo alle femmine,
in modo da riuscire a instaurare con loro un
rapporto esclusivo. È una teoria evidentemente
viziata dall'idea che la monogamia dovesse aver
preso piede già nei primi ominidi, un'idea del tutto
discutibile visto che ancora in epoche storiche
molte culture umane hanno invece tradizioni
prevalentemente poligame… che ricordano le analoghe
abitudini sessuali di scimmie antropomorfe come i
gorilla, mentre gli scimpanzé, che sono
geneticamente i più prossimi all'uomo, all'interno
di ogni loro gruppo sono dediti al sesso libero
senza alcun tipo di limitazione.
Altre teorie mettono l'accento sulla necessità di
brandire delle armi rudimentali come bastoni e
pietre contro i predatori o le tribù rivali, per la
difesa e il controllo del territorio, cosa che
avrebbe reso necessario alzarsi su due gambe per
avere le mani libere e poter afferrare tali
strumenti offensivi. Ma se fosse davvero bastato un
motivo così semplice, non si capisce perché non
abbiano adottato la stessa tecnica guerresca anche
tutte le altre scimmie antropoidi esistenti in
natura. In effetti certi scimpanzè usano bastoni per
combattere o altri strumenti di fortuna per vari
motivi, mentre i gorilla hanno l'abitudine di
sbattere dei rami qua e là per minacciare gli
intrusi quando difendono il branco, ma non per
questo tali animali hanno raggiunto la postura
eretta… almeno per ora. È più probabile che la
posizione eretta abbia preceduto, e quindi reso
possibile, lo sviluppo dell'uso di utensili da parte
dei primi ominidi, invece di essere stata causata da
quest'ultimo.
Un'altra teoria, davvero alquanto esile, sostiene
che stando in piedi il vantaggio era di essere meno
esposti al sole e maggiormente esposti al vento, in
modo da stare un po' più freschi nella calura
africana. Forse chi la sostiene immagina che abbiamo
perso il pelo per lo stesso motivo, unica specie di
primati in tutta l'Africa a rinunciare
all'isolamento termico offerto da una pelliccia in
cambio di una sicura insolazione…
In realtà la posizione bipede per una scimmia è del
tutto svantaggiosa, perché non le permette di
correre in fretta (almeno fino a ché gli arti
inferiori non si siano molto allungati…) e perciò la
espone al rischio continuo di cadere vittima di
predatori più veloci. Quindi chi ce l'ha fatto fare?
Obiettivamente, anche se non esistono ancora
conferme fossili (che del resto non esistevano
neanche all'epoca delle teorie di Huxley e Darwin),
la teoria più semplice e logica, basandosi
sull'osservazione delle nostre caratteristiche
anatomiche comparate con quelle di altre specie,
sarebbe quella formulata nel 1960 dal biologo marino
inglese Alister Hardy e poi ripresa anche dalla
sociologa americana Elaine Morgan e dall'oceanografo
francese Jacques Mayol, ovvero la teoria della
"scimmia acquatica". In pratica i nostri antenati,
durante le lunghe siccità africane del Pliocene,
avrebbero preso l'abitudine obbligata di rifugiarsi
in acqua per sfuggire ai predatori e/o per nutrirsi
di frutti di mare, adottando forse la statura eretta
per tenere la testa fuori dall'acqua e soprattutto
dando origine a una linea di primati perfettamente
in grado di nuotare, a differenza di quasi tutte le
scimmie attuali.
A differenza degli altri primati, i nostri corpi
hanno infatti molto in comune con quei mammiferi del
tutto o in parte riadattati alla vita acquatica come
le lontre, gli ippopotami, le foche, i trichechi, i
lamantini, i dugonghi e i cetacei in genere. Come
molti di questi animali abbiamo perso quasi del
tutto la pelliccia (tranne che sulla testa,
presumibilmente perché le "scimmie acquatiche"
nostre antenate la tenevano fuori dall'acqua per
respirare), sostituendola con uno strato di grasso
sottocutaneo che è l'isolante termico ideale per un
animale dal sangue caldo che debba vivere in acqua.
Inoltre i nostri peli residui non seguono
l'andamento della pelliccia degli altri primati, ma
sono orientati in modo idrodinamico come la
pelliccia delle lontre.
Venendo alla conformazione dei nostri piedi, che
permettono la nostra tanto vantata postura eretta,
inizialmente potrebbero essersi evoluti così non
tanto per camminare meglio ma innanzitutto per
nuotare, visto che assomigliano quasi di più alle
zampe di un palmipede o di una rana che agli arti
inferiori di una scimmia. È interessante anche
notare come le pinne caudali dei mammiferi, a
differenza di quelle dei pesci, siano disposte in
orizzontale, a battere l'acqua dall'alto in basso,
essendosi probabilmente evolute da zampe più o meno
simili ai nostri piedi, che non a caso quando
nuotiamo battono anch'essi nell'acqua dall'alto in
basso. Va da sé che anche la lunghezza delle nostre
gambe si sarebbe sviluppata per permetterci di
nuotare meglio, ovvero di spostare i piedi il più
ampiamente possibile ed esercitare così una spinta
maggiore in acqua. Soltanto successivamente la cosa
ci sarebbe tornata utile anche per stare in piedi e
per correre.
Pare che in una piccola percentuale statistica ci
siano ancora delle persone che conservano residui di
dita dei piedi "palmate" e lo stesso si può dire per
le nostre mani, in particolare per il consistente
lembo di pelle "palmata" che unisce i nostri pollice
e indice, un lembo di pelle che le scimmie non
hanno, che ci impedisce di ruotare il pollice in
modo più ampio come fanno loro e che non sembra
avere nessuna utilità precisa, o almeno non sulla
terraferma. Secondo Hardy anche la sensibilità dei
nostri polpastrelli, molto maggiore di quelle delle
dita delle scimmie, potrebbe essersi sviluppata
dall'esigenza di dover cercare il cibo sott'acqua.
Di certo le ossa delle mani umane somigliano
moltissimo a quelle delle pinne dei lamantini, dei
dugonghi e delle balene australi, il ché sembra
avvalorare l'idea che possano essersi evolute così
proprio per il nuoto.
Tra l'altro le femmine di lamantini e dugonghi
hanno, come le donne umane, due mammelle in
posizione pettorale, sotto le pinne, che si gonfiano
in modo analogo durante l'allattamento.
Evidentemente tali animali hanno sviluppato simili
mammelle per mantenere il latte al caldo anche in
acqua grazie al grasso sottocutaneo e a volte,
quando stanno in posizione verticale, allattano i
piccoli tenendoli tra le pinne, esattamente come le
donne umane che tengono in braccio i loro bambini.
C'è chi pensa che proprio i loro avvistamenti in
tale atteggiamento sopra il pelo dell'acqua possano
aver originato il mito delle sirene dalla coda di
pesce, tanto che alla famiglia dei lamantini e dei
dugonghi è stato dato il nome di sirenidi.
Anche i genitali femminili di questi sirenidi hanno
qualcosa in comune con quelli delle donne umane,
essendo ritratti all'interno del corpo per
proteggerli dall'ambiente marino. Secondo Hardy e
Morgan proprio il fatto di doversi accoppiare
nell'acqua avrebbe portato nella "scimmia acquatica"
a posizioni non solo da tergo ma anche frontali o
laterali, come quelle usate dai vari mammiferi
acquatici, mentre la necessità di raggiungere meglio
i genitali femminili, spostatisi più all'interno,
avrebbe provocato l'allungamento dell'organo
sessuale dei maschi, il ché spiegherebbe perché il
membro maschile umano è in proporzione più
sviluppato rispetto a quello degli altri primati,
senza dover scomodare certe discutibili teorie di
esibizionismo del pene.
La sociologa Morgan sostenne che anche i preliminari
e le schermaglie amorose tipici della nostra specie
sarebbero derivati dalle evoluzioni compiute negli
accoppiamenti acquatici, visto che si riscontra
qualcosa di molto simile in mammiferi acquatici come
i delfini ma non negli altri primati, che al
contrario si accoppiano in modo molto rapido. Anche
i lamantini non hanno troppa fretta di arrivare al
dunque, dato che si accoppiano in quelle che si
possono considerare delle vere e proprie
"ammucchiate", con molti maschi che si strofinano
addosso a una singola femmina e anche tra di loro,
unendosi a turno con lei solo successivamente…
Lasciando l'ambito piccante delle pratiche sessuali,
possiamo infine osservare che anche la forma del
nostro naso, con le narici orientate in basso come
in una specie di sifone, deve essersi evoluta per
poterci meglio immergere in apnea senza che l'acqua
entri subito all'interno. Per andare sott'acqua, noi
possiamo anche chiudere il nostro naso con le dita,
cosa impossibile per quasi tutte le scimmie. La sola
notevole eccezione è la nasica del Borneo, l'unica
scimmia ad avere un lungo naso con le narici rivolte
in basso e che, non a caso, è uno dei pochi primati
che ama fare il bagno, essendo del tutto capace di
nuotare anche in mare aperto.
Un altro esempio che potrebbe corrispondere al primo
stadio della nostra antica evoluzione acquatica,
sono i macachi dell'isola giapponese di Koshima. Di
solito la loro specie vive solo sulla terraferma, ma
da alcuni decenni, non trovando più cibo a terra,
hanno imparato a nuotare spingendosi in mare per
nutrirsi dei molluschi che trovano sul fondo.
Necessità analoghe potrebbero aver spinto i nostri
antenati a fare lo stesso. Diamo ai macachi di
Koshima un'altra decina di milioni di anni di tempo
e vedremo cosa ne viene fuori…
Questa teoria di un lungo periodo trascorso in acqua
dai nostri progenitori, se fosse corretta,
spiegherebbe anche il fatto che i delfini sentano un
così stretto legame con l'uomo, forse non solo
perché siamo entrambi mammiferi, ma anche perché
avvertono che anche noi siamo mammiferi
semi-acquatici (e il riconoscimento è reciproco,
visto che i Greci consideravano i delfini degli
animali divini che un tempo erano stati uomini…).
Contemporaneamente si spiegherebbe anche il piacere
che la nostra specie trae tuttora dalla sua
vicinanza col mare, dal nuoto, dalle immersioni…
quasi volesse tornare all'antico elemento, desiderio
forse riecheggiato in certi miti come quello greco
di Glauco, un pescatore che fu trasformato dagli dèi
in una divinità marina.
In barba alla lenta, graduale evoluzione che
trascina con sé nel suo inavvertibile scorrere le
nostre piccole vite, che c'è di più rivoluzionario
che cambiare non solo ambiente ma addirittura
elemento, per trasformarsi in tritone o in sirena,
in un sogno che sembra quasi a portata di mano
appena al di sotto del pelo dell'acqua?
Ma occorrendo troppo tempo per completare quella
nostra rivoluzionaria evoluzione, forse interrottasi
e rimasta in sospeso da milioni di anni, a chi non
si vuole rassegnare a essere imprigionato nella
lenta realtà delle solite cose di ogni giorno, non
resta che tentare di evolversi immergendosi in
ambienti altrettanto liquidi come quelli della
propria mente e dei propri sensi, sviluppando nuove
e duttili capacità con cui esprimersi, creare o
raggiungere obiettivi lontani come ipotetici
orizzonti, attraverso le onde di un'evoluzione
interiore, poetica, artistica o fisica, ma che ogni
tanto ci permetta almeno di salpare verso altri
mari…
Andrea
Cantucci
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Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro
opere. Il prossimo tema:
Realtà alternativa.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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