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Il linguaggio non è solo
semantica. Eppure c'è già all'interno della mente un
"seme" che consente la comprensione di concetti
sottili, che non hanno corrispondenza nel mondo
materiale. Ad esempio quando un bambino apprende a
parlare ed a scrivere, non segue solo esempi
concreti: tavolo, cibo, cane, etc. Vi sono pure i
concetti e sentimenti che vengono "riconosciuti"
intuitivamente, per una sorta di ammissione interna
che va aldilà dell'esempio. In questo caso si
presuppone che vi sia già una pre-conoscenza innata
di tali concetti, il linguaggio insomma non è altro
che descrizione di un qualcosa che abbiamo già
dentro. La stessa cosa si può dire della conoscenza
di vita.
La vita nasce dall'inorganico ma se non fosse già
presente nella materia in forma germinale come
potrebbe sorgere e trasformarsi in intelligenza e
coscienza? Da ciò se ne deduce che la coscienza e
l'intelligenza sono come una "fragranza" della
materia e quindi non vi è reale separazione. La
differenza è solo nella fase…. La vita è
un'espressione manifestativa della materia. Partendo
da questa considerazione generale osserviamo che la
spinta evolutiva di questa intelligenza/vita si
evolve attraverso stati diversi di consapevolezza.
Nelle forme pensiero esistono gradi descrittivi
della maturità assunta da questa intelligenza.
Tralasciamo per il momento gli aspetti più vicini
all'animalità, all'istinto, e prendiamo in
considerazione solo gli aspetti "filosofici" del
pensiero umano. Osserviamo che sia in occidente che
in oriente vengono descritti gli aspetti separativi
e unificativi del processo mentale (solve et coagula
ovvero: "il credere è statico lo sperimentare
dinamico").
In Grecia come in India si è parlato di pensiero
duale e pensiero non-duale.
Nel pensiero duale (dvaita) viene inserita ogni
forma cristallizzata separativa, come il teismo e
l'ateismo. Queste due categorie infatti sono viste
come sfaccettature della stessa conformazione
separativa. Il teista è colui che crede in un dio
separato da sé, lo immagina in veste di essere
superiore e dotato di immensi poteri e vede se
stesso come creatura alla sua mercé . Il teista
crede che la sua propria esistenza è consequenziale
e secondaria al dio. L'ateo parimenti, crede di non
credere, ovvero nega ogni sostanza all'ipotetico dio
basando il suo credo sul relativismo materialista.
Il teista e l'ateo sono arroganti affermativi della
propria "verità" (presunta od immaginata).
Ovviamente entrambe queste fedi si basano sulla
piccolezza e separatezza dell'io ed abbisognano di
uno sforzo continuo e costante per affermare o
negare, un tentativo frustrante che comunque non
prende in considerazione l'agente primo, l'io, se
non in forma passiva e marginale. Questo modo di
pensare duale è lo stesso sia per il religioso che
per l'ateo materialista che crede in causa-effetto o
nella fortuità del caso. E' un percorso puramente
speculativo, basato comunque sul credere, sul
ritenersi piccoli elementi separati di un qualcosa
che magari pian piano la scienza (o la religione)
corroborerà. Ma sappiamo che l'orizzonte è sempre
più avanti… mai raggiungibile, insomma siamo persi
nel nulla…. Nel vuoto.
La fase successiva dell'auto-conoscenza si definisce
non-duale (advaita), in questo caso si inizia a
tener conto del soggetto, della coscienza attraverso
la quale ogni percezione e sentimento sono
possibili, si riconosce nella consapevolezza la
matrice della propria esistenza. In questa categoria
si pongono l'agnostico e lo gnostico.
Alla base della ricerca dell'agnostico si pone
l'esperienza diretta ed il superamento della
concettualizzazione descrittiva. L'esperienza
empirica viene portata alle sue estreme conseguenze
con il riconoscimento della costante presenza
dell'io nel processo implicato. Viene superato così
il modello del credere in verità precostituite
accettando la realtà intrinseca dello sperimentatore
che esperimenta. Per cui non si affermata
assolutezza, l'agnostico esprime sostanzialmente una
spiritualità laica.
L'agnostico sa che non può esserci altra certezza
che quella dell'esperimentatore ma allo stesso tempo
non vi è ancora realizzazione definitiva. La
coscienza individuale non si è fusa nella coscienza
universale benché permanga l'intuizione dell'unità
primigenia del tutto. Stando così le cose egli non
può affermare, egli dice di non sapere, la sua è una
saggezza in fieri, in maturazione. L'agnostico non
può più identificarsi con un nome forma specifico ed
allo stesso tempo manca della pienezza e quindi
resta equanime, non afferma e non nega. Ma il suo
costante e continuo discernimento giunge infine ad
una inaspettata e spontanea fioritura, e qui
l'intelligenza individuale si scioglie, si ottiene
la conoscenza di sé, la gnosi (jnana).
Lo gnostico non ha assolutamente bisogno di
dichiarare alcunché, la sua realizzazione è totale e
definitiva, la sua presenza non è limitata ad un
nome forma, egli conosce se stesso come il tutto
inscindibile dal quale ognuno di noi proviene e
risiede. Lo gnostico né sente il bisogno né ha mezzi
per esprimere la sua esperienza, giacché il
linguaggio umano è molto distante dall'esperienza
diretta del sé. Infatti prima c'è la consapevolezza
del sé, poi la coscienza dell'io individuale che
assume una forma nello specchio della mente, quindi
la riflessione del pensiero ed infine la descrizione
del linguaggio parlato o scritto. Il saggio non vede
differenza alcuna, sa che la base è la stessa per
ognuno (materia-spirito in continua trasformazione),
egli "conosce" che la coscienza e l'esistenza sono
inscindibili nell'assoluta unità (uno senza due). Ma
la sua esperienza -che è la comune natura di tutti-
può essere riconosciuta e percepita per spontanea
simpatia dallo spirito maturo.
In questo processo a quattro fasi, fra dualismo e
non-dualismo, si manifesta tutto il gioco della vita
e della coscienza.
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