Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Narrativa

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi in prosa inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta, Il grande drago giallo di Alessio De Luca, Max e Louis di Gianfranco Meneghini, Texel tre di Gianfranco Menghini

Poesia italiana

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai, Andrea Cantucci, Iuri Lombardi, Lorenzo Spurio, Giovanni Trani

Poesia in lingua

Questa rubrica è aperta a chiunque voglia inviare testi poetici inediti, purché rispettino i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia Dragotescu, Manuela Léa Orita

Recensioni

In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai, recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai, nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed Espiazione, una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese" di Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci, nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)" di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci, recensione di Lorenzo Spurio

Interviste

Iuri dei miracoli: intervista a Iuri Lombardi
a cura di Massimo Acciai

Max e Louis - fino alla fine
(da I RACCONTI DALLA MIA PERGOLA)
 

Gianfranco Menghini
 

Troppi uragani nella sua vita avventurosa, vissuta in maniera perigliosa. Ora che aveva scalato la vetta che si era prefissato, aveva deciso di godersi i quasi due miliardi di dollari che aveva accumulato, due terzi dei quali depositati in quelli che da poco l'Italia considerava paradisi fiscali, ma che ai tempi in cui lui si sbatteva per il mondo intero, rischiando più di una volta la pelle, avendoli guadagnati ben lontano dalla madre patria, li aveva legittimamente tesaurizzati negli ex dominions inglesi delle Antille e nell'Honduras Britannico, luoghi di relax dove approdava tra un'avventura e l'altra a riprendere fiato. Guadagnati onestamente, in verità, non poteva proprio dirlo. Ma chi al suo posto si sarebbe comportato rispettando le leggi? E poi, quali leggi? Quelle italiane o quelle dove aveva operato? Giacché in quei luoghi dimenticati da Dio, come certe zone della Namibia o dello Zambia, per ciò che concerneva il continente africano oppure nell'umbratile Malesia o nel barbaro Borneo, in quello asiatico dove la vita umana valeva appena un machete, se rispettavi la legge, campavi come un tenentino americano destinato alla guerra del Vietnam: appena una mezza mesata.
Aveva provato a risiedere a Milano, città licenziosa resa tale dall'incremento della moda e dal consumo di sostanze stupefacenti, in particolare la cocaina che, unite dall'affollato indotto, suscitava troppa cronaca. C'era rimasto appena sei mesi, poi aveva optato per Roma, immensa metropoli solare, dove accadevano le stesse cose della città lombarda, ma venivano affievolite dalla politica imperante, dal tumultuoso turismo e, soprattutto, dalla Curia vaticana. Tutti zitti e mosca, salvo a cadenza decennale, fare esplodere qualche caso scandaloso soprattutto di corruzione edile - si sa quanto i famosi palazzinari vi abbiano le loro pretenziose dimore - che comunque, come un ballon d'essai, si sgonfiavano nel giro di una settimana, dieci giorni al massimo.
E lui, Massimiliano (Max per gli amici) Zarbi, viveur di mezzetà, autorefenziato seduttore, titolare di una cospicua rendita che gli proveniva da un oculato investimento in titoli garantiti da solidissime banche straniere, oltre che dallo Stato italiano, generosa in rendite tassate al minimo, menava una vita agiata, senza dare troppo nell'occhio con frequentazioni spenderecce e auto di lusso. Vivendo da scapolo impenitente, non poteva fare a meno di un cameriere-maggiordomo complice delle sue scappatelle, di una cameriera e di una cuoca sopraffina, poiché non si fidava di certi ristoranti che a troppo frequentarli, era convinto gli rovinassero la salute. Che aveva ottima e faceva di tutto per mantenerla tale, con frequenti passeggiate a piedi e una seduta settimanale nella palestra nei pressi di casa sua. Quindi, poca vita notturna, salvo frequenti inviti a cena nelle case di alcune coppie di amici, pochi ma scelti, ricambiando a sua volta, ma solo presso il suo ristorante preferito, il Globo d'Oro, il cui proprietario gli era diventato particolarmente amico.
Un vasto e ben arredato appartamento era il suo covo, riservato solo al suo train de vie, cui faceva partecipare solo rare persone e per un periodo molto breve.
Ben conosceva il suo compito, Louis, il maggiordomo tuttofare, il quale sapeva come comportarsi quando un'invitata indugiava troppo a ritornarsene a casa sua. In certe occasioni in cui Max si faceva precedere dalla 'fidanzata' di turno al suo domicilio, sempre all'ora dell'aperitivo prima di cena, doveva essere ricevuta come lo fosse veramente da chi le avesse aperto la porta. Mai che l'accompagnasse lui stesso, dato che teneva assai acché le bella di turno, al suo suonare - mai Max avrebbe aperto con la chiave - al portone di casa, gli si facesse incontro con spontanea gioia sempre abbigliata, chiunque ella fosse, con un elegante abito da sera generosamente scollato.
Questo tran tran datava da quasi un anno e vedeva i famigli ben disposti verso il loro munifico datore di lavoro, cui testimoniavano un riserbo totale e nessun commento, malevolo o benevolo che fosse, nemmeno tra di loro e mai quando erano in città liberi dal servizio, in particolare quando rientravano in seno alla proprie famiglie dove il silenzio anche sul più piccolo particolare era imposto pena la perdita immediata dell'impiego. Ad eccezione di Louis che, toccata la cinquantina, si era definitivamente vocato al celibato. Tutto il personale alloggiava nella dimora Zarbi, in una zona separata sulla parte retrostante dell'immenso appartamento di Lungotevere delle Armi, affacciantesi sul fiume sempre limaccioso - non certo di solo fango, purtroppo - dirimpetto al Ministero della Marina.
A parte questi lievi interludi più o meno amorosi, la vita scorreva tranquilla in casa Zarbi. Max non era un tipo autoritario. E come poteva esserlo un uomo come lui, rotto a mille pericolose avventure ai quattro angoli del mondo, che lo avevano visto alla fine ricco come un Creso, ma poteva essere diventato cento volte cadavere. Le avventure in Namibia, dove assieme ai suoi accoliti avevano raschiato in una spiaggia, alla maniera dei pirati sparando a tutto spiano contro gli occhiuti guardiani, un buon quantitativo di quelle pietruzze baluginanti che, se ben lavorate, diventavano diamanti e nello Zambia per l'oro con l'asportazione di pepite grosse come sassi, senza contare il traffico di giada, zaffiri e splendidi rubini, tutti grezzi, tanto da farli credere fossero sassi colorati alla stregua delle disprezzate ametiste che, tradotti in vile moneta una volta approdati nei paesi occidentali, avevano preso l'aspetto di miliardi di dollari. Tutto questo in trentanni di frenetica attività, senza una sosta e sempre in allerta, tanto da rischiare se non la vita, almeno la pazzia.
E ora, al giro di boa dei sessantanni, conscio del fatto che con i trascorsi di una vita vissuta senza risparmio di forze, forse non sarebbe sopravvissuto ai settanta, abbandonati da anni i vizi del bere e del fumare, parco nel mangiare, ma ancora ossessionato dal sesso, voleva trarre dal resto di vita che gli rimaneva le maggiori soddisfazioni possibili. Per fare questo aveva a disposizione in eccedenza tutti mezzi finanziari, per cui aveva programmato una vita al ridosso da qualsiasi complicazione. Esempio lo era il voler vivere in pace con tutti. Se per caso qualcuno lo imbrogliava nel fargli pagare più di quanto pattuito o se gli arrivava da pagare un'ammenda o una tassa non dovuta oppure altre complicazioni derivate da una claudicante e inefficiente burocrazia, non recriminava e pagava quello che gli era forzatamente richiesto. L'unica sua difesa: una scelta più oculata dei fornitori e rapporti sempre più rarefatti con chiunque. Per queste incresciose incombenze scendeva in campo il fido Louis, con il quale era abbastanza arduo esercitare una qualsiasi prepotenza. Ed era proprio costui, Louis, il maggiordomo tuttofare a presentarglisi con i suoi modi signorili ma decisi, ogni volt che Max desiderava uscire per una folleggiante festa notturna.
Ma a questo punto è bene fare la conoscenza di questo interessante personaggio.


Louis Bertrand Fortuné de Pressange, come si evince dal nome altisonante, era un aristocratico. Ma di famiglia decaduta, beninteso. Del ramo cadetto di una stirpe aristocratica-campagnola del Puy de Dome con remote radici che risalivano ai Borboni di Francia. Quindi, niente di pomposo se non il nome e con averi talmente ridotti dal tempo e dall'insipienza dei vari eredi, che quando era nato lui, ultimo rampollo di cotale schiatta, i beni di famiglia si erano ridotti al lumicino. Cosicché Louis, raggiunta l'età adatta, venne accolto dagli zii da parte di madre, i marchesi Dubois-Cotin, antica stirpe le cui radici si intersecavano con quelle dei Danjou, per la sua educazione sia scolare che di comportamento. La non ricchezza poteva venire accettata nell'entourage nobiliare che, però, non poteva tollerare che un loro simile non conoscesse le regole comportamentali del vivere nella buona società. Quindi poca scienza e scarsi studi classici, portandolo a ottenere un risultato abbastanza mediocre, malgrado la spiccata intelligenza del rampollo, con l'ottenimento per il rotto della cuffia del baccalaureat, ma con la conoscenza perfetta delle regole del savoir faire nella loro società esclusiva, dove spesso veniva invitato più per meglio apprendere che per il desiderio di averlo come ospite.
Al raggiungimento della maggiore età, Louis Pressange, con il nome ridotto più per praticità che per modestia, si avventurò da solo nel mondo del lavoro, preferendo impieghi dove poteva estrinsecare quella che lui considerava una professione nobile: il consulente di nuclei famigliari. Di preferenza italiani di umili origini, arricchitisi improvvisamente, che si erano trasferiti nella dorata Costa Azzurra. Dorata dal sole e dai loro cospicui quanto sospetti capitali. In pochi anni apprese la lingua più bella e amorevole del mondo: l'italiano, tanto che arrivò ad affinare quella che parlavano i suoi datori di lavoro e ad insegnarla ai loro figli. Senza trascurare, visto che ne aveva il tempo, di migliorare il suo livello culturale, approfittando dei numerosi libri - rigorosamente intonsi - che facevano bella figura nelle pretenziose residenze in cui soggiornava a tempo pieno.
Toccata la quarantina, si scoprì essere un uomo assatanato di sesso e, non potendolo, per ovvi motivi, esercitare nelle case in cui era ospite-dipendente, lo espletata nelle varie città affacciantesi nell'arco marino che da Mentone corre fino a Cannes, senza trascurare, visto che ne aveva la necessità, qualche timida puntata nei vari casinò dove la fortuna il più delle volte lo assisteva nelle macchinette mangiasoldi. Dire che la fortuna lo assisteva è un eufemismo, giacché il furbo Louis si piazzava dietro qualche attempata ricca vedova giocatrice e dopo che la signora, stanca di immettere denaro nella macchinetta senza trarne beneficio, liberava il seggiolino andandosene, lui prendeva il suo posto. Sicuro che, statisticamente, se avesse continuato ad alimentare i giri, la macchina avrebbe defecato qualcosa. E infatti, ci guadagnava. Non quelle cifre assurde come reclamavano le scritte sulle stesse macchinette, bensì una ricca cascata di monete da cinque o dieci franchi, a seconda della puntata, con cifre che alcune volte arrivavano anche dai dieci ai ventimila franchi. Dopo l'intervento del controllore addetto che, constatata la regolare vincita, lo invitava a seguirlo alla cassa per la riscossione delle monete in fruscianti banconote.
Quel denaro facilmente acquisito gli serviva per sollazzarsi con qualche bella femmina reclutata in una casa di appuntamenti che lui conosceva bene e con essa, oltre a farci l'amore in una camera di un lussuoso albergo con vista mozzafiato sul golfo, faceva anche il viveur. Gli piaceva frequentare i ristoranti più rinomati dove occhieggiava danarose vedove di mezza età con le quali avrebbe voluto intrecciare una relazione. Ci provò una decina di volte poi, accortosi che a cena in compagnia della bella di turno non riusciva a combinare niente, seppure qualche affascinante vedova gli puntasse gli occhi addosso, ci provò di giorno e da solo, riuscendo nel suo intento.
Era la stessa appetitosa vedova cinquantenne di qualche sera prima. Louis con il suo fare educatamente mellifluo, dandole ad intendere di essere un bon viveur anziché, come aveva equivocato lei, un gigolò, rimase esterrefatto quando, dopo una notte d'amore sfrenato, la matura signora gli mise in mano una busta e senza dargli il tempo di fiatare, lo invitò a uscire dalla suite. Louis, fermo davanti alla porta chiusa a chiave, si guardò attorno se nel vasto corridoio moquettato ci fosse qualcuno e, accertatosi che nessuno lo osservava, aprì la busta e vi trovò dieci banconote da cinquecento franchi. Lì per lì rimase sconcertato e avrebbe voluto, con buona grazia, come era abituato a comportarsi, bussare per restituire il denaro per spiegarle che lui non era affatto il tipo che lei aveva creduto. Ma poi, sicuro che ciò avrebbe innescato una sgradevole discussione, s'infilò la busta nella tasca della giacca e scese mesto dalle scale. In quel momento non avrebbe gradito incontrarsi con nessuno e sapeva che mai un cliente sarebbe sceso per le scale di un grande albergo. Dal sesto piano, poi… ma nemmeno il più umile dei dipendenti!
Da quel giorno lasciò stare le donne sole. Del resto, non erano il massimo per Louis, che preferiva l'esuberanza di una giovane dalla pelle fresca come petali di rosa, sebbene si trattasse di ragazze traviate dal dio denaro. Il suo sistema di vincite minime nel vari casinò della Costa funzionava bene, per cui utilizzò le vedove danarose impazienti davanti al display delle macchinette mangiasoldi, traendone l'unico beneficio di incassare in parte quello che loro dilapidavano e seguì quel tipo di esistenza fin quando non conobbe Alessandro Zarbi.
'Chez Zazie' era il più lussuoso salotto di incontri della Francia del sud-est, secondo solo a Parigi, da dove confluivano le più belle cocottes reclutate in Francia. Si trattava di un locale notturno dove, oltre agli spettacoli di striptease, si poteva avvicinare la bella maitresse con la quale svolgere le trattative che avevano due sbocchi, dopo aver pagato una bottiglia di champagne al prezzo di duemila franchi: o farsi trovare la ragazza nei pressi dell'albergo oppure andare a farle visita al suo domicilio. Il sistema era sicuro, poiché non intercorrevano accordi per telefono e non c'era pericolo di essere perseguiti per prostituzione. Chiunque era libero di suonare alla porta di un appartamento o di incontrare una bella ragazza nella hall o all'American Bar di un albergo di lusso.
Avvenne che Louis s'incontrasse con una bella bionda davanti al suo albergo e che nello stesso tempo, per errore, arrivasse Massimiliano, il quale avrebbe dovuto raggiungere la sua ragazza in un appartamento in Rue d'Antibes. Max fu conquistato dai modi cortesi di Louis il quale, capito al volo l'equivoco, ebbe la gentilezza di offrire la sua camera e la ragazza, dicendo in italiano al suo interlocutore che non si esprimeva bene in francese, che per lui sarebbe stato più facile, conoscendo bene la città, raggiungere la seconda cocotte.
Da quella sera i due divennero amici e, infine, conosciuta la storia di Louis, Max gli offrì, oltre ad una solida amicizia anche l'impiego, accettato dal nobiluomo decaduto con rattenuto entusiasmo.



Soddisfatto sia del nuovo impiego sia del relativo stipendio, che Max gli aveva raddoppiato rispetto a quello che fino ad allora aveva percepito, dopo il trasferimento a Roma, Louis incominciò dapprima a soffrire di una leggera smania da intrappolamento. Non gli mancava, sia chiaro, pure qualche ragazza seducente che nella Città Eterna si offriva con una certa facilità a uomini affascinanti come lui, il quale aveva la compiacenza di invitarla a cena in un ristorante di lusso e la ospitava per quella serata malandrina in una suite di un albergo a cinque stelle, tuttavia anche quei sollazzi gli erano diventati routine. Come pure la misoginia di Max, il quale in pratica limitava al massimo le uscite, fatti salvi i frequenti viaggi.
Per trasformarsi, con il tempo, in un'insofferenza acuta che lo stava deprimendo. Roma non era la Costa Azzurra dove gli insistiti raggi del sole si mescevano con il gradevole odore della salsedine carica di iodio. Né vi si svolgeva quella vita mondana disponibile per tutti coloro che avessero i mezzi finanziari per viverla, mentre nella capitale italiana la vita sociale era intesa a comparti stagni e solo per certe elites che, sebbene criticate per la loro eccentricità ed esclusività, prosperavano grazie all'immissione di quei politici che, non graditi nei vari talk-shows televisivi, esprimevano la loro corta cultura nei vari salotti più o meno scicchettosi. E, infine, dove si poteva andare, una volta fuori del circondario romano? Solo presso quel vasto reticolo urbano denominato "I Castelli", costituito da una ragnatela di vari paesotti ameni sulle colline, dove la gente si esprimeva in un gergo romanesco, ritenuto dai soliti sprovveduti simpatico, quando invece era pesante e laido per la sua spudoratezza, che niente aveva da spartire con la lenta e ariosa cantilena dell'argot della bassa Provenza?
No, non era cosa. Se per Louis il lungo soggiorno romano non si poteva dire che lo rendesse infelice, sarebbe appropriato dire che era basito e deluso. Il primo anno della sua nuova destinazione era trascorso come in un soffio. Max non aveva fatto altro che viaggiare, portandolo sempre con sé. Due volte a Parigi, una a Vienna e, ultima destinazione estera, New York, da dove era quasi fuggito solo dopo un giorno e una notte di permanenza. Louis non gliene aveva chiesto la ragione, ma aveva sospettato gli fosse accaduto qualcosa di molto spiacevole durante quella breve assenza, per la quale Max gli aveva chiesto di attenderlo in albergo appena due ore.
Né potè, Louis, per sola induzione, riuscire a sbrogliare il nodo di quel mistero. Benché conoscesse molto bene il suo amico-datore di lavoro, il quale non gli aveva fatto intendere, sia pure con velate allusioni, cosa lo aveva indotto a fuggirsene dalla metropoli americana, il discreto maggiordomo si guardò bene dal formulare anche una qualsiasi allusione sull'accaduto. Tuttavia, ad avvalorare una sua tesi molto fantasiosa, da quel giorno in poi non si presentarono più alla porta le modelle ospiti di una serata ma, dopo una ventina di giorni lo stesso Max, cosa che non era mai accaduta, aprì casa con la sua chiave.
Louis, sempre in allerta come un nume tutelare, era già nell'ampio vestibolo e con sua somma meraviglia - interiore, beninteso - si vide davanti Max con in mano una preziosa valigia in pelle e, al suo fianco, bella come una dea, un'elegante donna - non ragazza - dai modi imperiosi, giacché gli fece un chiaro cenno con gli occhi, di togliere il suo padrone dall'imbarazzo del bagaglio e di raccogliere il bel coordinato beauty che lei aveva appena posato per terra.
Non abituato a cose del genere poiché, oltre che maggiordomo della fastosa abitazione, Louis era anche amico e confidente di Max, sebbene dalla fuga da New York l'amico-padrone si fosse mostrato freddo e poco comunicativo, senza battere ciglio prese i due bagagli ed, evitando di chiedere dove, li depositò nella camera padronale e lì restò il tempo per essere raggiunto dai due. Che non si fecero vivi, per cui dopo qualche breve minuto di ponderate riflessioni, si accinse a tornare nel vestibolo, dove venne incrociato dalla donna nell'ampio salone, la quale, seppure con molta educazione, quasi lo redarguì.
Signor Louis, non le pare le ci sia voluto un po' troppo per posare le valigie nella nostra camera?"
"Nostra, signora?"
"Sì, certo. Mia e del signor Zarbi."
"Chiedo scusa. Non sapevo…"
"Che siamo sposati, vero?"
"Sposati?" fece Louis con un'espressione che più che meraviglia, mostrava irritazione. Aveva gli occhi semichiusi e le labbra appiattite. E, prima che la donna riuscisse ad articolare una delle sue parole sprezzanti, si diresse immediatamente nel salone dove sapeva c'era il suo amico. Fece scorrere l'elegante porta di cristallo che lo divideva con l'ampio vestibolo, chiudendola con un giro di chiave per timore che la 'signora' potesse interloquire tra i due.
Max stava almanaccando, ma solo per darsi un contegno, nel mobile bar pieno delle più svariate bottiglie di liquore, di champagne e di vino, non riuscendo a decidersi quale mescere e quale bicchiere utilizzare, dato che lo cambiava in continuazione.
Nell'avvicinarsi, Louis, ben più pratico del suo principale, depose sul polito banco due coppe, riuscendo con perizia a stappare una bottiglia di Mumm e versarne il contenuto nei due bicchieri. Poi, guardando fisso negli occhi di Max, rimasto ammutolito ad osservare la scena, gliene porse uno e, con un'espressione che niente aveva del divertito, atteggiamento usuale quando si brinda a qualcosa, disse: "Brindiamo alla mia partenza, caro Max, anzi signor Massimiliano Zarbi, anzi ancora, signor padrone…"
"Co… cosa stai… dicendo?" riuscì a dire Max, nemmeno portandosi l'orlo del bicchiere alle labbra, mentre Louis aveva già vuotato la sua coppa.
"Che me ne vado, signore. Mi licenzio e spero che lei e sua moglie mi diate il tempo di fare i bagagli."
"Io… non vedo la ragione… Louis, ma che mi stai dicendo?"
"Che adesso sono di troppo, per cui…"
"Ma che di troppo! Ora che ho più bisogno di te…"
"Dai retta a me, caro Max. Ci terremo in contatto più spesso di quanto immagini. Devo sbrigare con urgenza qualche affare di famiglia."
"Ah, bene!" esultò Max che, a quella notizia, bevve anche lui lo champagne e stava per rimescerne ancora, quando Louis con cautela gli pose la mano sul braccio, dicendogli: "C'è la tua signora… moglie vero?... che vuole entrare. Vado ad aprirle.
Cosa che fece subito e, con innegabile classe, accennò un inchino all'altera donna e le cedette il passo. Poi, quasi furtivamente ma nello stesso tempo agitando il braccio verso Max a mo' di saluto, si eclissò.



Non aveva recriminato Massimiliano Zarbi, Max per gli amici. E ne aveva avuto ben donde, giacché neppure al suo più intimo confidente - e in quel caso l'unico era Louis - aveva voluto confessare quel congiungimento frettoloso, benché non ancora matrimonio con la donna che, purtroppo, era diventata la padrona della sua vita. Ma era stato, come al solito, molto generoso. Aveva firmato un assegno, tratto su una banca di Montecarlo, di cinquantamila euro. Una cifra modesta, a suo parere, ma aveva calcolato che Louis non ne avrebbe accettata una superiore, dato che aveva concesso al suo mai abbastanza apprezzato maggiordono-amico di vivere in tutta tranquillità e per un tempo indeterminato nella Costa Azzurra, in conderazione del fatto che gli aveva concesso in comodato d'uso del tutto gratuito, il suo magnifico appartamento in Rue d'Antibes a Cannes.
Dove Louis s'installò con notevole soddisfazione, perché conosceva bene quell'appartamento, testimone, più di una decina di anni addietro, delle prodezze erotiche di Max e, alcune volte, anche delle sue. Non ci fu bisogno nemmeno di acquistare qualche suppellettile. Max vi aveva lasciato tutto, salvo i suoi indumenti personali, ma non essendo stati ricoperti i mobili come accade sovente quando si lascia un alloggio per molto tempo, Louis dovette rivolgersi a una ditta di pulizie affinché gli rendesse l'appartamento abitabile. Cosicché, ricco del corposo assegno ricevuto ma, soprattutto, del peculio che aveva tesaurizzato durante il suo lungo soggiorno a Roma, si concesse una serata particolare. Una di quelle che aveva trascorso con Max al tempo in cui entrambi non pensavano ad altro.
Max, nome confidenziale per gli amici e per i tanti compagni di innumerevoli avventure, ritornato al suo anagrafico Massimiliano Zardi, uomo di mezzetà, ricco di esperienze esotiche che niente avevano a che fare con la vita borghese che si viveva in Europa, straricco di denaro tanto da non saperne che fare, adesso, dopo essersi affermato come uomo rude e avventuroso, si trovava sotto l'influsso autoritario di una bella signora più giovane di lui di almeno ventanni, costretto a vivere sotto lo stesso tetto e senza la compagnia illuminante e rassicurante del suo amico-maggiordomo. Incarico questo solo per giustificare la sua presenza in casa e per corrispondergli un emolumento. In caso contrario, questa amicizia casalinga, avrebbe potuto essere interpretata dai soliti maligni come omosessualità.
L'altro, Louis Bertrand Fortuné eccetera, deluso da una nascita sull'orlo precipitevole di un'antica nobiltà, giammai decaduta in Francia malgrado le conseguenze dell'Illuminismo, ma nel suo caso inesorabilmente povera di mezzi economici perché i suoi epigoni mai si erano voluti impaniare in un impegno lavorativo che li rimpinguasse lautamente, ormai ricco di esperienza e dell'acquisizione di una filosofia di vita che ben si attagliava al suo vivere quotidiano, ora si sentiva libero come un fringuello nel soggiornare nel suo mondo preferito: la Costa Azzurra. Dove conosceva molta gente e qualche amico. Di quelli che si frequenta saltuariamente, ma che non ci si illude mai possano sacrificarsi per te e ti possano dare quel conforto come gliel'aveva dato Max. In specie quando, durante i frequenti viaggi in Europa, gli raccontava via via una delle sue tante avventure, talmente avvincenti da stuzzicare l'interesse di Louis nel sollecitarlo a scriverne un libro. Ma tutto finiva lì o, meglio, ogni volta gli rimaneva il sapore gradevole di quel racconto esotico che, almeno per la durata del racconto, faceva vagare la sua mente in mondi fantastici che lo affascinavano, rendendo la realtà del vivere quotidiano, sia pure nella dorata Costa Azzurra, una cosa di una futilità senza pari.
Eppure c'era qualcosa che aveva legato i due uomini e che, come il magnetismo terrestre che tiene avvinta a sé la Luna, così nessuno dei due era convinto che la loro separazione divenisse definitiva. Anche adattandosi al nuovo modo di vivere, ciascuno pensava, sia quando girovagava nelle strade o facendo rientro al proprio domicilio, che vi dovesse ritrovare l'amico perduto.
Ma, in quel periodo, proprio durante la beata esistenza di Louis, ormai diventata routine, qualcosa ruppe la quotidianetà. Una lettera raccomandata ed una prioritaria al suo indirizzo da lui indicato tre mesi prima all'Ufficio Anagrafico di Cannes, quando ne aveva richiesto la residenza.



André Marie Dubois de Feugerolles Notaire à Puilboreau (Charente Maritime). Un nome decisamente nobile come il suo, ebbe a riflettere Louis prima ancora di commentare l'importanza di una lettera da parte di un notaio. Raccomandata, poi!
Non la considerò più di tanto, in effetti. Aveva da tempo perso dimestichezza con gli affari della sua nobile ma indigente casata, pensando si trattasse di una scocciatura che forse reclamava la sua presenza in quella località tanto lontana e prevedibilmente fredda, perché esposta alle continue intemperie dell'Atlantico.
Diede priorità alla lettera proveniente da Roma. Era di Max. La prima che riceveva da lui dopo quasi quattordici anni che era stato al suo servizio. Benché non raccomandata come la francese, quella semplice missiva poteva contenere qualche chiarimento riguardo allo strano comportamento dell'amico-principale e al suo repentino matrimonio con una donna che di primo acchito gli aveva dimostrato un'accentuata ostilità.
La calligrafia non era granché, ma era quella di Massimiliano Zarbi. Di un Max vecchio ben più dei settantaquattro anni che aveva. Incerta e tremolante con una caduta orizzontale alla fine di ciascuna riga. Che non erano molte, tanto che il foglio le conteneva tutte in una sola facciata.
'Ma perché non telefonarmi?' si chiese Louis, dopo avere letto frettolosamente la lettera. 'A quest'ora…'
Ma si morse il labbro. Sapeva che Max non commetteva sciocchezze e se aveva voluto comunicare con lui in quella maniera, una ragione doveva esserci. E, infatti, lo scoprì girando il foglio. In basso a sinistra c'era il recapito di una casella postale in un ufficio periferico della città di Roma.
Gli rimasero impresse quelle poche parole che erano il nucleo principale della missiva, dato che il resto era dedicato alle solite banalità sullo stato di salute di entrambi.
""Ho necessità di incontrarti. Se sei d'accordo, scegli tu la data, ma rispondimi solo per lettera. Grazie.""
Nel calcolare che tra l'arrivo della sua risposta e l'incontro con Max sarebbe trascorsa almeno una settimana, Louis decise di togliersi la sgradevole incombenza di recarsi a Puilboreau che, come aveva scoperto informandosi su Google Maps, era una cittadina satellite di La Rochelle. Dopo aver telefonato al notaio Dubois per un appuntamento di lì a due giorni, partì in treno per Parigi dove, per evitare di cambiare nello stesso giorno dalla Gare de Lyon a quella di Montparnasse, avrebbe pernottato in albergo in prossimità della stazione di partenza.
L'età e la mancanza di uno stipendio, nonostante potesse contare su un buon gruzzolo, avevano reso parsimonioso Louis, per cui viaggiò sul TGV in seconda classe e pernottò un un dignitoso albergo nella zona di Montparnasse a meno di cinquanta euro a notte. Né si permise di cenare in un buon ristorante com'era abituato quando viaggiava con Max, ma si accontentò di un bistrot dove consumò un menu a prezzo fisso.
Imbarcatosi sul primo treno veloce del mattino, arrivò a La Rochelle un quarto d'ora prima di mezzogiorno e dovette sciropparsi mezzora di autobus che per fortuna si fermò davanti all'Hotel Campanile di Puilboreau.
Durante il viaggio in treno aveva fatto i suoi calcoli. Malgrado il suo naturale ottimismo, era sempre convinto che l'incontro con il notaio alle quattro di quello stesso pomeriggio, sarebbe stata una gran seccatura. Tuttavia aveva messo in conto anche un qualcosa di gradevole, come un piccolo lascito che, perlomeno, lo avrebbe ripagato sia delle spese che della fatica. In quel caso si sarebbe concesso un pranzo signorile in un ristorante che aveva adocchiato nella stessa via nella quale si affacciava la sua camera.
Recitate le noiose premesse dottorali del testamento, Louis apprese che suo zio Ajmone Danjou de Pressange, di cui non aveva avuto notizie da oltre ventanni, allietato dopo il matrimonio dalla nascita di un unico erede, scomparso all'età di dieci anni per una meningite folgorante, non aveva più avuto figli e, deceduta sua moglie cinque anni dopo, non aveva pià voluto sposarsi, ritirandosi in una vecchia villa nelle campagne nei dintorni della cittadina di Puilboreau dopo avere venduto il suo lussuoso appartamento di Avenue Roch a Parigi.
In pochi preamboli, mentre il cuore gli martellava in petto, Louis Fortuné de Pressange stava apprendendo dalle parole pronunciate con tono nasale dal notaio André Dubois, di essere diventato l'unico erede delle sostanze del poco amato zio Ajmone, senza eredi diretti, neppure tra il fratello e le due sorelle, l'unico parente rimastogli, essendo proprio lui, il nipote, che lo zio Ajmone aveva educato a sapersi comportare in società. Senza un costrutto immediato ma, chissà per quale presaga ragione, a godersi il frutto di tanta ricchezza gelosamente conservata in vita, al contrario dei genitori del suo discepolo, imprudenti scialacquatori dell'avito patrominio. E così Louis diventava proprietario di consistenti beni composti in massima parte dalla citata proprietà immobiliare composta dalla villa padronale - come meglio definita dai vignaioli, pardon vinificatori francesi: CHATEAU - con contorno di quaranta ettari di terre variamente coltivate compresa un'enorme vigna a ridosso di una collina dal dolce declivio opposta all'ovest e a - cosa che gli scatenò la fantasia - di congrui investimenti mobiliari e riserve in oro, sotto forma di monete francesi, conservate in quattro cassette distribuite in due banche parigine. Il tutto, ad esclusione delle proprietà immobiliari che non potevano essere oggetto di valutazione da parte del funzionario-notaio, che guarda caso ora gli stava diventando simpatico, per un valore provvisorio di venti milioni di euro, poiché, considerata la situazione contingente scatenata dai bond spazzatura degli Stati Uniti, il metallo prezioso presto sarebbe esponenzialmente aumentato di valore.


Dimentico del prossimo arrivo di Massimiliano Zarbi perché tutto preso dall'euforia dell'inaspettata eredità, Louis si era attardato a soggiornare a La Rochelle, nel migliore albergo della città e, ovviamente, aveva cenato in un ristorante sopraffino, dando fondo a quasi tutto quello che si era portato nel portafogli. Il ritorno, quindi, fu molto più sbrigativo dell'andata, avendo preferito l'aereo al treno, pagando pure il doppio. Arrivò all'aeroporto di Nizza in più di tre ore di viaggio, maggior tempo impiegato per il cambio di aeromobile a Parigi. Dove sarebbe tornato al più presto per visionare il contenuto delle cassette di sicurezza, lo stato dei conti correnti e degli investimenti mobiliari. Intanto aveva dato incarico a un importante agente immobiliare della città fortificata di trovargli un acquirente per lo 'chateau'. Figurarsi se lui, abituato al sole e alle calme brezze della Costa Azzurra, avrebbe mai vissuto in quelle zone fredde e umide che contornano l'instabile oceano.
Se quando aveva ricevuto la lettera di Max, tutta la sua attenzione si era accentrata su quella inaspettata visita, foriera di gradevoli novità, la più importante delle quali, almeno così sperava, sarebbe stata l'annuncio del divorzio da quella… quella virago che si era portato dall'America, nel momento in cui aspettava il treno che lo riportava a Cannes, tutta la sua concentrazione si accentrò su cosa fare della montagna di denaro ereditato. Prima di tutto, dato che per un'irragionavole superstizione non voleva intaccare il suo capitale impiegato in titoli di stato, avrebbe prosciugato il conto corrente il cui montante, però, non gli avrebbe consentito - specie ora che si sentiva ricco - di viaggiare in prima classe né di fare il signore alla sua maniera, finché non avesse incassato da una delle due banche un congruo importo in denaro contante per fare fronte al suo soggiorno nella Capitale, che prevedeva abbastanza lungo e dispendioso. Oltre ad essere un buon gourmet, era anche un raffinato nel vestirsi per cui, per frequentare certi rinomati ristoranti e locali di lusso, voleva indossare quanto di meglio la moda imperante proponeva alla gente ricca ed elegante. Un abito o un completo per ogni serata. E, poi, le donne… l'avrebbe scelta una delle più belle ed eleganti segnate nell'agenda segreta di madame Roux, titolare di un esclusivo salotto letterario nel sedicesimo arrondissement.
'Ma che diamine è venuto in testa a Max di venirmi a trovare… proprio in questo periodo. Cribbio!' ebbe ad esprimere l'aristocratica intieriezione tra sé il buon Louis il quale, ora che si sentiva ricco come un Creso, disdegnava tutti i suoi simili ricchi come lui… o, anche di più, dato che il prossimo contatto con l'amico, suo ex datore di lavoro, lo avrebbe fatto sentire di nuovo un meschinello. Ora non gli sarebbe interessata più alcuna proposta di collaborazione né che Max si fosse liberato da quell'ormai dimenticata, quanto antipatica entità femminile con la quale era venuto in contatto nemmeno troppo invasivo a Roma.
Tuttavia decise di attendere l'arrivo dell'antico amico-padrone, giacché oltre al cospicuo lascito dello zio Ajmone, dallo stesso in tempi remoti aveva ricevuto un'educazione di primordine e non si sarebbe mai perdonato di non avere rispettato un comportamento che non fosse cavalleresco e gentile.
Un uomo ricco come Max, anzi straricco, non poteva non permettersi di raggiungere Cannes a bordo di un jet executive, atterrando all'aeroporto di Mandelieu. Prenotarne uno dei più moderni, a Roma, era una cosa facile. E Louis si era preparato a noleggiare una lussuosa auto pubblica per andarlo a ricevere. Già si immaginava quanto il suo ospite avesse disdegnato alloggiare nell'appartamento di sua proprietà, preferendo riservare una suite in uno dei tanti alberghi di lusso che si affacciano pretenziosi sulla Croisette.
Niente di tutto ciò.
Mezzora prima che il treno proveniente da Ventimiglia facesse scalo alla stazione di Cannes, Max gli telefonò sul portatile sconvolgendo i suoi piani, obbligandolo a dare il contrordine all'autista di dirigersi verso la stazione ferroviaria della città festivaliera, riuscendo ad accogliere l'amico, nel momento dell'ultimo stridio di freni del convoglio ferroviario.
Non ci furono espressioni di giubilo tra i due, bensì una seria quanto leale stretta di mano e un'intesa che si scambiarono con gli occhi. Del resto, non ce n'erano mai state durante gli oltre quattordici anni di convivenza, poiché si era sempre trattato di un'amicizia vera e rispettosa dei diversi ruoli.
"Lascia stare, Louis, la porto io," disse Max nel momento di riprendere l'elegante valigia in cuoio naturale appena posata sul pavimento della pensilina. "Non sei più al mio servizio. Siamo allo stesso livello, ora."
"Be' Max, era solo per farti una cortesia," rispose Louis. Ma un'immediata riflessione, gli fece soggiungere: "Stesso livello… che modo di parlare, Max. Non ci sentiamo da tanto tempo, ormai. Come fai a parlare di livello, proprio tu che sei molto ricco?"
"Anche tu, Louis," replicò l'italiano. "Anche tu…"
"Davvero?" fece Louis che aveva mangiato la foglia e voleva sapere dove Max volesse andare a parare. "Il tuo sapere è imperscrutabile oppure tiri a indovinare?"
"Sei ricco Louis. Non hai per caso ereditato dal tuo zio di cui mi avevi sempre parlato? Mi pare un certo… aspetta, aspetta… forse Ajmone…"
"Dubois-Cotin," concluse la frase Louis Fortuné de Pressange. "Ma tu come lo sai?"
"Lo sapevo da molto tempo o, per essere più preciso... l'ho immaginato. Ma forse è meglio che tu ci arrivi per deduzioni."
"Sarebbe a dire?" chiese Louis che si stava innervosendo. Si erano già accomodati sulla lussuosa berlina e, non avendo Max indicato dove dirigersi, lo stesso Louis comandò all'autista di condurli presso la sua abitazione. "Penso che per sbrogliare questo mistero dovremmo parlare molto, per cui sarà meglio riprendere il discorso quando saremo a casa.
Casa. Parola indovinata per definire quell'appartamento di proprietà di Max, ma che lui occupava in comodato gratuito, come la loro abitazione. Per rinforzare il senso di un'amicizia talmente datata da considerarsi coinquilini di uno stesso domicilio.


"Forse ti sei dimenticato da dove io provenga, caro Louis," prese a dire Massimiliano Zarbi, una volta accomodatisi nel salottino davanti a due flutes di champagne a metà piene. "La mia esistenza avventurosa, il quotidiano rischio della vita o del carcere - il che sarebbe stato anche peggio - o, addirittura l'handicap della perdita di qualche arto, mani o gambe. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto ero consapevole dei rischi che correvo, ma la mia mente era rivolta alle ricchezze che avrei ottenuto in cambio. Per cui, sempre con molta circospezione e massima prudenza agivo di concerto con un mio aiutante in tutte le operazioni che avevamo concordato, avendo destinato due altri nostri compagni a guardarci sempre le spalle. Prima di ogni azione pericolosa studiavamo assieme una via di fuga o di riparo in caso di malaugurati imprevisti. E ce ne sono stati, ti assicuro. Una volta salvai la vita al mio compagno di punta e, purtroppo, due volte lui la salvò a me. Magari fossi morto…"
"Ma che stai dicendo, Max…"
"Ne sto pagando le conseguenze, caro amico," rispose mesto Massimiliano. Che, quasi per contenere la commozione, afferrò il bicchiere, si alzò e dopo avere sorseggiato lentamente il vino, facendo segno a Louis di non alzarsi a sua volta, soggiunse con fare pacato: "Ti ricorderai senza dubbio l'ultimo viaggio che abbiamo fatto assieme a New York…
"Certo, e ancora…"
"Ti stai chiedendo la ragione per la quale ti ho indotto a partire la sera stessa. Un inconveniente grave da parte mia, visto che era la prima volta che approdavi in quella metropoli. Me ne dispiace per te, ma non potevo farne a meno."
"Un rigurgito del passato, vero?" si permise di affermare Louis, il quale aveva capito che tutto ciò avesse avuto a che fare con l'arrivo inaspettato della moglie di Max. "Ti incontrasti con quell'elegante signora con la quale ti sei sposato."
"Non ho passato tutta la mia vita tra i pericoli per sposarmi. A questa età, poi!" rispose Massimiliano per niente irritato. Quella era.. era…"
Un momento di sospensione dovuto più all'espressione di incredulità che mostrava il viso di Louis.
"Vedo che da tutti i tuoi intimi interrogativi e induzioni, caro Louis, non ti era mai passato per la mente che non fosse mia moglie."
"Ma se me l'ha pure detto!" esclamò l'ex maggiordomo.
"Ciò non dimostrava, però, la realtà."
"Potevi pure dirmelo… Max."
"Così saresti rimasto. Eh, no mio caro."
"L'hai fatto apposta, allora, per liberarti di me."
"Esatto," fu la risposta asciutta di Max.
"Non riesco capire il perché. Eravamo amici…"
"E lo siamo tuttora, caro Louis," rispose Max non nascondendo un risolino.
"Mi rifiuto di continuare a chiedertene il perché come fanno i bambini. Ti piaccia spiegarti meglio," replicò asciutto.
"Ti avevo messo sulla strada giusta, ma ti sei fatto sviare dalla curiosità, proprio come i bambini. Tuttavia, accolgo la tua legittima richiesta, non con le solite premesse all'italiana, ma iniziando dal principio. Dunque…" disse Max, che approfittò della breve pausa per scolare la restante metà del contenuto del suo bicchiere.
"Come ti dicevo, quel mio socio con il quale ho diviso tante avventure, aveva un vantaggio su di me: gli dovevo per la seconda volta la vita. A New York mi ha fatto pagare pegno. Ha voluto che mi accompagnassi alla sorella e dividessi con lei, oltre la convivenza, anche il benessere. In parole povere, potevo anche non sposarla, ma dovevo farla vivere negli agi di una famiglia ricca, in Italia, Paese da lei molto ambito, soprattutto per allontanarsi dal fratello che godeva di cattiva fama in patria. Lui non lo poteva più fare, poiché gli era rimasto di che vivere dignitosamente, avendo perso sia al gioco che in speculazioni sbagliate quasi tutto il capitale accumulato in tanti anni di vita randagia e pericolosa. Viveva sulla lama del rasoio e non poteva lasciare lo Stato perché aveva alcune pendenze giudiziarie che, forse, lo vedranno presto ospite di qualche prigione di contea.
"Ma tu l'hai sposata, dunque," rispose con voce neutra Louis. "Si è appena degnata di dirmelo per trattarmi, poi, come l'ultimo dei tuoi servi."
"Me ne dolgo amaramente. In effetti si è dimostrata per quello che è: una virago, autoritaria e superba, cosicché…"
"Sei venuto a trovarmi per consolazione, dunque…"
"Macché. Louis. L'ho lasciata, non avendola mai sposata," replicò l'italiano. "E per sempre."
Max si rimise a sedere e all'offerta di Louis di riempirgli il bicchiere, oppose un gentile rifiuto. Poi, infilando la mano nella tasca interna della giacca, ne trasse uno spesso incartamento piegato in quattro. "Ecco il contratto," disse in tono poco trionfale. "Ho dovuto intestarle l'appartamento oltre al cospicuo investimento in CCT italiani al quattro per cento che le garantiranno una rendita annuale di docici milioni di euro per dieci anni. Tanti quanti avevo sperato di campare, io…" concluse stancamente.
"Ma che dici, Max…"
"Cosa credi, che alla mia età, io possa sperare in qualcosa di meglio? Sto andando per i settantaquattro e tu nei hai appena compiuti sessantadue, cosa ci aspettiamo, eh?"
"Non capisco," fece Louis con un'intonazione nella voce che rivelava la sua nuova posizione economica.
"Non capisci?" replicò acido Max. "Perché, pensi sempre alle donne, alla vita spensierata sulla Costa Azzurra, visto che hai ereditato una fortuna? Il denaro adesso ti servirà a vivere senza alcuna preoccupazione né di andare a servizio di chi ti potrà mantenere. Ma alla tua età, dai! Cosa ti aspetti?""
"Veramente non ho mai pensato di trovarmi un'occupazione, io," rispose Louis un po' piccato.
"Perché no? Secondo te, quanto sarebbero bastati i soldi che ti ho dato e quelli che avevi tesaurizzato? Un bon viveur come te."
"Mi stai proponendo di ritornare al tuo servizio, per caso?"
"Stammi bene a sentire, amico mio," disse Max, che non aveva più voglia di tergiversare. "So benissimo che non lo faresti ed io ho brigato affinché tu non accettasi di farmi da maggiordomo."
Ci fu un lungo minuto di pausa, laddove i due uomini si guardarono intensamanete negli occhi, ma non pronunciarono una parola. Poi Max, riprese il suo discorso.
"Credi davvero che tuo zio Ajmone, toccato durante la tua giovinezza più nel suo senso del decoro aristocratico che dell'affetto per un nipote sfortunato come te, oltre a farti impartire una buona educazione, morendo, ti avrebbe lasciato tutti i suoi beni?"
"No, ma si dà il caso che sia sopravissuto alla moglie, al figlio e ad altri. Non gli era rimasto che un nipote, cioè io."
"Non ti conoscevo così ingenuo… Louis."
"Cosa stai insinuando, Max," rispose il francese punto sul vivo. "Che sono bugiardo, per caso?"
"Ci mancherebbe, amico. Io ti stimo molto e non sarei qua se non gradissi la tua compagnia. Ma, concedimi, se non altro per la mia età, di considerarti, benevolmente, un po' ingenuo. E' una cosa bella, credimi. A sessantadue anni, avere ancora uno sprizzo di ingenuità o credere ancora alle fate, non è negativo. Significa avere molta voglia di vivere ed essere imperdonabilmente ottimisti."
"Be', io lo sono e adesso che sono ricco, vedo dischiudere davanti a me ampi orizzonti."
"Bello. Ma per me, e anche per te, credimi, non gli orizzonti, mio caro, ma l'orizzonte della vita, si è fatto corto, cortissimo. Per questo sono da te e…"
"E… cosa?"
"Ascoltami, ancora per qualche minuto. Dunque…" fece Max che, questa volta, senza che l'amico lo sollecitasse, si versò da solo lo champagne. "Si è scaldato un poco… ma va bene," intervallò deglutendo una lunga sorsata. Poi senza preamboli, iniziò a dire: "Tuo zio Ajmone è morto povero. Più povero di te quando hai iniziato la tua esistenza qua a Cannes, arrangiandoti con le macchinette mangiasoldi che le sciocche ricche vedove ti lasciavano pregne di monete. Mi hai sempre raccontato tutto di te, per cui, dopo il pessimo viaggio che avevamo effettuato assieme a New York, ho provveduto a salvaguardare il mio e tuo futuro. Ho riscattato tutte le ipoteche che gravavano come spade di Damocle sulle antiche proprietà terriere dei Dubois-Cotin, risarcito tutti i debitori, comprese le tue banche parigine presso le quali ho riacceso i conti, sempre a nome di tuo zio, riempiendo nel contempo anche due capaci cassette di sicurezza di monete d'oro, Luigi e Napoleoni, tanto cari a voi francesi. Obbligando tuo zio a redarre, di fronte al notaio…. Il testamento che ti ha nominato erede di tanta fortuna. Ho pagato anche le tasse di successione, cosicché ora ti ritrovo ricco, tanto da non avere alcuna preoccupazione per il futuro."
Louis, da quell'uomo di mondo che era, non diede in esclamazioni né sgranò tanto d'occhi per la sorpresa, tuttavia gli ci volle un buon minuto per assorbire la sua iniziale incredulità, ma riuscì a dire con pacatezza: "Tutto ciò per che cosa, Max?"
"Per sostenerci entrambi fino al giorno in cui, spero io per primo, me ne andrò. Se ti va, vivremo insieme come amici alla pari , libero ciascuno di condurre la sua esistenza come meglio gli aggrada, ma vicini uno all'altro. La convivenza per quasi quattrordici anni assieme. Mi ha convinto che, ormai sull'orlo della vecchiaia, la presenza dell'uno con l'altro non potrà che allietarci quello che ci resta da vivere."

 
Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati
 
Contatore visite dal 6 giugno 2011