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Libri a fumetti
Cinema
Miti mutanti 7
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La vendetta dell'immaginazione
"Bastardi senza gloria"
Quentin Tarantino
(Cinema Reale, 2 - Roma)
Stupefacente quest'ultimo film di Quentin Tarantino
che nel titolo originale suona così: "Inglorius
basterds". È un gioco, un'immaginazione, la vendetta
dell'immaginazione prima ancora che la vendetta,
fantasticamene sacrosanta, degli ebrei. E difatti è
un tributo, un omaggio, un amore incondizionato per
il cinema, l'immaginazione in movimento. Per il
cinema, per i suoi generi, in questo caso i films di
guerra, ma anche il western e il melò, la commedia e
il documentario. E il cinema è spiato, mostrato,
svelato, accarezzato, continuamente, attraverso la
vista delle locandine dei films, le pizze, il
proiettore, la sala, il cartellone esterno con le
lettere da mettere a mano, salendo su una scala, gli
attori, il regista, gli spettatori. C'è una tale
inventiva, una tale libertà di creare e "manipolare"
ingegnosamente e generosamente tante, tante, tante
memorabili sequenze del cinema del passato da Leone
a Pabts, passando per Hitchcock e Lubitsch, Clair e
Chaplin ecc. ecc. e non manca nemmeno l'introdottissima
Leni Riefensthal, da uscirne quasi "ubriacati". È
una reinvenzione, davvero stupefacente, di un
inguaribile cinefilo che vive il cinema fin nel
midollo delle sua ossa. E questa reinvenzione è più
toccante di molti altri films, magari storicamente
più fedeli, ma meno riusciti.
Non è rilevante, in questo contesto, che il regista
statunitense forse non conosca bene le vicende
storiche dell'epoca insomma, non era certo Goebbels
il numero due della Germania nazionalsocialista e
tantomeno un Goebbels reso così insignificante;
l'attenzione è su di lui perché è il ministro della
propaganda e, cosa che interessa il nostro narratore
per immagini venuto dal Tennessee, è il ministro
dell'industria del cinema tedesco ; quello che
conta, nel film, è la sua capacità di giocare, di
inventare, di ribaltare con irriverente baldanza i
ruoli: un gruppo di ebrei americani, i bastardi del
titolo, che nella Francia occupata dai nazisti,
tendono loro insidiosissime imboscate, durante le
quali, dopo averli uccisi, fanno loro lo scalpo. A
capo del gruppo c'è Aldo Raine, un ebreo americano
con sangue apache nelle vene. Quei pochi tedeschi
che il gruppo lascia in vita, li marchia in fronte
con un'incancellabile croce uncinata: l'uniforme, a
guerra finita, i soldati del Terzo Reich Millenario,
possono toglierla, nasconderla, bruciarla; quel
simbolo, invece, inciso nella carne, non è più
rimovibile. Che dire? Divertente e geniale, anche se
richiama alla mente, percorsa da un brivido gelido,
marchiature sull'avambraccio di ben altra natura e
destinazione.
Sbalordisce, di Tarantino, la sua voglia di fare
cinema su un tema così delicato, trattandolo alla
sua maniera. La vendetta di Shoshanna, la giovane
ebrea a cui il colonnello Hans Landa, il cacciatore
di ebrei, ha ucciso l'intera famiglia, nascosta
sotto le assi del pavimento nella casa di un
contadino francese, che li tradisce, a cui si
affianca l'azione del gruppo dei "Basterds", pur con
varie rocambolesche deviazioni, riesce. Da notare
come le donne, nei suoi films, che subiscono la
morte violenta dei loro cari, decidono di
vendicarsi, e basti pensare a "Kill Bill". Qui non è
da sottovalutare la determinazione di Shoshanna,
nonostante la sua bellezza così delicata ed
angelica, né quella di Aldo Raine, più scanzonato e
guascone, che rappresentano due ebrei combattivi e
senza scrupoli. Non ho potuto non pensare a chissà
quanti ebrei, e non solo loro, all'epoca dei fatti,
avrebbero voluto avere quella tempra guerriera
oppure essere riusciti a fare un grande falò, in un
cinema parigino, nientedimeno che del gotha dei
gerarchi nazisti (Goebbels, Göering, Bormann, Hitler
compreso). Sì, che un fuoco distruttore e
purificatore, portato da un angelo sterminatore di
rosso vestito (come Shoshanna) bruciasse quegli
uomini nefasti, responsabili, assieme ad altri,
della morte di una ventina di milioni di persone
durante la seconda guerra mondiale. Nella realtà
storica, l'attentato preparato dal maggiore della
Wermacht von Stauffenberg, noto sotto il nome di
Operazione Walkiria, fallì; il Führer ne uscì solo
ferito e furibondo per l'affronto.
Ho apprezzato che Tarantino, nel suo divertissement,
abbia avuto la sensibilità e l'intelligenza di non
toccare grottescamente la Shoah (su quell'orrifico
sterminio solo i sopravvissuti hanno il diritto di
poterne ridere e/o sorridere, e, come si è visto, a
tutt'oggi, non mi pare che l'abbiano fatto). Anzi ha
costruito dei dialoghi di grande finezza, stilistica
e psicologica; basti pensare al colonnello Hans
Landa, ossessivo, razionale, di un sadismo
raffinato, ma anche capace di uccidere a mani nude
la bella attrice tedesca, una volta scoperta come
spia. Un tipo di nazista che ha popolato gli incubi
di milioni di persone, qui interpretato da un
fenomenale Christoph Waltz, premiato con la Coppa
Volpi (miglior attore) all'ultima Mostra del Cinema
di Venezia ed anche con l'ultimo oscar come miglior
attore non protagonista. Ma tutti gli interpreti
sono bravi, a disegnare personaggi netti, senza
sfumature: da Brad Pitt, a tratti esilarante, a
Diane Kruger, che fa il verso a Marlene Dietrich, da
Michael Fassbender a Eli Roth, da Til Schweiger a
Daniel Brühl (per me l'indimenticabile, devotissimo
figlio di una madre, malata, che crede ancora
all'esistenza della Germania dell'Est e che lui,
nell'alimentarne l'illusione, va alla ricerca dei
"mitici" cetriolini in barattolo, nel film di Becker
"Good Bye, Lenin!") fino alla toccante, tenace
Shoshanna di Mélanie Laurent.
Notazione finale: la scelta delle musiche e delle
canzoni è una delizia per appassionati oltre ad
essere narrativamente strutturale e mai ornamentale.
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