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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri
Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta,
Il grande drago giallo di Alessio De Luca,
Max e Louis di
Gianfranco Meneghini,
Texel tre di Gianfranco Menghini
Poesia italiana
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Andrea Cantucci,
Iuri Lombardi,
Lorenzo Spurio,
Giovanni Trani
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Manuela
Léa Orita
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed
Espiazione, una analisi ravvicinata di due
grandi romanzi della letteratura inglese" di
Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio
Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di
Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci,
nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio
Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di
poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione
di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)"
di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di
Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci,
recensione di Lorenzo Spurio
Interviste
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Max e Louis - fino alla fine
(da I RACCONTI DALLA MIA PERGOLA)
Gianfranco Menghini
Troppi uragani nella sua vita
avventurosa, vissuta in maniera perigliosa. Ora che
aveva scalato la vetta che si era prefissato, aveva
deciso di godersi i quasi due miliardi di dollari
che aveva accumulato, due terzi dei quali depositati
in quelli che da poco l'Italia considerava paradisi
fiscali, ma che ai tempi in cui lui si sbatteva per
il mondo intero, rischiando più di una volta la
pelle, avendoli guadagnati ben lontano dalla madre
patria, li aveva legittimamente tesaurizzati negli
ex dominions inglesi delle Antille e nell'Honduras
Britannico, luoghi di relax dove approdava tra
un'avventura e l'altra a riprendere fiato.
Guadagnati onestamente, in verità, non poteva
proprio dirlo. Ma chi al suo posto si sarebbe
comportato rispettando le leggi? E poi, quali leggi?
Quelle italiane o quelle dove aveva operato? Giacché
in quei luoghi dimenticati da Dio, come certe zone
della Namibia o dello Zambia, per ciò che concerneva
il continente africano oppure nell'umbratile Malesia
o nel barbaro Borneo, in quello asiatico dove la
vita umana valeva appena un machete, se rispettavi
la legge, campavi come un tenentino americano
destinato alla guerra del Vietnam: appena una mezza
mesata.
Aveva provato a risiedere a Milano, città licenziosa
resa tale dall'incremento della moda e dal consumo
di sostanze stupefacenti, in particolare la cocaina
che, unite dall'affollato indotto, suscitava troppa
cronaca. C'era rimasto appena sei mesi, poi aveva
optato per Roma, immensa metropoli solare, dove
accadevano le stesse cose della città lombarda, ma
venivano affievolite dalla politica imperante, dal
tumultuoso turismo e, soprattutto, dalla Curia
vaticana. Tutti zitti e mosca, salvo a cadenza
decennale, fare esplodere qualche caso scandaloso
soprattutto di corruzione edile - si sa quanto i
famosi palazzinari vi abbiano le loro pretenziose
dimore - che comunque, come un ballon d'essai, si
sgonfiavano nel giro di una settimana, dieci giorni
al massimo.
E lui, Massimiliano (Max per gli amici) Zarbi,
viveur di mezzetà, autorefenziato seduttore,
titolare di una cospicua rendita che gli proveniva
da un oculato investimento in titoli garantiti da
solidissime banche straniere, oltre che dallo Stato
italiano, generosa in rendite tassate al minimo,
menava una vita agiata, senza dare troppo
nell'occhio con frequentazioni spenderecce e auto di
lusso. Vivendo da scapolo impenitente, non poteva
fare a meno di un cameriere-maggiordomo complice
delle sue scappatelle, di una cameriera e di una
cuoca sopraffina, poiché non si fidava di certi
ristoranti che a troppo frequentarli, era convinto
gli rovinassero la salute. Che aveva ottima e faceva
di tutto per mantenerla tale, con frequenti
passeggiate a piedi e una seduta settimanale nella
palestra nei pressi di casa sua. Quindi, poca vita
notturna, salvo frequenti inviti a cena nelle case
di alcune coppie di amici, pochi ma scelti,
ricambiando a sua volta, ma solo presso il suo
ristorante preferito, il Globo d'Oro, il cui
proprietario gli era diventato particolarmente
amico.
Un vasto e ben arredato appartamento era il suo
covo, riservato solo al suo train de vie, cui faceva
partecipare solo rare persone e per un periodo molto
breve.
Ben conosceva il suo compito, Louis, il maggiordomo
tuttofare, il quale sapeva come comportarsi quando
un'invitata indugiava troppo a ritornarsene a casa
sua. In certe occasioni in cui Max si faceva
precedere dalla 'fidanzata' di turno al suo
domicilio, sempre all'ora dell'aperitivo prima di
cena, doveva essere ricevuta come lo fosse veramente
da chi le avesse aperto la porta. Mai che
l'accompagnasse lui stesso, dato che teneva assai
acché le bella di turno, al suo suonare - mai Max
avrebbe aperto con la chiave - al portone di casa,
gli si facesse incontro con spontanea gioia sempre
abbigliata, chiunque ella fosse, con un elegante
abito da sera generosamente scollato.
Questo tran tran datava da quasi un anno e vedeva i
famigli ben disposti verso il loro munifico datore
di lavoro, cui testimoniavano un riserbo totale e
nessun commento, malevolo o benevolo che fosse,
nemmeno tra di loro e mai quando erano in città
liberi dal servizio, in particolare quando
rientravano in seno alla proprie famiglie dove il
silenzio anche sul più piccolo particolare era
imposto pena la perdita immediata dell'impiego. Ad
eccezione di Louis che, toccata la cinquantina, si
era definitivamente vocato al celibato. Tutto il
personale alloggiava nella dimora Zarbi, in una zona
separata sulla parte retrostante dell'immenso
appartamento di Lungotevere delle Armi,
affacciantesi sul fiume sempre limaccioso - non
certo di solo fango, purtroppo - dirimpetto al
Ministero della Marina.
A parte questi lievi interludi più o meno amorosi,
la vita scorreva tranquilla in casa Zarbi. Max non
era un tipo autoritario. E come poteva esserlo un
uomo come lui, rotto a mille pericolose avventure ai
quattro angoli del mondo, che lo avevano visto alla
fine ricco come un Creso, ma poteva essere diventato
cento volte cadavere. Le avventure in Namibia, dove
assieme ai suoi accoliti avevano raschiato in una
spiaggia, alla maniera dei pirati sparando a tutto
spiano contro gli occhiuti guardiani, un buon
quantitativo di quelle pietruzze baluginanti che, se
ben lavorate, diventavano diamanti e nello Zambia
per l'oro con l'asportazione di pepite grosse come
sassi, senza contare il traffico di giada, zaffiri e
splendidi rubini, tutti grezzi, tanto da farli
credere fossero sassi colorati alla stregua delle
disprezzate ametiste che, tradotti in vile moneta
una volta approdati nei paesi occidentali, avevano
preso l'aspetto di miliardi di dollari. Tutto questo
in trentanni di frenetica attività, senza una sosta
e sempre in allerta, tanto da rischiare se non la
vita, almeno la pazzia.
E ora, al giro di boa dei sessantanni, conscio del
fatto che con i trascorsi di una vita vissuta senza
risparmio di forze, forse non sarebbe sopravvissuto
ai settanta, abbandonati da anni i vizi del bere e
del fumare, parco nel mangiare, ma ancora
ossessionato dal sesso, voleva trarre dal resto di
vita che gli rimaneva le maggiori soddisfazioni
possibili. Per fare questo aveva a disposizione in
eccedenza tutti mezzi finanziari, per cui aveva
programmato una vita al ridosso da qualsiasi
complicazione. Esempio lo era il voler vivere in
pace con tutti. Se per caso qualcuno lo imbrogliava
nel fargli pagare più di quanto pattuito o se gli
arrivava da pagare un'ammenda o una tassa non dovuta
oppure altre complicazioni derivate da una
claudicante e inefficiente burocrazia, non
recriminava e pagava quello che gli era forzatamente
richiesto. L'unica sua difesa: una scelta più
oculata dei fornitori e rapporti sempre più
rarefatti con chiunque. Per queste incresciose
incombenze scendeva in campo il fido Louis, con il
quale era abbastanza arduo esercitare una qualsiasi
prepotenza. Ed era proprio costui, Louis, il
maggiordomo tuttofare a presentarglisi con i suoi
modi signorili ma decisi, ogni volt che Max
desiderava uscire per una folleggiante festa
notturna.
Ma a questo punto è bene fare la conoscenza di
questo interessante personaggio.
Louis Bertrand Fortuné de Pressange, come si evince
dal nome altisonante, era un aristocratico. Ma di
famiglia decaduta, beninteso. Del ramo cadetto di
una stirpe aristocratica-campagnola del Puy de Dome
con remote radici che risalivano ai Borboni di
Francia. Quindi, niente di pomposo se non il nome e
con averi talmente ridotti dal tempo e
dall'insipienza dei vari eredi, che quando era nato
lui, ultimo rampollo di cotale schiatta, i beni di
famiglia si erano ridotti al lumicino. Cosicché
Louis, raggiunta l'età adatta, venne accolto dagli
zii da parte di madre, i marchesi Dubois-Cotin,
antica stirpe le cui radici si intersecavano con
quelle dei Danjou, per la sua educazione sia scolare
che di comportamento. La non ricchezza poteva venire
accettata nell'entourage nobiliare che, però, non
poteva tollerare che un loro simile non conoscesse
le regole comportamentali del vivere nella buona
società. Quindi poca scienza e scarsi studi
classici, portandolo a ottenere un risultato
abbastanza mediocre, malgrado la spiccata
intelligenza del rampollo, con l'ottenimento per il
rotto della cuffia del baccalaureat, ma con la
conoscenza perfetta delle regole del savoir faire
nella loro società esclusiva, dove spesso veniva
invitato più per meglio apprendere che per il
desiderio di averlo come ospite.
Al raggiungimento della maggiore età, Louis
Pressange, con il nome ridotto più per praticità che
per modestia, si avventurò da solo nel mondo del
lavoro, preferendo impieghi dove poteva estrinsecare
quella che lui considerava una professione nobile:
il consulente di nuclei famigliari. Di preferenza
italiani di umili origini, arricchitisi
improvvisamente, che si erano trasferiti nella
dorata Costa Azzurra. Dorata dal sole e dai loro
cospicui quanto sospetti capitali. In pochi anni
apprese la lingua più bella e amorevole del mondo:
l'italiano, tanto che arrivò ad affinare quella che
parlavano i suoi datori di lavoro e ad insegnarla ai
loro figli. Senza trascurare, visto che ne aveva il
tempo, di migliorare il suo livello culturale,
approfittando dei numerosi libri - rigorosamente
intonsi - che facevano bella figura nelle
pretenziose residenze in cui soggiornava a tempo
pieno.
Toccata la quarantina, si scoprì essere un uomo
assatanato di sesso e, non potendolo, per ovvi
motivi, esercitare nelle case in cui era
ospite-dipendente, lo espletata nelle varie città
affacciantesi nell'arco marino che da Mentone corre
fino a Cannes, senza trascurare, visto che ne aveva
la necessità, qualche timida puntata nei vari casinò
dove la fortuna il più delle volte lo assisteva
nelle macchinette mangiasoldi. Dire che la fortuna
lo assisteva è un eufemismo, giacché il furbo Louis
si piazzava dietro qualche attempata ricca vedova
giocatrice e dopo che la signora, stanca di
immettere denaro nella macchinetta senza trarne
beneficio, liberava il seggiolino andandosene, lui
prendeva il suo posto. Sicuro che, statisticamente,
se avesse continuato ad alimentare i giri, la
macchina avrebbe defecato qualcosa. E infatti, ci
guadagnava. Non quelle cifre assurde come
reclamavano le scritte sulle stesse macchinette,
bensì una ricca cascata di monete da cinque o dieci
franchi, a seconda della puntata, con cifre che
alcune volte arrivavano anche dai dieci ai ventimila
franchi. Dopo l'intervento del controllore addetto
che, constatata la regolare vincita, lo invitava a
seguirlo alla cassa per la riscossione delle monete
in fruscianti banconote.
Quel denaro facilmente acquisito gli serviva per
sollazzarsi con qualche bella femmina reclutata in
una casa di appuntamenti che lui conosceva bene e
con essa, oltre a farci l'amore in una camera di un
lussuoso albergo con vista mozzafiato sul golfo,
faceva anche il viveur. Gli piaceva frequentare i
ristoranti più rinomati dove occhieggiava danarose
vedove di mezza età con le quali avrebbe voluto
intrecciare una relazione. Ci provò una decina di
volte poi, accortosi che a cena in compagnia della
bella di turno non riusciva a combinare niente,
seppure qualche affascinante vedova gli puntasse gli
occhi addosso, ci provò di giorno e da solo,
riuscendo nel suo intento.
Era la stessa appetitosa vedova cinquantenne di
qualche sera prima. Louis con il suo fare
educatamente mellifluo, dandole ad intendere di
essere un bon viveur anziché, come aveva equivocato
lei, un gigolò, rimase esterrefatto quando, dopo una
notte d'amore sfrenato, la matura signora gli mise
in mano una busta e senza dargli il tempo di
fiatare, lo invitò a uscire dalla suite. Louis,
fermo davanti alla porta chiusa a chiave, si guardò
attorno se nel vasto corridoio moquettato ci fosse
qualcuno e, accertatosi che nessuno lo osservava,
aprì la busta e vi trovò dieci banconote da
cinquecento franchi. Lì per lì rimase sconcertato e
avrebbe voluto, con buona grazia, come era abituato
a comportarsi, bussare per restituire il denaro per
spiegarle che lui non era affatto il tipo che lei
aveva creduto. Ma poi, sicuro che ciò avrebbe
innescato una sgradevole discussione, s'infilò la
busta nella tasca della giacca e scese mesto dalle
scale. In quel momento non avrebbe gradito
incontrarsi con nessuno e sapeva che mai un cliente
sarebbe sceso per le scale di un grande albergo. Dal
sesto piano, poi… ma nemmeno il più umile dei
dipendenti!
Da quel giorno lasciò stare le donne sole. Del
resto, non erano il massimo per Louis, che preferiva
l'esuberanza di una giovane dalla pelle fresca come
petali di rosa, sebbene si trattasse di ragazze
traviate dal dio denaro. Il suo sistema di vincite
minime nel vari casinò della Costa funzionava bene,
per cui utilizzò le vedove danarose impazienti
davanti al display delle macchinette mangiasoldi,
traendone l'unico beneficio di incassare in parte
quello che loro dilapidavano e seguì quel tipo di
esistenza fin quando non conobbe Alessandro Zarbi.
'Chez Zazie' era il più lussuoso salotto di incontri
della Francia del sud-est, secondo solo a Parigi, da
dove confluivano le più belle cocottes reclutate in
Francia. Si trattava di un locale notturno dove,
oltre agli spettacoli di striptease, si poteva
avvicinare la bella maitresse con la quale svolgere
le trattative che avevano due sbocchi, dopo aver
pagato una bottiglia di champagne al prezzo di
duemila franchi: o farsi trovare la ragazza nei
pressi dell'albergo oppure andare a farle visita al
suo domicilio. Il sistema era sicuro, poiché non
intercorrevano accordi per telefono e non c'era
pericolo di essere perseguiti per prostituzione.
Chiunque era libero di suonare alla porta di un
appartamento o di incontrare una bella ragazza nella
hall o all'American Bar di un albergo di lusso.
Avvenne che Louis s'incontrasse con una bella bionda
davanti al suo albergo e che nello stesso tempo, per
errore, arrivasse Massimiliano, il quale avrebbe
dovuto raggiungere la sua ragazza in un appartamento
in Rue d'Antibes. Max fu conquistato dai modi
cortesi di Louis il quale, capito al volo
l'equivoco, ebbe la gentilezza di offrire la sua
camera e la ragazza, dicendo in italiano al suo
interlocutore che non si esprimeva bene in francese,
che per lui sarebbe stato più facile, conoscendo
bene la città, raggiungere la seconda cocotte.
Da quella sera i due divennero amici e, infine,
conosciuta la storia di Louis, Max gli offrì, oltre
ad una solida amicizia anche l'impiego, accettato
dal nobiluomo decaduto con rattenuto entusiasmo.
Soddisfatto sia del nuovo impiego sia del relativo
stipendio, che Max gli aveva raddoppiato rispetto a
quello che fino ad allora aveva percepito, dopo il
trasferimento a Roma, Louis incominciò dapprima a
soffrire di una leggera smania da intrappolamento.
Non gli mancava, sia chiaro, pure qualche ragazza
seducente che nella Città Eterna si offriva con una
certa facilità a uomini affascinanti come lui, il
quale aveva la compiacenza di invitarla a cena in un
ristorante di lusso e la ospitava per quella serata
malandrina in una suite di un albergo a cinque
stelle, tuttavia anche quei sollazzi gli erano
diventati routine. Come pure la misoginia di Max, il
quale in pratica limitava al massimo le uscite,
fatti salvi i frequenti viaggi.
Per trasformarsi, con il tempo, in un'insofferenza
acuta che lo stava deprimendo. Roma non era la Costa
Azzurra dove gli insistiti raggi del sole si
mescevano con il gradevole odore della salsedine
carica di iodio. Né vi si svolgeva quella vita
mondana disponibile per tutti coloro che avessero i
mezzi finanziari per viverla, mentre nella capitale
italiana la vita sociale era intesa a comparti
stagni e solo per certe elites che, sebbene
criticate per la loro eccentricità ed esclusività,
prosperavano grazie all'immissione di quei politici
che, non graditi nei vari talk-shows televisivi,
esprimevano la loro corta cultura nei vari salotti
più o meno scicchettosi. E, infine, dove si poteva
andare, una volta fuori del circondario romano? Solo
presso quel vasto reticolo urbano denominato "I
Castelli", costituito da una ragnatela di vari
paesotti ameni sulle colline, dove la gente si
esprimeva in un gergo romanesco, ritenuto dai soliti
sprovveduti simpatico, quando invece era pesante e
laido per la sua spudoratezza, che niente aveva da
spartire con la lenta e ariosa cantilena dell'argot
della bassa Provenza?
No, non era cosa. Se per Louis il lungo soggiorno
romano non si poteva dire che lo rendesse infelice,
sarebbe appropriato dire che era basito e deluso. Il
primo anno della sua nuova destinazione era
trascorso come in un soffio. Max non aveva fatto
altro che viaggiare, portandolo sempre con sé. Due
volte a Parigi, una a Vienna e, ultima destinazione
estera, New York, da dove era quasi fuggito solo
dopo un giorno e una notte di permanenza. Louis non
gliene aveva chiesto la ragione, ma aveva sospettato
gli fosse accaduto qualcosa di molto spiacevole
durante quella breve assenza, per la quale Max gli
aveva chiesto di attenderlo in albergo appena due
ore.
Né potè, Louis, per sola induzione, riuscire a
sbrogliare il nodo di quel mistero. Benché
conoscesse molto bene il suo amico-datore di lavoro,
il quale non gli aveva fatto intendere, sia pure con
velate allusioni, cosa lo aveva indotto a fuggirsene
dalla metropoli americana, il discreto maggiordomo
si guardò bene dal formulare anche una qualsiasi
allusione sull'accaduto. Tuttavia, ad avvalorare una
sua tesi molto fantasiosa, da quel giorno in poi non
si presentarono più alla porta le modelle ospiti di
una serata ma, dopo una ventina di giorni lo stesso
Max, cosa che non era mai accaduta, aprì casa con la
sua chiave.
Louis, sempre in allerta come un nume tutelare, era
già nell'ampio vestibolo e con sua somma meraviglia
- interiore, beninteso - si vide davanti Max con in
mano una preziosa valigia in pelle e, al suo fianco,
bella come una dea, un'elegante donna - non ragazza
- dai modi imperiosi, giacché gli fece un chiaro
cenno con gli occhi, di togliere il suo padrone
dall'imbarazzo del bagaglio e di raccogliere il bel
coordinato beauty che lei aveva appena posato per
terra.
Non abituato a cose del genere poiché, oltre che
maggiordomo della fastosa abitazione, Louis era
anche amico e confidente di Max, sebbene dalla fuga
da New York l'amico-padrone si fosse mostrato freddo
e poco comunicativo, senza battere ciglio prese i
due bagagli ed, evitando di chiedere dove, li
depositò nella camera padronale e lì restò il tempo
per essere raggiunto dai due. Che non si fecero
vivi, per cui dopo qualche breve minuto di ponderate
riflessioni, si accinse a tornare nel vestibolo,
dove venne incrociato dalla donna nell'ampio salone,
la quale, seppure con molta educazione, quasi lo
redarguì.
Signor Louis, non le pare le ci sia voluto un po'
troppo per posare le valigie nella nostra camera?"
"Nostra, signora?"
"Sì, certo. Mia e del signor Zarbi."
"Chiedo scusa. Non sapevo…"
"Che siamo sposati, vero?"
"Sposati?" fece Louis con un'espressione che più che
meraviglia, mostrava irritazione. Aveva gli occhi
semichiusi e le labbra appiattite. E, prima che la
donna riuscisse ad articolare una delle sue parole
sprezzanti, si diresse immediatamente nel salone
dove sapeva c'era il suo amico. Fece scorrere
l'elegante porta di cristallo che lo divideva con
l'ampio vestibolo, chiudendola con un giro di chiave
per timore che la 'signora' potesse interloquire tra
i due.
Max stava almanaccando, ma solo per darsi un
contegno, nel mobile bar pieno delle più svariate
bottiglie di liquore, di champagne e di vino, non
riuscendo a decidersi quale mescere e quale
bicchiere utilizzare, dato che lo cambiava in
continuazione.
Nell'avvicinarsi, Louis, ben più pratico del suo
principale, depose sul polito banco due coppe,
riuscendo con perizia a stappare una bottiglia di
Mumm e versarne il contenuto nei due bicchieri. Poi,
guardando fisso negli occhi di Max, rimasto
ammutolito ad osservare la scena, gliene porse uno
e, con un'espressione che niente aveva del
divertito, atteggiamento usuale quando si brinda a
qualcosa, disse: "Brindiamo alla mia partenza, caro
Max, anzi signor Massimiliano Zarbi, anzi ancora,
signor padrone…"
"Co… cosa stai… dicendo?" riuscì a dire Max, nemmeno
portandosi l'orlo del bicchiere alle labbra, mentre
Louis aveva già vuotato la sua coppa.
"Che me ne vado, signore. Mi licenzio e spero che
lei e sua moglie mi diate il tempo di fare i
bagagli."
"Io… non vedo la ragione… Louis, ma che mi stai
dicendo?"
"Che adesso sono di troppo, per cui…"
"Ma che di troppo! Ora che ho più bisogno di te…"
"Dai retta a me, caro Max. Ci terremo in contatto
più spesso di quanto immagini. Devo sbrigare con
urgenza qualche affare di famiglia."
"Ah, bene!" esultò Max che, a quella notizia, bevve
anche lui lo champagne e stava per rimescerne
ancora, quando Louis con cautela gli pose la mano
sul braccio, dicendogli: "C'è la tua signora… moglie
vero?... che vuole entrare. Vado ad aprirle.
Cosa che fece subito e, con innegabile classe,
accennò un inchino all'altera donna e le cedette il
passo. Poi, quasi furtivamente ma nello stesso tempo
agitando il braccio verso Max a mo' di saluto, si
eclissò.
Non aveva recriminato Massimiliano Zarbi, Max per
gli amici. E ne aveva avuto ben donde, giacché
neppure al suo più intimo confidente - e in quel
caso l'unico era Louis - aveva voluto confessare
quel congiungimento frettoloso, benché non ancora
matrimonio con la donna che, purtroppo, era
diventata la padrona della sua vita. Ma era stato,
come al solito, molto generoso. Aveva firmato un
assegno, tratto su una banca di Montecarlo, di
cinquantamila euro. Una cifra modesta, a suo parere,
ma aveva calcolato che Louis non ne avrebbe
accettata una superiore, dato che aveva concesso al
suo mai abbastanza apprezzato maggiordono-amico di
vivere in tutta tranquillità e per un tempo
indeterminato nella Costa Azzurra, in conderazione
del fatto che gli aveva concesso in comodato d'uso
del tutto gratuito, il suo magnifico appartamento in
Rue d'Antibes a Cannes.
Dove Louis s'installò con notevole soddisfazione,
perché conosceva bene quell'appartamento, testimone,
più di una decina di anni addietro, delle prodezze
erotiche di Max e, alcune volte, anche delle sue.
Non ci fu bisogno nemmeno di acquistare qualche
suppellettile. Max vi aveva lasciato tutto, salvo i
suoi indumenti personali, ma non essendo stati
ricoperti i mobili come accade sovente quando si
lascia un alloggio per molto tempo, Louis dovette
rivolgersi a una ditta di pulizie affinché gli
rendesse l'appartamento abitabile. Cosicché, ricco
del corposo assegno ricevuto ma, soprattutto, del
peculio che aveva tesaurizzato durante il suo lungo
soggiorno a Roma, si concesse una serata
particolare. Una di quelle che aveva trascorso con
Max al tempo in cui entrambi non pensavano ad altro.
Max, nome confidenziale per gli amici e per i tanti
compagni di innumerevoli avventure, ritornato al suo
anagrafico Massimiliano Zardi, uomo di mezzetà,
ricco di esperienze esotiche che niente avevano a
che fare con la vita borghese che si viveva in
Europa, straricco di denaro tanto da non saperne che
fare, adesso, dopo essersi affermato come uomo rude
e avventuroso, si trovava sotto l'influsso
autoritario di una bella signora più giovane di lui
di almeno ventanni, costretto a vivere sotto lo
stesso tetto e senza la compagnia illuminante e
rassicurante del suo amico-maggiordomo. Incarico
questo solo per giustificare la sua presenza in casa
e per corrispondergli un emolumento. In caso
contrario, questa amicizia casalinga, avrebbe potuto
essere interpretata dai soliti maligni come
omosessualità.
L'altro, Louis Bertrand Fortuné eccetera, deluso da
una nascita sull'orlo precipitevole di un'antica
nobiltà, giammai decaduta in Francia malgrado le
conseguenze dell'Illuminismo, ma nel suo caso
inesorabilmente povera di mezzi economici perché i
suoi epigoni mai si erano voluti impaniare in un
impegno lavorativo che li rimpinguasse lautamente,
ormai ricco di esperienza e dell'acquisizione di una
filosofia di vita che ben si attagliava al suo
vivere quotidiano, ora si sentiva libero come un
fringuello nel soggiornare nel suo mondo preferito:
la Costa Azzurra. Dove conosceva molta gente e
qualche amico. Di quelli che si frequenta
saltuariamente, ma che non ci si illude mai possano
sacrificarsi per te e ti possano dare quel conforto
come gliel'aveva dato Max. In specie quando, durante
i frequenti viaggi in Europa, gli raccontava via via
una delle sue tante avventure, talmente avvincenti
da stuzzicare l'interesse di Louis nel sollecitarlo
a scriverne un libro. Ma tutto finiva lì o, meglio,
ogni volta gli rimaneva il sapore gradevole di quel
racconto esotico che, almeno per la durata del
racconto, faceva vagare la sua mente in mondi
fantastici che lo affascinavano, rendendo la realtà
del vivere quotidiano, sia pure nella dorata Costa
Azzurra, una cosa di una futilità senza pari.
Eppure c'era qualcosa che aveva legato i due uomini
e che, come il magnetismo terrestre che tiene
avvinta a sé la Luna, così nessuno dei due era
convinto che la loro separazione divenisse
definitiva. Anche adattandosi al nuovo modo di
vivere, ciascuno pensava, sia quando girovagava
nelle strade o facendo rientro al proprio domicilio,
che vi dovesse ritrovare l'amico perduto.
Ma, in quel periodo, proprio durante la beata
esistenza di Louis, ormai diventata routine,
qualcosa ruppe la quotidianetà. Una lettera
raccomandata ed una prioritaria al suo indirizzo da
lui indicato tre mesi prima all'Ufficio Anagrafico
di Cannes, quando ne aveva richiesto la residenza.
André Marie Dubois de Feugerolles Notaire à
Puilboreau (Charente Maritime). Un nome decisamente
nobile come il suo, ebbe a riflettere Louis prima
ancora di commentare l'importanza di una lettera da
parte di un notaio. Raccomandata, poi!
Non la considerò più di tanto, in effetti. Aveva da
tempo perso dimestichezza con gli affari della sua
nobile ma indigente casata, pensando si trattasse di
una scocciatura che forse reclamava la sua presenza
in quella località tanto lontana e prevedibilmente
fredda, perché esposta alle continue intemperie
dell'Atlantico.
Diede priorità alla lettera proveniente da Roma. Era
di Max. La prima che riceveva da lui dopo quasi
quattordici anni che era stato al suo servizio.
Benché non raccomandata come la francese, quella
semplice missiva poteva contenere qualche
chiarimento riguardo allo strano comportamento
dell'amico-principale e al suo repentino matrimonio
con una donna che di primo acchito gli aveva
dimostrato un'accentuata ostilità.
La calligrafia non era granché, ma era quella di
Massimiliano Zarbi. Di un Max vecchio ben più dei
settantaquattro anni che aveva. Incerta e tremolante
con una caduta orizzontale alla fine di ciascuna
riga. Che non erano molte, tanto che il foglio le
conteneva tutte in una sola facciata.
'Ma perché non telefonarmi?' si chiese Louis, dopo
avere letto frettolosamente la lettera. 'A quest'ora…'
Ma si morse il labbro. Sapeva che Max non commetteva
sciocchezze e se aveva voluto comunicare con lui in
quella maniera, una ragione doveva esserci. E,
infatti, lo scoprì girando il foglio. In basso a
sinistra c'era il recapito di una casella postale in
un ufficio periferico della città di Roma.
Gli rimasero impresse quelle poche parole che erano
il nucleo principale della missiva, dato che il
resto era dedicato alle solite banalità sullo stato
di salute di entrambi.
""Ho necessità di incontrarti. Se sei d'accordo,
scegli tu la data, ma rispondimi solo per lettera.
Grazie.""
Nel calcolare che tra l'arrivo della sua risposta e
l'incontro con Max sarebbe trascorsa almeno una
settimana, Louis decise di togliersi la sgradevole
incombenza di recarsi a Puilboreau che, come aveva
scoperto informandosi su Google Maps, era una
cittadina satellite di La Rochelle. Dopo aver
telefonato al notaio Dubois per un appuntamento di
lì a due giorni, partì in treno per Parigi dove, per
evitare di cambiare nello stesso giorno dalla Gare
de Lyon a quella di Montparnasse, avrebbe pernottato
in albergo in prossimità della stazione di partenza.
L'età e la mancanza di uno stipendio, nonostante
potesse contare su un buon gruzzolo, avevano reso
parsimonioso Louis, per cui viaggiò sul TGV in
seconda classe e pernottò un un dignitoso albergo
nella zona di Montparnasse a meno di cinquanta euro
a notte. Né si permise di cenare in un buon
ristorante com'era abituato quando viaggiava con
Max, ma si accontentò di un bistrot dove consumò un
menu a prezzo fisso.
Imbarcatosi sul primo treno veloce del mattino,
arrivò a La Rochelle un quarto d'ora prima di
mezzogiorno e dovette sciropparsi mezzora di autobus
che per fortuna si fermò davanti all'Hotel Campanile
di Puilboreau.
Durante il viaggio in treno aveva fatto i suoi
calcoli. Malgrado il suo naturale ottimismo, era
sempre convinto che l'incontro con il notaio alle
quattro di quello stesso pomeriggio, sarebbe stata
una gran seccatura. Tuttavia aveva messo in conto
anche un qualcosa di gradevole, come un piccolo
lascito che, perlomeno, lo avrebbe ripagato sia
delle spese che della fatica. In quel caso si
sarebbe concesso un pranzo signorile in un
ristorante che aveva adocchiato nella stessa via
nella quale si affacciava la sua camera.
Recitate le noiose premesse dottorali del
testamento, Louis apprese che suo zio Ajmone Danjou
de Pressange, di cui non aveva avuto notizie da
oltre ventanni, allietato dopo il matrimonio dalla
nascita di un unico erede, scomparso all'età di
dieci anni per una meningite folgorante, non aveva
più avuto figli e, deceduta sua moglie cinque anni
dopo, non aveva pià voluto sposarsi, ritirandosi in
una vecchia villa nelle campagne nei dintorni della
cittadina di Puilboreau dopo avere venduto il suo
lussuoso appartamento di Avenue Roch a Parigi.
In pochi preamboli, mentre il cuore gli martellava
in petto, Louis Fortuné de Pressange stava
apprendendo dalle parole pronunciate con tono nasale
dal notaio André Dubois, di essere diventato l'unico
erede delle sostanze del poco amato zio Ajmone,
senza eredi diretti, neppure tra il fratello e le
due sorelle, l'unico parente rimastogli, essendo
proprio lui, il nipote, che lo zio Ajmone aveva
educato a sapersi comportare in società. Senza un
costrutto immediato ma, chissà per quale presaga
ragione, a godersi il frutto di tanta ricchezza
gelosamente conservata in vita, al contrario dei
genitori del suo discepolo, imprudenti
scialacquatori dell'avito patrominio. E così Louis
diventava proprietario di consistenti beni composti
in massima parte dalla citata proprietà immobiliare
composta dalla villa padronale - come meglio
definita dai vignaioli, pardon vinificatori
francesi: CHATEAU - con contorno di quaranta ettari
di terre variamente coltivate compresa un'enorme
vigna a ridosso di una collina dal dolce declivio
opposta all'ovest e a - cosa che gli scatenò la
fantasia - di congrui investimenti mobiliari e
riserve in oro, sotto forma di monete francesi,
conservate in quattro cassette distribuite in due
banche parigine. Il tutto, ad esclusione delle
proprietà immobiliari che non potevano essere
oggetto di valutazione da parte del
funzionario-notaio, che guarda caso ora gli stava
diventando simpatico, per un valore provvisorio di
venti milioni di euro, poiché, considerata la
situazione contingente scatenata dai bond spazzatura
degli Stati Uniti, il metallo prezioso presto
sarebbe esponenzialmente aumentato di valore.
Dimentico del prossimo arrivo di Massimiliano Zarbi
perché tutto preso dall'euforia dell'inaspettata
eredità, Louis si era attardato a soggiornare a La
Rochelle, nel migliore albergo della città e,
ovviamente, aveva cenato in un ristorante
sopraffino, dando fondo a quasi tutto quello che si
era portato nel portafogli. Il ritorno, quindi, fu
molto più sbrigativo dell'andata, avendo preferito
l'aereo al treno, pagando pure il doppio. Arrivò
all'aeroporto di Nizza in più di tre ore di viaggio,
maggior tempo impiegato per il cambio di aeromobile
a Parigi. Dove sarebbe tornato al più presto per
visionare il contenuto delle cassette di sicurezza,
lo stato dei conti correnti e degli investimenti
mobiliari. Intanto aveva dato incarico a un
importante agente immobiliare della città
fortificata di trovargli un acquirente per lo
'chateau'. Figurarsi se lui, abituato al sole e alle
calme brezze della Costa Azzurra, avrebbe mai
vissuto in quelle zone fredde e umide che contornano
l'instabile oceano.
Se quando aveva ricevuto la lettera di Max, tutta la
sua attenzione si era accentrata su quella
inaspettata visita, foriera di gradevoli novità, la
più importante delle quali, almeno così sperava,
sarebbe stata l'annuncio del divorzio da quella…
quella virago che si era portato dall'America, nel
momento in cui aspettava il treno che lo riportava a
Cannes, tutta la sua concentrazione si accentrò su
cosa fare della montagna di denaro ereditato. Prima
di tutto, dato che per un'irragionavole
superstizione non voleva intaccare il suo capitale
impiegato in titoli di stato, avrebbe prosciugato il
conto corrente il cui montante, però, non gli
avrebbe consentito - specie ora che si sentiva ricco
- di viaggiare in prima classe né di fare il signore
alla sua maniera, finché non avesse incassato da una
delle due banche un congruo importo in denaro
contante per fare fronte al suo soggiorno nella
Capitale, che prevedeva abbastanza lungo e
dispendioso. Oltre ad essere un buon gourmet, era
anche un raffinato nel vestirsi per cui, per
frequentare certi rinomati ristoranti e locali di
lusso, voleva indossare quanto di meglio la moda
imperante proponeva alla gente ricca ed elegante. Un
abito o un completo per ogni serata. E, poi, le
donne… l'avrebbe scelta una delle più belle ed
eleganti segnate nell'agenda segreta di madame Roux,
titolare di un esclusivo salotto letterario nel
sedicesimo arrondissement.
'Ma che diamine è venuto in testa a Max di venirmi a
trovare… proprio in questo periodo. Cribbio!' ebbe
ad esprimere l'aristocratica intieriezione tra sé il
buon Louis il quale, ora che si sentiva ricco come
un Creso, disdegnava tutti i suoi simili ricchi come
lui… o, anche di più, dato che il prossimo contatto
con l'amico, suo ex datore di lavoro, lo avrebbe
fatto sentire di nuovo un meschinello. Ora non gli
sarebbe interessata più alcuna proposta di
collaborazione né che Max si fosse liberato da
quell'ormai dimenticata, quanto antipatica entità
femminile con la quale era venuto in contatto
nemmeno troppo invasivo a Roma.
Tuttavia decise di attendere l'arrivo dell'antico
amico-padrone, giacché oltre al cospicuo lascito
dello zio Ajmone, dallo stesso in tempi remoti aveva
ricevuto un'educazione di primordine e non si
sarebbe mai perdonato di non avere rispettato un
comportamento che non fosse cavalleresco e gentile.
Un uomo ricco come Max, anzi straricco, non poteva
non permettersi di raggiungere Cannes a bordo di un
jet executive, atterrando all'aeroporto di
Mandelieu. Prenotarne uno dei più moderni, a Roma,
era una cosa facile. E Louis si era preparato a
noleggiare una lussuosa auto pubblica per andarlo a
ricevere. Già si immaginava quanto il suo ospite
avesse disdegnato alloggiare nell'appartamento di
sua proprietà, preferendo riservare una suite in uno
dei tanti alberghi di lusso che si affacciano
pretenziosi sulla Croisette.
Niente di tutto ciò.
Mezzora prima che il treno proveniente da
Ventimiglia facesse scalo alla stazione di Cannes,
Max gli telefonò sul portatile sconvolgendo i suoi
piani, obbligandolo a dare il contrordine
all'autista di dirigersi verso la stazione
ferroviaria della città festivaliera, riuscendo ad
accogliere l'amico, nel momento dell'ultimo stridio
di freni del convoglio ferroviario.
Non ci furono espressioni di giubilo tra i due,
bensì una seria quanto leale stretta di mano e
un'intesa che si scambiarono con gli occhi. Del
resto, non ce n'erano mai state durante gli oltre
quattordici anni di convivenza, poiché si era sempre
trattato di un'amicizia vera e rispettosa dei
diversi ruoli.
"Lascia stare, Louis, la porto io," disse Max nel
momento di riprendere l'elegante valigia in cuoio
naturale appena posata sul pavimento della
pensilina. "Non sei più al mio servizio. Siamo allo
stesso livello, ora."
"Be' Max, era solo per farti una cortesia," rispose
Louis. Ma un'immediata riflessione, gli fece
soggiungere: "Stesso livello… che modo di parlare,
Max. Non ci sentiamo da tanto tempo, ormai. Come fai
a parlare di livello, proprio tu che sei molto
ricco?"
"Anche tu, Louis," replicò l'italiano. "Anche tu…"
"Davvero?" fece Louis che aveva mangiato la foglia e
voleva sapere dove Max volesse andare a parare. "Il
tuo sapere è imperscrutabile oppure tiri a
indovinare?"
"Sei ricco Louis. Non hai per caso ereditato dal tuo
zio di cui mi avevi sempre parlato? Mi pare un
certo… aspetta, aspetta… forse Ajmone…"
"Dubois-Cotin," concluse la frase Louis Fortuné de
Pressange. "Ma tu come lo sai?"
"Lo sapevo da molto tempo o, per essere più
preciso... l'ho immaginato. Ma forse è meglio che tu
ci arrivi per deduzioni."
"Sarebbe a dire?" chiese Louis che si stava
innervosendo. Si erano già accomodati sulla lussuosa
berlina e, non avendo Max indicato dove dirigersi,
lo stesso Louis comandò all'autista di condurli
presso la sua abitazione. "Penso che per sbrogliare
questo mistero dovremmo parlare molto, per cui sarà
meglio riprendere il discorso quando saremo a casa.
Casa. Parola indovinata per definire
quell'appartamento di proprietà di Max, ma che lui
occupava in comodato gratuito, come la loro
abitazione. Per rinforzare il senso di un'amicizia
talmente datata da considerarsi coinquilini di uno
stesso domicilio.
"Forse ti sei dimenticato da dove io provenga, caro
Louis," prese a dire Massimiliano Zarbi, una volta
accomodatisi nel salottino davanti a due flutes di
champagne a metà piene. "La mia esistenza
avventurosa, il quotidiano rischio della vita o del
carcere - il che sarebbe stato anche peggio - o,
addirittura l'handicap della perdita di qualche
arto, mani o gambe. Ogni giorno, ogni ora, ogni
minuto ero consapevole dei rischi che correvo, ma la
mia mente era rivolta alle ricchezze che avrei
ottenuto in cambio. Per cui, sempre con molta
circospezione e massima prudenza agivo di concerto
con un mio aiutante in tutte le operazioni che
avevamo concordato, avendo destinato due altri
nostri compagni a guardarci sempre le spalle. Prima
di ogni azione pericolosa studiavamo assieme una via
di fuga o di riparo in caso di malaugurati
imprevisti. E ce ne sono stati, ti assicuro. Una
volta salvai la vita al mio compagno di punta e,
purtroppo, due volte lui la salvò a me. Magari fossi
morto…"
"Ma che stai dicendo, Max…"
"Ne sto pagando le conseguenze, caro amico," rispose
mesto Massimiliano. Che, quasi per contenere la
commozione, afferrò il bicchiere, si alzò e dopo
avere sorseggiato lentamente il vino, facendo segno
a Louis di non alzarsi a sua volta, soggiunse con
fare pacato: "Ti ricorderai senza dubbio l'ultimo
viaggio che abbiamo fatto assieme a New York…
"Certo, e ancora…"
"Ti stai chiedendo la ragione per la quale ti ho
indotto a partire la sera stessa. Un inconveniente
grave da parte mia, visto che era la prima volta che
approdavi in quella metropoli. Me ne dispiace per
te, ma non potevo farne a meno."
"Un rigurgito del passato, vero?" si permise di
affermare Louis, il quale aveva capito che tutto ciò
avesse avuto a che fare con l'arrivo inaspettato
della moglie di Max. "Ti incontrasti con
quell'elegante signora con la quale ti sei sposato."
"Non ho passato tutta la mia vita tra i pericoli per
sposarmi. A questa età, poi!" rispose Massimiliano
per niente irritato. Quella era.. era…"
Un momento di sospensione dovuto più all'espressione
di incredulità che mostrava il viso di Louis.
"Vedo che da tutti i tuoi intimi interrogativi e
induzioni, caro Louis, non ti era mai passato per la
mente che non fosse mia moglie."
"Ma se me l'ha pure detto!" esclamò l'ex
maggiordomo.
"Ciò non dimostrava, però, la realtà."
"Potevi pure dirmelo… Max."
"Così saresti rimasto. Eh, no mio caro."
"L'hai fatto apposta, allora, per liberarti di me."
"Esatto," fu la risposta asciutta di Max.
"Non riesco capire il perché. Eravamo amici…"
"E lo siamo tuttora, caro Louis," rispose Max non
nascondendo un risolino.
"Mi rifiuto di continuare a chiedertene il perché
come fanno i bambini. Ti piaccia spiegarti meglio,"
replicò asciutto.
"Ti avevo messo sulla strada giusta, ma ti sei fatto
sviare dalla curiosità, proprio come i bambini.
Tuttavia, accolgo la tua legittima richiesta, non
con le solite premesse all'italiana, ma iniziando
dal principio. Dunque…" disse Max, che approfittò
della breve pausa per scolare la restante metà del
contenuto del suo bicchiere.
"Come ti dicevo, quel mio socio con il quale ho
diviso tante avventure, aveva un vantaggio su di me:
gli dovevo per la seconda volta la vita. A New York
mi ha fatto pagare pegno. Ha voluto che mi
accompagnassi alla sorella e dividessi con lei,
oltre la convivenza, anche il benessere. In parole
povere, potevo anche non sposarla, ma dovevo farla
vivere negli agi di una famiglia ricca, in Italia,
Paese da lei molto ambito, soprattutto per
allontanarsi dal fratello che godeva di cattiva fama
in patria. Lui non lo poteva più fare, poiché gli
era rimasto di che vivere dignitosamente, avendo
perso sia al gioco che in speculazioni sbagliate
quasi tutto il capitale accumulato in tanti anni di
vita randagia e pericolosa. Viveva sulla lama del
rasoio e non poteva lasciare lo Stato perché aveva
alcune pendenze giudiziarie che, forse, lo vedranno
presto ospite di qualche prigione di contea.
"Ma tu l'hai sposata, dunque," rispose con voce
neutra Louis. "Si è appena degnata di dirmelo per
trattarmi, poi, come l'ultimo dei tuoi servi."
"Me ne dolgo amaramente. In effetti si è dimostrata
per quello che è: una virago, autoritaria e superba,
cosicché…"
"Sei venuto a trovarmi per consolazione, dunque…"
"Macché. Louis. L'ho lasciata, non avendola mai
sposata," replicò l'italiano. "E per sempre."
Max si rimise a sedere e all'offerta di Louis di
riempirgli il bicchiere, oppose un gentile rifiuto.
Poi, infilando la mano nella tasca interna della
giacca, ne trasse uno spesso incartamento piegato in
quattro. "Ecco il contratto," disse in tono poco
trionfale. "Ho dovuto intestarle l'appartamento
oltre al cospicuo investimento in CCT italiani al
quattro per cento che le garantiranno una rendita
annuale di docici milioni di euro per dieci anni.
Tanti quanti avevo sperato di campare, io…" concluse
stancamente.
"Ma che dici, Max…"
"Cosa credi, che alla mia età, io possa sperare in
qualcosa di meglio? Sto andando per i
settantaquattro e tu nei hai appena compiuti
sessantadue, cosa ci aspettiamo, eh?"
"Non capisco," fece Louis con un'intonazione nella
voce che rivelava la sua nuova posizione economica.
"Non capisci?" replicò acido Max. "Perché, pensi
sempre alle donne, alla vita spensierata sulla Costa
Azzurra, visto che hai ereditato una fortuna? Il
denaro adesso ti servirà a vivere senza alcuna
preoccupazione né di andare a servizio di chi ti
potrà mantenere. Ma alla tua età, dai! Cosa ti
aspetti?""
"Veramente non ho mai pensato di trovarmi
un'occupazione, io," rispose Louis un po' piccato.
"Perché no? Secondo te, quanto sarebbero bastati i
soldi che ti ho dato e quelli che avevi
tesaurizzato? Un bon viveur come te."
"Mi stai proponendo di ritornare al tuo servizio,
per caso?"
"Stammi bene a sentire, amico mio," disse Max, che
non aveva più voglia di tergiversare. "So benissimo
che non lo faresti ed io ho brigato affinché tu non
accettasi di farmi da maggiordomo."
Ci fu un lungo minuto di pausa, laddove i due uomini
si guardarono intensamanete negli occhi, ma non
pronunciarono una parola. Poi Max, riprese il suo
discorso.
"Credi davvero che tuo zio Ajmone, toccato durante
la tua giovinezza più nel suo senso del decoro
aristocratico che dell'affetto per un nipote
sfortunato come te, oltre a farti impartire una
buona educazione, morendo, ti avrebbe lasciato tutti
i suoi beni?"
"No, ma si dà il caso che sia sopravissuto alla
moglie, al figlio e ad altri. Non gli era rimasto
che un nipote, cioè io."
"Non ti conoscevo così ingenuo… Louis."
"Cosa stai insinuando, Max," rispose il francese
punto sul vivo. "Che sono bugiardo, per caso?"
"Ci mancherebbe, amico. Io ti stimo molto e non
sarei qua se non gradissi la tua compagnia. Ma,
concedimi, se non altro per la mia età, di
considerarti, benevolmente, un po' ingenuo. E' una
cosa bella, credimi. A sessantadue anni, avere
ancora uno sprizzo di ingenuità o credere ancora
alle fate, non è negativo. Significa avere molta
voglia di vivere ed essere imperdonabilmente
ottimisti."
"Be', io lo sono e adesso che sono ricco, vedo
dischiudere davanti a me ampi orizzonti."
"Bello. Ma per me, e anche per te, credimi, non gli
orizzonti, mio caro, ma l'orizzonte della vita, si è
fatto corto, cortissimo. Per questo sono da te e…"
"E… cosa?"
"Ascoltami, ancora per qualche minuto. Dunque…" fece
Max che, questa volta, senza che l'amico lo
sollecitasse, si versò da solo lo champagne. "Si è
scaldato un poco… ma va bene," intervallò deglutendo
una lunga sorsata. Poi senza preamboli, iniziò a
dire: "Tuo zio Ajmone è morto povero. Più povero di
te quando hai iniziato la tua esistenza qua a
Cannes, arrangiandoti con le macchinette mangiasoldi
che le sciocche ricche vedove ti lasciavano pregne
di monete. Mi hai sempre raccontato tutto di te, per
cui, dopo il pessimo viaggio che avevamo effettuato
assieme a New York, ho provveduto a salvaguardare il
mio e tuo futuro. Ho riscattato tutte le ipoteche
che gravavano come spade di Damocle sulle antiche
proprietà terriere dei Dubois-Cotin, risarcito tutti
i debitori, comprese le tue banche parigine presso
le quali ho riacceso i conti, sempre a nome di tuo
zio, riempiendo nel contempo anche due capaci
cassette di sicurezza di monete d'oro, Luigi e
Napoleoni, tanto cari a voi francesi. Obbligando tuo
zio a redarre, di fronte al notaio…. Il testamento
che ti ha nominato erede di tanta fortuna. Ho pagato
anche le tasse di successione, cosicché ora ti
ritrovo ricco, tanto da non avere alcuna
preoccupazione per il futuro."
Louis, da quell'uomo di mondo che era, non diede in
esclamazioni né sgranò tanto d'occhi per la
sorpresa, tuttavia gli ci volle un buon minuto per
assorbire la sua iniziale incredulità, ma riuscì a
dire con pacatezza: "Tutto ciò per che cosa, Max?"
"Per sostenerci entrambi fino al giorno in cui,
spero io per primo, me ne andrò. Se ti va, vivremo
insieme come amici alla pari , libero ciascuno di
condurre la sua esistenza come meglio gli aggrada,
ma vicini uno all'altro. La convivenza per quasi
quattrordici anni assieme. Mi ha convinto che, ormai
sull'orlo della vecchiaia, la presenza dell'uno con
l'altro non potrà che allietarci quello che ci resta
da vivere."
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