Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Psicologia

Individuo, società e politica
di Antoine Fratini

Esperanto

Due canzoni in esperanto dei Reverie
A cura della redazione

Etimologie

Il museo della musica
di Davide Zingone

Individuo, società e politica
 

Articolo di Antoine Fratini


Nei suoi scritti, anche quelli che trattano problemi di ordine collettivo, Jung sembra considerare il fattore sociale alla stregua di quello individuale. Il suo concetto è chiaro: essendo la società costituita da individui, il suo grado di civiltà non può che dipendere dalla maturità raggiunta dai suoi membri. Diciamo subito che tale prospettiva contrasta nettamente l'assioma marxiano secondo cui le classi sociali determinerebbero i modi di pensare (e quindi di essere) dell'individuo. Per estensione, si potrebbe dire lo stesso dei mass media, come di qualunque altra influenza esteriore abbastanza forte da farsi strada nella psiche personale. Jung però non conosceva ancora l'epoca dei grandi mass media con il loro armamentario tecnologico e nemmeno poteva del tutto prevedere quale forza d'impatto questi avrebbero poi conseguito, di fatto, sui singoli. Le tecniche di marketing oggi sono diventate sempre più mirate e si avvalgono spesso dell'apporto della PNL, degli studi sull'immaginario e sulla comunicazione subliminale. Anche i leader politici si sono messi al passo in questo senso. L'insieme di queste influenze si annida nell'individuo formando un "conscio collettivo" appena intuito da Jung e la cui gestione richiederebbe provvedimenti esteriori calzanti con la sua natura.

Il saggio di Küsnacht riteneva possibile e necessario un totale distacco da questa dimensione. Egli trovò questo distacco nella sua torre di Bollingen. Se però vogliamo evitare che l'individuazione junghiana si trasformi presto in utopia, se non intendiamo limitarci a sperare nel ruolo seppur creativo del tempo, dovremmo proporre una visione dell'individuazione che affronti la questione dell'autonomia del sociale. Penso che un sostenitore della teoria dell'indipendenza funzionale della libido quale era Jung non avrebbe difficoltà a rivedere la questione. Nei Ricordi troviamo: "... fintanto che un problema collettivo non è riconosciuto come tale, si presenta sempre come un problema personale e in certi casi può dare l'impressione errata che qualcosa non sia in ordine nella psiche personale... disturbi del genere possono benissimo essere la conseguenza di un mutamento intollerabile nell'atmosfera sociale..." D'altronde, egli ha sempre sostenuto che la meta individuale deve includere il mondo, che l'individuazione cioè non si compie sull'Everest, ma in seno alla società. L'uomo si sente naturalmente partecipe del mondo in cui vive e negare questo suo sentimento lo porterebbe ad una dissociazione nevrotica. Lo stesso Freud parla di un istinto gregario e recentemente alcuni studiosi hanno sostenuto l'esistenza nell'uomo di un certo altruismo e di una certa moralità comportamentali innati . Il mio proposito in questo scritto consiste appunto nel riaprire il dibattito attorno al rapporto tra individuo e società e di descriverlo in termini di interattività piuttosto che di contrapposizione.

Incominciammo con il ricordare alcuni dei punti fondamentali che definiscono il nostro concetto di società:

- l'equilibrio sociale è determinato dai rapporti di produzione, dalle leggi dell'economia e della politica, in particolare dall'equa spartizione delle ricchezze tra i membri della società.
- le ricchezze (ciò che ha valore commerciale) sono costituite dalle risorse naturali, dai beni di consumo, dal sapere e dalle tecnologie.
- il danaro serve a regolare gli scambi interpersonali e tra gli enti. Tanto più il danaro manca, quanto più il suo potere d'acquisto aumenta; meno esso circola, più è ricercato. E' pertanto mediante una legge intrinseca al sistema socioeconomico, quella dell'inflazione, che l'emissione del danaro è regolarizzata.
- una merce è valutata secondo le leggi dell'offerta e della domanda in rapporto al suo grado di rarità.

Sul piano psicologico una società democratica permette all'individuo:

- di specializzarsi, differenziando così le sue capacità personali più spiccate. Dalla prospettiva junghiana infatti, tale differenziazione non risponde necessariamente ad una volontà di potenza economica o sociale, ma ad una esigenza interiore autentica. L'uomo ha bisogno di distinguersi per realizzare quell'essere particolare ch'egli è già potenzialmente. Quindi in linea generale non ci si distingue per avere di più, ma per essere sempre più se stessi, anche se la realtà molto spesso smentisce clamorosamente tale assioma psicologico.

- di godere delle ricchezze prodotte da altri, comprese le comunicazioni di esperienze che vengono a colmare la caratteristica lacuna di schemi istintivi nell'umano.

È per beneficiare di tutto ciò che l'uomo si è forgiato uno statuto di essere sociale e culturale, così che al di fuori di una società ogni realizzazione vera gli resta preclusa.

L'insieme delle ricchezze è limitato perché dipende dalla quantità delle risorse disponibili e dalle possibilità di sfruttamento consentite dall'ambiente. Queste hanno già mostrato pericolosamente i loro limiti e, mentre un Asimov congettura sulle varie ipotesi fantascientifiche per salvare il globo da una fine prematura, le industrie si trovano a fare sempre più spesso i conti con l'ecologia, la quale influenza già le leggi di mercato e (in teoria) i Prodotti Nazionali Lordi. Anche i bisogni dell'individuo hanno un limite minimo che deve essere garantito e che per giunta tende ad accrescersi a seconda del livello di civiltà raggiunto. Per esempio, l'intellettuale non saprebbe fare a meno di determinati supporti dove esprimere il suo pensiero. questa complessificazione dei bisogni nei paesi sviluppati ha senz'altro contribuito a portare l'individuo a considerare maggiormente la qualità nell'educazione dei figli e quindi a concepire una famiglia poco numerosa. Il numero dei figli infatti non sembra più costituire un criterio familiare maggiore nei nostri paesi. Visto che la società del dopoguerra ("post-atomica") permette un assetto sociale relativamente più sicuro dei periodi precedenti, l'uomo può riprendere a proprio conto l'onere della sua realizzazione individuale. La situazione nei paesi in via di sviluppo è del tutto diversa. Le aspettative riguardo alla propria individuazione sembrano ancora riversate sui figli. Le religioni che proibiscono la contraccezione, una certa mentalità che tradizionalmente considera la figliolanza numerosa come un segno di potenza e infine il piacere legato ai rapporti sessuali senza preservativi, sono altri importanti fattori che inevitabilmente determinano la smisurata espansione demografica che si verifica da alcuni decenni in questi paesi. Si pensa che alla fine del ventunesimo secolo la popolazione mondiale raggiungerà probabilmente i 10 miliardi di unità e avrà una spartizione estremamente disarmonica, con un rapporto di circa otto a due in favore dei paesi in via di sviluppo .

Tale stato di cose non può che generare miseria assieme ad una tensione sociale destinata a ripercuotersi sui paesi occidentali mettendo in pericolo la pace nel mondo. Per allentare questa tensione non si vede altra possibilità che di ricorrere ad una ridistribuzione più imparziale delle ricchezze. L'individuo ha bisogno di una certa condizione di giustizia sociale per non nutrire odio e rancore verso le classi più abbienti. È qui che il sistema capitalista piomba nell'impasse. Esso prevede effettivamente la possibilità di una tale operazione, ma solo a condizione che questa produca a breve termine e per alcuni gruppi privilegiati di persone un ritorno vantaggioso in termini economici. Se questo principio verrà seguito sino in fondo è prevedibile che si instauri una tendenza a distribuire le ricchezze per un numero sempre crescente di consumatori: visto che in regime democratico il singolo non può essere spremuto più di tanto, si decide di puntare sulla quantità, compiendo così un ulteriore passo verso la mercificazione dell'individuo.
C'imbattiamo di nuovo, prepotentemente, nel problema dei limiti di sfruttamento dell'individuo e del pianeta. Ne risulta pertanto che il capitalismo, nel suo significato odierno, non può che avere una validità provvisoria e parziale. Esso regge ancora troppo sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sull'ambiente, uno sfruttamento che per diventare accettabile richiederebbe ulteriori elaborazioni teoriche e pratiche, tra cui la riduzione incondizionata del divario tra i più e i meno abbienti, nonché una depossessione dell'individuo da parte del Dio Economia. Tali operazioni si avverano pertanto i grandi compiti sociali del prossimo secolo. Se l'avvenire convaliderà questa mia tesi, ritengo che anche l'evoluzione psicologica del singolo potrebbe trarne beneficio in quanto la risoluzione dei problemi legati ai bisogni più elementari e il nuovo vigore sociale favorirebbero l'elevazione degli interessi umani. Si potrebbe così realizzare quel passaggio, tanto auspicato dal padre della psicoanalisi Sigmund Freud, da un sistema basato su regole e tendenze collettive (più o meno manipolatrice) che massificano l'individuo privandolo della sua coscienza, ad una società costituita da una moltitudine di persone civili interiormente, cioè consapevoli o, in termini junghiani, individuate. Un tale passaggio non saprebbe a mio avviso avvenire senza un'adeguata preparazione collettiva che promuova in maniera progressiva e attraverso esperimenti sociali di vario genere, la linea dei valori inerenti l'individuo, come l'anima, la libertà di espressione, la responsabilità personale, lo scambio, la solidarietà…

Sul piano politico questo processo rappresenterebbe non già la fine pura e semplice del capitalismo, ma bensì la sua necessaria evoluzione. I concetti di guadagno e di sfruttamento rimarrebbero infatti, ma con un'adeguata relativizzazione. In modo che l'entità e i limiti del guadagno appaiono determinati non tanto da privilegi o rapporti di forza quanto dalla scelta caratteriale e della valutazione personale dei singoli.

La tipologia junghiana permette di cogliere alcuni dei maggiori fattori psicologici innati atti a determinare scelte del genere. Questi fattori sono i cosiddetti tipi generali di atteggiamento estroverso e introverso. La persona estroversa orienta il suo interesse prevalentemente verso il mondo esteriore, le cose, i dati oggettivi o riconosciuti tali, mentre la persona introversa accorda maggiore importanza alla sfera soggettiva, tende cioè a riportare tutto alle proprie idee. In sintesi, il primo tipo risulta indispensabile all'esperienza, mentre il secondo permette la riflessione. Jung li associa ancora alle due forme fondamentali di adattamento vitale che conosciamo a livello cellulare: l'accresciuta fecondità e l'alto potere difensivo. Una indagine psicologica accorta non manca mai di confermare la presenza di simili tendenze caratteriali nelle persone assieme ad un certo prevalere dell'una sull'altra. È per via di questo prevalere, a volte piuttosto netto, che un soggetto può essere definito introverso o estroverso.
Ora, se si ammette che il danaro rappresenta anzitutto un simbolo di ricchezza e di possibilità esteriori, possiamo interpretare la scelta del guadagno come derivante dalla psicologia estroversa. Inoltre, nell'estroverso il guadagno si associa direttamente al fare e ai beni materiali. Ed è effettivamente necessario che una persona di questo tipo realizzi le sue specifiche aspettative, altrimenti non potrebbe poi rivolgersi adeguatamente all'altro lato (quello introverso) di se stesso per completare la propria natura. Un chiaro esempio di popolo estroverso è rappresentato dagli ebrei. Per la persona di tipo introverso invece risulta indispensabile coltivare il proprio mondo interiore per potere poi fare posto anche alla tendenza estroversa presente nel suo inconscio. Un esempio piuttosto noto di popolo introverso è rappresentato dagli indiani. Se poi consideriamo il vasto campo delle determinazioni inerenti ai vari tipi funzionali (pensiero, sentimento, sensazione, intuizione, immaginazione) si capisce perché in società esiste un numero elevato di assetti sociali diversificati tra le persone, anche se tra questi si possono sempre individuare delle classi (proletariato, borghesia, elite...) rese più marcate da un capitalismo non ancora relativizzato.
Anche le determinazioni inerenti l'anima e l'animus possono entrare in linea di conto nella problematica sociale. Prendiamo per esempio l'attrazione amorosa: Jung dice che l'animus, in quanto parte maschile dell'inconscio della donna, si proietta volentieri su ogni sorta di eroe, come artisti e celebrità sportive. Tuttavia, è doveroso chiedersi se una concezione del genere possa bastare a spiegare fenomeni che oggi sono all'ordine del giorno come per esempio quello delle veline della TV che s'innamorano dei calciatori. Non sarebbe forse più appropriato convocare anche altri fattori come la moda, il successo, l'immaginario... fattori che appartengono, appunto, a ciò che abbiamo chiamato con il nome di "conscio collettivo"? Va detto però che molti fenomeni, proprio per il loro grado di complessità, sono suscettibili di ricevere più interpretazioni e di contemplare aspetti rapportabili a concezioni psicanalitiche differenti.

In questa sede non occorre approfondire ulteriormente la questione delle sfumature caratteriali e quindi delle tendenze sociali prodotte nelle persone dall'insieme di queste tipologie. Le descrizioni generali dei tipi proposte da Jung in Tipi psicologici lasciano comunque intravedere importanti collegamenti in questo senso. Basterà sottolineare che nell'ipotesi appena abbozzata è l'importanza data ai fattori psicologici a permettere l'evoluzione della società. Ritroviamo il parere di Jung secondo cui una vera trasformazione politica e sociale positiva può verificarsi solo passando attraverso l'individuo (come era successo per esempio ai tempi della rivoluzione francese con l'integrazione di nuovi valori democratici). La nostra ipotesi permette tuttavia di porre le basi per includere l'autonomia della sfera sociale nella prospettiva della psicologia del profondo. Così, pur ammettendo che "se nel mondo le cose vanno male è perché io stesso vado male" , è altrettanto doveroso aggiungere che "... la società non è solo una astrazione perché l'uomo la abita, ci vive e sempre ne subisce i ritmi e le ideologie".

Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati