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Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta, Il grande drago giallo di Alessio De Luca, Max e Louis di Gianfranco Meneghini, Texel tre di Gianfranco Menghini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Andrea Cantucci, Iuri Lombardi, Lorenzo Spurio, Giovanni Trani

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia Dragotescu, Manuela Léa Orita

Recensioni

In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai, recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai, nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed Espiazione, una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese" di Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci, nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)" di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci, recensione di Lorenzo Spurio

Interviste

Iuri dei miracoli: intervista a Iuri Lombardi
a cura di Massimo Acciai

Funerale nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Amen.
 

Giuseppe C. Budetta
 

Per la precisione, tre giorni dopo la vittoria di Beppe Grillo alle elezioni regionali, Pasquale Quagliariello ebbe una chiamata nefasta dalla moglie, tutta allarmata. Il telefono della cameretta dove prestava servizio presso il Palazzo Reale di Napoli aveva squillato e lui si era attivato a rispondere: "Paquà, tieniti forte."
La frase in quel modo profferita, aveva paralizzato il povero Pasquale, custode di III livello, ma prossimo per il IV, ammesso che ci arrivava. Farfugliando, chiese alla moglie:
"Marì, che è? Una nuova disgrazia?...Una bolletta di Equitalia?"
"Una disgrazia forte…"
"Parla."
"E' morto l'amico tuo. Me lo ha detto poco fa Rosina a' carpecata di ritorno da Via Toledo."
"Chi? chi è morto?"
"Come non te l'hanno ancora detto ancora?"
"Marì, io non so niente. Un altro poco mi facevi pigliare un colpo. Tu mi devi avvertire quando mi devi comunicare una cosa brutta. Allora chi è morto?"
"Il tuo collega, Ciro o' scrufuluso. E' morto stanotte, o ieri sera tardi. Faranno il funerale oggi pomeriggio."
"Alle 14.00, esco da qui. Mangio e vado al funerale. Prepara solo un'insalata ed un poco di carne. Marì, non sapevo che cazzo era stato. Tu non devi fare così ...mi hai fatto prendere una paura che un altro poco ci restavo come un fesso."
"Facevi compagnia al tuo amico, in viaggio per il purgatorio."
"E amen."
"Meglio che fai la visita ai parenti del defunto alle 15.00 e poi accompagni un poco il morto fino alla chiesa. Era un tuo vecchio collega e poi anche un vicino di casa. Io non vengo e tu lo sai..."
Per la cronaca, la moglie si era bisticciata con la vedova di Ciro o' scrufuluso per via di un fidanzamento finito male tra la figlia maggiore di don Ciro e Carminiello, uno dei figli di don Pasquale. La figlia di don Ciro aveva lasciato di punto in bianco Carminiello e si era fidanzata con un giovane di Via dei Mille, uno con una buona posizione e serio.
Don Pasquale ci pensò sopra e preferì andare da solo a salutare la famigliola del defunto, senza dover restare anche in chiesa. Potevano bastare le condoglianze, visto i precedenti poco edificanti tra le due famiglie. Alle 16.00, don Pasquale si era vestito bene, recandosi quatto quatto verso il vicino vicolo di S. Lucia al Monte. Appena svoltato l'angolo per penetrare nel vicoletto, ad una ventina di passi di distanza, già udiva le voci di pianto femminili che provenivano dal basso dove c'era il morto. Ad ogni lato della porta d'entrata, due corone poggiate contro il muro. Avvicinandosi di più, erano udibili frasi smorzate, frammiste ai singhiozzi di un pianto pieno di disperazione.
Davanti al basso, sostavano delle persone col cappello in mano, una di queste era il fratello del defunto a cui strinse la mano. Gli dissero che don Ciro era spirato verso le quattro del mattino e che tra poco arrivava il prete. Tutti erano d'accordo sull'agonia di don Ciro:

"Uno strazio, poveretto."

Don Pasquale conobbe altre persone del vicinato che salutò appena, prima di penetrare nell'abitacolo. Data la semioscurità, dovette adattare gli occhi, entrando. Il letto del morto stava di fronte all'uscio. Sui comodini a lato, due grossi ceri e sopra la ferrea spalliera, il crocefisso ed un pallido lume elettrico a forma di fiammella a rischiarare un vecchio quadretto della Madonna dell'Arco. Avevano stretto una fascetta bianca attorno alla mandibola del defunto per serrargli la bocca che nell'agonia e nell'ultimo respiro rantoloso era rimasta spalancata. Don Pasquale quasi non lo riconosceva con quel vestito elegante, il crocefisso sul petto, tutto bianco, il petto infossato e quelle orribili occhiaie cadaveriche. Si avvicinò appena al letto, si fece la croce e diede le condoglianze di rito alla vedova ed alle due figlie. Quasi, si era commosso per davvero. Chi piangeva di più era la maggiore, quella che non si era voluta maritare con Carminiello. La giovane donna era molto elegante con un bel vestito di velluto nero e molti bracciali ai polsi e catenine d'oro al collo. Agitava intorno agli occhi lacrimosi un bianco fazzoletto merlettato. Di fronte al lei, dall'altra parte del lettone, la vedova, pallida ed afflitta con un rosario tra le dita.
Su una parete attigua, troneggiava un grosso quadro della Madonna del Carmine che insieme con la Madonna dell'Arco a capo letto, osservavano impassibili la scena. La gente preferiva affollare la soglia senza penetrare nell'abitacolo per non asfissiare ancor di più la triste atmosfera. Don Pasquale era uscito anche lui fuori, riposizionandosi il cappello in testa. Poco dopo era arrivato il prete con due chierichetti ed un massiccio crocefisso d'argento. Camminavano piano sul basalto scivoloso per via di una breve pioggia mattutina. Dopo la breve benedizione e gli estremi baci dei familiari, gli addetti alle pompe funebri avevano sigillato la bara, portata in spalla, perché l'automobile del trasporto funerario non poteva manovrare nell'angusto vicolo. Alto e grosso, don Pasquale anche se anziano, si era commosso e si era offerto per il trasloco su spalla della bara.

A dire il vero, c'erano pochi uomini validi per la nobile mansione e don Pasquale non potette tirarsi indietro. Con il giovane prete davanti a tutti, i ragazzini chierici con il crocefisso e la campanella, il piccolo corteo funebre risalì per poche diecine di metri il vicoletto di S. Lucia al Monte, svoltò a sinistra per altri trenta metri e poi ridiscese verso la chiesa dell'Immacolata Concezione e Purificazione. Più giù in uno slargo, c'era l'auto dei trasporti funebri che sostava per il definitivo viaggio al cimitero di Poggioreale. All'ultimo momento, Don Pasquale ci aveva pensato sopra e per scrupolo, era entrato anche lui in chiesa, deponendo la bara portata a spalla sul nero catafalco, davanti all'altare maggiore. Se lo sentiva che l'amico non sarebbe tornato più a lavoro. Però, non si aspettava una morte così veloce. Dopo la messa, don Pasquale ridiede le condoglianze alla vedova ed alle figlie. Quatto, quatto se ne andò a casa, mentre il corteo funebre proseguiva per altri cinquanta metri, scendendo verso lo slargo a poca distanza da Via Toledo, dove si trovava l'auto su cui caricare la bara.

Quella precisa notte, Don Pasquale ebbe gl'incubi. Forse aveva mangiato un poco pesante, forse la stanchezza, fatto sta che sognò del defunto amico, di Ciro o' scrufuluso che lo chiamava. Nel sogno, il morto lo guardava con occhi fissi, come un pazzo. Stava seduto su una panca, tra due ceri ardenti che accrescevano l'affossamento delle guance, la sporgenza del naso adunco, le orbite cupe e tenebrose. Dunque, don Ciro o ' scrufuluso lo fissava come uno zombi e gli diceva:
"Amico mio, preparati. Preparati senza fare il fesso. La fine del mondo s'avvicina. Guerra, morte e carestia. Guerra morte e carestia .... guerra, morte e carestia."
L'anima trapassata asportava dalla parete il quadretto della Madonna dell'Arco, a cui don Pasquale era devoto per una specie di grazia ricevuta in gioventù. Prendeva in mano il sacro quadretto della Vergine, l'ostentava in alto come un libro sacro e diceva con più forza:
"Guerra, morte, e carestia."
Fatto ciò, la buonanima di don Ciro o ' scrufuluso si alzava e cercava di abbracciarlo. La morsa si stringeva intorno al costato di don Pasquale che invocava aiuto. Invece, don Ciro o' scrufuluso gridava come un forsennato, sempre più forte cercando di convincere l'amico vivente:
"Guerra, morte e carestia. Amen."
Maria, la moglie che gli dormiva accanto, lo aveva svegliato con uno strattone. Gli aveva detto: "Ma che hai? Gridi nel sonno?"
Don Pasquale aveva il respiro affannoso. Disse alla moglie: "Mamma mia ro' Carmine."
"Ma che hai?"
"Un incubo. Ho avuto un incubo. Ho sognato il morto che mi parlava. Mi diceva guerra, morte e carestia."
Tra veglia e sonno la moglie disse amen. Disse anche: "La paura fa 90, la guerra 75 e la carestia 21. C'è poi il morto che parla che fa 47. Pasquà, giocati la quaterna sulla ruota di Napoli ed adesso, dormi. Dormi in santa pace e non scocciare più."

 
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