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Individuo, società e politica
Nei suoi scritti, anche quelli che trattano
problemi di ordine collettivo, Jung sembra considerare il
fattore sociale alla stregua di quello individuale. Il suo
concetto è chiaro: essendo la società costituita da individui,
il suo grado di civiltà non può che dipendere dalla maturità
raggiunta dai suoi membri. Diciamo subito che tale prospettiva
contrasta nettamente l'assioma marxiano secondo cui le classi
sociali determinerebbero i modi di pensare (e quindi di essere)
dell'individuo. Per estensione, si potrebbe dire lo stesso dei
mass media, come di qualunque altra influenza esteriore
abbastanza forte da farsi strada nella psiche personale. Jung
però non conosceva ancora l'epoca dei grandi mass media con il
loro armamentario tecnologico e nemmeno poteva del tutto
prevedere quale forza d'impatto questi avrebbero poi conseguito,
di fatto, sui singoli. Le tecniche di marketing oggi sono
diventate sempre più mirate e si avvalgono spesso dell'apporto
della PNL, degli studi sull'immaginario e sulla comunicazione
subliminale. Anche i leader politici si sono messi al passo in
questo senso. L'insieme di queste influenze si annida
nell'individuo formando un "conscio collettivo" appena intuito
da Jung e la cui gestione richiederebbe provvedimenti esteriori
calzanti con la sua natura.
Il saggio di Küsnacht riteneva possibile e necessario un totale
distacco da questa dimensione. Egli trovò questo distacco nella
sua torre di Bollingen. Se però vogliamo evitare che
l'individuazione junghiana si trasformi presto in utopia, se non
intendiamo limitarci a sperare nel ruolo seppur creativo del
tempo, dovremmo proporre una visione dell'individuazione che
affronti la questione dell'autonomia del sociale. Penso che un
sostenitore della teoria dell'indipendenza funzionale della
libido quale era Jung non avrebbe difficoltà a rivedere la
questione. Nei Ricordi troviamo: "... fintanto che un problema
collettivo non è riconosciuto come tale, si presenta sempre come
un problema personale e in certi casi può dare l'impressione
errata che qualcosa non sia in ordine nella psiche personale...
disturbi del genere possono benissimo essere la conseguenza di
un mutamento intollerabile nell'atmosfera sociale..."
D'altronde, egli ha sempre sostenuto che la meta individuale
deve includere il mondo, che l'individuazione cioè non si compie
sull'Everest, ma in seno alla società. L'uomo si sente
naturalmente partecipe del mondo in cui vive e negare questo suo
sentimento lo porterebbe ad una dissociazione nevrotica. Lo
stesso Freud parla di un istinto gregario e recentemente alcuni
studiosi hanno sostenuto l'esistenza nell'uomo di un certo
altruismo e di una certa moralità comportamentali innati . Il
mio proposito in questo scritto consiste appunto nel riaprire il
dibattito attorno al rapporto tra individuo e società e di
descriverlo in termini di interattività piuttosto che di
contrapposizione.
Incominciammo con il ricordare alcuni dei punti fondamentali che
definiscono il nostro concetto di società:
- l'equilibrio sociale è determinato dai rapporti di produzione,
dalle leggi dell'economia e della politica, in particolare
dall'equa spartizione delle ricchezze tra i membri della
società.
- le ricchezze (ciò che ha valore commerciale) sono costituite
dalle risorse naturali, dai beni di consumo, dal sapere e dalle
tecnologie.
- il danaro serve a regolare gli scambi interpersonali e tra gli
enti. Tanto più il danaro manca, quanto più il suo potere
d'acquisto aumenta; meno esso circola, più è ricercato. E'
pertanto mediante una legge intrinseca al sistema
socioeconomico, quella dell'inflazione, che l'emissione del
danaro è regolarizzata.
- una merce è valutata secondo le leggi dell'offerta e della
domanda in rapporto al suo grado di rarità.
Sul piano psicologico una società democratica permette
all'individuo:
- di specializzarsi, differenziando così le sue capacità
personali più spiccate. Dalla prospettiva junghiana infatti,
tale differenziazione non risponde necessariamente ad una
volontà di potenza economica o sociale, ma ad una esigenza
interiore autentica. L'uomo ha bisogno di distinguersi per
realizzare quell'essere particolare ch'egli è già
potenzialmente. Quindi in linea generale non ci si distingue per
avere di più, ma per essere sempre più se stessi, anche se la
realtà molto spesso smentisce clamorosamente tale assioma
psicologico.
- di godere delle ricchezze prodotte da altri, comprese le
comunicazioni di esperienze che vengono a colmare la
caratteristica lacuna di schemi istintivi nell'umano.
È per beneficiare di tutto ciò che l'uomo si è forgiato uno
statuto di essere sociale e culturale, così che al di fuori di
una società ogni realizzazione vera gli resta preclusa.
L'insieme delle ricchezze è limitato perché dipende dalla
quantità delle risorse disponibili e dalle possibilità di
sfruttamento consentite dall'ambiente. Queste hanno già mostrato
pericolosamente i loro limiti e, mentre un Asimov congettura
sulle varie ipotesi fantascientifiche per salvare il globo da
una fine prematura, le industrie si trovano a fare sempre più
spesso i conti con l'ecologia, la quale influenza già le leggi
di mercato e (in teoria) i Prodotti Nazionali Lordi. Anche i
bisogni dell'individuo hanno un limite minimo che deve essere
garantito e che per giunta tende ad accrescersi a seconda del
livello di civiltà raggiunto. Per esempio, l'intellettuale non
saprebbe fare a meno di determinati supporti dove esprimere il
suo pensiero. questa complessificazione dei bisogni nei paesi
sviluppati ha senz'altro contribuito a portare l'individuo a
considerare maggiormente la qualità nell'educazione dei figli e
quindi a concepire una famiglia poco numerosa. Il numero dei
figli infatti non sembra più costituire un criterio familiare
maggiore nei nostri paesi. Visto che la società del dopoguerra
("post-atomica") permette un assetto sociale relativamente più
sicuro dei periodi precedenti, l'uomo può riprendere a proprio
conto l'onere della sua realizzazione individuale. La situazione
nei paesi in via di sviluppo è del tutto diversa. Le aspettative
riguardo alla propria individuazione sembrano ancora riversate
sui figli. Le religioni che proibiscono la contraccezione, una
certa mentalità che tradizionalmente considera la figliolanza
numerosa come un segno di potenza e infine il piacere legato ai
rapporti sessuali senza preservativi, sono altri importanti
fattori che inevitabilmente determinano la smisurata espansione
demografica che si verifica da alcuni decenni in questi paesi.
Si pensa che alla fine del ventunesimo secolo la popolazione
mondiale raggiungerà probabilmente i 10 miliardi di unità e avrà
una spartizione estremamente disarmonica, con un rapporto di
circa otto a due in favore dei paesi in via di sviluppo .
Tale stato di cose non può che generare miseria assieme ad una
tensione sociale destinata a ripercuotersi sui paesi occidentali
mettendo in pericolo la pace nel mondo. Per allentare questa
tensione non si vede altra possibilità che di ricorrere ad una
ridistribuzione più imparziale delle ricchezze. L'individuo ha
bisogno di una certa condizione di giustizia sociale per non
nutrire odio e rancore verso le classi più abbienti. È qui che
il sistema capitalista piomba nell'impasse. Esso prevede
effettivamente la possibilità di una tale operazione, ma solo a
condizione che questa produca a breve termine e per alcuni
gruppi privilegiati di persone un ritorno vantaggioso in termini
economici. Se questo principio verrà seguito sino in fondo è
prevedibile che si instauri una tendenza a distribuire le
ricchezze per un numero sempre crescente di consumatori: visto
che in regime democratico il singolo non può essere spremuto più
di tanto, si decide di puntare sulla quantità, compiendo così un
ulteriore passo verso la mercificazione dell'individuo.
C'imbattiamo di nuovo, prepotentemente, nel problema dei limiti
di sfruttamento dell'individuo e del pianeta. Ne risulta
pertanto che il capitalismo, nel suo significato odierno, non
può che avere una validità provvisoria e parziale. Esso regge
ancora troppo sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e
sull'ambiente, uno sfruttamento che per diventare accettabile
richiederebbe ulteriori elaborazioni teoriche e pratiche, tra
cui la riduzione incondizionata del divario tra i più e i meno
abbienti, nonché una depossessione dell'individuo da parte del
Dio Economia. Tali operazioni si avverano pertanto i grandi
compiti sociali del prossimo secolo. Se l'avvenire convaliderà
questa mia tesi, ritengo che anche l'evoluzione psicologica del
singolo potrebbe trarne beneficio in quanto la risoluzione dei
problemi legati ai bisogni più elementari e il nuovo vigore
sociale favorirebbero l'elevazione degli interessi umani. Si
potrebbe così realizzare quel passaggio, tanto auspicato dal
padre della psicoanalisi Sigmund Freud, da un sistema basato su
regole e tendenze collettive (più o meno manipolatrice) che
massificano l'individuo privandolo della sua coscienza, ad una
società costituita da una moltitudine di persone civili
interiormente, cioè consapevoli o, in termini junghiani,
individuate. Un tale passaggio non saprebbe a mio avviso
avvenire senza un'adeguata preparazione collettiva che promuova
in maniera progressiva e attraverso esperimenti sociali di vario
genere, la linea dei valori inerenti l'individuo, come l'anima,
la libertà di espressione, la responsabilità personale, lo
scambio, la solidarietà…
Sul piano politico questo processo rappresenterebbe non già la
fine pura e semplice del capitalismo, ma bensì la sua necessaria
evoluzione. I concetti di guadagno e di sfruttamento
rimarrebbero infatti, ma con un'adeguata relativizzazione. In
modo che l'entità e i limiti del guadagno appaiono determinati
non tanto da privilegi o rapporti di forza quanto dalla scelta
caratteriale e della valutazione personale dei singoli.
La tipologia junghiana permette di cogliere alcuni dei maggiori
fattori psicologici innati atti a determinare scelte del genere.
Questi fattori sono i cosiddetti tipi generali di atteggiamento
estroverso e introverso. La persona estroversa orienta il suo
interesse prevalentemente verso il mondo esteriore, le cose, i
dati oggettivi o riconosciuti tali, mentre la persona introversa
accorda maggiore importanza alla sfera soggettiva, tende cioè a
riportare tutto alle proprie idee. In sintesi, il primo tipo
risulta indispensabile all'esperienza, mentre il secondo
permette la riflessione. Jung li associa ancora alle due forme
fondamentali di adattamento vitale che conosciamo a livello
cellulare: l'accresciuta fecondità e l'alto potere difensivo.
Una indagine psicologica accorta non manca mai di confermare la
presenza di simili tendenze caratteriali nelle persone assieme
ad un certo prevalere dell'una sull'altra. È per via di questo
prevalere, a volte piuttosto netto, che un soggetto può essere
definito introverso o estroverso.
Ora, se si ammette che il danaro rappresenta anzitutto un
simbolo di ricchezza e di possibilità esteriori, possiamo
interpretare la scelta del guadagno come derivante dalla
psicologia estroversa. Inoltre, nell'estroverso il guadagno si
associa direttamente al fare e ai beni materiali. Ed è
effettivamente necessario che una persona di questo tipo
realizzi le sue specifiche aspettative, altrimenti non potrebbe
poi rivolgersi adeguatamente all'altro lato (quello introverso)
di se stesso per completare la propria natura. Un chiaro esempio
di popolo estroverso è rappresentato dagli ebrei. Per la persona
di tipo introverso invece risulta indispensabile coltivare il
proprio mondo interiore per potere poi fare posto anche alla
tendenza estroversa presente nel suo inconscio. Un esempio
piuttosto noto di popolo introverso è rappresentato dagli
indiani. Se poi consideriamo il vasto campo delle determinazioni
inerenti ai vari tipi funzionali (pensiero, sentimento,
sensazione, intuizione, immaginazione) si capisce perché in
società esiste un numero elevato di assetti sociali
diversificati tra le persone, anche se tra questi si possono
sempre individuare delle classi (proletariato, borghesia,
elite...) rese più marcate da un capitalismo non ancora
relativizzato.
Anche le determinazioni inerenti l'anima e l'animus possono
entrare in linea di conto nella problematica sociale. Prendiamo
per esempio l'attrazione amorosa: Jung dice che l'animus, in
quanto parte maschile dell'inconscio della donna, si proietta
volentieri su ogni sorta di eroe, come artisti e celebrità
sportive. Tuttavia, è doveroso chiedersi se una concezione del
genere possa bastare a spiegare fenomeni che oggi sono
all'ordine del giorno come per esempio quello delle veline della
TV che s'innamorano dei calciatori. Non sarebbe forse più
appropriato convocare anche altri fattori come la moda, il
successo, l'immaginario... fattori che appartengono, appunto, a
ciò che abbiamo chiamato con il nome di "conscio collettivo"? Va
detto però che molti fenomeni, proprio per il loro grado di
complessità, sono suscettibili di ricevere più interpretazioni e
di contemplare aspetti rapportabili a concezioni psicanalitiche
differenti.
In questa sede non occorre approfondire ulteriormente la
questione delle sfumature caratteriali e quindi delle tendenze
sociali prodotte nelle persone dall'insieme di queste tipologie.
Le descrizioni generali dei tipi proposte da Jung in Tipi
psicologici lasciano comunque intravedere importanti
collegamenti in questo senso. Basterà sottolineare che
nell'ipotesi appena abbozzata è l'importanza data ai fattori
psicologici a permettere l'evoluzione della società. Ritroviamo
il parere di Jung secondo cui una vera trasformazione politica e
sociale positiva può verificarsi solo passando attraverso
l'individuo (come era successo per esempio ai tempi della
rivoluzione francese con l'integrazione di nuovi valori
democratici). La nostra ipotesi permette tuttavia di porre le
basi per includere l'autonomia della sfera sociale nella
prospettiva della psicologia del profondo. Così, pur ammettendo
che "se nel mondo le cose vanno male è perché io stesso vado
male" , è altrettanto doveroso aggiungere che "... la società
non è solo una astrazione perché l'uomo la abita, ci vive e
sempre ne subisce i ritmi e le ideologie".
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