Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Libri a fumetti

PROMETHEA
La doppia natura dell'esistenza

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

Le donne del 6° piano
di Mario Gardini
Cars 2
di Mario Gardini
Captain America
di Mario Gardini
La corsa di Cyril
di Maria Antonietta Nardone
Amanda Knox: Murder on Trial in Italy
di Lorenzo Spurio

Pittura

Gianluca Maggioni: Pittore dell'inquietudine e della plasticità
Intervista a cura di Alessandro Rizzo

Miti mutanti 13

Strisce di Andrea Cantucci

Cinema - recensioni


 




CAPTAIN AMERICA - IL PRIMO VENDICATORE
USA 2011
di Joe Johnston
con Chris Evans, Tommy Lee Jones, Hugo Weaving, Hayley Atwell


Come già annunciato, ecco arrivare l'ultimo super-eroe Marvel che ancora mancava sul grande schermo.
Captain America nacque nel 1941 dalla penna di Joe Simon e Jack Kirby.
Egli rappresentava la libertà e la democrazia americana in contrasto con la dittatura che ai tempi stava insanguinando l'Europa.
Utilizzato come mezzo di propaganda durante la seconda guerra mondiale, questo personaggio conobbe ai tempi un'enorme fortuna, destinata però a svanire rapidamente con la fine del conflitto.
Riciclato nel 1964 da Stan Lee, Captain America perse la maggior parte dei suoi connotati nazionalistici e divenne l'eroe che combatteva contro le ingiustizie sociali.

Nel film assistiamo alle peripezie di Steve Rogers, un biondino di Brooklyn debole e mingherlino, che cerca disperatamente di arruolarsi nell'esercito americano. All'ennesimo tentativo, l'incontro con uno scienziato fuggito dalla Germania tedesca (il sempre grande Stanley Tucci) lo aiuterà a coronare il suo sogno.
Non importa se, appena arruolato, il ragazzo è più impedito di Goldie Hawn in "Soldato Giulia agli ordini": lo scienziato vede in lui la passione e il cuore, le doti principali per diventare un grande eroe.
Con il supporto di Howard Stark (papà del futuro Iron Man) e di un trattamento da lui stesso creato, lo scienziato immette nel ragazzo un siero, trasformandolo in un ammasso di muscoli degno del paginone centrale di Playgirl.
Se all'inizio Steve Rogers/Captain America diventa una specie di Bette Midler in "For the boys", buono solo ad andare in giro ad intrattenere le truppe in guerra, alla lunga il ragazzotto si stufa e, disobbedendo agli ordini, corre a salvare il suo migliore amico caduto prigioniero dei tedeschi.
Da lì a combattere contro l'HYDRA, l'organizzazione nazista di scienze avanzate guidata da Johann Schmidt, ovvero Red Skull, il passo è breve.
Alla fine Steve avrà la meglio, anche se sarà costretto a rinunciare all'amore per la bella soldatessa Peggy Carter che era rimasta affascinata dalla sua anima sensibile sin dai tempi in cui lui era ancora una mezza sega.
Il finale ci regala anche un salto nel tempo in cui, dopo una morte apparente negli abissi, Captain America si risveglia nella New York di oggi al cospetto di Samuel L. Jackson.
Che lo stia arruolando per "I Vendicatori", prossimo film della Marvel previsto per la primavera 2012?

Già come fumetto, Captain America non è mai stato uno dei più riusciti della Marvel.
Anche il film segue le stesse tracce, incappando fin troppo spesso nella noia e nell'ingenuità.
Chris Evans, che fu la Torcia Umana nella versione cinematografica de "I Fantastici 4", è belloccio ma privo di espressività, Tommy Lee Jones torna a fare il duro dal cuore morbido come ai bei tempi de "Il fuggitivo" e Hugo Weaving, nei panni del perfido nazista, è molto difficile da prendere sul serio.
Infatti, nonostante il teschio rosso e tutte le cattiverie che dice e che fa, continua ad essere Mitzi Del Bra di "Priscilla, la regina del deserto".

Mario Gardini

* * *

CARS 2
di Brad Lewise e John Lasseter
USA - 2011

Francamente non so se amo moltissimo la Pixar o se la detesto nel profondo.
Infatti dal 1995 (anno di uscita del primo Toy story) ad oggi, lo studio di animazione diretto da John Lasseter ha rivoluzionato il modo di fare animazione, facendo schiere di proseliti e diventando parte integrante della Walt Disney Company.
Però, nello stesso tempo, ha condannato a morte il tradizionale cartone animato in 2D.
Eppure anche quelli come me, che continuano a rimpiangere i bei tempi degli spaghetti con le polpette di "Lilli e il vagabondo" e trovano molto più affascinante un pesciolino come Cleo di Pinocchio rispetto al ben più famigerato Nemo, non possono non rimanere a bocca aperta di fronte ai film che, ogni anno, la Pixar produce, vincendo Golden Globe, Oscar e sbancando i box office di tutto il mondo.

Quest'anno tocca a "Cars 2", dodicesimo lungometraggio targato Disney-Pixar e sequel di "Cars - Motori ruggenti" uscito nel 2006.
La trama è molto alla 007. Un ricco petroliere inventa un carburante alternativo ed indice una gara automobilistica per dimostrane l'affidabilità e la potenza. Si tratta di un unico " World Gran Prix" che si disputa in Giappone, Italia ed Inghilterra.
Ma, alle spalle di questa competizione, c'è un complotto messo in atto per distruggere questo nuovo carburante a favore del solito petrolio.
Saetta McQueen e il suo amico Cricchetto (vero protagonista di questo film) si troveranno a doversi destreggiare tra un acerrimo rivale italiano, i servizi segreti, gli scambi d'identità e una bomba ad orologeria.
Gran finale a Radiator Spring, con tutta la banda di auto al gran completo che festeggia il valore dell'amicizia e, forse, la nascita di un nuovo amore per il fido carro attrezzi.

Inutile ribadire che il livello di animazione raggiunto dalla Pixar ormai tocca vette mirabolanti.
Le scene in Italia, a Londra e a Parigi (piccola tappa durante il viaggio con tanto di mercatino del motore usato) sono da manuale e l'effetto 3D ne esalta al massimo il fascino visivo.
Però, rispetto ai suoi predecessori, questo "Cars 2" parte un po' con il piede sinistro.
Colpa di alcune recensioni non troppo favorevoli, che lo rendono il film Pixar meno amato di critici i quali gli rimproverano di avere una sceneggiatura leggera e meno ricca di significati rispetto ai gioielli del passato.
Può anche essere vero. Però, dopo averci fatto piangere con gli abbandoni causati dalla fine dell'infanzia (Toy story) o dovuti ai lutti della vecchiaia (Up), direi che non c'è nulla di male se, per una volta tanto, ci si abbandona a quasi due ore di puro divertimento.
Il negozio italiano di "Carmani" e le versioni a quattro ruote dei bobby inglesi e di "Her Majesty" valgono da soli il prezzo del biglietto.

Mario Gardini

* * *

Amanda Knox: Murder on Trial in Italy (2011)
Regia di Robert Dornhelm
Paese: Usa/Italia


Il 21 febbraio scorso è stato proiettato in prima visione sul canale americano Lifetime il film Amanda Knox: Murder on Trial in Italy, basato sull'omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher che analizza principalmente la figura e il ruolo ricoperto da Amanda Knox, studentessa americana che con lei condivise la stessa casa nel centro di Perugia.
Il titolo nella versione italiana è stato tradotto con Via della Rosa sebbene a Perugia non esista una via con questo nome e il delitto avvenne in una casa in Via della Pergola. Non si sa ne quando e se il film verrà tradotto in italiano e se passerà nelle sale cinematografiche dato che sta riscuotendo pesanti critiche da più fronti: dall'amministrazione comunale e dai cittadini di Perugia che si sentono macchiati dell'infamia di Perugia come città dell'orrore e della depravazione, dagli avvocati della stessa Amanda Knox che, visto il trailer, hanno annunciato sanzioni legali contro chi lo ha prodotto ma soprattutto dal fatto che il film lede la decenza, il rispetto e la memoria della povera Meredith Kercher.
Le autorità del capoluogo umbro, congiuntamente agli avvocati dei vari imputati, non hanno permesso di girare il film a Perugia. Le scene sono state girate nel complesso del Buon Pastore un complesso edilizio vicino Roma mentre le scene che riguardano la casa e le colline umbre sono state girate a Poggio Nativo, in provincia di Rieti. Perugia compare solo per brevi fotogrammi (l'iniziale panoramica sulla città, un fotogramma della statua in bronzo di papa Giulio III dinanzi la cattedrale di San Lorenzo, via dell'Acquedotto, la fontana maggiore). Sono immagine istantanee che servono a veicolare l'idea che la storia contenuta nel film è ambientata a Perugia, proprio come avvenne secondo la cronaca.
Di Perugia non vengono invece raffigurati spazi molto importanti per la vicenda quale il Tribunale, piazza Grimana e Palazzo Gallenga-Stuart, sede dell'università per Stranieri di Perugia.
Il film passa in rassegna le varie vicende della studentessa americana Amanda Knox a partire dalla festa che a Seattle la famiglia fece in suo onore prima che la ragazza partisse per l'Italia, alla volta di Perugia per studiare all'interno del progetto Erasmus. La scena del ritrovamento del cadavere di Meredith Kercher apre il film e poi la storia si sviluppa seguendo gli eventi successivi, gli interrogatori, ritornando a volte a riproporre flashback.
Il film sembra attenersi fedelmente alle vicende che la cronaca ci ha consegnato in tanti mesi d'indagini: il riconoscimento della corte come principali imputati Amanda Knox e Raffaele Sollecito, l'accusa di omicidio di Amanda nei confronti del barista congolose Patrick Lumumba (decaduta e poi ritratta), la condanna del nigeriano Rudy Guede fino al processo conclusivo con la condanna carceraria pari 26 anni per Amanda Knox e 25 anni per Raffaele Sollecito.
Il film non propende per nessuna delle due parti ossia la colpevolezza o la non colpevolezza di Amanda anche se non manca di mostrare un certo ghigno di soddisfazione di Vincent Riotta che nel film ricopre il ruolo dell'avvocato Giuliano Mignini, difensore della vittima.
Il film si chiude con la condanna di primo grado di Amanda Knox e Raffaele Sollecito avvenuta il 4 dicembre 2009 ma, stando alla cronaca, i rispettivi avvocati non hanno accettato la sentenza della Corte d'Assise di Perugia e quindi è previsto un processo d'appello. La storia non è dunque finita. Rimane aperta, così come il mistero macabro legato alla morte di Meredith Kercher.
A memoria e rispetto della dignità umana, in questo caso violentemente sottratta alla vita, ci auguriamo che non ci sia un sequel del film e che si arrivi alla verità. Alla verità dei fatti. Non a quella cinematografica.

Lorenzo Spurio

* * *

La corsa di Cyril

di Maria Antonietta Nardone


"Il ragazzo con la bicicletta"
Jean-Pierre e Luc Dardenne
(Alcazar)

Rimarrà a lungo, nella mia mente, il volto e il corpo del piccolo Cyril e le sue libere e rabbiose corse in bicicletta. Sì, veramente una figura cinematografica che sarà memorabile. Per la sua ostinata tenacia, per i sentimenti forti, per un dolore fondo che stringe l'animo di un ragazzino, appena undicenne, che ha già preso una bella bordata di sberle dalla vita.
Lo vediamo all'interno di un istituto dal quale cerca ripetutamente di scappare alla ricerca di un padre tanto amato quanto irresponsabile ed affettivamente aridissimo. Vediamo il viso chiaro, ma chiuso in un dolore astioso e dispettoso, i suoi capelli biondo-rossi, la sua esile ma resistentissima figura muoversi di corsa e/o in bicicletta per quelle strade che lo separano dal padre. Una distanza che Cyril, con l'aiuto di Samantha, una donna a cui si era aggrappato per caso nella sala d'attesa di uno studio medico, riesce ad azzerare per scoprire che l'amato padre non vuole proprio saperne niente di lui, il figlio.
E torce lo stomaco la reazione autolesionistica del ragazzino, quando si graffia il volto e sbatte volontariamente la testa contro lo sportello della macchina, per la sofferta consapevolezza di essere un figlio rifiutato dal padre.
Diventa facile preda di un piccolo boss di quartiere che lo porterà ad effettuare una rapina. Facile preda, ma non stupido. Saprà con lucidità riconoscere l'errore ed individuare chi vuole veramente il suo bene.
E stringe il cuore vedere infine la sua reazione, quando, inseguito, preso a sassate da un ragazzo che aveva aggredito dopo aver tramortito il padre, per una rapina, arrampicatosi su un albero, cade perché colpito da un sasso. Un povero fagottino, che precipita al suolo, rimanendo rannicchiato tra l'erba e la terra di un bosco: non si muove. Sembra morto. Quando, a fatica, tutto ammaccato e stordito, si rialza, va via senza dire nulla all'aggressore e al padre dell'aggressore (bugiardo e opportunista), rifiutandosi di far chiamare un'ambulanza (tante volte avesse una commozione cerebrale), solleva la bicicletta, prende il sacco di carbonella che era andato a comprare e via di nuovo in sella alla sua bicicletta. Stringe il cuore la sua reazione di cucciolo aggredito che non protesta per una violenza subita ingiustamente. Davvero, stringe il cuore.
Bello, brusco, diretto, senza smancerie, il rapporto tra Cyril e Samantha, la donna che lo prende in affidamento, che lotta per lui come una leonessa per i suoi cuccioli. Eppure la forza di un accudimento sincero e forte passa e Cyril, pur con la sue intemperanze e ribellioni, lo sente e lo riconosce. Quella complicità finale, tra i due, sotto l'albero, mentre mangiano un panino è la conquista di una sudatissima armonia.
L'aspetto molto intrigante del film è nella motivazione di Samantha, una donna che ha un compagno, un lavoro (è una parrucchiera), e che non sa nemmeno lei perché vuole dare una mano a questo ragazzino, all'inizio assai difficile; l'aspetto intrigante è che Samantha non ha un sentimento materno insoddisfatto da colmare; il suo è un atto di generosità, generato da un amore disinteressato. Siamo ancora capaci, noi europei, di compiere simili azioni senza calcoli personali e, soprattutto, senza suscitare sospetti altrui?
Indimenticabili le corse a piedi del piccolo Cyril, con la sua maglietta rossa, per le strade, fra le macchine, di giorno, di notte; indimenticabili anche le sue corse in bicicletta, così sproporzionate rispetto alla potenza e alla solidità delle macchine, degli autobus, delle motociclette. Un confronto impari quello tra il mondo degli adulti e il mondo di quei ragazzini che nascono socialmente estremamente svantaggiati. Quanta fatica, quanto fiato, quanta forza nelle gambe! E la tristezza per quanto ha subito Cyril, e i tanti Cyril che si muovono, di corsa e in bicicletta, per le strade di questa Europa, fa male.
Tuttavia c'è speranza per questo ragazzo che così piccolo ha già conosciuto i dolori e le violenze più tremende; c'è speranza (paesaggi luminosi, ariosissimi, ripresi nei dintorni di Liegi) e questa speranza, questo sbocco ottimistico è una novità nella filmografia dei fratelli Dardenne, di cui, a memoria, non ricordo alcun lieto fine. E basti pensare a "Rosetta", "L'enfant" e "Il matrimonio di Lorna" solo per citare i primi tre che mi sono venuti in mente.
Un film prezioso che si è avvalso della luminosa presenza dell'attrice belga Cécile De France (già ammirata in "Hereafter" di Clint Eastwood), asciutta, vera, tenacissima; del tormentato padre interpretato da Jeremie Renier (un veterano dei films dei fratelli belgi) e del nervoso, secco Tomas Doret che interpreta magnificamente la figura di un piccolo, ma ostinatissimo sopravvissuto ai dolori precocissimi che hanno attraversato la sua esistenza.
Forse non è il più perfetto tra i loro films; c'è difatti qualche sbavatura e qualche approssimazione in alcune battute, in certi dialoghi di una sceneggiatura firmata dagli stessi Dardenne; sviste impensabili nelle pellicole precedenti; sviste che non hanno impedito loro di aggiudicarsi Il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2011.

* * *

LE DONNE DEL 6° PIANO
di Philippe Le Guay
con Fabrice Luchini, Natalia Verbeke, Sandrine Kiberlain
2011- Francia


In Francia vengono chiamate "chambres des bonnes". Sono monolocali ricavati nei sottotetti dei palazzi costruiti a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo in cui, un tempo, alloggiava la servitù che lavorava per i signori dei piani più bassi.
Oggi sono monolocali affittati per lo più a studenti stranieri ma durante il film, che si svolge nel 1962, al sesto piano di un elegante palazzo troviamo un gruppo di cameriere spagnole ricche di allegria e temperamento, in netto contrasto con il rigore austero di una Parigi fredda e poco ospitale.

Maria, una ragazza spagnola bella e determinata, trova lavoro presso la famiglia borghese di un investitore in borsa. Grazie ai suoi modi di fare e a una grande abilità nel cucinare l'uovo alla coque, la ragazza non impiega molto a risvegliare i sensi del padrone di casa di mezza età, anestetizzato da una vita sempre uguale e da una moglie arida e convenzionale che riesce ad immaginare come sua rivale solo una ricca vedova e non una povera cameriera che pulisce l'argenteria nella stanza accanto.
In breve tempo monsieur Jobert (un sensibile Fabrice Luchini) diventa l'idolo del gruppo di donne del sesto piano alle quali, per prima cosa, fa sistemare i servizi igienici e poi finisce col condividere le stanze di vita quotidiana, attraverso feste a base di paella e picnic in campagna.
Ma Maria nasconde un segreto: un figlio del peccato dato in adozione anni prima. Tra l'amore per il datore di lavoro e il desiderio di porre rimedio agli errori del passato, la ragazza sceglierà la seconda strada.
Ma un sentimento vero non muore mai, nemmeno dopo tre anni di lontananza. Lo sa bene chi l'amore lo ha conosciuto veramente, tanto da indicare a un innamorato infelice la sua strada verso il paradiso.

"Le donne del 6° piano" (Les femmes du 6ème ètage) è una commedia romantica e delicata, a metà strada tra un Almodovar molto ma molto edulcorato (non per niente tra le varie attrici c'è anche Carmen Maura) e "Le fate ignoranti" del nostro Ozpetek, anche se il tutto è rigorosamente contenuto nei limiti dell'eterosessualità.
È la solita favola di Cenerentola, in cui Fabrice Luchini ripercorre i passi della mitica Cher di "Stregata dalla luna", scoprendo quali strani scherzi possano giocare fato e cuore, mentre l'argentina Natalia Verbeke ricorda l'Antonelli di "Malizia" nel portare a galla i vizi privati del perbenismo degli anni sessanta.
Tra De Gaulle e Franco, giustamente solo citati, il film evita qualsiasi analisi politica e sociologica, limitandosi a farci notare come troppo spesso viviamo accanto alle persone senza sapere nulla di loro.
Non è un capolavoro, ma piacerà ai cuori teneri che hanno ancora la pia illusione che basti l'amore per ovviare a qualsiasi altra differenza.

Mario Gardini

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati