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Il tempo
Il desiderio, tra tragedia e tensione: oggi
dov'è questo anelito creativo?
di
Alessandro Rizzo
Il senso del desiderio
di Andrea Cantucci
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Il senso del desiderio
"La vita non ha un senso. È desiderio. Il Desiderio
è il tema della Vita."
Charlie Chaplin, dal film "Luci della Ribalta"
In certe antiche culture, ancora collegate in
qualche modo ad un più o meno spontaneo panteismo
delle origini ma già avviate ad evolversi in civiltà
raffinate, il Desiderio era un dio. Infatti nella
maggior parte delle mitologie, gli dèi del Cielo e
della Terra, di sesso opposto, generavano l'Universo
unendosi carnalmente; era quindi inevitabile che il
dio del Desiderio dovesse già esistere, per spingere
tutte le cose a quel movimento che è
l'indispensabile complemento dell'esistenza e della
vita e che prelude ad ogni genere di procreazione. I
Greci consideravano Eros, il Desiderio, il primo dio
nato dall'uovo cosmico sorto dal Caos, perché senza
di lui nessun altro dio o creatura avrebbe mai
potuto nascere o generare. Nella versione indiana
dello stesso mito, dall'uovo cosmico esce il dio
Brahma, il cui nome, di certo non casuale, deriva
dal concetto trascendente del "brahman", il
"pensiero vibrante" partecipe di tutte le cose.
Appena nato, Brahma avvia il processo della
creazione, senza però stabilire la forma che le cose
debbano prendere, come se appunto si limitasse ad
accendere il desiderio di esistere, permanere,
attrarsi, unirsi e riprodursi, all'interno degli
informi elementi del Caos. Ma almeno in una versione
del mito è il desiderio dello stesso Brahma a dare
vita a tutti gli esseri viventi, per cui prende
anche il nome di Prajapati, "Padrone del Bestiame" o
"Signore delle Creature". Brahma infatti genera dal
proprio corpo la bellissima dea Sarasvati e si
unisce a lei, che però poi fugge continuamente
cambiando forma e prendendo di volta in volta
l'aspetto di un diverso animale. Allora Brahma,
inseguendola, la imita nelle sue trasformazioni e si
accoppia con lei sotto tutti i possibili aspetti,
generando così tutte le specie che popolano il
mondo.
Nella Bibbia, che chiaramente fu ispirata dai miti
delle varie culture con cui gli Ebrei erano entrati
in contatto a Babilonia, gli dèi indiani Brahma e
Sarasvati furono ridotti ad esseri umani, diventando
Abraham e Sarah, gli altrettanto mitici capostipiti
del popolo ebraico, ma l'esplicita carnalità del
mito indiano col suo desiderio puramente fisico fu
totalmente censurata dal bigottismo monoteista, al
punto che Abramo per molto tempo evitò perfino di
toccare sua moglie. Eppure ci sono evidenti segni
d'identità tra Sarasvati e Sarah.
Sarasvati è figlia e sorella del dio Brahma, perché
nata dalla scissione del suo corpo (storia che può
aver ispirato anche la nascita di Eva), e proprio il
timore di commettere incesto la spinge alla fuga di
fronte ai desideri sessuali della sua controparte
maschile. Anche Sarah viene fatta passare da Abramo
per la propria sorella, come se si dovesse spiegare
in qualche modo una parentela ben nota a livello
popolare, senza però darle reale credito. Inoltre
Sarasvati (che significa "il Flusso") era in origine
la dea di un omonimo fiume e, secondo una leggenda
ebraica, Abramo ammira per la prima volta la
bellezza di Sarah proprio mentre questa si lava in
un fiume. Il desiderio carnale irresistibile e
impudico che il fascino di Sarah suscita
inevitabilmente (al pari di quello di Sarasvati),
nella Bibbia è però attribuito non a suo marito,
come sarebbe logico, ma ad un non meglio
identificato faraone, che per giunta non riesce
neanche a possederla per l'intervento di forze
invisibili. Data la gran diversità tra le due
culture, di cui quella ebraica antica, patriarcale e
sessuofobica, tende a negare in ogni modo i
misteriosi poteri del corpo femminile, si arriva poi
a contrapporre l'enorme e costante fertilità di
Sarasvati alla lunga sterilità di Sarah.
Un ulteriore segno di affinità tra Brahma e Abraham
è anche il significato ebraico attribuito a quest'ultimo
nome, "Padre di tutte le Nazioni", riferito a chi,
nel mito biblico, sarebbe semmai il capostipite di
due sole nazioni, quella ebraica e quella araba,
benché entrambe suddivise in molte tribù. Tale
significato ha senso solo se messo in relazione con
una divinità primordiale, come il dio indiano Brahma
Prajapati, il "Signore di Tutte le Creature".
Sempre nella tradizione indiana, un'altra versione
del dio primordiale è il vero e proprio dio del
desiderio, cioè Kama, l'Amore, chiamato anche "dio
supremo" e "motore della creazione", di cui un'altra
forma è il dio del fuoco Agni, evidentemente per il
modo in cui l'Amore può "bruciare" dentro di noi. A
seconda delle versioni, Kama nasce da sé stesso, o
dalle acque primordiali, o dal cuore di Brahma, o
dalla legge del Dharma che regola l'Universo, o
dalla dea della Fortuna. Sua moglie è il Desiderio e
suo fratello è la Collera, probabilmente perché la
paura di non ottenere ciò che si desidera può
suscitare reazioni violente. Kama è il dio della
mente, della bellezza e della gioventù e, come
l'Eros greco e il Cupido latino, ha l'aspetto di un
ragazzo volante armato di arco, solo che l'allegoria
indiana è più complessa: Kama vola cavalcando un
pappagallo, il suo arco è di canna da zucchero e la
corda dell'arco è formata da api, evidenti simboli
di dolcezza, mentre le frecce sono cinque fiori che
rappresentano i cinque sensi attraverso i quali si
può suscitare l'amore.
Un antico mito narra che, avendo tentato di
distrarre il dio Shiva dalla meditazione, Kama fu
incenerito dallo sguardo del suo terzo occhio e da
allora è rimasto privo di un corpo, finché Shiva,
commosso dai comprensibili lamenti della moglie di
Kama, non gli permise di rinascere come figlio del
dio Krishna. Questa provvisoria "invisibilità" del
dio dell'Amore si ritrova anche nella favola latina
di "Amore e Psiche", inserita da Apuleio nel romanzo
"L'Asino d'Oro", una storia il cui intreccio è molto
simile a quello di varie fiabe europee successive,
come "La Bella e la Bestia", rappresentando
chiaramente il conflitto interiore tra desiderio e
paura nell'affrontare le prime esperienze sessuali.
Il mito del dio Kama, che tra i suoi tanti
soprannomi ha anche quello di "scostumato" e che
diventa figlio del "nero" Krishna, potrebbe anche
essere all'origine del biblico Cam, il figlio nero
di Noè, che nel noto mito razzista ebraico viene
condannato alla schiavitù insieme a tutti i suoi
discendenti solo per aver visto il padre nudo,
ennesima dimostrazione dell'enorme paura del
patriarcato monoteista nei confronti della fisicità
e degli eventuali desideri che possono derivarne.
Eppure Kama, in India, è venerato anche dagli yogi
che ricercano il totale distacco dal mondo, perché
solo il dio dell'Amore, una volta soddisfatto, può
liberare lo spirito dal desiderio. Oggi si dice sia
per questo che, su porte o pareti dei templi
indiani, si trovano spesso scolpite immagini
erotiche, ma è più probabile che queste risalgano
invece ad epoche in cui la sacralità del desiderio
sessuale stesso era riconosciuta esplicitamente,
molto più di quanto non accada attualmente anche in
India.
Infatti, più o meno nello stesso periodo in cui gli
Ebrei si "costruivano" un passato secondo i propri
desideri, scrivendo una Bibbia in cui si condanna
chi osa anche solo desiderare ciò che non gli
appartenga, anche nel paese in cui al dio dell'Amore
è stato dedicato il più famoso trattato erotico del
mondo, il Kamasutra, varie filosofie indiane
cominciarono a considerare il desiderio come
negativo, o comunque controproducente per chi voglia
raggiungere uno stato di trascendenza e beatitudine.
Questo perché buona parte dei desideri, non potendo
essere soddisfatti totalmente e indefinitamente
(ammesso che possano essere soddisfatti almeno in
modo parziale e provvisorio), comportano come
conseguenza finale una qualche forma di sofferenza.
Ciò è quanto si sostiene in certi testi sacri
orientali, come quelli rinvenuti a Ceylon in cui al
Buddha viene fatto ripetere più volte che
"desiderare è dannoso", anche se molte traduzioni
usano il termine "bramare", che evoca un maggiore
senso di cupidigia ossessiva.
Nel Buddismo più antico insomma, il Desiderio è
considerato un anello della catena che lega l'Uomo
alla sofferenza. Addirittura il gioviale e leggiadro
dio Kama vi viene identificato (abbastanza
ingiustamente) col dio della Morte, perché si
ritiene che l'Amore sensuale imprigioni l'Uomo in un
immaginario ciclo delle rinascite e lo distragga dal
raggiungimento del Nirvana, il totale annullamento
del proprio io mentale, in pratica una fuga dal
dolore dell'esistenza. Anche in uno dei testi
buddisti più noti, il Dammapada (I Versetti della
Legge), si ribadisce che "dal desiderio nasce il
dolore" e che per essere "spiriti esultanti" occorre
una "mente non vincolata a desideri". Benché certe
sette buddiste moderne abbiano corretto la rigidità
di questa impostazione, a volte arrivando a
sostenere, al contrario, di voler aiutare i propri
adepti nel raggiungimento dei loro desideri, l'idea
del desiderio come "peccato" da condannare
(soprattutto se legato a bisogni fisici e sensuali),
sembra essere passata direttamente dal Buddismo
antico al successivo Cristianesimo, insieme allo
stile di vita monastico, che nel Buddismo indiano
originario (ora sopravvissuto solo a Ceylon) era
ritenuto l'unico modo per accedere al tanto
sospirato Nirvana, la fine di ogni desiderio che in
fondo corrisponderebbe all'assenza della vita (la
cosa più ironica è che anche passare la vita
desiderando di non desiderare più niente,
significherebbe viverla comunque concentrati su un
desiderio).
Nei secoli successivi e fino ai giorni nostri, le
dittature assolutiste di ispirazione monoteista
hanno provveduto a limitare in molti modi i desideri
dei loro sudditi, per lo più rinviando ogni
benessere e felicità concreta ad un immaginario
paradiso post-mortem, come quello della tradizione
islamica dove certe cose proibite in vita come gli
alcolici e il sesso libero diverrebbero
improvvisamente lecite ed abbondantemente
disponibili. Eppure, nonostante tutti i tentativi di
controllo e tutte le costrizioni imposte dall'alto,
da regimi teocratici, clericali, feudali,
industriali o statalisti, vivere senza un minimo di
desideri risulta impossibile. Quindi, in attesa
delle ribellioni che, quando la gente è frustrata e
senza speranze, diventano prima o poi inevitabili,
il soddisfacimento immaginario dei desideri di ogni
popolo viene affidato ai sogni e alle fiabe.
Nel regno della fantasia, l'unico forse in cui si
possa sperimentare davvero una totale libertà, il
desiderio può essere rappresentato e soddisfatto in
molti modi, soprattutto per mezzo di oggetti o
esseri magici. Il fuoco, come simbolo del desiderio
che rimane acceso in attesa di realizzarsi, ricorre
sia nella storia orientale della lampada di Aladino
che in quella germanica dell'acciarino magico. In
una fiaba diffusa in varie versioni in tutta Europa,
i bisogni e desideri dei protagonisti vengono
soddisfatti da una bottiglia magica da cui escono
dei servizievoli folletti, in modo analogo al genio
che esce dalla lampada. Il genio, nella tradizione
latina, rappresentava la forza spirituale che
risiede in ognuno di noi, a livello individuale,
familiare o collettivo, un concetto che oggi è stato
soppiantato da quello scientifico dei geni
ereditari, che analogamente dovrebbero fornirci le
potenzialità innate che abbiamo a nostra
disposizione per realizzarci, ma che forse troppo
spesso sono visti piuttosto come dei limiti alle
nostre concrete possibilità.
Un altro tema fiabesco diffuso in molte tradizioni
europee è quello del pesce magico, che realizza i
desideri del pescatore che accetti di ributtarlo in
acqua. È come se per realizzare i propri desideri
bastasse cogliere al volo un'occasione quando si
presenta, a condizione di saper accettare qualche
piccola o grande rinuncia. Attenzione però, perché
nelle varie versioni di quest'ultima fiaba, le
pretese del pescatore e di sua moglie si fanno quasi
sempre così esagerate, incontentabili e senza fine
che il pesce fatato poi si riprende tutti i doni
concessi, riportando i suoi beneficiati alla
condizione di misera indigenza iniziale; come dire
che, per quanto un minimo di desideri e obiettivi
sia necessario per vivere e progredire, per poter
ottenere i risultati sperati bisogna anche darsi dei
limiti e sapersi accontentare, evitando di
pretendere l'impossibile.
Andrea Cantucci
* * *
Un ringraziamento agli autori che ancora una volta
hanno inviato il loro prezioso contributo a questo
numero. Li invito di nuovo, insieme agli altri
autori che ancora non hanno trovato spazio sulle
pagine elettroniche di SDP, ad inviare le loro opere
entro il
31 dicembre 2013. Il prossimo tema:
Il verde.
Massimo Acciai
Direttore di Segreti di Pulcinella
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