|
|
Libri a fumetti
Città
di Vetro di David Mazzucchelli: Un'immersione
labirintica nel linguaggio della follia
Recensione di
Andrea Cantucci
Pittura
Boccioni, pittore scultore futurista
di Maddalena Lonati
Tamara de Lempicka
di Maddalena Lonati
Chagall-Mirò "magia, grafia, colore" alla
Fondazione Mazzotta
di Maddalena Lonati
|
|
CITTA' DI VETRO
Un'immersione labirintica nel linguaggio della
follia
Una
scena buia iniziale, un telefono che squilla, una richiesta di
aiuto. E' un incipit tipico della narrativa poliziesca. Ma cosa
rappresenta (sempre che rappresenti qualcosa)? Di quale assenza
è simbolo quel buio? Chi è che ha veramente bisogno d'aiuto? Nel
romanzo di Paul Auster "Città di Vetro", niente è come sembra, o
meglio, tutto sembra rimandare a qualcos'altro, avere più di un
significato, come una lingua segreta che avrebbe bisogno di
essere decifrata. E' però sempre presente anche il dubbio che
invece sia il caso a regnare sovrano sulla realtà e sulle vite
dei personaggi, facendoli girare in tondo inutilmente in cerca
di un senso che può esistere solo come convenzione comunemente
accettata, come un intricato disegno del cui vero significato
non è possibile essere sicuri, ma che ci si può illudere di aver
compreso se ci si mette d'accordo su quello che vi vogliamo
vedere. Come dice la citazione dell'uovo Humpty Dumpty tratta da
"Alice Attraverso lo Specchio", Quando io uso una parola
significa esattamente ciò che ho deciso che significhi.
Ecco quindi che per alcuni dei personaggi, l'uso del linguaggio,
il mettersi d'accordo su ciò di cui si parla, può diventare
centrale nella loro pretesa di comprendere e interpretare le
cose, a maggior ragione quando sperano in qualche modo anche di
farle cambiare o evolvere. Ma può essere sufficiente creare una
nuova lingua, come uno dei personaggi vorrebbe, perché il mondo
appaia diverso o possa trasformarsi in qualcosa di nuovo? Basta
cambiarne i nomi perché cambi la realtà? O tutto ciò che si
otterrà dal voler condividere una nuova interpretazione delle
cose non è che un'illusione un po' più ampia, come la pretesa di
un folle di convincersi che la verità è ciò che lui vorrebbe far
diventare vero?
Queste potrebbero essere alcune delle riflessioni attorno a cui
ruota il romanzo di Auster, la cui trama stessa è un invito a
cercare una verità sempre più sfuggente, mano a mano che aumenta
il disperato bisogno di afferrarla.
Tradurre
in immagini a fumetti un romanzo complesso e introspettivo come
questo, è come accettare la tacita sfida del testo, rielaborare
con un linguaggio diverso una realtà sfuggente e sconnessa. La
sfida in questo caso fu lanciata da Art Spiegelman (fondatore
della prestigiosa rivista americana Raw, nonché autore del
notissimo romanzo a fumetti "Maus"), mentre colui che l'ha
accettata con successo è stato David Mazzucchelli, già
disegnatore su testi di Frank Miller di cicli fondamentali del
fumetto di supereroi, come "Batman: Year One" e "Devil: Born
Again", poi passato a produrre opere sperimentali alternative
sulla propria rivista Rubber Blanket. Paul Karasik, altro
collaboratore di Raw Magazine, ha aiutato Mazzucchelli nel
difficile compito di adattare il testo sotto forma di
sceneggiatura, ma la responsabilità finale delle immagini con
cui farlo vivere è stata totalmente dei disegni di David,
caratterizzati da uno stile enormemente espressivo, nella loro
ruvida essenzialità, che sottolinea perfettamente lo smarrimento
in cui precipita sempre di più il protagonista.
Come
in molti romanzi, esiste infatti un unico riferimento costante
che ci fa da guida nel corso degli eventi, un'unica certezza a
cui si può restare aggrappati fino a che non ci abbandona, il
punto di vista del protagonista. In questo caso si tratta di uno
scrittore deluso di nome Daniel Quinn, che dopo la morte di
moglie e figlio si è ritirato in un pressoché totale isolamento,
scrivendo libri gialli sotto pseudonimo per sopravvivere. Lo
squillo del telefono nella notte, la richiesta d'aiuto,
potrebbero anche venire da dentro di lui. All'altro capo del
filo, una voce gli chiede protezione e alla fine Quinn lascia
credere di essere un investigatore, immedesimandosi nell'eroe
dei suoi romanzi. Viene coinvolto così in un caso a dir poco
inquietante. Deve proteggere un ragazzo dal proprio padre, un
padre che lo aveva rinchiuso per nove anni in una stanza buia,
per di più costringendolo con la forza ad osservare un assoluto
silenzio, per confermare certe sue deliranti teorie sulla lingua
originale dell'Uomo.
Il nome, sia del padre che del figlio, è Peter Stillman, un
cognome che si potrebbe tradurre "ancora uomo", ma anche "uomo
tranquillo" o "immobile", preceduto da un nome proprio che in
italiano corrisponde a "Pietro". Vi si potrebbe vedere un
collegamento con quel noto apostolo su cui sarebbe stata fondata
una certa religione (come su una pietra immobile appunto). Anche
Stillman padre, come molti fanatici religiosi, ha scambiato
l'ambito simbolico per quello fisico, applicando alla lettera le
proprie dissertazioni filosofiche, e per un lungo periodo ha
costretto altri al silenzio, impedendogli di esprimersi in nome
delle sue pretese verità. Come accade in vari culti, le sue idee
riecheggiano i diffusi miti sul ritorno di un'antica età
dell'Oro, ma anche gli ipotetici legami tra parola e creazione,
tra i nomi e l'intima natura delle cose, che si ritrovano in
molte culture e tradizioni. Si tratta di concezioni simboliche
su cui si basano tra l'altro certe pratiche magiche, risalenti
come minimo all'antico Egitto ma diffuse anche fra le società
tribali, secondo le quali basta pronunciare il vero nome di
qualcuno o qualcosa (normalmente tenuto segreto) per acquistare
potere su quel determinato soggetto, in un certo senso per
possederne l'anima.
In
pratica, Stillman riteneva che, privato in tenera età di
contatti col mondo esterno, suo figlio avrebbe potuto ricordare
la lingua comune parlata dall'Umanità prima del crollo della
mitica Torre di Babele, o addirittura da Adamo prima della
caduta dal paradiso terrestre, e che il ricordo di tale lingua,
che comporterebbe la conoscenza dei veri nomi di tutte le cose,
avrebbe automaticamente restaurato sulla Terra quel paradiso
perduto. Pensava insomma che esistesse una lingua naturale
insita nell'Uomo stesso, un linguaggio che in qualche modo
attiene alla sfera del divino, in cui non ci sarebbero
differenze tra le parole e le cose a cui si riferiscono, in cui
non ci sarebbe più nessun problema di interpretazione. Tutto ciò
che si dice corrisponderebbe completamente e perfettamente a ciò
che è, conferendo agli esseri umani un totale controllo sulla
realtà.
Ovviamente però le conseguenze sul ragazzo non sono state quelle
desiderate; com'era prevedibile è emerso dalla sua prigione con
enormi problemi di dissociazione mentale, anche se si può
intuire che, dietro il modo sconnesso in cui infine è riuscito a
ricominciare a parlare, si nascondano sibilline rivelazioni
interiori. Per ciò che gli ha fatto, il colto e folle padre ha
ormai scontato una lunga pena ed ora si teme il suo ritorno.
Quinn, da buon detective improvvisato, lo sorveglia strettamente
fin dal suo arrivo, seguendolo passo per passo lungo labirintici
percorsi apparentemente senza senso. Alla fine però ne perde le
tracce e, con esse, il controllo sul caso e sulla propria vita.
Ciò che colpisce di più nel racconto è l'alienazione, non solo
dei personaggi più folli, ma anche del protagonista,
un'alienazione che diventa evidente da un certo punto della
storia in poi, ma che si può intravedere fin dall'inizio nel suo
quasi totale isolamento, interrotto solo da brevi frasi
occasionali scambiate in tono superficiale con qualche perfetto
sconosciuto. Nel corso della lettura si può avvertire, con un
leggero brivido, la sensazione di vedere riflessa come in uno
specchio una vita presa a caso tra quelle di molti di noi, forse
proprio la nostra. Nonostante Quinn faccia un lavoro considerato
creativo e gratificante, come quello dello scrittore, nonostante
sia chiaramente una persona molto colta e intelligente, o forse
proprio per questo, è difficile reprimere un moto di pietà per
il modo in cui la sua vita affettiva si è arenata in una
prigione che lui stesso si è costruito intorno, con i fantasmi
del suo passato perduto che gli si riaffacciano alla mente ogni
volta che tenta di guardare fuori di sé. Tutto ciò che gli resta
è concentrarsi costantemente sul caso di cui ha deciso di
occuparsi, e quando anche la possibilità di risolverlo, di avere
successo in qualcosa a cui tiene, di aiutare chi ha bisogno di
lui, si fa sempre più difficile, anche Daniel sembra a svanire
con essa, abbandonandosi ad un viaggio che lo porta
contemporaneamente dentro e fuori di lui.
Se in tutti noi c'è qualcosa di Daniel Quinn, viene da sperare
che alla fine, in qualche modo, riesca a scoprire davvero un
linguaggio perduto che gli faccia ritrovare sé stesso.
Da parte loro, Mazzucchelli e Karasik sovrappongono immagini ai
dialoghi interiori con un gusto stilistico ed una originalità
che, quando la loro versione uscì nel 1994, erano tutto sommato
ancora inedite per il mondo del fumetto, aggiungendo una
dimensione in più alla storia di Auster. Le loro sperimentazioni
esplorano nuove forme visive e narrative insieme, con
vertiginosi zoom in avanti o all'indietro che scompongono e
ricompongono in modi diversi le immagini, in parallelo con le
riflessioni della voce narrante o dei personaggi. Trattandosi
dell'adattamento di un romanzo, per non snaturare il testo hanno
scelto di conservare un'esposizione di tipo letterario e spesso
restano legati ad un andamento didascalico, per poi staccarsene
improvvisamente mostrando elementi reali o simbolici che
integrano e rendono più diretti i contenuti, oppure che portano
verso altre inattese direzioni, in certi casi fino a rendere il
racconto ancora più enigmatico e ambiguo, eppure tutto ciò che
viene mostrato, perfino nelle scene più surreali, ha una sua
consistenza chiara ed evidente, nell'essenzialità spontanea
dello stile di Mazzucchelli.
Potrebbe anche sorgere il dubbio che quel linguaggio cercato
tanto disperatamente, usato dall'Umanità nella notte dei tempi,
con cui si può comunicare in modo universale, esprimere la
realtà del mondo con perfetta ed univoca corrispondenza,
sentirsi tutt'uno con le cose che ci circondano, non sia in
fondo che l'insieme di linee e forme comunemente chiamato
Disegno.
Autori: P. Auster, D. Mazzucchelli e P. Karasik
Titolo: Città di vetro
Editore: Coconino Press (Collana: Coconino Cult)
Formato: 17x24 cm., 144 pp. in bianco e nero, rilegato in
brossura e sovraccoperta
Prezzo: Euro 14,00
Pagina Internet:
www.coconinopress.com/autori/mazzucchelli/mazzuchelli.htm |
|
|