|
|
Attualità
'nterra 'a rena
|
|
Prendo spunto da un'intervista
televisiva fatta al signor Eduardo De Crescenzo (in
arte Eddy Napoli), autore di un brano musicale dal
titolo "Malaunità, dove l'artista afferma che prima
dell'Unità, nel sud non c'erano Camorra, mafia etc.
Innanzitutto non si può affermare che Mafia e
camorra non esistevano. Per i pochi è una bestemmia,
per i più un'eresia. Si vada a leggere la copiosa
produzione storico - letteraria sulla camorra
preunitaria, e ci si sorprenderà. Napoli tutta era
una camorra, i poveracci, i borghesi e le forze
dell'ordine pascevano e si moltiplicavano con il
latte di mamma camorra. La camorra opprimeva i
miseri e banchettava con i signorotti. Sarebbe
bastato consultare il Grande Dizionario Italiano
dell'Uso (GRADIT) per leggere che la camorra è la:
"prima, organizzazione criminale di stampo mafioso,
costituitasi con leggi e codici propri già durante
il '600.".Altre fonti storiche gli avrebbero
rivelato che, intorno al 1650, tale Cesare Riccardi,
maestro di breviario e di Coltello, in arte "Abate
Cesare", dopo un primo omicidio si diede
all'assassinio sistematico, alle tangenti, rapine e
sequestri. Attività, quest'ultime, precipue della
camorra. In tempi più recenti, sotto il dominio di
Ferdinando II, Alessandro Avitabile impiegato alla
Questura di Napoli, patriota e fecondo scrittore,
nella sua opera "Carlo il discolo" dipinge un quadro
a tinte forti della camorra nelle carceri
borboniche. Nel 1830 imperava a Napoli Michele
Aitollo, detto "Michele 'a nubiltà". Nel 1840 lo
scettro passò a Aniello Ausiello capintrito della
paranza di Porta Capuana. Il 12 settembre 1842,
nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, il
contajuolo Francesco Scorticelli diede lettura di un
frieno (contenente regole e gerarchie della camorra)
composto da 26 articoli. Nel 1849 esordì il Re della
camorra, Tore 'e Criscienzo. Il Lacenaire dei
camorristi. Omicidi, sequestri, rapine, furti e
tangenti erano il suo pane quotidiano. Guai ad
opporvisi, si metteva in pericolo la propria vita.
Tore fu colui che, in uno con Marianna De Crescenzo,
detta la Sangiovannara, e tre prostitute, <<Rosa 'a
pazza >>, <<Luisella 'a luma 'ggiorno >> e <<Nannarella
'e quatte rane >> entrò in Napoli al seguito di
Garibaldi per garantirne l'incolumità. Quest'ultimo
episodio nacque con la regia di Liborio Romano che
affidò nelle mani dei più feroci camorristi l'ordine
pubblico della città, nominandoli dirigenti di
Polizia. Nell'elenco, redatto da Nicola Amore, dei
camorristi napoletani preunitari, troviamo Vincenzo
Zincone, Vincenzo Attingenti, Luigi Mazzola, Antonio
Mormile, Pasquale Scarpati etc., tutti operanti in
Napoli prima del 1861.
Altra doverosa annotazione va fatta sul discorso dei
briganti e del brigantaggio.
Il brigantaggio non nasce con l'invasione
piemontese, il brigantaggio nel Regno di Napoli
risale a Papa Ciro (Ciro Annichiarico, nato a
Grottaglie, il 16 dicembre 1775 e morto a
Francavilla Fontana, l'8 febbraio 1817). Re
Ferdinando I nel 1816 emanò un decreto "per lo
sterminio dei briganti che infestavano Calabria,
Molise, Basilicata e Capitanata, conferendo speciali
poteri ai vertici dell'esercito." Nel 1817 nel
Cilento la banda dei Fratelli Capozzoli iniziò le
sue scorribande, che proseguirono fino al 1828,
quando costoro si unirono ai Filadelfi durante i
Moti del Cilento, la dura repressione ad opera di
Del Carretto stroncò la rivolta, i Capozzoli furono
catturati l'anno seguente, giustiziati a Salerno e
loro teste mozzate portate in mostra nei paesi
circostanti. Nell'immediato periodo preunitario, nel
Regno delle due Sicilie, tra gli altri operavano
Carmine Crocco, Ninco Nanco, Giuseppe Caruso e il
cerretese Cosimo Giordano. Gran ladroni, assassini e
grassatori. Carmine Crocco, detto "il Donatello",
era quello stesso personaggio che entrò in Napoli al
fianco di Giuseppe Garibaldi, dopo aver partecipato
alla battaglia del Volturno nei mesi di settembre ed
ottobre 1860 e che dopo la delusione dovuta alle
mancate promesse fattegli, passò dalla parte di
Francesco II, nelle fila della resistenza borbonica.
Per 3 anni, Carmine Crocco e sodali ricoprirono il
ruolo di ultimo baluardo all'invasione piemontese.
F.S. Nitti, nei suoi "Scritti sulla questione
meridionale" ci dice che:
" Per le plebi meridionali il brigante fu assai
spesso il vendicatore e il benefattore: qualche
volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei
briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior
numero dei casi ebbero il carattere di vere e
selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che
ad altri e a me e accaduto tante volte di
constatare; il popolo delle campagne meridionali non
conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori
dell'unità italiana, ma ricorda con ammirazione i
nomi dell'abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro
più recenti imitatori. "
In tutto questo non va dimenticato il vero eroe, il
martire di quella che potremmo definire la prima
guerra civile italiana: il popolo inerme. Questo
popolo rurale, affamato dai nobili borbonici e dai
grandi proprietari terrieri preunitari, asserviti
(ma per loro non cambiava nulla) al nuovo sovrano
sardo, veniva trucidato dai piemontesi perché
proteggevano i briganti e, in alcuni casi, trucidati
dai briganti perché ospitavano i piemontesi, i quali
li avrebbero massacrati se fosse stata negata loro
l'ospitalità richiesta. Insomma per questa gente,
per questa povera gente, non c'era pace tra gli
ulivi. Ancora gridano vendetta i martiri di
Casalduni, Campolattaro e Pontelandolfo, rase al
suolo e bruciate, gli abitanti (quelli che non
riuscirono a fuggire) massacrati e le donne prima
violentate e poi uccise in modo barbaro. Non si
possono dimenticare Maria Ciaburri, Maria Izzo e
Concetta Biondi.
Tutto questo perché se si vuole fare del
revisionismo, questo deve essere asettico, non di
parte, altrimenti si cade nello stesso errore di chi
ha scritto e imposto la sua visione della storia. Da
questa operazione va tenuto fuori dalla porta quel
cancro che si chiama demagogia. Pur essendo io
stesso un meridionalista convinto, non mi lascio
attrarre dalle sirene secessioniste, di quelle che
invocano il ritorno al passato o che,
provocatoriamente, chiedono il rimborso di quanto
depredato nel 1861. Il mio modo di essere
meridionalista è quello di tendere ad un riscatto
del meridione, un ripudio dell'assistenzialismo nel
quale ci hanno, scientemente, cullato e ad una
rivalutazione delle nostre potenzialità. Discorsi e
manifesti non hanno mai fatto bene a nessuno.
Iniziamo (e su questo sono d'accordo col signor De
Crescenzo) col prendere coscienza di noi stessi e
cambiare il nostro modo di porci di fronte alle
sfide che ogni giorno dobbiamo affrontare. Questa è
la vera rivoluzione che porterà al riscatto ed alla
rivalutazione del meridione.
|
|
|