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Attualità
Psicologia
'nterra 'a rena
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Continua la caccia agli
psicoanalisti
La recente sentenza della Corte
di Cassazione 14408 del 11 Aprile 2011 che condanna
una psicoanalista non iscritta all'Ordine degli
Psicologi per il reato di prestazione abusiva della
professione di psicologo e di psicoterapeuta, e per
la quale i portavoce dell'Ordine esultano come se si
trattasse di una partita di calcio dove il risultato
contasse di più del bel gioco espresso dalla propria
squadra , riapre sicuramente il discorso
sull'inquadramento giuridico e sulla difesa della
psicoanalisi in Italia. Vorrei attirare l'attenzione
sui seguenti punti del documento:
1) Il reato per cui l'imputata è stata dichiarata
colpevole non è "esercizio abusivo della professione
di psicoanalista", ma "esercizio abusivo della
professione di psicologo e di psicoterapeuta".
2) Vi è nel testo della sentenza una totale assenza
di accenno alla distinzione, pur feconda, tra
psicoanalisi e psicoterapia analitica, la quale fa
pensare che, forse, in fase dibattimentale tale
distinzione non sia stata adeguatamente affrontata.
Si tratta di un punto la cui fondamentale importanza
è riconosciuta persino in ambito accademico. Nel
libro Psicologia clinica , rivolto agli studenti
universitari, Ezio Sanavio, docente di psicologia
all'Università di Padova, luminare della psicologia
accademica italiana e non certo un sostenitore della
psicoanalisi libera, afferma infatti che: "Come si è
visto, Freud è esplicito nel sostenere il primato
della psicoanalisi come metodo d'indagine rispetto
alla psicoanalisi come metodo di cura. Secondo Freud
'l'eliminazione dei sintomi non viene perseguita
come meta particolare, ma si produce con l'esercizio
regolare dell'analisi come un risultato accessorio
'. Da ciò la distinzione tra psicoanalisi e
psicoterapia psicoanalitica, che si differenzia
dalla prima perché più direttamente finalizzata al
miglioramento del malessere ed alla risoluzione dei
sintomi". Inoltre, egli afferma che la scopo della
psicoanalisi è "di ripercorrere la storia personale
facendo emergere ed elaborando le rappresentazioni
inconsce che dominano la vita del soggetto: immagini
di sé, fantasie, paure, meccanismi di difesa ecc.
Tale percorso tende ad una riorganizzazione del
mondo interiore della persona, cioè del suo modo di
sentire e di pensare". La psicologia accademica
italiana, quindi, distingue nettamente tra
psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica,
distinzione che da sola potrebbe accontentare sia i
partigiani della psicoanalisi come metodo di cura
che quelli della psicoanalisi come metodo
conoscitivo. Ma, evidentemente, la motivazione
latente dell'Ordine non è tanto quella di perseguire
la verità quanto quella di perseguire gli
psicoanalisti stregoni… nella speranza di
purificarli dal Male (e di sbarazzarsi della loro
concorrenza)!
3) Secondo il giudice "la psicoanalisi, quale quella
riferibile alla condotta della ricorrente, è pur
sempre una psicoterapia che si distingue dalle altre
per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali,
emotivi e comportamentali". Si tratta di un passo
molto importante al fine di delineare il senso di
questa sentenza che può apparire ad una prima
lettura superficiale determinante nel collocare la
psicoanalisi nella categoria regolamentata della
psicoterapia, ma che ad una lettura più attenta
dimostra di riferirsi alla "psicoanalisi, quale
quella riferibile alla condotta della ricorrente",
condotta sulla quale il testo della motivazione
appare alquanto laconico e quindi non consente di
esprimere commenti né tanto meno pareri. In sintesi,
la sentenza si riferisce non alla psicoanalisi tout
court, ma a quella psicoanalisi che dal dibattimento
è risultata al giudice essere praticata
dall'imputata.
4) Più avanti però, la stessa frase riporta il passo
seguente che sembra contraddire la riserva di cui
sopra: "… posto che l'attività dello psicoanalista
non è annoverabile fra quelle libere previste
dall'articolo 2231 c.c. ma necessita di particolare
abilitazione statale". E ancora: "né può ritenersi
che il ' metodo del colloquio ' non rientri in una
vera e propria forma di terapia, tipico atto della
professione medica, di guisa non v'è dubbio che tale
metodica, collegata funzionalmente alla cennata
psicoanalisi, rappresenti una attività diretta alla
guarigione da vere e proprie malattie (ad esempio
l'anoressia) il che la inquadra nella professione
medica…". Queste affermazioni, scevre di adeguate
argomentazioni, stupiscono in quanto suggeriscono
che il semplice colloquio sia un "metodo di
guarigione" riservato addirittura ai medici! D'ora
in poi ai non medici verrà forse proibito
colloquiare con metodo? Ma l'inquadramento giuridico
di una disciplina non dovrebbe poggiare su basi
teoriche chiare ed univoche inerenti a quella stessa
disciplina? Come può un giudice, sprovvisto di
adeguata conoscenza in materia, tranciare su di una
questione che un secolo di controversie da parte di
eminenti studiosi non sono riuscite a risolvere?
Alla luce di tali considerazioni, più che al reato
di abuso della professione di psicoterapeuta questa
sentenza sembra riferirsi ad un reato di opinione:
quella opinione di chi ritiene, in accordo con una
intera comunità scientifica, che la psicoanalisi non
persegue i fini della e non è assimilabile alla
psicoterapia. Che una controversia culturale debba
scomodare le aule di giustizia per colpa della
malafede e del comportamento inquisitorio di una
corporazione, quella dell'Ordine, frustrata per la
propria inutilità sociale, è una vergogna purtroppo
significativa del declino della democrazia italiana.
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