|
Gli articoli qui riportati,
pubblicati di recente sul quotidiano Repubblica,
forniscono l'occasione per tornare su alcuni punti
relativi alla situazione della psicoanalisi e degli
psicoanalisti oggi.
La fuga dal lettino di Freud
Repubblica - 02 ottobre 2008 pagina 1 sezione: PRIMA
PAGINA
In America la pillola spodesta la parola. Più
facile ricorrere al farmaco che alla psicoterapia.
Agli effetti immediati della pasticca, piuttosto che
a defatiganti colloqui sul divanetto, s' affidano
sempre più gli psichiatri che operano negli Stati
Uniti. La tendenza è stata documentata dalla
autorevole rivista Archives of General Psychiatry,
che ha fornito cifre significative: le cure
medico-psicologiche oggi in corso in America
soltanto per il 29% si basano sulla terapia della
parola, mentre dieci anni fa la percentuale era
intorno al 44%. Sempre più numerosi - dice ancora lo
studio di Ramin Mojtabai e Mark Olfson - sono gli
psichiatri specializzati in terapie farmacologiche e
sempre meno quelli attrezzati per la psicoterapia.
SIMONETTA FIORI
Ma nel futuro tornerà la cura della parola
Repubblica - 02 ottobre 2008 pagina 40 sezione:
CRONACA
Le teorie psicanalitiche, che nell' attuale era
dei farmaci appaiono in crisi, hanno però, dietro
l'angolo, la possibilità di una rivincita. Anzi,
secondo alcuni esperti, il futuro del lettino è
comunque assicurato, perché la "terapia della
parola" conferma la sua efficacia contro alcune
malattie mentali. Lo sostengono gli autori di uno
studio pubblicato sul Journal of the American
Medical Association. L' articolo è il primo a
parlare in questi termini della psicoanalisi e a
essere pubblicato su una delle più importanti
riviste scientifiche: l' aspetto interessante è che
gli studi sui quali esso si basa non erano noti ai
medici. Questo settore ha resistito all' indagine
scientifica per molti anni, in considerazione del
fatto che il processo della terapia è molto
individualizzato e di conseguenza non si presta di
per sé a un simile studio. La premessa fondamentale
è l' idea di Freud che i sintomi affondino le loro
radici in conflitti psicologici latenti, spesso
presenti da lungo tempo, che possono essere portati
alla luce in parte tramite un esame approfondito
durante il rapporto terapeuta-paziente. Gli esperti
nondimeno mettono in guardia dal rischio di dare un
peso eccessivo alle conclusioni illustrate nell'
articolo, ancora insufficienti a loro parere per
affermare la superiorità della terapia
psicoanalitica rispetto ad altre, quali la terapia
cognitiva comportamentale o un approccio a più breve
termine. Secondo loro, infatti, gli studi sui quali
si basa la ricerca non sono sufficienti. "Questo
studio però contraddice di sicuro il concetto che la
terapia cognitiva o qualche altro trattamento a
breve termine siano migliori" ha detto Bruce E.
Wampold, presidente del dipartimento di consulenza
psicologica dell' università del Wisconsin. "Quando
è ben praticata, la terapia psicodinamica per alcuni
pazienti si dimostra valida come qualsiasi altra e
questo mi sembra determinante per una terapia
intensiva simile". Gli autori della ricerca - il
dottor Falk Leichsenring dell' università di Giessen
e Sven Rabung dell' University Medical Center
Hamburg-Eppendorf, entrambi in Germania - hanno
analizzato i casi nei quali la terapia prevedeva
incontri frequenti (più di una seduta alla
settimana) e durasse da almeno un anno o che durasse
da almeno 50 sedute. I ricercatori hanno quindi
analizzato studi che avevano seguito pazienti
affetti da una molteplicità di problemi mentali, tra
i quali la depressione grave, l'anoressia nervosa, i
disturbi della personalità borderline,
caratterizzata dalla paura dell' abbandono e da cupi
accessi e grida di disperazione e disagio. La
terapia psicodinamica - ha spiegato Leichsenring in
un messaggio di posta elettronica - "ha dato esiti
significativi, considerevoli e stabili, che sono
oltretutto significativamente aumentati tra la fine
delle sedute vere e proprio e gli incontri di
controllo successivi". Dall' analisi della ricerca
non è emersa una correlazione diretta tra i
miglioramenti del paziente e la durata del
trattamento, ma il miglioramento è stato in ogni
caso accertato e gli psichiatri hanno detto che era
chiaro che i pazienti con problemi emotivi gravi e
cronici avessero tratto vantaggio dall' attenzione
costante e frequente dedicata loro dallo
psicoanalista. "Se a grandi linee definiamo
personalità borderline quella che preclude di
regolare le proprie emozioni, questa caratterizza
moltissime persone che si presentano negli
ambulatori medici, anche se la loro diagnosi è di
depressione, di bipolarismo in età pediatrica o di
abuso di sostanze stupefacenti" ha detto il dottor
Andrew J. Gerber, psichiatra della Columbia. Per
alcuni di questi pazienti, ha proseguito Gerber,
"dall' articolo si evince che se si vuol far sì che
i miglioramenti durino nel tempo occorre impegnarsi
in una terapia a lungo termine". Barbara L. Milroad,
professoressa di psichiatria al Weill Cornell
Medical College, che pratica come Gerber la terapia
psicodinamica, ritiene di importanza fondamentale
procedere a ulteriori studi per garantire la
sopravvivenza di una terapia così valida. "Cerchiamo
di essere concreti" ha detto Milroad. "Molti grandi
centri medici hanno chiuso i programmi di tirocinio
in terapia psicodinamica perché non c' erano
adeguati riscontri sulla sua efficacia". c.2008 New
York Times News Service (Traduzione di Anna
Bissanti) - BENEDICT CAREY
Entrambi gli articoli poggiano su studi statistici
che coinvolgono psichiatria e psicoterapia (compresa
quella analitica). Il primo tende a dimostrare
quanto le terapie psicodinamiche siano in ribasso
rispetto a quelle psicofarmacologiche. Trattasi di
un trend inesorabile la cui evidenza è stata
denunciata in numerose occasioni da vari autori tra
cui spicca quelli particolarmente efficaci di
J.A.Miller che, dopo molti anni passati quasi in
silenzio ad occuparsi esclusivamente della
trascrizione dei seminari del genero Lacan, è
finalmente uscito allo scoperto denunciando i
pericoli che la psicofarmacologia e la psicoterapia
tecnica comportano oggi. Nell'articolo non vi è
nessuna novità vera e propria in questo senso, ma
una importante conferma vagliata questa volta da una
statistica recente.
Vorrei però ribadire una considerazione
difficilmente confutabile anche se priva (a mia
conoscenza) di riscontri statistici: nel muovere
simile denuncia riguardante la "farmaceutizzazione"
dell'utenza psicologica gli psicoanalisti sono
nettamente più numerosi e puntuali degli
psicoterapeuti. Il motivo della riservatezza di
questi ultimi va ricercato secondo me in quella
specie di "matrimonio felice" instauratosi tra
psichiatria e psicoterapia e dal quale è nato un
nuovo tipo di approccio che ha spopolato negli USA e
si sta affermando sempre più anche in Europa: le
cosiddette "terapie combinate". Come dice il nome,
queste si distinguono per il fatto di combinare
terapie di tipo psicodinamico (soprattutto
comportamentismo e cognitivismo) con trattamenti
farmacologici. Tale approccio può esplicarsi per
esempio nel "somministrare farmaci la mattina e nel
fare sedute il pomeriggio" o nel fare seguire un
paziente da uno psicoterapeuta sotto stretto
controllo di uno psichiatra., a secondo naturalmente
delle possibilità e della convenienza di entrambi.
Come affermai in passato , la psichiatria tende a
coinvolgere la psicoterapia, piuttosto che ad
escluderla, nell'intento abbastanza chiaro di darsi
buona coscienza e respingere le accuse di ridursi a
somministrare farmaci in modo sistematico senza
interessarsi adeguatamente alla persona. Essendo
tali accuse giustificate e provenendo a volte anche
da autori importanti, esse devono essere
verosimilmente percepite come pericolose per lo
sviluppo e la diffusione della psichiatria. Dal
canto suo la psicoterapia, diventando sempre più
tecnica e sempre meno umanistica, oppone sempre meno
resistenze all'instaurarsi di simili collaborazioni.
Di fronte ad una offensiva così forte e a volte
anche intellettualmente scorretta , l'attività
psicoanalitica si avvicina sempre più a quella
descrizione di "mestiere impossibile" data da Freud.
Influenzati dalla moda delle psicoterapie, gli
utenti attuali tendono a considerare i trattamenti
lunghi inadeguati e la rimessa in questione
soggettiva un impegno troppo gravoso, se non
addirittura pericoloso per la loro stessa integrità.
Sicché risulta sempre più difficile fare loro capire
e accettare le regole più basilari della
psicoanalisi. Le loro motivazioni sono sempre più
circoscritte alla cura del sintomo, mentre le loro
pretese di efficacia e efficienza del trattamento,
anche nel caso di problematiche esistenziali,
risultano sempre più deresponsabilizzanti. Tale
risultato è forse uno degli effetti psicologicamente
più reale (in senso psicoanalitico) prodotto dalla
chimica.
Nell'ambito psicoterapeutico il cognitivismo, che
potremmo considerare una forma superficiale di
analisi psichica finalizzata alla individuazione e
alla ristrutturazione di pensieri problematici,
tende ad essere inglobato e annullato dal
comportamentismo che, nella sua ultima evoluzione
denominata Acceptance and Commitment Therapy (ACT) ,
considera l'attività di pensiero alla stessa stregua
di un comportamento e come tale si propone di
trattarlo. Egregi signori, se per la vostra nuova
teoria vi fa difetto un simbolo, perché non prendete
la famosa statua del "pensatore" di Rodin?!
Il secondo articolo prende spunto da uno studio
pubblicato su di una accreditata rivista americana,
il Journal of the American Medical Association, che
afferma la stessa efficacia del trattamento
analitico rispetto alla psicoterapia comportamentale
per tutta una serie di disagi di varia natura e
gravità. L'articolo insiste inoltre sulla
persistenza degli effetti benefici a distanza di
tempo dalla fine del trattamento analitico. Come
scrissi in precedenti occasioni, più reali delle
statistiche nel nostro campo sono i riscontri
soggettivi degli analizzandi. Pertanto, anche se gli
esiti di questi studi sembrano positivi per la
psicoanalisi, non percorreremo comunque questa
strada per non metterci sullo stesso piano di chi
intende passare al vaglio della "scienza oggettiva"
una disciplina che indaga la soggettività o, se si
preferisce, quella "realtà psichica" per
l'affermazione della quale gli psicoanalisti di oggi
incontrano le stesse imponenti difficoltà che vi
erano ai tempi di Freud . Sotto a questo aspetto si
può dire che poco o nulla è cambiato. Non si deve
dimenticare che alla fine è sempre l'analizzando a
verificare, a volte addirittura sul proprio corpo,
l'effetto dell'inconscio e delle sue verità
nell'interpretazione. Non è di statistica cui la
psicoanalisi ha bisogno. L'avvenire del lettino (o
della poltrona) non passerà certo da lì. Volere
prendere una statistica per buona perché positiva
nei confronti della psicoanalisi potrebbe
addirittura rivelarsi un passo falso per gli
psicoanalisti. In effetti, c'è da scommettere che
non sempre tali riscontri "oracolari" potranno
essere così clementi. Che lo siano o no, a prenderne
atto saremmo già scivolati nel scientismo
psicologico che confonde l'essere allo specchio con
l'essere vero senza fare una piega. Occorre invece
insistere sulla natura soggettiva delle verità che
emergono in analisi, sulla priorità accordata alla
finalità conoscitiva rispetto alla cieca "cura del
sintomo", sulla immancabile struttura significante
che quest'ultimo rivela durante il processo
associativo e nel transfert. Occorre altresì
ribadire con forza che una cura psicologica, per
essere tale, deve anche soddisfare l'appetito di
senso del soggetto e che la scomparsa duratura di un
sintomo si accompagna sempre ad un cambiamento della
personalità. Diversamente, ogni tentativo di
eliminazione dell'inconscio (perché la posta in
palio è questa) ci avvicinerebbe allo spettro della
"soluzione finale" già ipotizzata dall'eminente
luminare della psichiatria italiana Paolo Pancheri .
Tecniche psicoterapiche adagiate su un divano di
pillole colorate per i palati mentali più raffinati,
sarà questo l'avvenire del lettino?
|
ì |
|
|