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Articolo di Paolo D'Arpini
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Articolo di Lorenzo Spurio
La cantata dei pastori
Articolo di Alessandro Pellino

'nterra 'a rena

Il revisionismo corretto
Articolo di Alessandro Pellino

 

Il revisionismo corretto
 

Alessandro Pellino


Prendo spunto da un'intervista televisiva fatta al signor Eduardo De Crescenzo (in arte Eddy Napoli), autore di un brano musicale dal titolo "Malaunità, dove l'artista afferma che prima dell'Unità, nel sud non c'erano Camorra, mafia etc. Innanzitutto non si può affermare che Mafia e camorra non esistevano. Per i pochi è una bestemmia, per i più un'eresia. Si vada a leggere la copiosa produzione storico - letteraria sulla camorra preunitaria, e ci si sorprenderà. Napoli tutta era una camorra, i poveracci, i borghesi e le forze dell'ordine pascevano e si moltiplicavano con il latte di mamma camorra. La camorra opprimeva i miseri e banchettava con i signorotti. Sarebbe bastato consultare il Grande Dizionario Italiano dell'Uso (GRADIT) per leggere che la camorra è la: "prima, organizzazione criminale di stampo mafioso, costituitasi con leggi e codici propri già durante il '600.".Altre fonti storiche gli avrebbero rivelato che, intorno al 1650, tale Cesare Riccardi, maestro di breviario e di Coltello, in arte "Abate Cesare", dopo un primo omicidio si diede all'assassinio sistematico, alle tangenti, rapine e sequestri. Attività, quest'ultime, precipue della camorra. In tempi più recenti, sotto il dominio di Ferdinando II, Alessandro Avitabile impiegato alla Questura di Napoli, patriota e fecondo scrittore, nella sua opera "Carlo il discolo" dipinge un quadro a tinte forti della camorra nelle carceri borboniche. Nel 1830 imperava a Napoli Michele Aitollo, detto "Michele 'a nubiltà". Nel 1840 lo scettro passò a Aniello Ausiello capintrito della paranza di Porta Capuana. Il 12 settembre 1842, nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, il contajuolo Francesco Scorticelli diede lettura di un frieno (contenente regole e gerarchie della camorra) composto da 26 articoli. Nel 1849 esordì il Re della camorra, Tore 'e Criscienzo. Il Lacenaire dei camorristi. Omicidi, sequestri, rapine, furti e tangenti erano il suo pane quotidiano. Guai ad opporvisi, si metteva in pericolo la propria vita. Tore fu colui che, in uno con Marianna De Crescenzo, detta la Sangiovannara, e tre prostitute, <<Rosa 'a pazza >>, <<Luisella 'a luma 'ggiorno >> e <<Nannarella 'e quatte rane >> entrò in Napoli al seguito di Garibaldi per garantirne l'incolumità. Quest'ultimo episodio nacque con la regia di Liborio Romano che affidò nelle mani dei più feroci camorristi l'ordine pubblico della città, nominandoli dirigenti di Polizia. Nell'elenco, redatto da Nicola Amore, dei camorristi napoletani preunitari, troviamo Vincenzo Zincone, Vincenzo Attingenti, Luigi Mazzola, Antonio Mormile, Pasquale Scarpati etc., tutti operanti in Napoli prima del 1861.

Altra doverosa annotazione va fatta sul discorso dei briganti e del brigantaggio.
Il brigantaggio non nasce con l'invasione piemontese, il brigantaggio nel Regno di Napoli risale a Papa Ciro (Ciro Annichiarico, nato a Grottaglie, il 16 dicembre 1775 e morto a Francavilla Fontana, l'8 febbraio 1817). Re Ferdinando I nel 1816 emanò un decreto "per lo sterminio dei briganti che infestavano Calabria, Molise, Basilicata e Capitanata, conferendo speciali poteri ai vertici dell'esercito." Nel 1817 nel Cilento la banda dei Fratelli Capozzoli iniziò le sue scorribande, che proseguirono fino al 1828, quando costoro si unirono ai Filadelfi durante i Moti del Cilento, la dura repressione ad opera di Del Carretto stroncò la rivolta, i Capozzoli furono catturati l'anno seguente, giustiziati a Salerno e loro teste mozzate portate in mostra nei paesi circostanti. Nell'immediato periodo preunitario, nel Regno delle due Sicilie, tra gli altri operavano Carmine Crocco, Ninco Nanco, Giuseppe Caruso e il cerretese Cosimo Giordano. Gran ladroni, assassini e grassatori. Carmine Crocco, detto "il Donatello", era quello stesso personaggio che entrò in Napoli al fianco di Giuseppe Garibaldi, dopo aver partecipato alla battaglia del Volturno nei mesi di settembre ed ottobre 1860 e che dopo la delusione dovuta alle mancate promesse fattegli, passò dalla parte di Francesco II, nelle fila della resistenza borbonica. Per 3 anni, Carmine Crocco e sodali ricoprirono il ruolo di ultimo baluardo all'invasione piemontese. F.S. Nitti, nei suoi "Scritti sulla questione meridionale" ci dice che:
" Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che ad altri e a me e accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell'unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell'abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori. "
In tutto questo non va dimenticato il vero eroe, il martire di quella che potremmo definire la prima guerra civile italiana: il popolo inerme. Questo popolo rurale, affamato dai nobili borbonici e dai grandi proprietari terrieri preunitari, asserviti (ma per loro non cambiava nulla) al nuovo sovrano sardo, veniva trucidato dai piemontesi perché proteggevano i briganti e, in alcuni casi, trucidati dai briganti perché ospitavano i piemontesi, i quali li avrebbero massacrati se fosse stata negata loro l'ospitalità richiesta. Insomma per questa gente, per questa povera gente, non c'era pace tra gli ulivi. Ancora gridano vendetta i martiri di Casalduni, Campolattaro e Pontelandolfo, rase al suolo e bruciate, gli abitanti (quelli che non riuscirono a fuggire) massacrati e le donne prima violentate e poi uccise in modo barbaro. Non si possono dimenticare Maria Ciaburri, Maria Izzo e Concetta Biondi.
Tutto questo perché se si vuole fare del revisionismo, questo deve essere asettico, non di parte, altrimenti si cade nello stesso errore di chi ha scritto e imposto la sua visione della storia. Da questa operazione va tenuto fuori dalla porta quel cancro che si chiama demagogia. Pur essendo io stesso un meridionalista convinto, non mi lascio attrarre dalle sirene secessioniste, di quelle che invocano il ritorno al passato o che, provocatoriamente, chiedono il rimborso di quanto depredato nel 1861. Il mio modo di essere meridionalista è quello di tendere ad un riscatto del meridione, un ripudio dell'assistenzialismo nel quale ci hanno, scientemente, cullato e ad una rivalutazione delle nostre potenzialità. Discorsi e manifesti non hanno mai fatto bene a nessuno. Iniziamo (e su questo sono d'accordo col signor De Crescenzo) col prendere coscienza di noi stessi e cambiare il nostro modo di porci di fronte alle sfide che ogni giorno dobbiamo affrontare. Questa è la vera rivoluzione che porterà al riscatto ed alla rivalutazione del meridione.

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