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Articolo di Paolo D'Arpini
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La cantata dei pastori
Articolo di Alessandro Pellino

'nterra 'a rena

Il revisionismo corretto
Articolo di Alessandro Pellino

 

La cantata dei pastori
 

Alessandro Pellino


In questo finale di estate 2011, l'atmosfera in città di fa ancora più rovente grazie a Peppe Barra. Il noto e bravo artista napoletano lamenta una scarsa attenzione delle istituzioni comunali e regionali, al suo progetto di realizzazione dell'opera di Andrea Perucci, alias Casimiro Ruggiero Ugone, "La cantata dei pastori". Peppe Barra denuncia una disparità di trattamento tra lui ed altri artisti. Infatti, l'attore e cantante partenopeo si chiede come mai a Massimo Ranieri si concedono 200 mila euro mentre a lui, che ne chiede molti dimeno, si sbatte la porta in faccia. Da Giffoni Valle Piana, dove Peppe Barra è ospite della quattordicesima edizione di "Giffoni Teatro". Peppe afferma: "Di questo passo credo che non mi esibirò mai più a Napoli, se tutto resta così com'è oggi, non reciterò mai più nella mia città, ma lo farò altrove, magari verrò più spesso a Giffoni Valle Piana". Prontissima la risposta dell'assessore alla cultura del comune di Napoli, Antonella Di Nocera: Per quando ci riguarda tutti i grandi artisti napoletani sono una risorsa della città, un'Amministrazione come la nostra non usa parole del genere contro chi porta nel mondo Napoli in maniera positiva. Nella discussione entra anche il deputato Marcello Di Caterina (PDL): "Mi impegnerò a percorrere tutte le strade possibili affinché anche quest'anno Peppe Barra possa portare in scena la "Cantata dei pastori", un'Opera che fa parte della nostra tradizione ed è giusto che non sparisca". C'è ben da sperare che Peppe Barra non verrà deluso. I
Quando nel 1899 il prefetto di Napoli, il conte Cadronchi, proibì le rappresentazioni natalizie della - Cantata dei Pastori -, si temette veramente la fine di una tradizione che durava da più di 200 anni. Fortuna volle, però, che dopo poco tempo, revocata la disposizione, la tradizione ritornò in auge e ripresero le ataviche lotte tra Belfagor, l'arcangelo Gabriele, Giuseppe e Maria. "La cantata dei pastori " o, " Il vero lume tra le tenebre" o " La nascita del verbo umanato" fu scritta nel 1698 dal commediografo siciliano Andrea Perucci, con lo pseudonimo di dottor Casimiro Ruggiero Ugone ed appena un anno dopo, nel 1699, fu rappresentata per la prima volta. Andrea Perucci nacque a Palermo il primo giugno del 1651, ma dopo poco tempo si trasferì a Napoli. Quivi giunto si dedicò allo studio delle lettere e del diritto, per poi divenire un apprezzato commediografo. Iniziò questa sua attività per il teatro di san Bartolomeo che dal 1678 gli diede l'incarico di tradurre ed adattare, nonché di curare la messa in scena di un nutrito numero di opere francesi, adattandole ai costumi ed ai gusti del popolo napoletano. Egli scrisse numerosi drammi e compose bellissimi versi, sia in latino che in lingua. Morì a Napoli il 6 maggio del 1704. Quando Andrea Perucci scrisse - Il verbo umanato -, non poteva presupporre che la sua opera diventasse quasi immortale e che venisse rappresentata da un imprecisato numero di compagnie e in tantissimi teatri, né che sarebbe stata sottoposta a mille manipolazioni, come, in effetti, avvenne, per circa 200 anni. Infatti, per più di due secoli e fino all'ultima guerra, il Natale, nella città di Napoli, non si preannunciava con luminarie o festoni, o col suono delle zampogne. Niente di tutto questo. Il Natale lo si leggeva sui muri della città ed in particolar modo, sui cartelloni che la tipografia di Salvatore Golia faceva apporre per tutta la città di Napoli, e che preannunciavano, per la sera del 24 dicembre, la rappresentazione della "Cantata dei Pastori". Tutti i teatri di Napoli, alla Vigilia sospendevano le rappresentazioni per mettere in scena La Cantata. Per lo più erano compagnie filodrammatiche a rappresentare l'opera, ma non mancò l'apporto di valenti professionisti che si cimentarono e tra gli altri, ci fa piacere ricordare Federico Stella, Michele Bozzo e anche Giuseppe De Martino. Tra i tanti filodrammatici ad esibirsi nella - Cantata -, la parte del leone la fece uno scaricante portuale, che fin dal 1880, per queste rappresentazioni natalizie, veniva ingaggiato dalla compagnia di Luigi Menzione per vestire i panni di Uriel ed in seguito quelli del burbero e maligno, ma sfortunato, Belfagor, al teatro San Ferdinando. Questo modest'uomo, dalle mani callose e dalla schiena avvezza al trasporto di pesanti fardelli, rispondeva al nome di Antonio Dei Cangiani, secondo quanto afferma Aniello Costagliola, mentre a detta di Vittorio Viviani si chiamava Antonio De Pasquale detto 'Ntuono d''e Cangiane. Sia egli Antonio Dei cangiani o De Pasquale, resta il fatto che la sua interpretazione di Belfagor, con le sue capriole, i suoi salti, il suo continuo osteggiare la Nascita, ed i tiri mancini ch'egli giocava al diafano Arcangelo Gabriele, mandava letteralmente in visibilio il pubblico del teatro di Pontenuovo. Finito il Natale, 'Ntuono d''e Cangiane faceva ritorno al suo lavoro di scaricante, con tanta nostalgia e rassegnazione, ma con la consolazione che gli dava la certezza,che di lì ad un anno, sarebbe ritornato a vestire i panni del demoniaco ed astuto Belfagor nel teatro San Ferdinando. Lo sforzo che gli attori profondevano in queste rappresentazioni era veramente enorme; basti pensare che se ne facevano due: una a mezzanotte ed un'altra alle quattro del mattino. Il pubblico, ed in modo particolare quello del San Ferdinando, caldo e passionale, partecipava in prima persona agli eventi scenici, parteggiando ora per l'uno, ora per l'altro; la rappresentazione assumeva, talvolta, toni talmente verosimili, da far sussultare il pubblico, fino a coinvolgerlo del tutto. Non era raro, infatti, che qualche spettatore, infervorato dall'accavallarsi degli avvenimenti, si premurava di avvertire l'attore (si badi bene, l'attore e non il personaggio) di quello che stava per accadere, come se questi ne fosse all'oscuro. Dal loggione o dalla platea si levavano grida come:
<< Statte accorto ca Gabriele mò te fa fesso >> , oppure: << Fa ampressa ca sta venenno quaccheduno >>. All'inizio della rappresentazione, sembrava proprio che il pubblico tenesse in simpatia il povero Belfagor, che tanto si affannava per evitare che il Gesù Bambino venisse al mondo, ma che, puntualmente, tutte le sue trovate o tutti i tentativi per evitare l'avvenimento, venivano annullati dal tenero Gabriele, che discendeva dal cielo ( nel nostro caso, discendeva dall'alto, legato ad una fune). In realtà, ciò era vero, al pubblico non piaceva che l'arcangelo Gabriele fosse sempre pronto, lì dietro le ...quinte, a rompere le uova nel paniere a quel povero ...diavolo di Belfagor. Ma, non appena in scena facevano la loro apparizione Giuseppe e Maria, l'atteggiamento dello spettatore cambiava radicalmente e si schierava al loro fianco, contro il tremendo Belfagor, fino al giorno della disfatta e della nascita del Gesù. Altro personaggio molto caratteristico, é quello di un uomo proveniente da : "... 'na Cetate, ch'a lo munno no c'é cosa cchiù bella ... Io songo de Palepole che mò se chiamma Napole." Il suo nome é Razzullo, ufficiale del censimento alla ricerca di un nuovo impiego, essendo quello occupato, poco remunerativo. Col passare degli anni, << La cantata dei pastori >>, venne più volte manipolata, cambiarono molte scene e fu anche inserito un nuovo personaggio. Quest'ultimo arrivato, corrisponde al nome di Sarchiapone, barbiere napoletano emigrato in Galilea per sfuggire alla giusta punizione inflittagli per aver commesso, in quel di Napoli, un efferato omicidio. L'opera, la cui vicenda ricca d'intrecci si avvale di un susseguirsi di colpi di scena, si compone di un prologo e tre atti, con nove personaggi, quattro diavoli ed un coro di angeli. I personaggi sono: Maria Vergine, Giuseppe suo sposo, l'Arcangelo Gabriele ed il suo rivale, il diavolo Belfagor, un pastore di nome Armenzio, ed i suoi figlioli Cidonio e Benino, un gentile pescatore di nome Ruscelio, il vagabondo napoletano Razzullo ed il barbiere Sarchiapone. Il prologo si svolge tra i diavoli Plutone, Asmodeo, Astarotte, Belfagor e Belzebù, che discutono dell' approssimarsi dell'evento che va annunciandosi e cioè la nascita del Redentore. E' Plutone il più esagitato, egli non riesce a trovare una ragione per la quale, avendo commesso un solo peccato e per di più di pensiero, debba essere condannato in eterno alla sofferenza, mentre gli umani, notoriamente peccatori, vengano aiutati al punto che, Iddio manda loro il proprio Figliuolo per redimerli. Decidono, così, i diavolacci d'impedire in tutti i modi l'avvento del figlio di Dio sulla Terra. Apre il primo atto il buon pastore Armenzio che, destando il figliolo Benino, viene da questi a conoscenza di un sogno, per grandi linee simile al suo, il cui argomento é quello della nascita del Signore. A questo punto fa il suo ingresso in scena il napoletano Razzullo, ammalato di appetito cronico ed acuto, perseguitato dall'avversa sorte, e quelle poche volte che, la dea bendata sembra baciarlo, tutto svanisce in un attimo. Ecco come tutto traspare dalle sue parole:
O fortuna mardetta, Me manna pé disgrazia le fortune, e nun sapenne addò me spartere, Aggio perduto la caccia e la pesca: Cosa nun pozzo fa, che mme riesca.
Dopo l'apparir di Giuseppe e Maria, che stanchi s'addormentano, c'é il primo tentativo di Belfagor di ucciderli nel sonno; ma l'Arcangelo Gabriele glielo impedisce, mettendolo in fuga gambe in spalla. Indomiti, Belfagor e la sua schiera di diavoli si trasformano in masnadieri, vagando per il bosco con lo scopo di portare a termine il loro turpe incarico. E' il povero Razzullo a pagarne le spese per primo, infatti, incontrandosi con questi malefici, viene, da costoro, legato ad un albero. Tale e tanta é la paura di Razzullo nel vedere questi masnadieri, che sembrano: "...cuotte da llo sole comme 'll'arenghe; Hanno li nase stuorte, brognoluse; So de' puorco sarvateco li diente, Fanno la scumma mmocca Juste comme 'a li verre 'Nzomma, songo diavole sti perre." Razzullo deve la sua vita a Giuseppe e Maria che, una volta andati via i diavolilli, lo scorgono legato all'albero e lo slegano, Razzullo di lì a poco se ne sdebiterà, traghettando i due sulla sponda opposta del fiume, sottraendoli alla trappola, loro tesa, da Belfagor. Ma il tremendo Diavolo, per vendetta, fa capovolgere la barca sulla quale Razzullo sta facendo ritorno. Il secondo atto, inizia con Razzullo sempre alle prese con la sua infinita ed insaziabile fame, egli, dopo essersi cimentato nella pesca, ci riprova con la caccia, ma il risultato é sempre uguale e cioè rimane sempre a mani vuote, anche perché c'é lo zampino del diavolo. Infatti, il tremendo Belfagor, giunto alla grotta di Betlemme, vi ci mette a guardia un drago, e la sorte vuole che sia proprio Razzullo a vedersela con questo drago, mentre é impegnato con Cidonio il cacciatore, in una battuta di caccia. Risultato? Facile da immaginare: Razzullo che scappa a gambe levate, e con la sua fame che aumenta a dismisura. L'impietoso destino l'attende, però, in un'osteria che egli trova sul suo cammino. Il burbero oste, su insistenze di Razzullo e sulla promessa di cedergli gli eventuali resti dei pasti consumati dai viandanti, lo assume come inserviente, e lo destina a turpi lavori che, suo malgrado, il Nostro deve accettare. Ma, ahimè, il burbero altri non é che il truce Belfagor, così camuffato per sorprendere i due viandanti Giuseppe e Maria. Difatti, di lì a poco, ecco comparire i due, che chiedono a Razzullo la grazia di un giaciglio notturno, onde riposar le stanche membra : "Fastidio non daremo; basta il luogo più umile (purché stiamo al coverto ) ed il più vile. " Al che, impietosito, Razzullo: "Ccà bbicino nce stà na grotticella ch'é futa futa nninto e potrisseve stare a llo copierto ". Nel contempo, però, li mette anche in guardia dalla presenza di malefiche creature. Si sa, sono l'amore e la fede che guidano i due viandanti, per cui essi si avviano verso il misterioso antro. Malasorte certa e subitanea per Razzullo il quale deve subire l'ira di Belfagor che lo bastonerà. Ancora una volta, provvidenziale e risolutivo, sarà l'intervento dell'Arcangelo Gabriele, che provvederà a sprofondare il malefico drago e a donare a Giuseppe e Maria il giusto e meritato riposo. Il terzo ed ultimo atto vede, ancora una volta e non ancora domo, Belfagor ordire trame assassine, per impedire che il - Vero Lume - faccia la sua comparsa sulla terra. Il simpatico Razzullo, sempre alla ricerca affannosa di cibarie di qualsiasi genere, diventa pastore agli ordini di Armenzio, il quale promette di sfamarlo. E Belfagor? Egli sotto le mentite spoglie di satiro incontra Ruscelio, il pescatore gentile, al quale promette un tesoro, a suo dire nascosto in una grotta non molto lontana, a patto però, di ricevere in cambio la sua anima e di essere da lui adorato. Ruscelio, abbagliato dall'improvvisa possibilità di arricchirsi, accetta le condizioni del satiro Belfagor, al quale assicura di portare seco un amico. Intanto, Razzullo, per placare i morsi della fame, ruba del cibo al figlio di Armenzio che, per vendicarsi, gli fa credere che quel cibo é avvelenato. E' tale la suggestione, che il nostro poveretto crede davvero di morire, ma Armenzio gli svela la burla. Razzullo si lascia convincere da Ruscelio e lo segue alla scoperta del fantomatico tesoro. Ma resosi conto dell'alto prezzo da pagare (la contropartita é l'uccisione di Maria e Giuseppe), i due sventurati rinnegano il truce Belfagor. Oramai l'evento si é compiuto, Gabriele informa il servo di Plutone, Belfagor, che il figlio di Dio é nato. Apocalisse finale con Belfagor che sprofonda negli inferi, i pastori che portano doni al Bambino, Mentre il nostro sfortunato Razzullo che fa ritorno al suo paese, conclude col dire: "... a lli paesani mieie che n'adorano cchiù statue 'e creta che Sole, che Castrione, che Polluce se l'OMBRA 'e ffà squaglià, nata é la LUCE."

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