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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri
Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta,
Il grande drago giallo di Alessio De Luca,
Max e Louis di
Gianfranco Meneghini,
Texel tre di Gianfranco Menghini
Poesia italiana
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Andrea Cantucci,
Iuri Lombardi,
Lorenzo Spurio,
Giovanni Trani
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Manuela
Léa Orita
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed
Espiazione, una analisi ravvicinata di due
grandi romanzi della letteratura inglese" di
Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio
Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di
Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci,
nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio
Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di
poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione
di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)"
di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di
Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci,
recensione di Lorenzo Spurio
Interviste
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Texel
Gianfranco Menghini
Il generale Antonio Gader era
stato invitato dalle alte sfere del governo a
procrastinare la sua richiesta di collocamento a
riposo e rimanere in servizio attivo. Texel, invece,
no. Le sue, questa volta, erano dimissioni
irrevocabili da incaricato part-time, giacché da
tempo era in pensione. Quella lettera di Aonghas,
che aveva svelato il mistero dell'uomo ucciso
accanto al corpo senza vita di Marianna Roccherder,
l'aveva scoraggiato. L'anziano commissario aveva
svelato quel fatto, per lui vergognoso, solo al suo
amico generale, ma con un fare talmente dimesso per
lo smacco subìto, l'unico della sua lunga attività
di investigatore, da indurre il suo superiore ad
affermare che nessuno sarebbe stato in grado di
capire, mancando qualsiasi riferimento, che un
poliziotto ausiliario scozzese destinato a fargli da
autista, avesse potuto essere l'autore di un
omicidio del genere. Né era noto che la di lui
figlia fosse stata vittima di un efferato stupro,
salvo i due anziani contadini che l'avevano
soccorsa, implorati però dalla stessa a mantenere
quel fattaccio nel più stretto riserbo.
A stemperare la malinconica nostalgia dell'anziano
commissario, fu l'arrivo della primavera,
coincidente con l'addio definitivo al servizio per
conto della Polizia Militare.
E' indubitabile che i tenui colori, lo spuntare
delle gemme sugli alberi, l'allungamento delle
giornate soleggiate, in specie quella in cui il
calore del sole risveglia l'attività degli animali
che abitano i fitti boschi delle colline, sia stato
da sempre l'argomento preferito degli antichi
scrittori e poeti. Ma al giorno d'oggi, non si dà il
caso ripetere le stesse parole, poiché di nuove non
ne sono state ancora inventate, usate fino al
logoramento, per descrivere il mondo che ci
contorna, quando le immagini fotografiche e i
filmati lo rendono, ad esclusione della poesia più
ispirata, molto più di certe definizioni ritenute a
torto 'divine'? E' meglio lasciare alla fantasia del
lettore l'immaginarsi a suo piacimento la
situazione, i colori variegati dei fiori in boccio e
il risveglio dal torpore invernale degli scoiattoli,
dei ricci, dei topolini e di tutti i piccoli,
graziosi e utili animali del bosco.
Giusto, proprio il bosco, la macchia folta e tutta
la vegetazione che dalle falde del fiume Ponder si
erano saldati con fitte e intricate radici dentro il
suolo digradante fin sulla cima, maggiormente
sviluppati e infoltiti a partire dalla residenza del
commissario, prima di scollinare, in un bosco di
pini silvestri, lecci, lentischi e corbezzoli. Texel
da un po', trascurando a volte la pesca sul fiume,
se il tempo non era particolarmente favorevole,
aveva deciso diventasse la sua passeggiata
postprandiale, attardandosi sulla cresta della
collina dagli abeti incurvati che quando non era
spazzata dal vento, offriva una vista magnifica
delle lontane creste montagnose, intinte nel bianco
candore della neve eterna delle Alpi svizzere.
E quel giorno di inizio primavera, quando in cielo
rutilava un sole che sembrava che anch'esso si fosse
appena svegliato tanto i suoi raggi arrivavano
blandi e carezzevoli sulla pelle, l'anziano
commissario si sedette su di un masso quarzifero
squadrato dagli eventi atmosferici e si mise ad
osservare compiaciuto il bel paesaggio sottostante.
Non facendosi, però, sviare dalle magnificenze dei
luoghi che ormai, data l'abitudine, guardava con una
certa indifferenza. Il suo pensiero si mise a
vagabondare nel passato più remoto, al tempo in cui
riusciva a sbrogliare i casi giudiziari più
intricati. Era semplicemente una rivalsa per la
defaillance subìta sul recente caso dell'uccisione
del giudice Merain e della scomparsa di Aonghas.
In quel periodo era da poco arrivato nella Capitale,
orgoglioso e soddisfatto della promozione a
ispettore a tre stelle, dopo una dura gavetta nelle
province più remote e il passaggio a ruolo di
investigatore principale a Payotte, l'allora paesone
ora trasformatosi in una città di rango, essendo
diventata la seconda in ordine di grandezza, dopo la
Capitale della più mitteleuropea nazione di
appartenenza.
Sua moglie ne era soddisfatta. Finalmente, dopo anni
di sacrifici e di alloggi militari raffazzonati alla
bell'e meglio per abbellire i quali non gli era
venuta neppure la voglia di acquistare un mobile
qualsiasi, tanto il loro girovagare da una cittadina
all'altra non finiva mai, ecco profilarsi una sede
stabile, grazie alle indubbie capacità del marito
ma, anche, alla chiamata in servizio del suo antico
compagno di studi, Antonio Gader che, arrivato al
grado di generale a tre stelle, era stato nominato
sottocapo di tutte le forze militari nazionali,
polizia inclusa.
Texel non aveva ricusato quella preferenza, in
considerazione del fatto che sapeva si sarebbe
concretizzata di lì a poco, il suo avanzamento di
grado male adattandosi in una cittadina sonnacchiosa
come Payotte. E là, prima alloggiati in un
appartamento dignitoso, sia pure arredato in maniera
piuttosto spartana, messo a disposizione
dall'amministrazione militare, era nata la loro
unica figlia Elisa, che aveva assorbito tutta
l'attenzione di sua moglie, cosicché Texel poté
dedicarsi anima e corpo al suo lavoro. Molto più
duro e impegnativo di quello svolto in provincia,
poiché in una metropoli, anche se abitata da una
popolazione rispettosa delle leggi, i marioli e gli
assassini sono sempre presenti come il loglio e i
papaveri lo sono nei campi di frumento.
Fu proprio nel periodo in cui con il denaro messo da
parte in anni di saggi risparmi - senza peraltro
rinunciare agli agi di una vita da funzionario di
stato giustamente ben pagato - che Texel acquistò un
bell'appartamento nel cuore della capitale. Si era
trattato di un'occasione che non poteva perdere,
poiché il proprietario, un ingegnere informatico con
moglie e senza figli, si doveva trasferire a Seattle
negli USA per occupare un posto di direttore nel
reparto avionico della Boeing. Cosicché costui, non
trovando un acquirente nel tempo desiderato per non
perdere il nuovo impiego, aveva praticamente
svenduto il suo appartamento a Texel. Il quale
l'aveva acquistato con un mutuo fondiario a suo
nome, dato che le leggi del Paese non prevedevano la
comunione dei beni tra marito e moglie.
La coincidenza della nascita della bambina e, subito
dopo, il trasferimento nel nuovo appartamento, con
il conseguente impegno per il suo arredamento,
occupò il corpo e la mente di sua moglie, al punto
tale che non trovò per nulla strano che suo marito,
impegnato a investigare su casi piuttosto
complicati, alcuni giorni non rientrasse nemmeno a
casa. Circostanza che con l'andar del tempo diventò
cosa usuale che portò, diversi anni dopo, i felici
coniugi ad un bivio: se continuare a convivere
oppure, dato che lei non lo vedeva quasi mai, salvo
il fine settimana - purché non ci fosse un caso
importante da seguire - se ne sarebbe andata a
vivere altrove. E Texel, da quel fine intenditore
dell'animo umano, sapeva cosa voleva dire quell'altrove'.
Se l'era immaginato, ma poi ne aveva avuto conferma,
che 'altrove' altri non era che un uomo prestante,
più giovane di lui, ricco assai - espressione cara
al suo informatore siculo-immigrato che glielo aveva
confermato - proprietario di un affermato
mobilificio con al momento alcun concorrente del suo
livello.
PRIMO - GLI HORNITER
Una coppia ben assortita, allietata da due figli in
tenera età. La graziosa Eleonor di dodici anni e il
simpatico André di sedici. Lui, il padre, Georges
Horniter, uomo aitante, alto, bello, dal fisico
asciutto. La sua maggiore attrattiva, sempre che ne
avesse bisogno, sono due occhi grigio-azzurri e una
testa fitta di capelli neri come l'ala della
rondine. Di carattere volitivo, malgrado le donne lo
occhieggino con malcelato interesse, è molto
innamorato della moglie Josianne. Bella anch'essa,
di carnagione molto chiara e delicata da non poterla
esporre liberamente al sole, salvo con una
protezione piuttosto alta. Ovviamente bionda con gli
occhi di un celeste chiaro, quasi sfuggenti.
Bellezza nel suo genere, non ha, come il marito, dei
tratti regolari, poiché il suo naso camuso, segno di
un carattere forte e labbra un po' troppo sottili,
sebbene a ogni suo sorriso, ma anche semplicemente
quando parla, scoprono una dentatura perfetta di un
biancore abbagliante, ha la virtù rara di essere
gentile e molto generosa. Una bellezza casalinga,
quindi, per rendere meglio la figura di Josianne che
non rivela, però, la sua grande ambizione. Infatti
svolge la funzione di avvocato di una grande azienda
multinazionale produttrice di apparecchi ad alta
tecnologia, ivi compresi tutti i tipi di computer,
installata da più di quindici anni nella zona
industriale della Capitale, dopo che il gruppo
multinazionale, di cui una finanziaria americana
detiene la maggioranza delle azioni con il resto
diviso tra Italia, Francia e Germania e, per
regolamenti interni, una parte minima - tre per
cento - alla nazione ospitante, ha dato solide
garanzie al governo, che vi sarebbe rimasta per
sempre, pena la perdita di tutte le sue proprietà e
di una sanzione in euro piutto cospicua.
Oltre ad essere un brillante avvocato, Josianne
Pembroter, è l'erede della colossale fortuna dei
suoi genitori i quali, in coincidenza del settimo
anniversario del nipote maschio André, avevano
deciso di cedere tutte le loro quote azionarie della
grande industria di accessori per macchine di lusso
costruite in Germania, dopo avere collocato i loro
dipendenti presso le stesse case automobilistiche.
Non che sia ufficiale, ma si vocifera che la
liquidazione si aggiri all'incirca sul miliardo di
euro, depositata metà in banche del Paese e l'altra
metà, dopo che l'intero capitale, depurato delle
tasse dovute, è stato versato in una banca italiana,
dato che le leggi dell'Europa Unita lo permettono.
Al momento gli investimenti sui titoli dello Stato
italiano sono quelli più remunerativi nell'Europa
più industrializzata, maturando una migliore
rendita, resa più interessante dalla sua bassa
tassazione.
La famigliola, dato che si è ridotta a sole quattro
persone, essendo i genitori di entrambi i coniugi
scomparsi nell'arco tra l'undicesimo compleanno del
primo figlio e il compimento del settimo della
fanciulla. Deceduti pure i genitori di Georges
Horniter per un grave incidente automobilistico,
avvenuto in Italia durante una vacanza a Roma,
causato da un automobilista rumeno semi-ubriaco,
mentre quelli della moglie Josanne avevano seguito
un iter un po' più lungo, tuttavia molto doloroso.
Fulminato il padre da un male incurabile che se
l'era portato via in tre mesi, la moglie affranta
dalla perdita dell'amatissimo marito, con in più nel
cuore l'atroce rimpianto della scomparsa dei
consuoceri, non era sopravvissuta che sei mesi, poi
se n'era andata anch'essa, malgrado l'affetto di
figlia e nipotini, un giorno che discorreva con loro
sul prato antistante la grande dimora Horniter. Una
crisi cardiaca che non le aveva lasciato scampo.
Neppure le cure immediate di un'unità sanitaria
venutale prontamente in soccorso, erano riuscite a
rianimarla. La signora era ormai deceduta con un
sorriso sulle labbra. Forse lieta di avere
rincontrato il suo amato sposo.
I genitori di Georges Horniter, contrariamente ai
consuoceri, non erano ricchi, ma solo benestanti.
Tuttavia in tutta la loro esistenza avevano
risparmiato molto, giacché il padre, Guy si era
ritirato in pensione da un impiego di direttore di
divisione dell'importante dicastero degli esteri,
con una liquidazione e un mensile di tutto rispetto
cosicché, tra i risparmi accumulati in un'intensa
vita di lavoro, il viatico di fine rapporto e il
premio assicurativo del gravissimo incidente,
Georges Horniter aveva anch'esso ereditato una cifra
piuttosto ingente. All'incirca, l'equivalente di una
quindicina di milioni di euro che, ovviamente,
confrontati con l'enorme capitale intestato alla
moglie, erano quisquilie. Sarebbe pleonastico
affermare che ciò li avrebbe messi al riparo per
tutta la vita, sia genitori che figli, compresi
quelli che sarebbero venuti in seguito, dato che gli
Horniter amavano i bambini e non si volevano fermare
solo a due.
Malgrado le loro ricchezze, gli Horniter non hanno
mai ambito di far parte di quell'ambiente esclusivo
che si forma in ogni comunità, laddove la principale
distinzione è, per l'appunto, la ricchezza. Giacché
la cultura non è mai stata vista di buon occhio da
quei consessi, il cui unico scopo, oltre al
cicaleccio serale e notturno, è sempre stato la
vanità la cui parte più ridondante, oltre
all'esposizione per le signore di abiti griffati e
di gioielli rutilanti, è la finanza sempre legata ai
loro personali interessi. Per questa ragione e per
una regola mai stabilita, gli Horniter sono ignorati
da quasi tutta la crema della società, salvo dai
soliti annusatori di peculio, i quali non di raro
interpellano, alternativamente ora il marito e dopo
la moglie, allo scopo di proporre loro affari
strabilianti o, più semplicemente, richiedere un
prestito con la promessa di un rimborso a breve
termine arricchito di corposi interessi.
Texel era stato appena nominato ispettore a tre
stelle, anticamera per la promozione a commissario
di seconda classe e destinato al primo distretto
della polizia militare della Capitale, non ancora
alle dirette dipendenze del suo amico Antonio Gader,
già da tempo promosso al grado di generale a tre
stelle, con mansioni prettamente ispettive presso il
Quartier Generale della Difesa situato nella città
satellite, a una decina di chilometri dal centro
dirigistico-amministrativo della città più
importante della Nazione.
Il nuovo trasferimento aveva segnato per la famiglia
Texel un periodo che se sarebbe esagerato definire
di felicità, perlomeno lo era stato di enfasi
affettiva tra il novello commissario e sua moglie,
la quale attendeva da anni la promozione del marito
ma, soprattutto, il loro definitivo trasferimento
nella Capitale per immergersi in una vita sociale
più brillante, dopo avere vissuto per lunghi anni in
provincia. Sebbene l'ultima, breve destinazione
fosse stata una bella cittadina, Payotte, che si
stava trasformando e ingrandendo, in modo tale da
diventare nel giro di poco tempo il secondo polo più
importante dello Stato, grazie all'insediamento di
parecchie industrie agro-alimentari comunitarie.
SECONDO - LA CAPITALE
Vita sociale… una parola! Nei primi tempi, in
effetti, la signora Texel ebbe diverse occasioni di
espletare la sua passione, giacché da quando suo
marito aveva preso servizio attivo al ministero
militare degli interni, furono d'obbligo le
presentazioni con i suoi superiori, con graditi
inviti a ricevimenti nelle rispettive residenze, un
po' timidamente ricambiati nel modesto alloggio a
loro riservato, ma tutto finì in meno di un mese.
Poi la vita prese il suo tran-tran con solitarie
cene in famiglia, dato che il futuro commissario
rimaneva fino al pomeriggio inoltrato sul posto di
lavoro, tutto preso a consolidare una carriera
gravida di un futuro promettente.
Promettente, è vero… ma oneroso poiché, sebbene
vivessero in un Paese i cui cittadini detenevano il
primo posto nell'Europa Unita per essere i più
rispettosi delle leggi e delle norme in vigore, una
certa delinquenza vi si era attecchita e non mancava
giorno in cui non avvenissero casi abbastanza
eclatanti di truffe, ruberie e anche qualche
efferato omicidio.
E, purtroppo, di una cosa del genere il
commissariato di zona, da cui dipendeva Texel, si
stava preoccupando dopo una telefonata anonima
arrivata mezzora prima. Che aveva annunciato una
notizia che a tutta prima non era stata presa
nemmeno in considerazione, riguardante un componente
della famiglia Horniter, che era stato rapito.
Nessun'altra spiegazione. Il solito mitomane, aveva
dichiarato il sergente Macromer, avendo riconosciuto
la voce di un povero scemo, che ogni tanto faceva
scherzi del genere, nonostante avesse subìto qualche
seria reprimenda e una volta fosse stato pure messo
in guardina per tre giorni.
Ma l'agente Stiller, che aveva registrato la
telefonata, ligio al suo dovere di responsabile del
centralino trasmissioni sia radio che telefoniche,
ascoltato per ben tre volte il messaggio inciso su
nastro, aveva attirato l'attenzione di Texel, che in
quel momento passava dal suo posto di ascolto.
"Capo," disse titubante, "secondo me questa non è la
voce di Berto, sa quello che fa sempre quelle
stupidate al telefono. Dovrebbe essere…"
"Fammi un po' sentire…" chiese Texel, indossando la
seconda cuffia. "Torna a capo e fai girare… vai!"
Anche lui riascoltò la registrazione, poi: "Bravo
Stiller," disse esultante, "questa non è proprio la
voce di quel cretino. E' di…" ma per quanto ci
pensasse, non riuscì a dare un'immagine umana a
quella specie di suoni, sembrando fossero quasi un
birignao.
"Chiama il sergente Macromer," ordinò all'agente.
"Forse lui si ricorda qualcosa… io ho appena un filo
nella mente… eppure mi pare di averla già sentita
questa voce."
"Ma, per quanto anche il sergente ascoltasse la
registrazione, che in un primo tempo gli aveva dato
la stessa impressione avuta da Texel, dovette
scuotere la testa scoraggiato nell'affermare: "Non è
la voce di nessuno, capo. Secondo me, è costruita."
"Vorresti dire che non è umana?"
"Certo che lo è, sennò non ci sarei cascato. Ma mi
sembra che sia filtrata da una voce maschile molto
forte ed una femminile tenue."
"Cosicché, guarda caso, assomiglia a quel vostro
personaggio che…" fece Texel, con un sorrisino di
autocompiacimento.
"Capo, ogni giorno riceviamo messaggi fasulli e il
commissario ci ha ordinato di tagliar corto,"
rispose Macromer.
"In questo caso, però, la faccenda pare seria," fece
Texel quasi soprappensiero, ma poi deciso: "Non
avvisare il commissario per ora. Dobbiamo prima
accertarci che ci sia sotto qualcosa di reale."
"E come?"
"Ma telefonando alla famiglia Horniter!" Poi,
ripensandoci, sapendo quanto il sergente fosse
diretto nelle sue domande, con le quali avrebbe di
sicuro spaventato la signora se avesse risposto al
telefono, decise di soprassedere.
"Va bene, sergente. Facciamo finta che la notizia
sia falsa. La villa degli Horniter si trova non
troppo lontana dalla mia abitazione, devo solo fare
una deviazione. Farò loro una visitina con una scusa
qualsiasi. Magari, entrando nel loro parco-giardino
e parlando con i giardinieri, di sicuro mi diranno
se in casa c'è qualcuno degli Horniter o la
governante, con i quali scambierò senz'altro un
saluto e in quell'occasione… afferrato? Se tutto è a
posto, ti telefono. Ok?"
"OK, capo," risposero all'unisono sia l'agente che
il sergente.
Texel imbarcatosi sulla sua macchinetta, non si
diresse verso casa per mettere in atto il progetto
concordato con i suoi sottoposti, ma andò difilato
verso il collegio privato che i figli degli Horniter
frequentavano sin dalle prime classi fino ad
arrivare al baccalaureato.
Aveva un buon amico in quell'Istituto, il più
esclusivo della città. Costui era un professore
emerito di lingue inglese e tedesca e di sicuro,
considerato che nei proponimenti della famiglia
Horniter c'era l'intenzione di inviare il maschio a
continuare gli studi dottorali a Zurigo e la figlia,
che parlava l'inglese meglio del fratello, a Oxford,
scelta fatta liberamente dai due, sicuramente
conosceva i due ragazzi e poteva dirgli di primo
acchito se per caso non avesse notato la defezione a
lezione di uno dei due.
Non era facile nemmeno per un ispettore di polizia
come Texel entrare nel magnifico complesso
dell'Istituto di studi medi-superiori Antonin Reder.
Vero è che ai settecenteschi capitelli del grande
scalone semiellittico dell'ingresso principale,
facevano bella mostra di sé due imponenti leoni di
porfido rosso in grandezza naturale, con la bella
criniera che incorniciava un muso dall'espressione
per niente pacifica, seppure non intimidissero
nessuno. Ma i veri e propri mastini, Texel li
incontrò quando le fotoelettriche, inquadrandolo
dappresso, fecero scorrere gli spessi cristalli
fumés dell'immenso vestibolo. Non come i leoni di
pietra, visto che il primo dei due uomini vestiti
con un completo grigio scuro, gli venne incontro e
con un sorriso stirato gli chiese a quale titolo si
stava presentando in quel luogo. Al che il
funzionario di polizia rispose con inusitata
cortesia che avrebbe voluto conferire con il
professor Marius Auliter, suo buon conoscente, per
un breve incontro personale. L'uomo ebbe a dirgli
che se non aveva un pass rilasciato dalla direzione
il giorno prima, non poteva rimanere, per cui era
gentilmente pregato di ritornare sui suoi passi. E
quando Texel insistette che si trattava di cosa
importante, si fece avanti il secondo addetto,
anch'esso come il primo di proporzioni atletiche,
tanto da sovrastare il poliziotto di una ventina di
centimetri. Costui non disse nulla, ma lasciò che
continuasse a parlare il suo collega, il quale si
stava infervorando. Non ci voleva altro per far
saltare la mosca al naso a Texel, il quale tirò
fuori il tesserino con tanto di foto e di sigillo
d'oro e, al contrario di costoro, non usò mezzi
termini melliflui e tante tergiversazioni verbali,
ma disse chiaramente con voce stentorea, tanto da
incuriosire un insegnante che stava scendendo dai
piani superiori: "Se continuate a fare melina,
chiamo la pattuglia e vi faccio portare subito in
Questura. Là, state sicuri, vi faranno abbassare la
cresta!"
Chi ha detto che non esistono i miracoli?
Immediatamente, il primo energumeno di ritirò,
mentre il secondo, non coinvolto nella polemica, sia
pure educata, si fece in quattro per far chiamare il
professor Marius Auliter e nello stesso tempo invitò
Texel ad accomodarsi in un salottino a fianco della
prima rampa di scale e, trasformatosi in un ardito,
nemmeno avesse sbaragliato un gruppo di nemici, ebbe
la spudoratezza di chiedere se il 'commissario'
avesse gradito una bevanda qualsiasi. Si sarebbe
premurato di prelevarla dal distributore automatico.
Texel, ovviamente, declinò l'invito. Aveva ben altre
cose per la testa, lui!
Che gli si cancellarono immediatamente non appena
gli si palesò il professor Auliter il quale, nemmeno
si fosse aspettato una visita del genere, non fece
alcun preambolo né aggrottò le sopracciglia per
essere stato interrotto nel corso della lezione ma,
come fosse cosa normale, strinse calorosamente la
mano al funzionario di polizia, accompagnando il suo
gesto da un come 'come sta, caro Texel?' che
disorientò non poco il suo interlocutore, il quale
si aspettava un incontro piuttosto freddino in
considerazione dell'ambiente austero in cui si
trovava.
Ben pochi furono i convenevoli, se non quelli di
rito, cosicché Texel, come sua abitudine, andò
subito al problema: "Mi scusi se glielo chiedo, ma
il figlio del dottor Horniter è in classe?"
"No, caro ispettore. Ma come, non lo sa? Il ragazzo
si trova attualmente in Svizzera. Me ne avevano
informato tempo fa i suoi genitori, E' partito da
più di due giorni," rispose con una certa nota di
saccenteria. "Ma se mi permette chiederglielo,
signor Texel, c'è qualcosa che non va?"
"Niente, niente… era solo un controllo. Un mio
sottoposto mi aveva comunicato di una telefonata
anonima. Sa, anche se ne arrivano abbastanza, quest'ultima
riguardando una famiglia così in vista come gli
Horniter, mi sono permesso, sa… mi scusi."
"Ma un vero piacere, caro Texel, vederla e poter
conversare con lei"
"Ma si figuri," rispose a mo' di commiato Texel che,
stretta la mano al professore e inviata
un'occhiataccia ai due uomini-gorilla messi a difesa
dell'edificio, scese di corsa la breve scalinata e
andò a infilarsi nella sua vetturetta.
Nel riflettere sull'accaduto, mente guidava con la
solita prudenza verso casa, la sua professionalità
gli riaffiorò nella mente e incominciò ad analizzare
la situazione, partendo però dalla coda.
'Ma chi è, in fin dei conti, questo professor
Auliter?' ebbe a chiedersi. ' Sì, certo. Mi è stato
presentato da qualche mese e abbiamo cenato insieme
ad altri qualche volta ma, seppure abbia sempre
scambiato con lui qualche opionione senza un senso
preciso, lo conosco veramente, io? Amico rispettoso
lo è senza dubbio, benché mi sia parso un po'
altezzoso. Forse ha dei problemi suoi o è
indispettito dall'improvvisa decisione della
famiglia Horniter di inviare il suo migliore allievo
a Zurigo senza avergliene parlato prima. Come
poliziotto, a volte mi comporto proprio da stupido.
Però, però… ma chi è veramente questo professore e
perché non ho mai ceduto alla tentazione di scoprire
la sua caratterialità, magari andando a curiosare
negli archivi, se per caso il suo nome salti su da
qualche parte?'
Quando fece il suo ingresso in casa, aveva già
deciso che, non appena fosse ritornato presso il suo
Distretto, avrebbe fatto fare le ricerche del caso.
Il suo collega e amico Torner, ispettore come lui e
in attesa di essere nominato commissario di secondo
grado, ma destinato ad altra sede periferica,
attualmente dirigeva il servizio informatico
generale, dove via via venivano inserite tutte
quelle informazioni di una certa importanza
strategica e informativa, utili alla Polizia.
Quindi, molte riguardavano persone che non avevano
commesso alcun crimine né avevano avuto a che fare
con la giustizia, ma che si erano fatte notare per
fatti inconsueti, compreso anche quelli di merito.
La lista serviva soprattutto ad evitare spiacevoli
equivoci come di fermare o sospettare persone oneste
ed era trattata con molta riservatezza, quindi
inaccessibile ai non addetti.
Nella Nazione mitteleuropea in cui si svolgono i
fatti, la stragrande maggioranza dei suoi abitanti
rispettava le leggi e difficilmente commetteva
crimini contro l'ordinamento giudiziario, che
contava poche regole molto chiare. Sia avvocati che
giudici, nell'espletamento del loro lavoro, non
usavano tergiversazioni o bizantinismi, ma andavano
tutti al cuore della questione, di conseguenza le
sentenze venivano emesse con tempestività e il
processo nelle sue due fasi principali, aveva una
durata che non superava i diciotto mesi. Erano,
infatti, previste gravi sanzioni per quegli avvocati
che cercavano di allungare i tempi, come pure per i
cancellieri che venivano sorpresi a nascondere le
pratiche in fondo al mucchio. La carriera dei
giudici si basava sulla sollecitudine con cui
trattavano le vertenze, pur senza trascurare il
sacro dovere di rispettare i diritti del cittadino,
fosse esso compevole o semplice sospettato.
Tuttavia il cancro del crimine non era stato
estirpato completamente e coloro che lo praticavano
agivano quasi indisturbati per cui, per
contrappasso, esisteva una polizia militarizzata che
non andava troppo per il sottile nel combatterli,
facendo pagare loro il fio di tanta colpa, non solo
imprigionandoli ma, seppure se ne lamentassero i
parenti più diretti, spogliandoli dei loro beni, pur
assicurando alla famiglia 'incolpevole' un'esistenza
dignitosa.
Ecco, quindi, svelata la ragione per la quale, oltre
al casellario giudiziario vero e proprio, esisteva
un elenco di persone che per un atto qualsiasi, sia
di civiltà, di benevolenza manifesta o che fosse
stata incolpevolmente coinvolta in un incidente
qualsiasi e, cosa più importante, che potesse essere
il bersaglio di rapimenti o di ricatti perché noti
per la loro agiatezza.
Torner si dimostrò più efficiente del solito. Nel
giro di appena mezzora, posò sulla scrivania
dell'ispettore Texel una cartellina senza
intestazione, salvo in alto a destra dove emergeva
la stampigliatura di 'riservata-personale'. Era
quella che riguardava il professor Auliter.
"L'hai già letta?" fece Texel.
"No, solo l'intestazione interna, capo," rispose il
collega, noto nell'ambiente della Polizia come un
funzionario ligio ai suoi impegni e rispettoso della
privacy delle persone. E, inoltre, per aprire il
dossier dell'interessato, sarebbe stato necessario
sfilare il filo di protezione della cartella interna
che sull'intestazione indicava solo il nome. "Come
avrei potuto?" aggiunse.
"Certo, Torner," fece sorridendo Texel. "Intendevo
dire se l'avevi fatto quando la pratica è stata
creata," e indicò al collega la data di appena un
mese prima.
"Sai bene che non sono io a farlo, ma lo fanno di
sopra," rispose, indicando più con lo sguardo che
con la mano floscia il soffitto. Era proprio là, per
l'appunto, che venivano confezionate queste
particolari cartelle da funzionari che si
alternavano in questo tipo di lavoro, per cui non
era facile venire a sapere chi e per ordine di quale
direttore l'avessero fatto.
Il professor Auliter vi figurava come persona
irreprensibile, salvo un fatterello di poco conto
che, però, il Preside dell'Istituto scolastico aveva
voluto segnalare - benché in maniera molto
confidenziale - alla Polizia, dato che si era
trattato di una mancanza nei confronti per l'appunto
del figlio del dottor Horniter. Non che fosse stata
la vittima a denunciare il fatto, ma quella cosa
aveva causato un certo scalpore nella scuola e,
passando di bocca in bocca tra i ragazzi che, chi lo
diceva per scherzarci, chi per una certa malevolenza
derivata dalla posizione sociale della famiglia del
compagno di studi, era venuta agli orecchi di uno
dei guardiani - quegli stessi che avevano placcato
Texel al suo ingresso nel palazzo - che, preso più
da zelo che dalla gravità della cosa, si era fatto
scrupolo di andarlo a riferire al Preside.
Insomma, la faccenda non potendo essere stata messa
a tacere, tutti, sia professori, addetti vari e
quasi tutti gli studenti, ne erano venuti a
conoscenza, ragione per cui il professor Auliter,
dopo avere dato le dimissioni, 'irrevocabili' a
sentire lui, si era recato presso l'Ufficio di Texel,
di cui aveva fatto la conoscenza tempo addietro,
lamentandosi duramente contro la direzione della
scuola, poiché l'atto incriminatorio così pesante,
non era derivato che da una sua, purtroppo, troppa
condiscendenza e simpatia per il suo pupillo-allievo
e il gesto fatto era stato inconsulto e
nient'affatto intenzionale. Ovviamente, proprio
Texel che aveva un'alta opinione del suo
interlocutore, aveva agito da intermediario ed era
riuscito a convincere il Preside del prestigioso
Istituto scolastico, a rigettare la domanda di
dimissioni del professore che, comunque, non era
stata presa neppure in considerazione.
Texel ricollegò quel fatto che aveva dimenticato da
tempo e dovette scervellarsi per metterlo in
correlazione con le telefonate anonime ricevute nel
suo Distretto. Cosa c'entrava con il rapimento, in
effetti non avvenuto, del figlio degli Horniter?
Però, a dire il vero, il professor Auliter, pur
avendogli assicurato che il giovane André si
trovasse in altra sede, non gliene aveva spiegata la
ragione, ma si era limitato, brontolando appena, che
rispettava la decisione dei genitori.
'Diamine!' ebbe dirsi al chiuso della sua
macchinetta, diretto non più verso casa, bensì
ritornando al suo posto di lavoro. 'Il professore è
un uomo serio, lo ho conosciuto e lo stimo pure. Una
persona di una gentilezza squisita e di una cultura
così raffinata'.
Riflettendo che se anche lui, invece di buttarsi
anima e corpo nel lavoro per scalare al più presto i
gradini della sua carriera, avesse dedicato una
piccola parte del suo tempo a leggere o, meglio, a
erudirsi…
Tuttavia voleva sincerarsi di quell'intrigante
telefonata e di sicuro, se avesse trovato ancora il
sergente Macromer in sede, lo avrebbe coadiuvato
nello scoprire da dove quella telefonata fosse
arrivata.
Era stata talmente breve e aveva preso talmente di
contropiede l'addetto al centralino, che non c'era
stato il tempo di individuare da dove fosse
pervenuta. Nemmeno se dalla Capitale o da un'altra
città. Una cosa, però, Texel l'ebbe certa nella sua
mente e si guardò bene di confidarla al sergente.
L'ora della ricezione dell'appello telefonico. Circa
le nove del mattino, un'ora esatta dall'apertura dei
cancelli dell'Istituto Antonin Reder.
Cosa avrebbe dovuto fare, allora?
Ma geniale! Telefonare alla scuola e chiedere a che
ora avesse preso servizio il professor Auliter. 'No,
no,' ebbe a riflettere l'ispettore. 'Così mi scopro
troppo.'
Optò per un sistema semplice e al sergente, disse:
"Sono un po' stanco. Rientro a casa e per favore non
chiamarmi per qualsiasi cosa. Se è urgente, informa
il mio collega Debecker alla Centrale. Non rientrerò
prima di domattina." Lasciando esterrefatto il suo
più diretto sottoposto, il quale non era abituato a
questo tipo di atteggiamento, conoscendo Texel come
un funzionario più che ligio al dovere, il quale non
avrebbe lasciato per nessuna ragione il posto di
lavoro, facendogli pensare o che si sentisse male o
fosse intervenuto un grave problema familiare.
Ma non verso casa Texel si diresse, bensì presso
l'Istituto Antonin Reder, dove venne ricevuto in
pompa magna, mentre uno dei due gorilla, alla sua
gentile richiesta, stava facendo due scalini alla
volta per salire al secondo piano nell'aula dove
insegnava il professor Auliter.
Che non c'era.
"Ma come?" esclamò Texel quando l'uomo glielo
riferì. "Non vi siete accorti che il professor
Auliter era uscito?"
"Le assicuriamo," fece l'altro, "che di qui non è
passato nessuno, salvo il giardiniere che si era
caricato un vaso con la pianta malandata di ibiscus
per curarla nella serra."
"Sapete se ieri o prima il professor Auliter era
assente?"
"E' rientrato solo stamani. Commissario," rispose il
più ciarliero dei due. "Aveva chiesto il permesso di
assentarsi qualche giorno."
Il sospetto che si era insinuato nella mente del
poliziotto, si era già tramutato in un'idea. Ma
Texel volle averne la certezza. "Che tipo è il
giardiniere,eh? Alto? Grande e grosso? E, forse,
portava il vaso sulle spalle o sulle due braccia il
modo che la pianta gli nascondesse il viso?"
"Sì…" rispose il primo energumeno, abboccando come
un ghiozzo,"… grande e grosso lo è davvero e poi con
quella popo' di forza che ha, teneva il grosso vaso
sulle mani raccolte in basso, che gli ha impedito
pure di rispondere al mio saluto. Ma perché?"
"Uh, niente di particolare. Vorrei solo andargli a
parlare."
"Certo… commissario. Ce lo accompagno."
"No, grazie. Mi dica solo dove lo trovo."
"Ma nella serra!" rispose il secondo guardiano che,
capito dove Texel volesse andare a parare, inviò
un'occhiata torva al suo collega.
Grande, grosso, alto e, soprattutto, furbo. Dato
che, appena entrato nella serra, Texel trovò
soltanto il grosso vaso con la pianta di ibiscus
talmente malandata, che le sue foglie semivizze
ciondolavano ai lati. Oltre a quello, un po' più
discosta, ma appoggiata malamente sul lungo ripiano
pieno di piccoli vasi in fiore, c'era la salopette
con la quale il professor Auliter - Texel aveva già
capito chi fosse il falso giardiniere - si era
liberato e da là aveva fatto perdere le sue tracce.
Ma perché?
Non restò in quel luogo a scervellarsi e, non
facendosi vedere dai custodi dell'Istituto
scolastico, aggirò la costruzione e s'imbarcò nella
sua macchina, diretto verso la Direzione Centrale
della Polizia militare. Salita in fretta l'ampia
scalinata, si fece annunciare al generale Gader, che
lo ricevette subito nel suo ufficio al terzo piano.
Il Capo della Polizia sapeva che quando il suo amico
Texel gli chiedeva udienza, era solo per un caso
molto urgente, per cui gli si fece incontro
aprendogli la porta, facendo uscire, con un gesto
discreto, la segretaria e l'addetto al computer.
"Caro Texel," disse stringendogli la mano, "immagino
avrai qualcosa d'importante da riferirmi. Tuttavia,
gradirei che tu mi venissi a trovare più spesso. Sai
quanto apprezzi conversare con te."
"Lo farei volentieri, caro Antonio, ma il lavoro mi
occupa molto, causa di non gradevoli scontri verbali
con mia moglie, la quale mi rimprovera di non
trovarmi quasi mai a casa. Ha ragione, ma io non
saprei come risolvere questo problema."
"Lo risolverai presto, vedrai. Attendo lo scontato
nulla-osta del ministro per la tua nomina a
commissario a due stelle. Così sarai trasferito qua
in Centrale con compiti meno gravosi di quelli
attuali e, di concerto, ci incontreremo spesso. Ma
ora, scusa la mia irruenza. Vedo che, malgrado la
buona notizia che ti ho appena dato, la tua fronte è
rimasta corrugata. Dimmi, c'è un problema?"
"Grosso come una casa, anzi, grande quanto
l'Istituto Antonin Reder," rispose Texel con una
certa foga dovuta all'interruzione del generale. E
nel riferire al suo superiore dei suoi sospetti,
timoroso che quella telefonata anonima avesse un
fondo di verità, gli consigliò che desse ordine
affinché venissero accuratamente controllati i
varchi di frontiera e gli aeroporti di qualsiasi
importanza nel caso il professor Auliter vi si
dovesse presentare. Evidentemente, il professore non
si era aspettato una così repentina visita di Texel.
Aveva di sicuro in mente di abbandonare la scuola
non appena finite le lezioni per avere più tempo per
lasciare il Paese.
Vennero immediatamente inviati due ispettori con
altrettanti agenti presso la scuola frequentata dal
figlio del dottor Horniter ma, a conferma di quanto
sospettato da Texel, il professor Auliter, dopo la
sua visita, era riuscito a eclissarsi dall'Istituto
dopo aver legato e imbavagliato il giardiniere,
relegandolo in un bagno privato, al quale aveva pure
tolto la salopette per indossarla e uscire
indisturbato sotto il naso dei poco attenti custodi.
Ma la cosa che lo amareggiò maggiormente, nonostante
la buona notizia della promozione a commissario, fu
che Auliter era già riuscito a uscire dai confini
della nazione con un aereo Cessna partito alla
chetichella dal piccolo aeroporto in erba dell'aeroclub
di Pratofiorito, un'amena località a una ventina di
chilometri dalla Capitale.
Non gli rimase altro che andare a trovare la
famiglia Horniter per apprendere se fosse già
arrivata la richiesta di riscatto per la liberazione
del figlio. Ormai si era convinto che il giovane
André era stato rapito dal professor Auliter.
Strano, quando fece il suo ingresso nella magnifica
villa, omaggiato discretamente dalla governante,
ebbe l'impressione di essere atteso, ma non notò in
alcuno dei componenti e, segnatamente
nell'espressione della madre, quel particolare
affliggimento per il rapimento del figlio. Anzi, il
dottor Horniter - strano che si trovasse a casa a
quell'ora solitamente dedicata alla conduzione dei
suoi affari - lo accolse con cordialità,
ringraziandolo nel contempo della sua più che
gradita visita.
Texel rimase sconcertato ed ebbe subito la
percezione che sotto sotto ci fosse un inghippo,
perché gli sembrava che l'accaduto si presentasse
sotto forma di burla o qualcosa di appena losco, non
afferrandone, al momento, la ragione.
"Mio figlio André?" ebbe a rispondere il dottor
Horniter. "Subito dopo che ci è pervenuta quella
telefonata, spaventati, anche se poi la cosa di è
dimostrata essere una burla, lo abbiamo inviato a
casa di suo zio, mio fratello."
"Non sapevo che lei avesse un fratello," rispose
Texel.
"Be', sarebbe normale se Franziscus vivesse qua. Ma
abita a Zurigo, in centro città e, per fortuna si è
da poco ritirato dagli affari, ragion per cui può
sorvegliare André tutto il giorno."
"E gli studi?" chiese l'ispettore, assecondando il
suo interlocutore, al quale non credeva. Avrebbe
investigato sull'esistenza di questo zio.
"Mio figlio parla e scrive correntemente il tedesco.
Per un po' dovrà seguire i corsi in un Istituto
svizzero.
"Mi scusi, dottor Horniter, è una pura formalità.
Potrebbe indicarmi i dati di sui fratello?"
"Guardi, commissario, non c'è bisogno che scriva: le
do il suo biglietto da visita," rispose pronto il
ricco professionista.
Cosa che insospettì maggiormente Texel e, oltre a
ciò, l'immediata reazione della signora Horniter
che, all'apparire della governante dalla porta
aperta che dava nella sala da pranzo attigua, li
lasciò senza una parola, raggiungendola e
chiudendosi la porta dietro di sé.
TERZO - L'EPILOGO
Franziscus Horniter, Senior Accountant - Zurich -
Festanstellung - 31, Slotholmsgade Ph. No.
0041-1-242088. Questo era quanto indicato nel
biglietto da visita che il dottor Horniter aveva
dato a Texel e, dopo un accurato controllo con
l'interscambio di informazioni con la Polizia della
Confederazione Elvetica, tutto tornava anche nei
minimi particolari. Come pure che lo zio
controllasse dappresso il nipote, il quale in
effetti frequentava una scuola d'elite dello stesso
rango e indirizzo scolastico dell'Istituto Antonin
Reder.
Cos'era, allora, che non funzionava?
Era indubbio che il professor Auliter era fuggito,
ancora non si sapeva bene dove, con un aereo Cessna
che aveva un'autonomia limitata, massimo seicento
chilometri. Quindi dove e perché? Verso Zurigo
stessa, ma era troppo banale e, infine, i colleghi
svizzeri, interpellati in proposito, non ne erano a
conoscenza. Per Parigi, Francoforte, Milano Malpensa,
Amsterdam, Bruxelles, Londra, tutti aeroporti
internazionali Hub da dove partire per oltre Europa
o, al limite anche Nizza, nessuna segnalazione, a
meno che il professore non disponesse di un secondo
passaporto valido intestato a un nome diverso dal
suo e fosse atterrato in uno spiazzo adatto allo
scopo. Di giorno, com'era successo, poiché era
scappato dalla scuola all'incirca a ridosso
dell'intervallo per il pranzo e seppure avesse
pilotato l'aereo di persona, non era detto che a
bordo non avesse un passeggero, forse lo stesso
André e a terra doveva per forza avere un complice
che o aveva fatto sparire il velivolo ricoverandolo
oppure, con un piano di volo falso, dopo aver
lasciato Auliter raggiungere l'aeroporto più
prossimo o una stazione ferroviaria, giacché di
treni che raggiungessero un aeroporto ce n'erano,
avesse decollato per atterrare in uno di tanti
piccoli campi di aviazione per appassionati, che non
disponesse di un controllo di frontiera e là,
ricoverato il Cessna, di cui nessuno, guarda caso,
conosceva o non aveva fatto caso alla sua sigla di
identificazione, in un anonimo capannone quel lasso
di tempo da far dimenticare il fatto. Le ipotesi
erano diverse, come quella di avere, prima della
fuga, incollato un identificativo falso
sull'aeroplano, rimesso in circolo qualche giorno
dopo con i documenti in regola. Una cosa era certa.
Il professor Auliter non poteva viaggiare in auto né
con autista né da solo. Sarebbe bastato un banale
controllo della Stradale e il suo piano sarebbe
miseramente fallito, specialmente in Italia, dove i
controlli stradali sono più frequenti.
'Italia?' ebbe a dirsi il novello commissario.
'Perché non ci ho pensato prima? Là il denaro
contante circola con più facilità. Chissà se… ma
poi, in definitiva, che piano mi sto inventando?
Quello che abbia abbandonato l'Istituto Antonin
Reder? Non è certo un reato.'
Auliter era libero di farlo, salvo rispondere alle
reprimende del Preside con il rischio di essere
licenziato e perdere parte dei suoi emolumenti, come
pure trovarsi in difficoltà per l'accumulo di anni
di attività per la maturazione della pensione. Il
professore aveva cinquantatré anni e secondo le
leggi del Paese, gliene sarebbero bastati ancora
sette per ritirarsi con un buon trattamento di
quiescenza. Era l'unico grosso rischio che, alla
luce dei fatti, correva. E allora, perché fuggire in
quella maniera? Doveva per forza avere trovato un
filone d'oro che gli desse la possibilità di vivere
da signore, senza dubbio all'estero e
specificatamente in un Paese che non aveva un
accordo di estradizione. La piccola Nazione nella
quale si svolgono i fatti non intesseva rapporti
diplomatici se con con l'Europa Unita, Svizzera
compresa e gli Stati Uniti, non di certo per
supponenza verso gli altri, bensì per una mera
questione di risparmio. La Svizzera, Paese neutrale,
particolamente amico, svolgeva le funzioni di
Consolato Generale presso tutte le altre Nazioni
dove essa stessa era rappresentata.
Texel aveva fatto controllare minuziosamente tutto.
Nell'Istituto non era stato commesso alcun reato
come furto (si ricordò dei due preziosi quadri nel
salotto di attesa, ma erano entrambi al loro posto)
e poi come avrebbe fatto Auliter se, mascherato con
la salopette del giardiniere e per più ingombrato da
un pesante vaso con dentro una pianta, a nascondersi
addosso due quadri che, seppure di dimensioni
ridotte, non potevano essere celati ai due cerberi
che controllavano (male) ogni movimento nel salone
d'ingresso?
Ovviamente non ne venne a capo ed ebbe il
presentimento che quell'amara sconfitta sarebbe
stata la conseguenza del rinvio, inevitabile ormai,
della sua promozione a commissario a due stelle,
come gli aveva anticipato Gader.
Il quale non diede molto peso alla cosa. C'erano ben
altri problemi che quello di un professore di un
illustre Istituto di Cultura fuggito all'estero,
seppure in quel modo misterioso e, al momento,
inspiegabile.
Infatti, dopo le sue infruttuose ricerche,
coadiuvato dai suoi colleghi, dopo avere mobilitato
un'intera squadra della Polizia, venne convocato dal
generale Gader nel suo ufficio e un Texel demotivato
ma, soprattutto, preoccupato di ricevere una
reprimenda benché amichevole, quando varcò la soglia
del lussuoso ufficio, il generale comandante lo
stava aspettando all'ingresso e, a mo' di amichevole
saluto, dandogli due sonore pcche sulle spalle, gli
disse bonariamente, ma con un'espressione tra il
serio e il faceto: "Via non te la prendere,
commissario. So quanto tieni al tuo lavoro e questo
fatto ancora inspiegabile non è dovuto alla tua
incapacità, bensì a un atto inconsulto di questo
professore… a proposito come si chiama?"
"Auliter…" rispose con fare dimesso Texel. "Marius
Auliter, generale…"
"Via, caro Texel. Cosa fai, mi chiami generale? Io
sono Antonio, tuo indefettibile amico, che si trova
occupare un posto che… ne farei…" borbottò. Poi, più
deciso, invitandolo presso la sua scrivania, gli
tese un foglio: "Ecco qua, finalmente, la tua nomina
a commissario a due stelle con, in allegato,
l'assegnazione del tuo nuovo ufficio che si trova su
questo stesso piano ad appena quattro porte più in
là del mio. Dato che ti conosco molto bene, so che
non esulterai, ma pelomeno tua moglie sarà contenta,
se non altro perché con il nuovo incarico tornerai a
casa la sera in tempo per la cena in famiglia."
Davanti al generale, Texel si mostrò soddisfatto ed
ebbe pure, lui che non lo faceva mai se non
raramente con la moglie, il coraggio di
abbracciarlo, ma quando ebbe imboccato lo scalone
che portava all'atrio, il suo sguardo si fece torvo
e scontento, tanto da incuriosire qualche piantone
di servizio agli ingressi del ministero.
Non credeva alla versione dei fatti, ma avendogli il
suo nuovo diretto superiore, consigliato di pensare
ai prossimi impegni di funzionario di alto livello,
si sforzò di non pensarci più, per quanto, benché
fossero passati più di due mesi dall'accaduto, gli
capitasse talvolta di pensare al caso.
Che si risolse proprio alla fine dell'anno
scolastico con il ritorno a casa di André Horniter.
Da quel giorno, quando veniva accompagnato in
macchina in ufficio, Texel diede disposizioni al suo
autista di passare davanti alla residenza Horniter,
obbligando l'ubbidiente e tacito agente ad allungare
il percorso di oltre un chilometro.
Capitò allora, in una giornata talmente bella e
limpida che oltre agli allegri uccellini avrebbero
cantato anche gli uomini, compreso Texel che era
sempre accigliato, che la sua macchina di servizio
si trovasse ad incrociare, nei pressi del cancello
della ricca villa padronale, con quella del dottor
Horniter, al volante della sua lussuosa Bentley.
Texel chiese all'autista di fermarsi e
subitaneamente aperto lo sportello sul retro, si
precipitò con fare deferente verso la macchina in
procinto di entrare nel parco il cui cancello,
azionato da un telecomando, stava per spalancarsi.
"Dottor Horniter, come sta?" fece il novello
commissario tutto ossequioso. Al che al magnate, pur
sorridendo, non restò da fare altro che fermare
l'auto e scendere a sua volta per stringere la mano
al commissario.
"Posso farle i complimenti per la promozione? Una
carriera brillante a quanto pare, caro commissario."
"A dire il vero, non me la meriterei proprio, dottor
Horniter…" replicò Texel, "… se almeno avessi
risolto quel fatto della fuga del professor Auliter.
A proposito, lei non ne ha avuto più notizie?"
"Certo che no, commissario. Non capisco, un così
bravo insegnante. Sa, voleva molto bene al mio André
e gli si era molto affezionato."
"Tanto da accordargli un… vorrei dire, caro dottor
Horniter, un buon viatico?"
Horniter fece finta di non aver capito. "Devo
andare," disse con voce neutra, "ho ospiti a
pranzo."
Al che il gongolante Texel, che aveva capito tutto,
gli chiese: "Immagino che suo figlio, dopo
l'intermezzo zurighese, resterà a casa e riprenderà
gli studi presso l'Istituto Antonin Reder."
"Proprio così," ebbe a rispondere Horniter.
"Siamo certi che non ci sia il pericolo che uno dei
suoi figli, beninteso, secondo le telefonate anonime
che quotidianamente riceviamo, non rischino di
essere rapiti con una richiesta di un forte
riscatto?"
"No, d'ora in avanti verranno accompagnati da due
uomini di una polizia privata…"
"Che le costeranno meno, immagino… del professor
Auliter. Arivederci dottor Horniter e mi saluti la
sua signora," concluse Texel, toccandosi l'ala del
cappello.
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