Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Libri a fumetti

Moonshadow e Blood:
OMBRE DI LUNA E STORIE DI SANGUE

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

In questo numero presentiamo:
Les Miserables
di Mario Gardini

Insert coin

In questo numero:
Meglio se restava morto
La tortura sarà giocarselo fino alla fine
Stavolta il ninja si nasconde bene…

Miti mutanti 19

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 5

Strisce di Luca Mori

Moonshadow e Blood:
OMBRE DI LUNA E STORIE DI SANGUE
I fumetti "per gente cresciuta"
di Jean-Marc De Matteis

 

Andrea Cantucci

Per ingrandire le immagini cliccarci sopra


La crescita, intesa come concreto e graduale passaggio da un'età più infantile ad una più adulta, non è spesso rappresentata nei fumetti seriali, almeno per quanto riguarda il protagonista, che in genere viene mostrato già adulto fin dall'inizio delle sue avventure, oppure, se si tratta di un bambino o un adolescente, tende a rimanere tale per tutta la durata della serie, come se per lui il tempo fosse virtualmente fermo. Un'eccezione è costituita a volte dalle storie delle origini, in cui si può assistere alle vicissitudini vissute dal personaggio nella sua infanzia e che ovviamente hanno contribuito a renderlo ciò che è, per cui più eccezionale è il protagonista in questione e più avrà avuto un'infanzia e una crescita in qualche modo fuori dal comune (ma ci sono anche personaggi, come ad esempio Flash Gordon, Tex o Asterix, che da bambini non si sono proprio mai visti).
Il discorso però può cambiare completamente se dalla comune produzione seriale ci spostiamo in quello che una volta era definito fumetto d'autore e che in tempi recenti ha trovato espressione nei formati della miniserie e del romanzo a fumetti (o graphic novel), due concetti che tendono a confondersi, poiché lo stesso contenuto può essere proposto prima in una serie breve e poi in un unico volume. Quest'ambito sfugge ai limiti della serialità, che, per venire incontro al desiderio di reiterate conferme del grande pubblico, tende a mantenere un protagonista sempre uguale a sé stesso, e permette quindi anche di rappresentare dei personaggi durante la loro crescita.
Un esempio è costituito già dal primo fumetto per cui fu usato il termine graphic novel, "A Contract with God" (Contratto con Dio), una storia pubblicata da Will Eisner nel 1978 in cui assistiamo alla crescita del piccolo emigrante ebreo Frimme Hersh, che si attiene scrupolosamente ai dettami della sua religione finché, da adulto, è colpito da un grave lutto e, sentendosi tradito dal suo Dio, abbandona ogni scrupolo e conquista la ricchezza anche a costo di compiere azioni riprovevoli nella sua scalata. Hersh passa così dalla cura della propria crescita spirituale al desiderio di una crescita esclusivamente economica, ma senza trovare pace per la sua coscienza.
Si può citare poi, come opera ancora più caratteristica nel genere, "The Tale of One Bad Rat" (La Storia del Topo Cattivo) dell'inglese Brian Talbot, una miniserie/graphic novel uscita nel 1994 che tratta con delicatezza e sensibilità il difficile tema degli abusi sui minori, descrivendo con rara efficacia la fuga da casa di una adolescente. La giovane Helen, seguendo le tracce della sua artista preferita, approda infine agli splendidi paesaggi naturali del Lake District britannico e raggiunge una sua sofferta ma irreversibile crescita interiore, affrontando il padre che aveva abusato di lei.
Un esempio altrettanto emblematico di romanzo di formazione a fumetti è anche la saga in tre volumi Jonas Fink, realizzata da Vittorio Giardino a partire dal 1994, in cui la vita di un ragazzo di Praga è sconvolta dalle persecuzioni politiche che lo privano del padre, nella Cecoslovacchia degli anni '50 e '60 del '900. Ognuno dei tre volumi di Jonas Fink è dedicato ad un diverso periodo della crescita del protagonista, che costituisce anche un'occasione di riflessione e di denuncia sulle condizioni di vita nei regimi dell'Est europeo di quel periodo.

Ma l'autore che forse più d'ogni altro si è dedicato a descrivere a fumetti la crescita, spirituale ma anche esteriore, dei suoi personaggi è lo sceneggiatore italo-americano Jean-Marc De Matteis, di cui per anni in Italia si sono viste quasi esclusivamente le storie scritte nell'ambito del fumetto seriale, come i suoi cicli di Conan, The Defenders o Spider-man (è sua "L'Ultima Caccia di Kraven", giustamente considerata una delle saghe più belle dell'Uomo Ragno). Fino a poco tempo fa infatti, del materiale qualitativamente più ambizioso di De Matteis erano apparsi nel nostro paese solo pochi volumi: "Doctor Strange into Shamballa" (Dottor Strange a Shamballa), in cui il mago della Marvel compie un viaggio mistico che coincide con una crescita spirituale; l'inizio del suo ciclo di "Man-Thing" (L'Uomo Cosa), su un mostro senza mente al cui interno è imprigionato lo spirito di un uomo che tenta di riemergere, cioè di crescere fino a tornare allo stato di coscienza, in una storia dai contenuti filosofici complessi ed elevati; e soprattutto "Brooklyn Dreams" (Sogni di Brooklyn), il racconto semi-autobiografico e semi-umoristico della crescita di un ragazzo italo-americano nell'omonimo quartiere di New York, tra paure, frustrazioni e situazioni estreme, in cui l'apparente alter ego dell'autore riporta quelle che lui stesso definisce "delle bugie sulla mia vita".
Quest'ultima era la sua storia più originale e lontana dai soliti eroi seriali che si potesse leggere nel nostro paese, finché finalmente nel 2012 sono state pubblicate integralmente in italiano, dopo quasi trent'anni dalla loro uscita negli USA, altre due opere fondamentali di De Matteis: "Moonshadow" e "Blood" (solo della prima si era vista da noi qualche puntata sulla rivista Alien). Entrambe furono pubblicate in origine dalla Marvel sotto l'etichetta Epic, che negli anni '80 quell'editore dedicava alle storie fantastiche di livello più adulto, e sono state riproposte più di recente dalla DC Comics nell'analoga etichetta Vertigo.


Le avventure di "Ombra di Luna"

"Moonshadow", uscita come miniserie in dodici numeri tra il 1985 e il 1987, col sottotitolo "A Fairy Tale for Grown Up" (Una Fiaba per Gente Cresciuta), è una storia di formazione di ampio respiro, splendidamente illustrata dagli acquerelli del pittore Jon J. Muth e narrata dal protagonista in prima persona. Come in Brooklyn Dreams, lunghi testi letterari sostituiscono o accompagnano le nuvolette dei dialoghi, riportando pensieri, idee e stati d'animo del narratore, mentre i vari episodi sono introdotti da citazioni di grandi scrittori (nell'ordine Blake, Baum, Yeats, Tolkien, Shelley, Barrie, Stevenson, Dostoevskij, Keats, Miller e Beckett).
Le didascalie sono essenziali alla narrazione e parte integrante della composizione delle immagini, tanto che l'esecuzione a mano dei testi fu affidata a Kevin Nowlan, un disegnatore oggi considerato tra i migliori grafici in assoluto del fumetto statunitense, e la parte letteraria è talmente importante in questo fumetto che, nella riedizione in volume del 1989, Nowlan fu citato in copertina come co-autore. D'altra parte, essendo la narrazione affidata in gran parte ai testi, Jon Muth poté permettersi di curare l'illustrazione di momenti particolarmente significativi, realizzando quasi dei veri e propri quadri, che a volte occupano anche un'intera pagina. Per il resto si prese un'ampia libertà creativa, mutando continuamente stile, dal realismo dettagliato di certe sequenze a un disegno umoristico più semplice in altre, o a un impressionismo ai limiti dell'astratto in altre ancora, a seconda anche del tono delle diverse scene descritte dai testi.
Il racconto si svolge in un contesto fantascientifico, ma, come succede nella migliore fantascienza sociologica fin dai tempi dei Viaggi di Gulliver, gli altri mondi e gli imperi alieni sono qui una metafora satirica di quanto accade nel nostro piccolo pianeta e delle contraddizioni che si agitano in ogni anima umana, tanto che astronavi, architetture e costumi sono raffigurati sì in modi fantasiosi, ma spesso un po' troppo terrestri o antiquati, mentre vari alieni somigliano a stilizzazioni comiche, surreali o grottesche di persone più o meno normali. È chiaro che per gli autori non è importante la verosimiglianza o la plausibilità scientifica, ma l'umorismo e la poesia che la loro fiaba per adulti riesce ad evocare, un po' come nei racconti fantascientifici di Robert Sheckley o di Ray Bradbury, uno scrittore che non a caso ha definito Moonshadow un'opera "bella, originale, affascinante".

L'eroe, ormai anziano, dichiara fin dall'inizio che non racconterà la storia della sua vita, ma quella del suo "risveglio", o illuminazione che dir si voglia. Tutto inizia a causa di una misteriosa razza di capricciosi e incomprensibili esseri simili a globi di energia, dai poteri apparentemente illimitati, che rapiscono una ragazza di Brooklyn e la rinchiudono in un confortevole "zoo spaziale" in cui tengono individui di vari pianeti per motivi ignoti. La ragazza è un'attivista hippy d'origine ebraica che col tempo riesce ad adattarsi alla sua nuova condizione al punto di unirsi ad uno dei "globi", di cui rimane incinta, dando alla luce un bel bimbo a cui mette nome Moonshadow (Ombra di Luna).
L'inizio della storia contiene molti elementi messianici, con la nascita miracolosa attualizzata in chiave moderna, col misticismo alternativo e pacifista dei figli dei fiori (oggi si direbbe "new age") che diventa l'equivalente contemporaneo dei vecchi concetti di "santità" e virtù "religiose", col rapimento che conduce su mondi alieni al posto dell'ascensione verso i vecchi, ingenui paradisi celesti e con la fecondazione da parte di un globo di pura energia dagli scopi insondabili al posto di quella dello "Spirito Santo" (alieni simili, a forma di sfere azzurre, appaiono anche in una storia di Bradbury del ciclo Cronache Marziane, in cui dei missionari terrestri devono ammettere di non aver niente da insegnare ad entità al di là della materia). Il tutto però è trattato in modo leggero e dissacrante e gli stessi "globi" sono visti come "cose" buffe, bislacche e caricaturali, non come enti superiori da trattare con reverenza e rispetto servile. Sembrano rappresentare il capriccio del caso che governa il folle, variegato universo in cui viviamo, più che delle seriose divinità cosmiche con scopi precisi. Ma soprattutto è Moonshadow che, bellezza e nobili sentimenti a parte, non ha virtù messianiche particolari. Se non fosse per la spiccata fantasia che ogni tanto lo porta ad avere delle vivide visioni, si direbbe un comune essere umano, pieno di incertezze e ingenuità, come tutti noi.
Il bambino cresce comunque in condizioni più uniche che rare, educato da una mamma sognatrice che gli trasmette i suoi ideali alternativi e gli insegna a suonare il flauto, ossessionato dai ricordi terrestri della madre che appaiono continuamente nella storia come flashback o allucinazioni, discriminato dagli altri ospiti dello zoo, ma con a disposizione una biblioteca di libri della Terra che alimentano la sua fantasia. Il suo unico amico è un grosso alieno tutto ricoperto di pelo di nome Ira, che ricorderebbe il Chewbecca di Guerre Stellari se non fosse egoista, cinico, amorale, bugiardo e privo di scrupoli, tanto quanto Moonshadow è altruista, sensibile, idealista, onesto e innocente.
Ira è evidentemente l'alter ego negativo di Moonshadow; in lui si concentrano tutti i peggiori difetti che l'autore non può, o non vuole, attribuire al suo eroe. Il suo carattere è evidenziato dall'aspetto animalesco e dal nome (ricordiamo che De Matteis è d'origine italiana e che anche in inglese si dice "irate" e "irascible"). Ira è l'insieme delle passioni e istinti incontrollabili che si tenta di allontanare da sé ma di cui non si può fare a meno, perché sono elementi necessari alla vita. Ciò spiega la grande amicizia e affetto che, nonostante i continui litigi, lega per tutta la storia due personaggi così diametralmente opposti e perché alla fine Ira scomparirà, prima della rivelazione che permetterà a Moonshadow di passare a un livello di coscienza superiore; l'eroe dovrà lasciarsi definitivamente alle spalle la parte più egoista di sé stesso, per poter compiere un tale passaggio. Invece all'inizio del viaggio, quando deve ancora crescere e rafforzare il suo carattere, affrontando tutta una serie di difficoltà e contrasti, tali doti di aggressività gli sono ovviamente indispensabili.
Quando il ragazzo ha quindici anni, il suo misterioso "padre" gli fornisce infatti un'astronave e lo obbliga a lasciare la protettiva prigionia dello "zoo" e partire alla scoperta del cosmo con l'amico e la madre. Quest'ultima va presto incontro ad un triste destino, il ché non le impedirà di continuare ad apparire al figlio per consigliarlo, anche nei momenti meno opportuni. Moonshadow va invece incontro a guai sul pianeta Gimmegimme (Dammi-dammi), un "mondo commerciale" interamente occupato da negozi e servizi d'ogni genere: prima è coinvolto in una vertenza sindacale degenerata in scontri tra scioperanti e crumiri e finisce per equivoco in manicomio; quindi è forzato a rubare un reperto chiamato "l'Uovo di Dio", sacro al culto di Quackhonk (che significa "Grido d'anitra" ma anche "Richiamo di ciarlatano"); poi è costretto ad arruolarsi in un conflitto interplanetario e viene inviato insieme a Ira, con delle truppe d'invasione, sul pianeta Bingbangboom.
In queste peripezie l'intento satirico degli autori non risparmia né il sistema economico capitalistico e consumistico, che forse prima o poi ricoprirà davvero un intero pianeta di attività commerciali, né l'ottuso militarismo degli eserciti che obbediscono ciecamente agli ordini, né l'ingenuità di sette e chiese religiose, che, in mezzo a qualche buon consiglio spirituale, celano più o meno tutte la vocazione del ciarlatano. Intanto la madre deve per forza essere lasciata indietro, se l'eroe vuole crescere in modo indipendente, ma l'educazione che gli ha trasmesso, continuerà inevitabilmente ad accompagnarlo e a parlare dentro di lui. Nonostante ciò, il ragazzo lasciato solo in compagnia della parte più istintiva ed egoista di sé stesso, di cui non sa fare a meno, non può che andare incontro a un sacco di guai, almeno finché l'esperienza non gli insegna qualcosa sul mondo che lo circonda.
Ad esempio, assistendo alla carneficina di una guerra, come un moderno Candido, Moonshadow si rende conto che simili sanguinari eccidi non hanno nulla a che vedere con le gloriose panzane patriottiche propinate dai romanzi che ha letto e a cui lui aveva ingenuamente creduto. Sua madre lo aveva preso a schiaffi una sola volta, quando aveva detto di voler diventare un soldato, e solo adesso, che vede cos'è davvero una guerra, il ragazzo capisce il perché. Le visioni che ha sul campo di battaglia, in mezzo ai resti dei cadaveri, gli chiariscono anche molte cose sulle sue origini, su cose che la madre non gli aveva detto prima, perché non era ancora in grado di capirle, sugli uomini che lei aveva amato sulla Terra e sulla fine che avevano fatto, su quello che le guerre fanno non solo a chi muore, ma anche a chi sopravvive.
Moonshadow, per fortuna, è tra quelli che sopravvivono e, catturato dal nemico, entra nelle grazie del comandante del campo di prigionia, alleviandone la solitudine con musica e racconti. Scopre così che una disperata sensibilità può nascondersi anche sotto le sembianze di un mostro assassino, il ché è per lui una rivelazione; la rivelazione che anche chi sembra un essere riprovevole, ai limiti della peggiore crudeltà e cinismo, non è che un ennesimo prigioniero, un prigioniero di un ruolo che interpreta e di cui non sa liberarsi, della propria sofferenza che non riesce a superare, di un distorto senso del dovere che lo lega a chi non ne meriterebbe la fedeltà.
Dopo le vicissitudini della guerra, Moonshadow è accolto alla corte di Machovia, l'impero per cui ha combattuto, dove, nominato "bambinaia reale", è invischiato in intrighi di corte, tra un re pazzo assecondato da tutti, una regina d'origini popolari che cerca di contenerne le follie, una nobildonna ninfomane attratta dai bei ragazzi e un'eminenza grigia "religiosa", il "Pio Rabbino" Pobidiah Unkshuss. Quest'ultimo è in pratica il vero governante che trama dietro le quinte, essendo a capo di un'influente famiglia di opportunisti che, coi monopoli della loro compagnia in tutti i settori, hanno in pugno l'intera economia dell'impero, come una multinazionale interplanetaria globale (il profitto economico è anche il vero motivo alla base della guerra contro l'impero rivale di Goyimia, che progettava di aprire un "mondo commerciale" in proprio).
Qui De Matteis chiarisce chi è, secondo lui, il "nemico" nel mondo attuale, anche se con inevitabili semplificazioni e ingenuità, visto il contesto fiabesco. A impedire il progresso e la crescita autentica dell'umanità sarebbe il sistema economico che esercita un controllo su autorità politiche e nazionali, un sistema di istituti di credito e società multinazionali che impongono su tutto la loro cieca ricerca di un costante profitto fine a sé stesso, calpestando se necessario ogni esigenza e aspirazione umana, un potere economico la cui legittimità e autorità non è più messa in dubbio da nessuno, come se i principi su cui si basa avessero appunto sostituito i principi religiosi e fossero diventati veri di per sé, invece di essere una serie di convenzioni impostesi nel corso della Storia.
Contro un tale nemico, Moonshadow soccomberebbe se non trovasse la protezione di Lord Gaylord (Lord Signorallegro), un inventore pacifista che lo accoglie sul pianeta Pillbox (alla lettera "Scatola di pillole"), un mondo agreste idilliaco, in pratica una medicina per l'anima. Qui Gaylord si dedica alla ricerca di rivelazioni della conoscenza divina, sia con mezzi spirituali che tecnologici, ma senza mai nessun risultato, e anche Moonshadow si fa coinvolgere dalla ricerca di una Verità trascendente inafferrabile. Al suo sedicesimo compleanno, ha però una visione che gli fa abbandonare quel luogo di pacifiche dissertazioni metafisiche, per correre in soccorso dell'amico Ira.
La posizione dell'autore rispetto a misticismo e spiritualità è ambivalente, da una parte è chiaro che ne è estremamente attratto e considera questi temi fondamentali per la pace e la crescita dell'anima, dall'altra non può fare a meno di ridicolizzarne gli aspetti più superficiali e fanatici: l'eccessiva seriosità con cui sono affrontati, l'incapacità di distinguere tra simboli e fatti concreti… così fa manovrare a Lord Gaylord un curioso e ingombrante "compasso celeste" per tentare di individuare la Verità divina in giro per il cosmo. Un altro aspetto da cui sembra metterci in guardia, è il rischio che la ricerca di verità spirituali astratte possa distoglierci troppo dalle esigenze concrete dei nostri corpi, della vita vera, del mondo fisico che continua a circondarci e influenzarci nonostante tutto; ecco quindi che a un certo punto il nostro eroe deve intraprendere la ricerca della sua controparte più animale ed egoista da cui si era troppo allontanato.
Moonshadow ritrova Ira impegnato in un tour interplanetario di propaganda bellica, come sedicente eroe di guerra, mentre mente spudoratamente su ciò che ha vissuto in battaglia per spingere i popoli a nuovi conflitti. Ci vuol poco a scoprire chi l'ha torturato e manipolato, riducendolo a un burattino privo di volontà, uno stato da cui Ira cercherà di riprendersi tornando alle sue vecchie e immorali abitudini. Infatti dirotta l'astronave di Moonshadow su una "Casa di Piacere Interplanetaria", dove anche il ragazzo, nonostante timori e imbarazzi, è iniziato alla scoperta della sessualità femminile.
Naturalmente non poteva essere che il viscerale Ira a farsi spingere, dai soliti interessi economici, a sostenere le peggiori imprese guerrafondaie, così come non poteva essere che lui a condurre il nostro giovane eroe a fare le prime esperienze sessuali. Nel primo caso è un comportamento che gli viene indotto contro i suoi stessi principi (Ira era sempre stato contrario alle guerre che fanno gli interessi di altri e non i suoi), ma nel momento in cui rimane diviso da Moonshadow, cioè dalla sua parte più idealista e onesta, si fa coinvolgere da bassi intrighi ad istigare altri alla violenza. Nel secondo caso invece, Ira svolge una sua funzione naturale, spingendo l'eroe ad abbandonarsi con gioia ai propri sensi, ai propri istinti passionali, insomma alle proprie insopprimibili necessità fisiche, indispensabili al suo benessere.
Entrambi sono poi catturati dalla "Coalizione per la Moralità Galattica" di Unkshuss e, con la scusa di "convertirli", imprigionati nelle segrete del palazzo di Machovia. Segue la fatale resa dei conti, in cui vari personaggi intervengono all'ultimo secondo, contribuendo a cambiare gli equilibri politici dell'impero machoviano. Nonostante l'autore a questo punto faccia acquisire al suo eroe maggiore decisione e durezza contro le ingiustizie, anche facendogli impugnare improvvisamente un'arma, De Matteis ci tiene però a ribadire la sua condanna di ogni sentimento negativo o di vendetta, con una frase abbastanza ingenua e retorica ma che ha il sapore di un ossimoro illuminante, come certi aforismi zen: "Inizia ad imparare ad amare Dio, amando quelli che non puoi amare".
Infine, nell'ultimo episodio Moonshadow parte per il pianeta Hump-T, nel sistema solare di Dump. Hump significa "gobba" e Dump "mucchio di rifiuti", ma i due termini richiamano il personaggio di Humpty-Dumpty in "Alice attraverso lo Specchio", che per l'appunto era un uovo simile all'"Uovo di Dio" adorato dal culto di Quackonk. Sul pianeta Hump-T si dice infatti che si trovi il fondatore di quel culto, che dopo due secoli continuerebbe a guarire ogni sorta di infermi, ma i pellegrini che lo cercano non fanno che girare in tondo per anni inutilmente. Anche per Moonshadow e i suoi amici il miracolo non accade nel senso che ci si aspetterebbe, ma qualcosa accade, ciò che lui definisce il suo "risveglio" e che cambia per sempre la sua vita.
L'autore non rinuncia fino alla fine a ridicolizzare il fanatismo religioso ortodosso, che continua a ripetere le stesse pratiche, anche quando si rivelano evidentemente inutili, però fa intravedere, come i mistici autentici, un'altra possibilità: quella di un'esperienza "spirituale" diretta, di una percezione e comprensione istantanea, qui e ora, del mistero dell'esistenza, di un evento necessariamente individuale che le immagini di Muth, con semplicità e leggerezza, tentano disperatamente di rappresentare al di là delle parole, poiché si tratta ovviamente di qualcosa di inesprimibile.


MOONSHADOW
Testi: Jean-Marc De Matteis
Dipinti: Jon J. Muth
Lunghezza: 464 pagine a colori
Rilegatura: cartonata
Prezzo: € 39,95
Editore: Lyon Comics - RW Edizioni
www.rwedizioni.it




La storia del vampiro Blood

"Blood - A Tale" (Blood - Una Storia) uscì originariamente nel 1987, come miniserie in quattro numeri, e fu ristampata nello stesso formato dalla Vertigo tra il 1996 e il 1997. È resa visivamente eccezionale dagli acquerelli del pittore e illustratore Kent Williams, allievo del pittore statunitense Barron Storey, che come lui usa originali commistioni di realismo, espressionismo e surrealismo portati alle estreme conseguenze. Rispetto a quelli di Muth i dipinti di Williams risultano più tenebrosi, senza concessioni a sdrammatizzazioni umoristiche e con toni cromatici più cupi, tanto è vero che in un episodio di Moonshadow, in cui Williams sostituì Muth, è evidente il totale mutamento delle atmosfere visive e una minore riuscita nei tentativi di caratterizzazioni comiche di certi personaggi.
In accordo coi disegni di Williams, Blood è una storia onirica, poetica ed evocativa, piena di magia e misticismo, ma dai toni più seri e drammatici rispetto a Moonshadow, una storia simbolista anziché satirica. Lo sceneggiatore stesso, all'interno del racconto, la definisce un canto "sul mare rosso-sangue, la caverna e il Monastero; sulla Valle della Pena e la Foresta dei Vampiri; su vite di sogno e morti nel deserto; su navi che salpavano senza vento e marinai che vedevano senza vista." È ambientata in un contesto fantasy sconosciuto e misterioso, apparentemente primordiale, ma con molti elementi ripresi dal recente passato della Terra (e forse anche da un suo ipotetico futuro); non sappiamo insomma dove e quando siamo, ma soltanto che è un mondo popolato da esseri umani e umanoidi, spesso vestiti in modo semplice e disadorno, più spesso completamente nudi o quasi.
Sembra d'essere in luoghi essenziali e mitici, come quelli in cui si potrebbero ambientare i poemi "profetici" di William Blake o le "poesie in prosa" di Kahlil Gibran. Infatti le figure di Williams sono altrettanto sognanti e sensuali dei nudi che si trovano nelle stampe e nei dipinti di questi due autori, ma molto più crude e concrete, come una versione plastica attualizzata dell'arte mitologica, che tiene conto delle lezioni di artisti audaci come Gustav Klimt o Egon Schiele. Mentre Muth in Moonshadow concedeva qualcosa alle stilizzazioni da cartoons e alle suggestioni cinematografiche, oscillando a volte tra essenzialità umoristica e realismo fotografico, qui i riferimenti dell'illustratore sono da ricercarsi quasi esclusivamente nella storia dell'arte e nell'arte d'avanguardia. Il vigoroso dinamismo espressivo di Williams si alterna semmai con qualche elemento di grafica e pittura astratta, come i rumori onomatopeici tracciati personalmente dall'artista, simili a graffi luminosi o sanguigni che si sovrappongono violentemente alle sue cupe immagini.

Anche in Blood, De Matteis gioca a rappresentare un racconto dentro il racconto, stavolta usando pagine in prosa come prologhi ed epiloghi dei vari episodi, in cui esseri anonimi dalle forme di volta in volta diverse si raccontano a vicenda le avventure in questione, avventure che rispetto a quelle di Moonshadow hanno maggiori sequenze mute e un maggior senso di mistero. L'intento simbolico è evidente anche nei titoli dei quattro episodi: Uroborous, Comunione, Teofania e nuovamente Uroborous, in un movimento che torna idealmente all'inizio, a rappresentare la ciclicità dell'esistenza, propria appunto del simbolo dell'uroborous, il serpente che si morde la coda in un movimento circolare senza fine.
Anche questa storia comincia con la nascita di un bambino e termina con una sorta di illuminazione, ma non è la storia della crescita di un adolescente bensì di quella di un uomo adulto. Appena il ragazzo, che inizialmente non ha nessun nome, è cresciuto abbastanza, viene condotto da sua madre e un'altra donna al "Monastero", luogo non identificabile con una religione precisa, in cui vivono solo due uomini, chiamati rispettivamente "Fratello" e "Padre", che si autodefiniscono "i Santi". Questi trascorrono col ragazzo anni e anni ad educarlo alla lettura e allo studio di testi sacri che gli dicono essere stati scritti direttamente dalla mano di Dio. Ma la notte prima di prendere i voti e di diventare a sua volta uno dei "Santi", l'uomo senza nome, ormai adulto, sorprende "Padre" mentre sta scrivendo con le sue mani uno di quei libri. L'uomo capisce allora d'essere stato ingannato e, sopraffatto dalla rabbia per tutti i suoi anni perduti, uccide i due "Santi" e se ne va dal "Monastero", dirigendosi verso un mondo a lui ignoto, ormai privo di tutto ciò che credeva di sapere.
L'episodio, benché più crudo e violento, è paragonabile a quello di Moonshadow che lascia lo zoo. In entrambi i casi lo si può interpretare come un'uscita, voluta o obbligata, dal contesto di cui fino a quel momento ci sentivamo parte, che sia un ambiente, una famiglia, un gruppo, una religione o un'ideologia. L'autore pare dirci che tale distacco fisico e/o mentale è il presupposto indispensabile per una reale crescita individuale, che la si può raggiungere solo confrontandosi in prima persona col mondo esterno (dice un detto zen: "Se incontri il Buddha, uccidilo."; mentre il mistico indiano Krishnamurti diceva: "Nel momento stesso in cui segui qualcuno, smetti di seguire la Verità.").
L'uomo senza nome giunge dunque solo nella "Valle della Pena", dove una moltitudine di derelitti disperati è in fila per farsi nutrire, lavare e curare da un anziano guru detto il "Vecchio Uomo". Quella notte i due si incontrano e poi fanno lo stesso sogno: il Vecchio uccide un uccello, ne beve il sangue e battezza l'uomo senza nome Blood (Sangue); questi si accorge che il Vecchio è un vampiro, si spaventa e lo uccide. Poi Blood si sveglia e, incerto se sia stato un sogno o la realtà, fugge dalla valle con uno dei derelitti, un torso umano volante vestito da astronauta chiamato il "Piccolo". I due entrano nella "Foresta dei Vampiri", che aggrediscono Blood trasformandolo in un vampiro a sua volta, ma lui sente di non poter vivere con gli altri vampiri. Sconvolto dall'aspetto mostruoso e bestiale che hanno e dalla ferocia selvaggia con cui si nutrono, rifiuta d'ammettere che è diventato come loro. Poi incontra una donna, ma anche lei è una vampira come lui, solo che loro due a quanto pare non sono mutati come gli altri; pur essendo vampiri, hanno conservato sembianze e sensibilità umane. Non possono quindi fare altro che amarsi a vicenda, perché ognuno di loro due è l'unico che l'altro ormai possa amare. Insieme alla "Donna", Blood fugge dalla Foresta dei Vampiri, che non vogliono lasciarli andare; poi ritrovano il Piccolo e proseguono il viaggio in tre.
La Valle della Pena rappresenta chiaramente il mondo in cui viviamo, la realtà che ci circonda col suo dolore ("La Vita è sofferenza" dice il Buddismo, mentre i Cristiani parlano di Valle di lacrime). L'orrore di Blood verso i vampiri, quindi anche verso sé stesso, si può interpretare come il senso di colpa rispetto alla comprensione che "la Vita si nutre della Vita", che ognuno di noi, vegetariani compresi, per sopravvivere non può fare a meno di sopprimere in modo parassitario altri esseri viventi. Alla fine è questo che tutti noi facciamo, più che aiutare gli altri. In questo senso, il piccolo "astronauta" che volando sfugge ai vampiri, può essere la mente che si rifiuta guardare in faccia la realtà, di ammettere come stanno le cose. Invece il rapporto sessuale e affettivo di Blood con una donna come lui, che ne condivide il destino, si può vedere come una riconciliazione con sé stesso, un modo simbolico per perdonare il proprio corpo del male che non può evitare di fare ad altri con la sua sola esistenza (e forse questa è la vera origine dell'esagerato senso di colpa e di peccato che molte religioni associano alle esigenze corporee).
Blood infatti non riesce a frenare la sua sete di sangue e per sopravvivere uccide dei grossi animali, finché una visione del Vecchio Uomo guida lui e i suoi compagni in una caverna, dove trovano una scala che conduce attraverso un passaggio sul soffitto. Solo Blood ha il coraggio di percorrerlo e il mondo da cui emerge è quello in cui noi viviamo e che consideriamo la nostra realtà di tutti i giorni. Qui vive per quelli che gli sembrano lunghi anni, senza memoria della vita precedente. Lavora, si sposa, ha figli, è tradito, divorzia, trova un'altra, la tradisce, passa attraverso tutti i compromessi, illusioni, ipocrisie, disillusioni, rimpianti che si susseguono in una vita comune. Solo saltuariamente percepisce l'inutilità, la mancanza di senso, la falsità della sua esistenza. Infine, al momento di morire, gli riappare il Vecchio Uomo e si ritrova di nuovo nella caverna con la Donna e il Piccolo.
Questo sdoppiamento in due mondi è particolarmente significativo, dal punto di vista simbolico. Da un lato si può interpretare il mondo fantastico in cui Blood è nato come il mondo dell'inconscio, dei sogni e dell'immaginazione, da cui si emerge, come dall'oscurità di una caverna sotterranea, per giungere allo stato di veglia del mondo "reale" (anche nelle storie di Valentina di Crepax, il popolo dei Sotterranei rappresenta chiaramente l'inconscio che la perseguita nei suoi sogni). Da un altro punto di vista, si può vedere il mondo "reale" in cui viviamo come illusione. Già Schopenhauer e le antiche filosofie indiane erano d'accordo nel vedere "il mondo come volontà e rappresentazione", ma anche l'attuale fisica quantistica tende a dimostrare che tutto ciò che ci sembra reale sarebbe composto da semplici impulsi di energia, che ai nostri sensi creano l'illusione della materia.
Tale percezione della falsità del mondo materiale è il passo essenziale che, per filosofie orientali come Zen e Tantrismo, condurrebbe al Risveglio spirituale, in Occidente chiamato impropriamente Illuminazione. Il concetto è che risvegliandosi ci si accorge che il mondo reale non è questo ma un altro, un mondo che coinciderebbe col Coo (il Vuoto) dello Zen giapponese, col Nirvana (l'Assenza di Vento, cioè l'Assenza di Movimento) del Buddismo, o a livello psicologico col silenzio mentale che è l'obiettivo della filosofia Yoga. Poiché il silenzio della mente cosciente e razionale può anche coincidere con l'abbandono ad una mente non cosciente e irrazionale, quella che non pensa e non ragiona secondo canoni logici, quella che la scienza ci dice occupi l'emisfero destro del nostro cervello, ecco che ci ritroviamo di nuovo nel mondo dell'inconscio, visto però come mondo reale, ovvero il mondo in cui vive Blood.
Riunitosi ai suoi compagni, per i quali nella caverna sono passati solo dei mesi, Blood li convince ora a seguirlo all'esterno, seguendo il suono di una "Canzone" che solo lui sente, che dice di sentire da sempre, e di cui vuole disperatamente incontrare il "Cantore". Si ritrovano così in viaggio in un deserto rovente in cui rischiano di morire, finché giungono ad un immenso muro, contrassegnato dalla statua di una grande figura femminile. A un tratto in basso si apre una porta, coincidente col sesso della figura, e ne fuoriesce un'inondazione di sangue che sommerge il deserto. Blood e la Donna, che sono vampiri, sopravvivono; invece il Piccolo, nonostante le sue attrezzature volanti, non riesce a mettersi in salvo. Allora due macabre figure silenziose su un'imbarcazione escono dalla porta, navigando sul sangue, vengono a prendere il suo corpo e poi tornano al di là del muro.
L'autore dice esplicitamente che lo porteranno all'Isola dei Morti, chiarendo, se non si capisse, che il muro rappresenta la Morte, ma anche la Nascita, cioè la separazione tra Vita e non-Vita. Il sesso femminile è infatti la porta attraverso cui chi non vive entra nell'esistenza, quindi ha una sua logica immaginare di poter percorrere la stessa strada anche nell'altro senso (per questo nelle mitologie, la dea-madre è spesso anche dea della morte, benché a volte questi suoi due aspetti siano rappresentati da due personificazioni distinte). Il viaggio di Blood verso la Voce trascendente, di cui "la Canzone è in ognuno di noi", evidentemente li aveva portati ai limiti dell'esistenza.
È interessante notare che in questa storia i vampiri vivono al di qua del muro, a conferma del fatto che rappresentano gli esseri viventi e non i morti. Il loro succhiare il sangue può rappresentare contemporaneamente sia il dover uccidere per nutrirsi che l'atto sessuale, entrambe azioni esclusive degli esseri viventi. La loro presunta immortalità può dipendere dal fatto che nutrirsi, e/o fare sesso sono i modi in cui chi è vivo prolunga l'esistenza propria e dei suoi geni, almeno provvisoriamente. I due vampiri sopravvivono al mare di sangue mortale perché per loro rappresenta il nutrimento, perché si nutrono di Vita; il Piccolo, che "vola" al di sopra delle cose, non è come loro e soccombe.
Per tentare di riportarlo indietro, la Donna convince Blood ad andare sull'Isola dei Morti (proprio quella del noto quadro omonimo di Arnold Böcklin) ed è significativo come gli autori rappresentino i morti: non come anime o spiriti, ma come forme che delle loro anime sono state private, che non hanno più nessuna identità o memoria. Ci stanno dicendo che questo accade a chi muore, che le anime appartengono ai vivi, che è inutile cercare un'anima nel regno dei morti.
Il solo modo in cui un'anima entra nel mondo dei vivi è attraverso il sesso femminile; così quando Blood vede cambiare il corpo della Donna e si rende conto che è incinta, spera che il Piccolo possa ritornare attraverso di lei. L'identificazione tra vampiri ed esseri viventi a questo punto è totale; gli autori vanno apertamente contro tutte le tradizioni folcloristiche e letterarie secondo cui i vampiri, essendo morti, non potrebbero procreare. Il fatto è che qui i vampiri siamo noi.
Il successivo destino di Blood è pura poesia, incurante di ogni logica razionale ancor più di tutto ciò che l'ha preceduto; quindi non lo si può analizzare, ma solo percepire, sentire, apprezzare, in tutta la sua profondità e significato. Gioia, paura, dolore, rabbia, odio, furia, quiete, amore, rimpianto, sonno, si alternano rapidamente per Blood finché non passa un tempo che sembra senza fine, poi il risveglio e un lungo viaggio in compagnia di esseri silenziosi senza più memoria né pensieri, poi il riemergere dentro di lui di una cosa senza nome che lo guida, verso una trasfigurazione, verso una nuova vita che dura ancora per un tempo che sembra senza fine… finché tutto non torna all'inizio e la storia ricomincia.

BLOOD: UNA STORIA
Testi: Jean-Marc De Matteis
Dipinti: Kent Williams
Lunghezza: 192 pagine a colori
Rilegatura: cartonata
Prezzo: € 18,95
Editore: Lyon Comics - RW Edizioni
www.rwedizioni.it

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati