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Attualità
Psicologia
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All'indomani dell'unificazione del regno da parte di
Garibaldi, divenne luogo comune l'affermazione che
il Nord fosse una società industriale avanzata ,
mentre il Sud altro non era che una società agraria
arretrata. Ma i motivi veri di questo enorme divario
sono da ricercare in diversi fattori che vanno al di
la delle affermazioni del Croce che, ne attribuisce
le cause alle strutture istituzionali ed
organizzative; oppure di Gramsci che, comunque,
concorda col Croce sulla diversità organizzativa
delle città e dei centri urbani nel Nord ed il
sistema feudale nel Sud. Alcune cause sono da
ricercare nella morfologia del suolo e del clima,
secco, arido e privo di minerali il Sud; la distanza
dai mercati europei, nonché da quei luoghi che
avevano iniziato la rivoluzione industriale; Queste
differenze non fecero altro che accelerare
l'evoluzione del settentrione, a fronte di un forte
ritardo del meridione, si verificò quelli che alcuni
chiamarono: effetto cumulativo del processo di
crescita e che portò ad uno sviluppo del tipo "Gesellschaft"
(evoluzione rapporti sociali e propensione al
mutamento) al Nord e di "Gemeinschaft"
(organizzazione familiare dominata da costumi e
tradizioni) al sud. Se poi a questo si aggiunge la
politica di governo, nel decennio 1878-1887, con
l'aumento tariffario che, aumentando i dazi su grano
e beni industriali, significò per il Sud la chiusura
dei mercati esteri (Francia in particolare), allora
ecco che si spiega il fallimento del meridione. Al
sud non si era verificato nessun processo di
sviluppo agrario, anche grazie agli accordi
intercorsi tra Cavour e la borghesia terriera
meridionale che trasformarono l'insurrezione dei
contadini in un processo di brigantaggio come
scrisse, nel 1861, Diomede Pantaleone a Minghetti:
"i proprietari sentono che senza di noi ed il nostro
esercito sarebbero sgozzati dai briganti". Ma il
colpo definitivo, quello fondamentale fu
l'emigrazione della mano d'opera e la conseguente
crescita di una massa inattiva che viveva sulle
rimesse e sui pochissimi lavoratori rimasti. Tutto
questo portò all'enunciazione dell'economista
classico-liberal americano, G. Hildebrand: "...in
mancanza di un drastico intervento dello Stato, il
Mezzogiorno era condannato fin dall'inizio; incapace
com'era di difendersi, potesa solo tentare di
diminuire in qualche modo l'enorme divario che lo
separava dal Nord più fortunato". Quanto finora
esposto, si amplificò a dismisura nella città di
Napoli, antica capitale del Regno, con la perdita
dei suoi privilegi e col decentramento del potere
economico verso il Nord; Napoli che era cresciuta
sulle spalle del suo entroterra, si trovò, di colpo,
svuotata e divenne, come disse Compagna, "La testa
troppo ingrandita di un corpo apoplettico".
Cerchiamo di analizzare quella che fu la situazione
economica nella quale si venne a trovare il Regno
dopo il 1860. Dopo l'unità d'Italia, la
divaricazione fra Nord e Sud, era data
essenzialmente dalla diversità dei quadri sociali ed
economici che, mentre nel Settentrione avevano
assunto già una configurazione di tipo
capitalistico, nel Meridione si erano fermati ad uno
stadio precapitalistico di tipo feudale
caratterizzato da una tendenza conservatrice e di
gretto immobilismo negli alti gradi della borghesia.
Il ceto medio meridionale, inoltre, a differenza di
quello settentrionale, era subordinato
all'aristocrazia nobiliare e quindi incapace di
poter assurgere al rango di nucleo propulsore dello
sviluppo e dell'indispensabile processo di
rinnovamento. La politica adottata dalla classe
dirigente post-unitaria non solo ignorò, di fatto,
il problema del divario sorto con l'unificazione, ma
lo accentuò mettendo in crisi l'iniziativa
industriale del Napoletano; in tal modo, invece di
accelerare lo sviluppo economico del Sud si preparò
il declino delle strutture già esistenti, come nel
caso dell'unificazione dei sistemi finanziari e del
nuovo sistema tributario. Nel prelievo fiscale,
infatti, nella seconda metà dell'800 si realizza una
forte sperequazione Nord e Sud, soprattutto per quel
che riguarda la spesa pubblica. La tabella seguente
mostra come, al Sud, il prelievo fiscale pro capite
sia più del doppio della spesa dello stato per
abitante, mentre in Liguria la spesa è superiore al
prelievo ed in Toscana si equivale.
Percentuale di reddito pagato e percentuale di spesa
pubblica x abitante nel 1890:
Regione
Tasse x ab.
Spesa x ab.
Basilicata
18,53%
8,77%
Calabria
18,54%
11,26%
Liguria
52,71%
71,15%
Toscana
37,67%
37,56%
Nello stesso periodo, inoltre, si realizzava il
trasferimento verso il Nord di notevoli mezzi
finanziari dal Meridione per sanare il deficit
pubblico del Piemonte, rilevante a causa delle
guerre sostenute e del continuo potenziamento
dell'esercito. Per il Sud, così, si veniva a creare
una situazione di sudditanza finanziaria che, oltre
a mortificare gli slanci imprenditoriali, ne
impediva lo sviluppo. Le industrie esistenti nel
Regno delle Due Sicilie, in modo particolare quelle
napoletane e salernitane, operanti nel campo
meccanico, siderurgico e della lavorazione di lino e
canapa, denotavano una certa vitalità e prosperità,
anche se la loro attività era protetta dalle alte
tariffe doganali borboniche e da una forte domanda
dello Stato stesso Anche per quel che riguarda le
società per azioni, il divario fra il Nord ed il Sud
si allargava sempre più. Nel 1865 l'87,1 % del
capitale delle società per azioni era concentrato
nel Nord-Ovest, il 2,2 % nel Nord-Est, il 6,5 % nel
Centro ed il 4,2 % nel Sud. Mentre lo sviluppo
economico nel Sud attraversava una fase di ristagno
e recessione, al Nord prosperava l'industria tessile
che, dopo aver assimilato un gran numero di piccole
imprese artigiane, impiegava mano d'opera
specializzata, divenendo la forza trainante di tutta
l'industria italiana. Contemporaneamente, nelle
maggiori città, si ponevano le basi per il decollo
dell'industria pesante. In Piemonte e Lombardia,
inoltre, l'agricoltura presentava caratteristiche di
progresso non dissimili da quelle del resto
dell'Europa avanzata: l'introduzione e la
sperimentazione di nuove tecniche agricole, l'uso di
mano d'opera salariata, l'allevamento del bestiame
e l'industria casearia, avevano portato la
produzione a livelli più che buoni . Tra i primi a
dare l'avvio all'indagine storica sul problema
economico del Mezzogiorno fu Francesco Saverio Nitti
con la sua inchiesta sulla ripartizione
territoriale delle entrate e della spesa pubblica
in Italia dal 1862 al 1896-97, poi seguita da quella
che poneva a confronto le condizioni economiche di
Napoli prima e dopo l'Unità. Attraverso i suoi
studi, Nitti giungeva alla paradossale conclusione
che il sistema borbonico sembrava essere il più
indicato per incrementare la ricchezza nel
Mezzogiorno . Il prelievo fiscale non era gravoso ed
il sistema di esazione molto semplice; il debito
pubblico era 1/4 di quello del Piemonte, i beni
demaniali ed ecclesiastici avevano un valore
elevatissimo e la quantità di moneta circolante era
pari al doppio di quella di tutti gli altri Stati
della penisola messi insieme. In questo tipo di
sistema, però, il credito veniva praticato
soprattutto da usurai o da grandi proprietari, che
prelevavano dagli istituti di credito denaro a basso
tasso e lo concedevano ad altissimo interesse. Gli
stessi istituti di credito si comportavano in
maniera dualistica nella concessione di fidi: denaro
a basso costo ai grandi proprietari e tassi alti ai
contadini. Un sistema siffatto non agevolava
l'agricoltura: i contadini (che molto spesso
raccoglievano appena quel che bastava per la
sussistenza) erano costretti, infatti, a pagare
degli interessi tali da scoraggiarli nell'impegnare
grosse somme nell'innovazione della lavorazione
della terra. Le famiglie erano numerose, onde poter
disporre di più braccia, l'innovazione non era
praticabile per mancanza di fondi,la produzione
restava relegata all'autoconsumo, ogni tentativo di
ricorso al credito creava situazioni finanziarie
disastrose.
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