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Editoriali
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di
Marco Bazzato
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Catalogo
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Senza la crisi l'arte cosa
sarebbe?
Definire il concetto di crisi in tempi in cui ormai
si parla solamente di questo stato di cose non è
facile e rischia di apportarci in sentieri alquanto
tortuosi e poco risolutivi.
Qualcuno del varietà dei primi anni del secolo ormai
trascorso, il secolo delle grandi conquiste, del
progresso tecnologico, dell'avanzamento prometeico
delle invenzioni, Rodolfo De Angelis, noto
compositore avvicinatosi al futurismo, aveva scritto
un motivo dal titolo: "Ma cos'è questa crisi?". Era
il 1933, l'Italia si trovava in piena repressione da
parte della dittatura fascista e il ritornello della
canzone voleva sottolineare l'invito quasi
paradossale, spiritoso, sagace e goliardico di
abbandonare ogni preoccupazione che ci attanaglia
quotidianamente, tanto la crisi prima o poi passerà
si diceva nel testo. Era una vera critica sociale
ammantata anche da una certa leggerezza apparente e
ironia sottesa.
Uscendo dalle stecche del varietà italiano possiamo
dire che la crisi spesso è uno stato d'animo indotto
da coloro che vogliono mantenere la situazione
immobile e statica per poter, così, rendere
omologabile e omologante un pensiero unico,
soffocante e normalizzante. Lo stesso critico
letterario Frank Kermode, giustamente, avvisa sul
fatto che in ogni periodo si pensa che si stia
vivendo un'era di rottura, quasi dando a quell'epoca
contemporanea l'eccezionalità di una visione mitica
e rendendo, così, gli animi in un'attesa quasi
contemplativa di un futuro prossimo. Si pensa,
quindi, che la crisi che si vive "sia preminente,
più tormentosa, più interessante delle altre crisi".
Il termine etimologicamente deriva dal greco antico
e significa sia rottura, separazione, frattura, sia
decisione, scelta. La doppia concezione della parola
ci porta intrinsecamente a considerare la crisi come
un'occasione, un'opportunità di ripensare e
ripensarsi, di riprendere una nuova prospettiva che
non annienti il sé ma che lo rinnovi, che non faccia
tabula rasa di un passato esperienziale ma che lo
valorizzi e lo riproponga sotto forme e sostanze
differenti.
Se Jakob Burckhardt in "Considerazioni sulla storia
universale" afferma che gli sviluppi che susseguono
dai momenti di crisi sono precipitosi come fossero
"fantasmi in fuga", il suo collega Reinhart
Koselleck sotto la metafora di "cataratta degli
eventi" definisce la crisi come "occasione che ci
trasforma". Gli accenni storiografici ci permettono
di inquadrare meglio il periodo culturale e
artistico che stiamo percorrendo in uno stadio,
quale quello contemporaneo, apparentemente e
superficialmente fossilizzato nella dizione
complessiva di "post modernità", ossia epoca della
fine di ogni ideale e capacità di pensare a nuovi
stili, nuovi progetti artistici, nuovi significanti
poetici. Non esisterà oggi in qualcuno il coraggio,
per esempio, espressosi nell'arte figurativa
simbolica ed evocativa di un Gustav Klimt, che si
immerse nell'ottica di dare una rivoluzionaria idea
di produzione artistica fondando quel movimento che
aveva qualcosa di radicalmente immediato nello
stesso nome: il secessionismo viennese. La filosofia
intrinseca della sua poetica coincideva con la
volontà di rompere senza mediazioni, appunto, con un
passato ormai superato, inoltrandosi in una nuova
spazialità quasi fisica nella cui centralità si
potesse assaporare la lettura dell'animo umano.
Nella letteratura artistica abbiamo figure che hanno
saputo utilizzare la crisi culturale di un certo
periodo per rinnovarsi e rinnovare l'arte. Non
esistono più, quindi, nell'epoca della cosidetta
post modernità figure di rilievo nell'architettura
quale il fondatore dello stile moderno, Le Corbusier;
in letteratura dobbiamo dedurre che non vivono nuovi
spiriti capaci di dare una svolta al concetto di
arte letteraria e di scrittura, come riuscirono a
loro tempo Italo Svevo, Luigi Pirandello o Thomas
Mann, agendo tra l'analisi psicologica e
l'introspezione complessa dell'essere e della sua
precaria esistenza; in musica non si percepiscono
crescere nuove figure del calibro di un Igor
Stravinskij o di un George Gershwin, fondatori di
differenti pensieri rivoluzionari di produzione
artistica; forse oggi non possiamo apprezzare nuovi
registi che potrebbero essere comparabili ai
fondatori della Nouvelle Vague francese oppure del
neorealismo italiano; oggi mancano, pertanto, nomi
che potrebbero essere paragonabili ai poeti
dell'ermetismo, oppure nella fotografia non abbiamo
figure di autori della portata di un Muybridge,
precursore attraverso le foto seriali dell'arte
cinetica; non abbiamo, chiaramente e
conseguentemente, ancora visto sorgere una stella
che sappia competere con l'elevatura culturale e
creativa di Andy Warhol, imitato e ancora
riferimento costante, che ha espresso il concetto di
arte come celebrità e come ricerca del profitto, in
un'ottica concettualistica del moderno e in una sua
visione popolare e quotidiana, fruibile dalla
maggioranza degli spettatori. Di poeta ne nasce uno
solo diceva Ungaretti ai funerali di Pierpaolo
Pasolini, indicando come l'autore friulano abbia
potuto segnare, tanto da renderlo unico, quella
rottura di linguaggio e di espressione tale per cui
la crisi dei costumi e dei valori, a loro volta
minacciati davanti all'omologazione consumeristica,
veniva affrontata e analizzata con i simboli più che
attraverso opere pedagogiche di forte impatto
ideologico, come testimonia Teorema, capolavoro
innovativo e, quindi, prodotto di una ricerca di
trasformazione dovuta alla crisi culturale, i temi
strutturali della quale vengono adeguatamente svolti
nella pellicola stessa. Non sarei, quindi, così
negativo in assoluto a non leggere attualmente nel
panorama artistico fermenti, seppure individuali, di
soggettività artistiche che cerchino di inventare e
inventarsi per elaborare un cambiamento culturale
richiesto.
C'è chi, in passato, difronte alla crisi ha assunto
toni provocatori, disarmanti l'interlocutore,
considerando l'arte come opera di indipendenza e,
come tale, illogica, totalmente destabilizzante i
canoni classici stereotipanti: deve saper parlare
senza parlare, asserivano i dadaisti, deve saper
comunicare partendo da qualcosa che può anche essere
visto come riprovevole dalla massa ma che, invece,
diventa la valenza dell'opera e dell'artista in
preda a una "follia indomabile" e "alla
decomposizione". Di certo Duchamp attraverso la
proposta di un orinatoio come opera artistica era
riuscito a creare la rottura con il soffocante
patrimonio ereditato e paternalisticamente imposto
del classicismo o del futurismo, del simbolismo, del
realismo o dell'iperrealismo. Ma non è un simile ed
esagerato impeto di lacerazione artistica da essere
richiesto affinchè si possa dire di trovarci
difronte a un rinnovato linguaggio dell'arte. Oggi
ci dobbiamo domandare apertamente se siamo davvero
davanti a una crisi del sistema per poter
comprendere l'esistenza di moti culturali e
artistici diretti verso una trasformazione evolutiva
del sé personale come artista e della cultura di una
collettività. La risposta potrebbe essere tanto
affermativa quanto negativa. Un fatto è, però,
certo: viviamo nella precarietà esistenziale e
questo elemento ci porta a non avere certezze ideali
e sociali tali per cui permetterci di prendere il
lusso di adagiarci in contemplazioni estetiche fini
a sé stesse di passati gloriosi e irripetibili. La
rivista vuole assumere nel proprio microcosmo un
ruolo di spazio virtuale e virtuoso che sappia dare
un approfondimento all'analisi del contesto
culturale che viviamo attraverso nuove poetiche,
letterarie, musicali, artistico figurative,
cinematografiche, giovanili e fertili, dinamiche e
innovative, espresse da una pluralità di singoli
soggetti che si chiedono che cosa poter apportare a
questo stato di cose, a volte fortemente
cristallizzato e opaco, per trovare strade di
rinnovamento culturale e civile. Non è presuntuoso
pensare a Segreti di pulcinella come un piccolo
approdo nel mare tempestoso, magari funestato da
canti di sirene deviatrici e incantatrici, per un
vascello, quale quello dell'arte contemporanea nella
sua universalità, procedente con difficoltà verso
un'Itaca del riscatto culturale e soggettivo di chi
vuole indipendentemente affermare la propria
autorevolezza di portatore di messaggi dall'intenso
significato e significante. Ci sarà un'Itaca finale
dove bearsi di nuove prospettive artistiche
culturali reperite uscendo dal presente momento di
crisi? Si spererebbe che questo non avvenga e si
inviterebbe, una volta raggiunta l'ipotetica meta,
chi avesse fatto scalo di vedere nuovi itinerari da
intraprendere, mettendosi in continua discussione e
apportando nuove idee al cammino dell'arte nella
storia della propria comunità. La crisi genera
pensiero e il pensiero genera arte; e quale migliore
frase se non quella di Jean Cocteau, che tanto
rinnovò il modo di intendere e pensare l'arte nella
sua interezza e pluralità, può corroborare questa
tesi finale quale: "L'arte è scienza fatta carne".
Alessandro
Rizzo
vicedirettore di Segreti di Pulcinella
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
31 dicembre 2012. Il prossimo tema:
istruzione.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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