|
|
Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Funerale nei Quartieri
Spagnoli di Napoli di Giuseppe C. Budetta,
Il grande drago giallo di Alessio De Luca,
Max e Louis di
Gianfranco Meneghini,
Texel tre di Gianfranco Menghini
Poesia italiana
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Massimo Acciai,
Andrea Cantucci,
Iuri Lombardi,
Lorenzo Spurio,
Giovanni Trani
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Manuela
Léa Orita
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Liliana Ugolini
- "Un fiorentino a Sappada" di Massimo Acciai,
nota di Sandra Carresi
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, recensione di
Anna Maria Balzano
- "Flyte & Tallis: Ritorno a Brideshead ed
Espiazione, una analisi ravvicinata di due
grandi romanzi della letteratura inglese" di
Lorenzo Spurio, recensione di Emanuela Ferrari
- "Mitologie domestiche dell'anima" di Antonio
Messina
- "Il punto estremo" di Paolo Pajer, nota di
Massimo Acciai
- "La riva in mezzo al mare" di Monica Fantaci,
nota di Massimo Acciai
- "Antimateria" di Andrea Blu
- "Le voci della memoria" di Anna Scarpetta
- "Poesie tra le orchidee" di Massimo Grilli"
- "La vita nell'osmosi del tempo" di Lenio
Vallati
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati
- "Poeti contemporanei e non. Antologia di
poesia civile" di AAVV, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "La luce oltre le crepe" di AAVV, Recensione
di Lorenzo Spurio
- "Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)"
di Giorgia Catalano, Recensione di Lorenzo
Spurio
- "Némesis" di Marzia Carocci, Recensione di
Lorenzo Spurio
- "Gli invisibili" di Gianfranco Meneghini
- "Non ti avrò mai" di Claudio Secci,
recensione di Lorenzo Spurio
Interviste
|
|
In questo numero vi segnaliamo...
Massimo Acciai - Sempre ad Est
- Faligi Editore, 2011
Da brevi accenni ( quarta di copertina e
prologo) comprendo che si tratta di letteratura
fantastica in una "infinità" che occorre sentire
prima di scrivere, iniziando un percorso nel mistero
della mente ma, credo, con assonanze di realtà.
Intanto l'idea di creare questo animale inesistente
che ha tutte le caratteristiche dei molteplici
avvenimenti che ci riguardano, mi piace e mi
affascina. Il furto del Surypanta è il motivo
d'inizio d'una ricerca che, prevediamo, sia piena
d'avventure. Infatti i nomi che ricordano quelli
della migliore letteratura fantastica, si sciolgono
nelle pagine, accompagnandoci. La descrizione degli
ambienti, dei colloqui e dei personaggi sono quasi
meticolose cosi che il lettore si trova a suo agio.
Piano piano, attraverso i dialoghi, si viene a
formare qualcosa di familiare ma in una dimensione
favolistica mentre l'animaletto dai suoni dolcissimi
è la parte musicale che accompagna la storia. Una
storia di mancanza e di ricerca del senso pieno
della vita racchiuso in una nostalgia. ( Non è un
caso che il libro è dedicato a tua madre).
C'è l'atmosfera creata dal vecchio Sering che, nel
suo oracolo di sangue, ripete la pretesa umana
dell'assoluta conoscenza dei futuri avvenimenti.
L'attraversamento degli "spiriti inquieti" porta
sempre ad Est e tutto nella nebbia ( assassinio,
caso, voglia di sopravvivenza) porta a
considerazioni sulla natura umana imprevedibile. C'è
nella surrealtà del racconto un filo ammonente, un
percorso di esperienze che portano, nel mondo
fantastico che tu evochi, a ragioni sulla realtà e
sulla pericolosità del vivere e del sopravvivere. La
storia si snoda in incontri col male e con la piètas
alla ricerca di questo indifferente animaletto ( la
sa lunga lui!) che è simbolo dell'irraggiungibile
desiderio che ci guida. La favola avanza piena di
significati e l'avventura continua ingrossando le
fila delle vittime dalla parte della ragione per un
prevedibile buon fine. Navi, uragani, paure, errori
incidono in questo viaggio sempre ad Est in cerca
del (dei) Surypanta. Certo va riconosciuto che il
testo non manca di fantasia, dai labirinti della
città sotterranea, agli ambienti che fanno da
scenografia alla storia aggiungendo a questi
tensione e mistero con sprazzi fortunati e fortuiti.
Surreale la descrizione dell'interno del castello
del nemico Raccoglitore con le infinite scale loro
stesse impregnate di oscure magie. Come tutte le
storie immaginate la liberazione e il lieto fine con
gli animaletti ritrovati ( per il piacere degli
uomini e delle donne e non dei Surypanta che stavano
proprio bene, godendosela ) e d'uopo per la nostra
tranquillità affinché almeno nella fantasia, vinca
il bene. E' stata una lettura per me inusuale ma
voluta in considerazione del lavoro dell' autore
che, per i vari suoi interessi legati al mondo
dell'Arte, merita attenzione.
Grazie per la lettura, ora anch'io amo i Surypanta…
Liliana Ugolini
* * *
La metafora del giardino in letteratura" di L.
Spurio e M. Acciai
23 gennaio 2013
La metafora del giardino in letteratura
di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai
Faligi Editore, Aosta, 2011
Genere: Saggistica / Critica letteraria
ISBN: 978-88-574-1703-5
Costo: 20 €
Recensione di Anna Maria Balzano
Il saggio di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai, dal
titolo "La metafora del giardino in letteratura", ci
guida attraverso l'esame d'una vasta selezione di
testi letterari allo scopo di individuare il
significato simbolico che ha assunto nei secoli la
descrizione del giardino. Si parte dall'Eden, luogo
delle delizie, e dal giardino coranico che può
ospitare anche trasgressione e piaceri carnali: si
mette in risalto il rapporto giardino-vita, non
tralasciando i riferimenti ai classici latini, come
per esempio alle Metamorfosi di Ovidio. Il giardino
può rappresentare il bene o il male, può essere il "locus
amenus" di Tasso; esso può essere recintato e
protetto, ma anche magico e fantastico, come quello
in cui avviene l'iniziazione della piccola Alice di
Lewis Carroll o come i Kensington Gardens di Peter
Pan. L'analisi affrontata è di ampio respiro e
riporta brani di opere inglesi, americane, italiane,
russe, sottolineando il diverso uso che gli autori
hanno fatto della metafora del giardino. Esso può
ospitare la memoria dolorosa da cancellare, come nel
caso di Burnett, o può essere luogo di guarigione
del corpo e dell'anima. Il giardino come microcosmo,
dunque. Esso può accogliere amori omosessuali, come
nel caso del "giardino essenziale" di Lesbo, per
usare una definizione di Fiorangela Oneroso. Il
giardino non è solo luogo d'amore, ma anche di
morte, come nel racconto di Buzzati "Le gobbe nel
giardino", dove il terreno nasconde "strati di
memoria"; esso diviene testimone dell'estinzione
d'una intera famiglia nel "Il giardino dei Finzi
Contini", così come può essere il luogo dove la
natura è in lotta con il cemento, come nel racconto
di McEwan, o essere il testimone della decadenza di
grandi famiglie, come nel Gattopardo. L'analisi si
sofferma su grandi autori, da Leopardi a Calvino a
Buzzati, senza trascurare Wilde, le sorelle Bronte
per giungere anche a Stephen King, arricchendosi di
particolari, nel citare le produzioni
cinematografiche tratte dalle opere di alcuni degli
autori esaminati.
Un saggio di grande respiro, dunque, che guida ad
una lettura approfondita destinata a stimolare ed
arricchire il lettore più attento.
* * *
Un fiorentino a Sappada
Massimo Acciai
Lettere Animate, 2012
Recensione di Sandra Carresi
Aveva perfettamente ragione Paolo Ragni nella sua
presentazione al libro di Massimo Acciai il 12
gennaio.
E' un libro semplice, ma per niente banale.
Dalla fervida fantasia di Massimo, questi nove
racconti sono una "bevuta" che raccoglie la
fantasia, la fotografia di queste montagne in pieno
luglio, gli acquazzoni improvvisi, il sole della
montagna, la mescolanza di periodi storici diversi,
il sinistro, la timidezza patologica e le "impacciature"
di chi, forse sa navigare molto bene dentro un libro
e con la penna, poco con gli approcci della vita.
Ho respirato aria fresca e ascoltato temporali
inquietanti, ma quello che più mi ha colpito, è la
solitudine che ogni uomo si porta appresso, anche se
geograficamente in un posto rilassante, piacevole,
in compagnia della natura, di amicizie, in vacanza,
ma, le inquietudini, le malinconie, i ricordi di chi
non abbiamo più accanto per partenze anche
premature, modellano stati d'animo tali da
ricercare nell'aria, nell'immenso, un grande
alleato, quale è la fantasia, e la voglia di
raccontare.
Personalmente amo molto il mare, ma la lettura di
Massimo ha scatenato in me un grande curiosità su
Sappada, di cui, francamente, non conoscevo neppure
il nome e non solo, pur non essendo una
camminatrice, mi sento molto attratta dalle Alpi, in
particolare, dalle Dolomiti, dove ho trascorso tre
anni della mia adolescenza. Chissà, potrei ritrovare
quella ragazzina….
Direi che leggere, -Un fiorentino a Sappada - è come
bere un bicchiere d'acqua fresca a un tavolino di un
bar al riparo dalla calura estiva.
* * *
Famiglia, religione e guerra.
Un'analisi comparativa di due grandi romanzi inglesi
a cura di Lorenzo Spurio
Lorenzo Spurio non è nuovo a pubblicazioni che
pongono al centro dell'interesse testi della
letteratura inglese unanimamente riconosciuti come
magistrali: in Jane Eyre, una rilettura
contemporanea (Lulu Edizioni, 2011) analizzava la
storia della povera Jane scritta da Charlotte Brontë
in chiave comparativistica offrendo una serie
eterogenea di vedute sulla storia che si sono
raccolte nel corso del tempo per mezzo dei numerosi
prequels, sequels e rivisitazioni. In La metafora
del giardino in letteratura (Faligi Editore, 2011 -
scritto con Massimo Acciai), l'autore rifletteva,
invece, sull'immagine, sul topos e sulla metafora
del giardino in una grande carrellata di testi della
letteratura italiana e straniera. Con questa nuova
pubblicazione, Flyte & Tallis, Spurio fornisce al
lettore un ampio commento critico su due grandi
romanzi della letteratura inglese: Ritorno a
Brideshead di Evelyn Waugh ed Espiazione di Ian
McEwan ponendo particolare attenzione a una gamma di
tematiche che l'autore va ricercando e analizzando
parallelamente tra i due romanzi.
Marzia Carocci nella sua prefazione osserva:
"Lorenzo Spurio ripercorre fedelmente i vari
passaggi dei due romanzi riuscendo a identificare il
senso, le particolarità, i caratteri e i contorni
dei personaggi e dei luoghi. Nella descrizione
l'autore imprime il proprio pensiero senza mai
evadere i concetti e le astrazioni che i due libri
esprimono".
L'autore fornisce, inoltre, un'adeguata spiegazione
della trama dei due romanzi, una parte dedicata ai
rimandi letterari ad altre opere, un apparato
bio-bibliografico dei due autori e una traduzione di
un saggio su Espiazione scritto da Brian Finney,
docente universitario statunitense.
"Spurio quindi analizza, smembra, spiega e fa
riferimenti ai fatti con una precisione che regala
al lettore la sensazione di assistere in prima
persona al "filmato" di parole che egli, attraverso
una scrittura fluida e mai astrusa o complicata,
riesce a esprimere", annota la Carocci nella sua
prefazione al libro.
SCHEDA DEL LIBRO
Titolo: Flyte & Tallis
Sottotitolo: Ritorno a Brideshead ed Espiazione: una
analisi ravvicinata di due grandi romanzi della
letteratura inglese
Autore: Lorenzo Spurio
Prefazione: Marzia Carocci
Genere: Critica letteraria
Editore: Photocity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012
ISBN: 978-88-6682-300-1
Numero di pagine: 143
Costo: 10 €
Recensione di EMANUELA FERRARI
Il nuovo lavoro elaborato da Lorenzo Spurio merita
un'analisi accurata per comprendere a fondo i
significati e le modalità espressive che ne sono
alla base.
Il testo intitolato Flyte & Tallis, con il
sottotitolo Ritorno a Brideshead ed Espiazione: una
analisi ravvicinata di due grandi romanzi della
letteratura inglese, si articola in più parti per
"proiettare" il lettore nella prospettiva narrativa
dei due romanzi presi come riferimento da parte
dell'autore, su cui poi si "fonda" la piattaforma
interpretativa per possibili raccordi letterari e
contenutistici.
Nello specifico, la prima parte dello scritto
argomenta sulle vicende e personaggi legati al
romanzo Espiazione di Ian McEwan, poi segue la
trattazione dell'opera di Evelyn Waugh dal titolo
Ritorno a Brideshead.
La seconda parte è incentrata sull'analisi
semantico-narrativa delle parole conversione ed
espiazione che si pongono come "metro" dialogante
presente in entrambi i romanzi. Ci sono anche
richiami alle rappresentazioni cinematografiche con
rivisitazioni, a volte, discordanti rispetto alla
traccia originaria.
Il saggio di Brian Finney si presenta come uno
studio approfondito di Espiazione e "chiude" il
lavoro di Spurio, il quale decide di fornire ai
lettori anche un quadro bio-bibliografico dei due
autori che hanno composto i romanzi su cui concentra
la sua indagine. Questo modo di impostare il "corpo"
del lavoro - a mio avviso - aiuta molto a penetrare
nel "mondo" descritto dai due romanzieri e a
focalizzare la simbologia che li domina, fornendo
materiale anche per quella riflessione individuale e
dal carattere soggettivo che induce a trovare
spiegazioni nel modularsi del racconto. Lo sguardo
insomma diventa più vigile su luoghi, descrizioni e
personaggi per poter poi raccogliere quelle
informazioni necessarie per farsi un'idea anche
sull'autore del brano. Vorrei puntualizzare quest'ultimo
aspetto partendo appunto dall'inizio, seguendo cioè
l'impostazione adottata da Spurio. Andiamo con
ordine… Nel paragrafo di apertura, intitolato Villa
Tallis, la guerra, Londra, ci vengono presentati i
personaggi che animano il romanzo Espiazione di
McEwan. La famiglia Tallis è composta da cinque
persone: Jack, un padre sempre assente che trascorre
molto tempo a Londra per la sua carriera politica,
Emily, la moglie perennemente ammalata di emicranie,
e tre figli di nome Leon, Cecilia, conosciuta con il
diminutivo Cee, e Briony di tredici anni, che si
diletta a scrivere drammi. Quest'ultima sarà il
personaggio chiave delle vicende familiari e la
"penna" narrante di una storia parallela alla vita
reale vissuta da chi la circonda.
La scena si amplia con l'arrivo dall'Irlanda dei
cugini Quincey: due gemelli di nove anni, Pierrot e
Jackson, e la sorella maggiore Lola. La scenografia
si arricchisce con la presenza di un giovane
"lontano" dallo status di questa famiglia
altolocata. Lo scrittore McEwan inserisce appunto in
questa cornice il figlio della domestica, Robbie
Turner. Lo sfondo dove si ambienta tutto è, almeno
nella parte iniziale, Villa Tallis, come alla fine
della narrazione, quasi a "creare" un collegamento
circolare, un rimando alle origini da cui tutto è
dipeso, nonostante il trascorrere del tempo e la
maturità raggiunta dai personaggi che abbiamo
conosciuto nella fase di passaggio dall'infanzia
all'adolescenza.
Il "mondo" che si trova davanti il lettore è quello
vissuto da un gruppo di adolescenti che si
incontrano e passano del tempo insieme. In realtà,
nella storia ci sono quattro eventi o svolte, che
formulano una nuova prospettiva interpretativa: a)
la scena della fontana che coinvolge Robbie e
Cecilia, b) la lettera che Robbie consegna a Briony
per Cee, c) la scena della biblioteca che coinvolge
ancora i due giovani della prima scena, d) la
violenza che subisce Lola. E' importante rilevare
che chi "vede" e "immagina" cosa sta accadendo è la
scrittrice di atti per drammi, che è artefice delle
liti tra i familiari per la "vicinanza" tra la
sorella e Robbie. Quest'ultimo viene sempre visto
con disprezzo, infatti finisce in prigione per una
colpa, la violenza su Lola, che non ha commesso.
Inoltre, la guerra diventa un campo di prova per
tutti, Robbie si arruola, Cecilia diventa
infermiera… Poi un colpo di scena… nella parte
finale del romanzo si apprende che "avevamo
compreso" una storia che non era vera in quanto nata
dalla mano di Briony, oramai scrittrice affermata,
che aveva fatto rivivere la sorella e il suo amore
per il figlio della domestica… in realtà entrambi
erano morti da anni e, soprattutto, non si erano più
incontrati dalle vicende legate a Villa Tallis!
In tale passaggio finale si comprende il valore
della parola espiazione che dà il titolo al romanzo.
Il tutto è iniziato perché Robbie, un giovane
appartenente ad una classe sociale inferiore, ha
"osato" troppo verso la famiglia che lo aveva
ospitato insieme alla madre. La metafora
significativa al riguardo è un richiamo alla
differenza di classe sociale che "domina" tutta la
narrazione, poi "prende forma" la visione
mono-direzionale della protagonista e artefice del
dramma, Briony.
Nel romanzo, oltre ai personaggi che sembrano quasi
"visibili" al lettore per la maestria descrittiva,
emergono dei "sottotitoli" molto interessanti; mi
riferisco ai "luoghi" che diventano il palcoscenico
delle azioni narrate. Nello specifico, prendo a
riferimento il giardino della villa, sterminato e
guarnito da una fontana simile a quella del Bernini
a Roma, e in un questo ambiente esterno si snodano
due momenti: la prima e la quarta scena. Inoltre,
all'interno della casa c'é la biblioteca, quindi un
"luogo" interno in cui prosegue ciò che si è
verificato all'esterno, ovvero l' "avvicinamento"
tra Cee e Robbie che "dovrebbe" continuare
all'esterno di tale abitazione, quindi dovrebbe
"essere parte" integrante della loro vita
passionale…
Tutta la narrazione, di fatto, rievoca l'importanza
delle parole, scritte o dette, sottolineandone sia
l'aspetto positivo che, soprattutto, i contenuti
dissonanti dal contesto reale. Le parole scritte di
una lettera consegnata che non doveva arrivare, il
libro che ha ispirato il contenuto della missiva, le
parole che si mettono insieme per "creare" un dramma
in atti, le parole che dovevano essere scritte per
espiare una colpa commessa legata ad una falsa
testimonianza ed ecco che… l'espiazione rimane
"sospesa" tra le vite di coloro che avrebbero
voluto, e soprattutto dovuto, vivere a loro modo
senza intromissioni fanciullesche. Anche durante la
guerra le parole "viaggiano" tra i protagonisti, le
lettere comunicano un "sentire", uno "stato
d'animo", come è accaduto durante la prigionia. La
forza della parola, quale sinonimo di verità, sembra
trovare una via di uscita nonostante le avversità.
La necessità di voler cambiare pagina, di lasciare
alle spalle quanto è accaduto si rende palese
nell'ultima parte del romanzo, quando Briony, oramai
anziana ed affermata scrittrice, ritorna a Villa
Tallis che, nel frattempo si è trasformata in un
hotel. Il tempo trascorso si "rispecchia" nel
cambiamento dei luoghi vissuti da bambina, ma forse
Briony avrebbe dovuto "cogliere" già al tempo tanti
cambiamenti abbandonando una visione miope degli
eventi a cui fu particolarmente suggestionabile.
Tutta l'opera è percorsa da due linee parallele che,
essendo tali, non avranno mai un punto di incontro:
la vita reale dei personaggi, legata a parole non
scritte in quanto si tratta di un vissuto
emozionale, e la vita rivista come scrittura
parlante, come interpretazione solipsista espressa
in un monologo che riempie le pagine di inchiostro
"colorando" le vite di persone che non ci sono più
da tempo.
Nel secondo romanzo, Ritorno a Brideshead - Le
memorie sacre e profane del capitano Charles Ryder,
c'è come sfondo iniziale la II guerra mondiale ed il
protagonista è il trentanovenne Charles Ryder, che
conduce il suo plotone in una dimora per essere
adibita a caserma. Si tratta, in realtà, di una
tenuta che egli aveva frequentato in passato,
durante il periodo della sua magnificenza e sfarzo…
Vi abitava un'aristocratica famiglia inglese, i
Flyte, che il protagonista conobbe tramite Sebastian
al college Hertford. Anche in questa residenza è
presente un fontanone nell'ingresso esterno che si
può "prestare" a varie interpretazioni simboliche,
alcune delle quali marcatamente religiose: la
necessità di "lavare" delle colpe, di avvicinarsi
alla purezza, ma anche lo scorrere del tempo,
l'armonia dell'ingegno umano con l'elemento
naturale, quindi la sinergia tra creazione e creato
quale connubio realizzabile, oltre ad una
espressione estetica pura e completa - ed
aggiungerei - quasi di inafferrabilità del tutto.
Proseguendo… si ravvisa una traccia di infantilismo
anche in questo romanzo con la figura di Sebastian,
un giovane molto bello che porta con sé l'orsetto
Aloiso, ma - a mio parere - anche da parte della
madre, Lady Teresa Marchmain, legata ad un mondo
religioso che la "estranea" dalla quotidianità
vissuta dalla sua famiglia.
I contatti tra il mondo ateo e quello religioso,
ovvero tra Charles e Sebastian iniziano circa venti
anni fa, durante il periodo di studio ad Oxford.
Trascorrono insieme le vacanze, così l'amico conosce
il resto della famiglia: Julia, la sorella dalla
bellezza strabiliante proprio come Sebastian, il
fratello maggiore Bridey, che prenderà il titolo di
conte Brideshead, i genitori di Sebastian, Lord Alex
Marchmain e Lady Teresa. Le vicende della famiglia
però coinvolgeranno altre persone come Cara, una
signora francese residente a Venezia con il ruolo di
amante di Lord Alex, la tata Hawkins, Ned Ryder
ovvero il padre di Charles ed altri ancora…
A questo punto è già possibile sottolineare delle
similitudini con Espiazione: a) ci sono molti
personaggi che ruotano intorno alla famiglia di
Villa Tallis, come accade appunto per la tenuta a
Brideshead, b) la narrazione ha il suo nucleo di
partenza dalle amicizie e frequentazioni in età
adolescenziale ed ancora una volta c) ci sono
esponenti appartenenti a diverse classi sociali.
Inoltre, si deve aggiungere la presenza di un
elemento religioso che permane con insistenza nella
vita dei personaggi di Brideshead, anzi è manifesto
e quasi palpabile nell'aria, mentre nel romanzo di
McEwan è un "ingrediente" che prende forma nel tempo
per "soffermarsi" su Briony… Poi d) le due
residenze, che fanno da sfondo ai due romanzi,
assumeranno destinazioni diverse: rispettivamente un
hotel e una caserma. Qui si può apostrofare una
metafora: i luoghi nati per essere patrimonio
esclusivo di un vivere familiare duraturo, quasi
dinastico, si trasformano in sedi della temporaneità
e della necessità del momento da parte di chi ne fa
uso, si passa cioè dalla staticità di un mondo
fragile alla dinamicità di una realtà che si
"modula" davanti a ciò che trova…
Il tempo, altra metafora, porta comunque cambiamento
e non sempre in senso positivo.
Non può mancare il senso della bellezza visibile
negli arredi, nelle architetture che Charles, in
quanto amante della pittura, non può non
sottolineare. E qui si intrecciano altre possibili
forme di raccordo con il romanzo precedente: Briony
diventerà una scrittrice, mentre Charles un pittore
di talento. Ed ancora il tema della differenza di
classe è affrontato da entrambi gli autori e si
personifica nel legame Cee-Robbie e nella
frequentazione Charles-Julia, ricordando che sia
Robbie che Charles studiano, di conseguenza
migliorano il loro status. Forse, in questo
passaggio è da sottintendere un'evoluzione dei
costumi che rispecchia l'approssimarsi verso una
nuova epoca, che inizia già ad assumere dimensione
all'interno della famiglia di Sebastian attraverso
la figura del padre che svolge una "nuova vita"
amorosa a Venezia.
Nella parte centrale del libro Lorenzo Spurio dedica
due sezioni rispettivamente al tema religioso e alle
influenze letterarie che sono alla base dei due
testi narrativi. Nello specifico, tracce di
religiosità sono presenti nel titolo del romanzo
Espiazione, mentre la famiglia Flyte ha profonde
radici cattoliche, gli eventi si scandiscono in base
a tali festività e la casa è piena di accessori e
suppellettili religiosi, ma soprattutto è abitata da
persone che fanno della religione l'unica regola di
vita, come la madre di Sebastian, il fratello
maggiore poi lo stesso Sabastian che, col passare
del tempo e le varie vicissitudini, diventerà un
predicatore per il mondo… E chi ha professato un
fervente ateismo, come nel caso di Charles, come si
comporta? Alla fine sembra quasi cedere a favore di
una conversione…
Altro dettaglio in comune di notevole importanza - a
mio avviso - è l'elemento bellico, che irrompe nella
vita dei personaggi, si pone quasi come uno
spartiacque tra la vita adolescenziale e quella
matura.
Inoltre, è da notare che i due romanzi, così ben
strutturati, sono stati presi come riferimento per
serie televisive e cinematografiche tra il
2007-2008. Ritengo però che le trame narrate hanno
un altro "sapore" se lette dalle pagine di un libro
rispetto ad una trasposizione figurativa,
sicuramente più immediata come impatto, ma meno
interiorizzata dal pubblico. Sicuramente, come
specifica Spurio, siamo di fronte a romanzi di
grande valore nati da esperienze letterarie
sofisticate, infatti, dalla biografia degli autori,
risulta che McEwan studia letteratura inglese ed
inizia a scrivere drammi, successivamente si dedica
ai romanzi americani. Questa scelta segna una svolta
significativa in cui esprime tutto il suo
"carattere" avanguardista. Waugh è un importante
scrittore del secolo passato, di lui ci rimangono
numerosi articoli, saggi, romanzi, alcuni dei quali
densi di quello spirito cristiano che diventa parte
della sua vita a partire dal 1930.
In base a quanto evidenziato, risulta che tra le due
opere prese a confronto nel lavoro di Spurio ci sia
una coerenza quantitativa relativa appunto allo
spazio dedicato alle loro rispettive trattazioni ed
analisi, in realtà proseguendo nella lettura il
giovane scrittore sembra - a mio parere - quasi fare
una "scelta", tende a prediligere o comunque a
"proiettarsi" più nello stile narrativo di
Espiazione rispetto a quello di Waugh. Un elemento
dialogante di questa sua "partecipazione" credo di
poterlo rintracciare dalla presenza del saggio di
Brian Finney, dedicato in prevalenza alla figura di
Briony, che si pone appunto come scelta letteraria
dopo l'esegesi dei due lavori messi a confronto.
Forse, questa "vicinanza" è da attribuire ad una
passione per la letteratura inglese che accomuna
McEwan e il giovane Spurio, ma non è tutto... Vorrei
avanzare un'ipotesi, che ho maturato leggendo questo
nuovo lavoro di ricerca letteraria. Credo ci sia un
elemento "caratteriale" che si pone come chiave di
raccordo tra i due autori (McEwan e Spurio) che
identifico con il termine "escursionismo letterario"
inteso come voglia di sperimentare, di provare a
creare qualcosa di nuovo, di tentare in concreto
altre strade sperimentando, essendo comunque
entrambi impegnati su più fronti e, soprattutto,
portati ad innovare. Questa "mia interpretazione"
prende avvio anche dalla lettura del quadro
biografico dello scrittore anconetano da cui si
evince una formazione in progress in ambito
letterario attraverso la redazione di testi di vario
genere.
Emanuela Ferrari
* * *
La luce oltre le crepe
di AA.VV.
Curatori: Roberta De Tomi e Luca Gilioli
Prefazione a cura di Giuseppe Pederiali
Bernini Editore, 2012
ISBN: 978-88-95822-07-5
Pagine: 65
Costo: 10€
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Un profondo, cupo brontolio
di nostra, amata, madre terra
e più nulla sarà come prima:
perch'io qua… non son più!
("Il muto fantasma" di Tommaso Campera, p. 10)
La luce oltre le crepe raccoglie poesie di numerosi
poeti contemporanei che si sono uniti in questa
esperienza lodevole per un fine umanitario: quella
di finanziare e salvaguardare le biblioteche
modenesi dopo il forte sisma che la provincia
emiliana ha subito nel maggio del 2012. I proventi
derivanti dalla vendita di questo libro, infatti,
verranno interamente dedicati a questo fine benefico
(nel colophon, inoltre, è riportato il codice IBAN
sul quale è possibile inviare del denaro per questa
causa).
I curatori del testo, Roberta De Tomi e Luca Gilioli,
hanno deciso di fare un lavoro di qualità: ce ne
rendiamo conto guardando l'immagine di copertina,
semplice e significativa, quella di un muro
scrostato, rotto e infranto dalla grande forza della
natura. L'interno è altrettanto curato e si
susseguono liriche potenti in versi per lo più
asciutti, scarnificati, dai quali il lettore non
farà difficoltà a percepire la sofferenza del poeta
che ne ha steso sulla carta quei versi. Perché una
crepa è sempre sinonimo di qualcosa che divide, si
rompe, che ci conduce a una realtà diversa dalla
precedente, poiché ogni rottura in fondo non potrà
essere mai più risanata completamente. Rimarranno
segni, cicatrici, tracce indelebili nel tempo e
soprattutto nella memoria di chi quei traumi li ha
vissuti sulla propria pelle. L
'intero progetto che sta alle base di questa
pubblicazione, come ricorda egregiamente Giuseppe
Pederiali nella nota di prefazione, è quello di "non
essere dimenticati, perché qualcuno non faccia finta
di non conoscere la gravità di quanto è accaduto".
Il libro si apre con una bellissima poesia di
Giuseppina Abbate che tratteggia il misto di
sensazioni di quella notte tremenda in cui "il buio
divenne veglia e morte" e poi la terra che trema, le
macerie, le urla e la polvere tanto da far pensare
che sia davvero arrivata la fine del mondo, "come se
il maestro avesse rotto l'incanto" (p.2). La
poetessa conclude speranzosa che la notte che si
succederà sia "senza paura di scosse e lamelle" (p.3),
ma sappiamo che non lo sarà: tanto il terrore di chi
ha ancora la morte negli occhi che non consentirà
nel breve e forse mai di non aver paura: "Mi
addormenterò ancora,/ ma chi ho fatto sussultare/
vivrà sempre con quel singulto/ nel cuore" scrive
Miriam Ballerini in "L'Italia che trema" (p.5).
Perché la natura si accanisce sull'uomo? C'è una
ragione? C'è un disegno che sottende alle calamità
naturali? Il poeta Alfredo Bruni in "Terremoti" fa
sue queste considerazioni chiedendosi se eventi come
questi siano "legg[i] di natura" (p.8) per passare a
vedere poi nell'uomo stesso e nella sua attività
spregiudicata l'origine di catastrofi come queste,
mentre Roberta De Tomi, riferendosi alla natura, si
chiede: "E' davvero matrigna?" (p. 21). L'immagine
della madre natura come divinità del Creato, florida
e fertile, lascia il posto a un'arcigna creatura
degli inferi che genera male e dolore: "madre terra
diventi maligna/ più non ci abbracci/ ma di dosso ci
scrolli/ come fastidiosi insetti" scrive Giovanni
Degli Esposti in "Ricominciare a contare ancora" (p.
22). Daniela Gregorini in "Ricostruire" scrive:
"S'arrende, questa pianura/ all'autorità della
Madre. Despota" (p. 39).
Luca Artioli nella sua "E siamo stati come case"
sottolinea l'inesistenza e la perdita stessa
d'identità dell'uomo privato della sua dimora, il
complesso di affetti, ricordi e speranze. L'elemento
fisico e materiale è ormai perduto, infranto,
deteriorato tra le macerie; rimane lo spirito
abbattuto dell'uomo: "le poche cose rimaste/ora si
radunano in gesti" (p.4), e Marzia Carocci nella sua
"Tutto tace" ci da' l'immagine di un paese nel quale
non si ode più nessun rumore dopo la tragica scossa
che ha prodotto un atroce boato e fatto crollare
case. C'è silenzio e assenza: la poetessa cerca di
dare senso all'esistenza, ma i chiari simboli della
normale vita dell'uomo sono ormai violentati e
scomparsi: "Le case senza tetti,/ le chiese senza
Croci/ la Croce che tu invochi/ per riveder la luce"
(p.12).
Respiriamo i colori e i profumi di un territorio
locale, quello della Bassa, della provincia modenese
("quella terra che amo/ e che mi ha tradito" per
usare i versi di Maria Michelina Castelli, p. 13) in
uno scenario desolante dove sembra che non ci sia
più speranza e possibilità di rialzarsi. Quelle
suggestioni che questa terra infonde in chi l'ha
vissuta, l'ha conosciuta o tutt'ora la vive, sono
esse stesse motivo per andare avanti a testa alta,
rifuggendo spiccioli atteggiamenti vittimistici che
non porteranno a niente.
Il terremoto non è solo morte e desolazione, ma
anche una riflessione sulla vita per chi rimane su
questo mondo, una chiamata non-voluta a riscrivere
se stessi, una sfida potente lanciata dalla natura
che violentemente detterà per sempre l'esistenza
della società. Le macerie, la polvere, le grida, il
sangue e le lacrime sono immagini ricorrenti in
questo scenario apocalittico dove ogni certezza è
ormai sfumata per sempre lasciando l'uomo in un
inquietante limbo alla mercé del freddo, della
mancanza di riparo, della privazione di cari e del
delirante dubbio alla ricerca della ragione per la
quale la natura prima da' all'uomo, per poi
togliergli tutto, compresa la vita stessa. Il sisma
è così sinonimo di cesura tra un prima e un dopo,
tra la spensieratezza e la depressione, tra la
felicità e l'angoscia. Anche se la terra ha tremato
per una manciata di secondi, gli uomini rimarranno
scossi per sempre: "Mentre la vita cambia,/ il dopo
prevale sul prima/ di una serenità incrinata/ come
un bicchiere di cristallo" ("Dopo" di Roberta De
Tomi, p. 21).
La forza destabilizzatrice che si sprigiona dal
centro della terra, il terremoto, viene descritto
dai poeti nelle forme più varie, utilizzando
parallelismi, metafore o analogie: per Pierina Cilla
è "il dubbio che corre nel filo del tempo" (p. 15),
per Vincenzo Ciminello è "[l'] attimo prima del
boato" (p.16), per Giovanni Degli Esposti è "un
sisma universale delle anime" (p. 22), per Andrea
Garbin è "una sorta di tonfo" (p. 31), per Giorgio
Mancinelli è "il rimuginare della Terra" (p. 46),
mentre per Pietro Pontieri è "un'anteprima
d'Apocalisse" (p. 55).
In "Tremuli pioppi" di Pietro Erasmo Fasani (p. 25)
il poeta mette in luce la cattiveria umana che si
sprigiona in un momento tragico come quello del
dopo-sisma: lo sciacallaggio tra i detriti delle
case mentre in "Terremoto", Silvano Fini (p. 27)
ricorda l'impegno umanitario di civili e forze
dell'ordine per cercare di salvare vite: "Tanti
angeli si sono prodigati/ rischiano la medesima
vita/ per soccorrere, aiutare e salvare" (p. 27). E
sono queste due poesie, poste una di seguito
all'altra a mostrare la doppiezza dell'animo umano
di fronte alla tragedia e alla distruzione di tutto:
chi si è salvato e furtivamente ruba qualcosa tra le
macerie o si introduce nelle case dichiarate
inagibili e chi, invece, consapevole del rischio che
corre, si dona alla società cercando di salvare
vite.
C'è voglia di fare e di ricostruire.
Ricostruire una casa è come ricostruire se stessi e
rinascere: "Bambino mio, sogna ancora/ e non
piangere non piangere/ c'è tanto da rifare/ dal
sorriso alla carezza/ ricostruire tutto nuovo"
("!SPACCA CASCA SPACCA!" di Serse Cardellini, p.
11). Maria Grazia Fabbri in "La tua Finale" (Finale
Emilia fu la città più interessata dal sisma) chiude
la lirica con speranza, voglia di andare avanti,
come uno spiraglio di luce che, seppur fioco, riesce
a rompere le tenebre: "Appena la terra smette di
tremare/ ci mettiamo tutti d'accordo/ e pietra dopo
pietra/ con le nostre braccia/ lo tiriamo su il
nostro paese.// La torre dell'orologio e il
castello/ il duomo, il municipio e il teatro/ e
vedrai papà che lo torniamo a fare/ ancora più
bello" (p. 24). Forte è il bisogno di ricostruire il
passato per dar senso al presente e per affidarsi al
futuro.
Questo libro è un mattone importante nel processo di
ricostruzione delle coscienze del dopo-sisma
emiliano che può e deve essere preso come modello di
quel desiderio insanabile dell'uomo di celebrare la
vita anche quando sembra che la disperazione sia
ormai padrona di tutto.
La terra ha urlato
-ma oggi ha ancora il suo domani-
avvolto il cuore nell'abbraccio
siamo vivi -vivi!-
Figlio.
("29 Maggio" di Sara Bellingeri, p. 6)
Jesi, 14-02-2013
* * *
Poeti contemporanei e non. Antologia di poesia
civile
di AA.VV.
Curatore: Pina Vicario
Edizioni Agemina, Firenze, 2012
ISBN: 978-88-95555-52-5
Pagine: 134
Costo: 10 €
Recensione di Lorenzo Spurio
Uomo!
Riprendi il tuo posto,
evita il danno e l'imbarazzo
di un mondo spogliato.
("Uomo" di Sandra Carresi, p. 91)
Appena una settimana fa ho avuto il piacere di
conoscere la signora Pina Vicario, poetessa e
dirigente di Edizioni Agemina, una realtà editoriale
di piccole dimensioni ma che sta seguendo numerosi e
validi autori del panorama culturale contemporaneo.
In quell'occasione la signora Vicario mi ha
omaggiato di una copia del volume poetico-antologico
dal titolo Poeti contemporanei e non. Antologia di
poesia civile, edito per l'appunto dalla sua casa
editrice. Ne sono stato molto contento, perché
un'antologia di poesia civile è probabilmente quello
di cui avevamo realmente bisogno in questo oggi
difficile e alienante, come pure la stessa Vicario
osserva nella sua interessante nota di prefazione.
Parlare di poesia civile significa imboccare un
percorso il cui inizio va rintracciato in decenni e
secoli a noi distanti perché, anche se i testi di
storia di letteratura dedicano uno spazio
approssimativo al genere, la poesia civile, voce
dell'uomo e del popolo (ossia dell'uomo che si
unisce) sulle problematiche che soffre sulla sua
pelle, è sempre esistita. Diversi i problemi, le
esigenze, le denunce o gli "inganni sociali",
ovviamente, uguale, invece, il senso di oppressione,
emarginazione e sconfitta del "povero cristo" che
soffre direttamente sulla sua pelle condizioni
d'indigenza che contrastano, invece, con l'opulenza
di chi comanda per il bene del paese. O che dovrebbe
farlo.
Per questo l'antologia si apre con una prima parte
nella quale si da' spazio ad alcuni grandi poeti di
sempre: William Blake, il precursore del
romanticismo inglese, l'esistenzialista Ungaretti,
il pessimista Leopardi, Neruda e vari altri
scrittori di altissima levatura che, a loro modo,
danno la rappresentazione del dramma sociale. Tra
questi ci sono versi "potenti" e dolorosi come
quelli di San Martino del Carso di Ungaretti e delle
considerazioni amare sul senso del nascere, il genio
recanatese scrive in "Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia": "Nasce l'uomo a fatica,/ ed è
rischio di morire il nascimento" (cit. p. 10).
La seconda parte del volume, quella più ampia, da'
invece voce ai poeti contemporanei, più o meno noti,
presentando anche una scheda biografica per ciascuno
di essi. Un'analisi esaustiva dell'intero volume
presumerebbe una scrittura critica attenta per ogni
componimento; mi soffermerò brevemente solo su
alcuni testi e versi, invitando però il lettore a
leggerli tutti, con altrettanto interesse ed
attenzione.
Marzia Carocci, poetessa e critico-recensionista
fiorentino, celebra il valore della donna nella
lirica "8 Marzo 1908" che rievoca la tragica morte
in un rogo scoppiato in una fabbrica americana,
evento attorno al quale poi nacque la "festa della
donna" che tutti gli anni celebriamo. La Carocci
ammonisce il lettore invitandolo a ricordare quel
sacrificio e il valore-dono che la Donna stessa
rappresenta: "E tu donna, che ancora lotti invano/
musa, mistero, madre del tuo tempo/ ricorda che quel
fiore profumato/ è rosso sotto un giallo camuffato/
del sangue delle donne forti e fiere" (p. 31).
Rosalba Satta Ceriale in "Ma la poesia non muore"
riconosce il valore di questo genere letterario:
difesa, approdo, consolazione e forza per concludere
"Ma la poesia non muore con l'inganno" (p. 39).
Nicoletta Corsalini, invece, dipinge in una lirica
incalzante con dei versi reiterati, la violenza
dell'uomo che si macchia di peccato, reato e
prepotenza con le sue atroci azioni senza rendersi
conto che ferisce se stesso nel momento in cui le
compie.
Parlare di sociale non significa parlare solo di
povertà, ma di tutte quelle realtà che pongono
l'uomo in una difficoltà inarrestabile nel condurre
una vita dignitosa: abbandono, esilio, l'essere
orfani, la violenza sessuale (si legga la poesia "Broken"
di Davide Rocco Colacrai, basata su di un doloroso
episodio d'incesto, p. 67), l'offesa ricevuta, la
prostituzione (si legga la bellissima lirica di
Loretta Giannangeli intitolata "La giovane
prostituta nera", p. 55), la denigrazione, lo
schiavismo, lo sfruttamento lavorale (leggere "La
fabbrica che uccide" di Paolo Tonelli, p. 114), la
sofferenza per la guerra (leggere "Partigiani" di
Giorgia Francesconi, p. 105 che si chiude con dei
versi magnifici: "Fammi lottare per il meriggio
della Vita"), il vagabondaggio, la mancanza di un
lavoro, la discriminazione religiosa, il razzismo e
così via. C'è dolore, ma non rassegnazione in queste
pagine, le lacrime si mescolano alla nuda terra,
alla polvere e le grida sembrano squarciare il
silenzio. In "11 settembre" Maria Grazia Castagna
rievoca l'attacco più doloroso che la società
contemporanea abbia mai subito scrivendo "l'umanità
si accartoccia/ opulente e sciocca/ nel delirio" (p.
108).
Questo volume regala al lettore pepite
d'inestimabile valore, pagina dopo pagina. Solo
dalla riflessione sul mondo e dalla comprensione,
che giungono solo grazie alla compartecipazione e
alla condivisione d'idee, si può modificare la
società nel bene, proprio come "L'uomo di fumo" di
Daniele Carboni in cui l'uomo, dopo aver
"emarginato, rifiutato e cancellato", giunge a una
riflessione aperta sul senso dell'esserci.
Non ci sono migliori parole che quelle usate da Anna
Maria Folchini Stabile nella sua poesia "Corrono gli
anni…", un quadretto di consapevole e riconoscente
storia dell'uomo, dell'italiano nella fattispecie,
con riferimenti ad eventi storici dolorosi. La
speranza e l'ottimismo, che sono elementi comuni in
molte poesie di questo libro, non sono una
manifestazione effimera dell'utopia che tutti i
giorni rincorriamo, ma sono esse stesse rivelatrici
di una lucida volontà di migliorarsi, aiutarsi e
scoprirsi utili all'altro a partire dai più piccoli
gesti:
Ci saranno
giorni migliori
quando tutto
avrà compimento,
quando ognuno,
conosciuto il suo ruolo,
farà della storia
il suo Credo (p. 113).
Jesi, 13-02-2013
* * *
Némesis
di Marzia Carocci
con prefazione di Fulvio Castellani
Carta e Penna, Torino, 2012
ISBN:978-88-97902-16-4
Pagine: 95
Costo:12€
Recensione di Lorenzo Spurio
Perché non è finita
finché ritorna il giorno
che limpido c'invita
di nuovo a un altro sogno.
(in "E sarà di nuovo giorno, p. 25)
Difficile e forse addirittura coraggioso è il
recensire il recente libro della scrittrice,
poetessa, nonché valida collaboratrice Marzia
Carocci, perché la sua attività letteraria, le sue
pubblicazioni e soprattutto il suo impegno concreto
nel mondo culturale contemporaneo è, oltre che
encomiabile e invidiabile, prerogativa per
considerarla una delle potesse più valide e amate
del nostro tempo. Non si tratta di un'asserzione
iperbolica: chi la conosce anche solo di nome per il
suo serio impegno sa che sto dicendo il vero, mentre
a chi non la conosce inviterei a leggere qualcosa di
lei: poesie, ma anche recensioni, perché va
ricordato che Marzia Carocci è un anche un attento
critico che si occupa di note di prefazioni,
recensioni e quanto altro, il tutto all'insegna
della promozione di lavori di qualità che, non
essendo supportati da grandi case editrici,
rimarrebbero nell'ombra se nessuno si assumesse
l'onere di promuoverli adeguatamente: in altre
parole, il "poeta incompreso" della sua omonima
lirica o i "ragazzi spesso non capiti" di "La
gioventù" (p. 46). Negli anni ho avuto modo di
leggere varie poesie di Marzia, tra quelle che lei
pubblicava in Facebook e quelle apparse in varie
antologie poetiche e sono stato enormemente contento
della sua collaborazione anche alla rivista di
letteratura Euterpe che dirigo.
Il libro in questione, Némesis, edito nel 2012
dall'Associazione Carta e Penna di Torino ci immette
da subito in un'ambientazione di difficile
collocazione: l'immagine di copertina, la foto di
una bambola scheggiata della quale risalta, però, il
rosso delle labbra sensuali sembra trasmettere un
senso d'incertezza e al contempo di paura, come se
qualcosa -che non ci è dato sapere- è appena
successo e che quell'espressione di spavento, quelle
cicatrici sul volto siano, dunque, il "risultato" di
qualcosa. Il titolo, Némesis, che potrebbe far venir
in mente a un recentissimo romanzo del grande
americano Philip Roth, sta a significare quei
momenti difficili del passato che vedono poi un
momento di "rivelazione" che in pratica li fanno
risollevare, una sorta di epifania o come viene
detto in Wikipedia, come "una compensazione".
Parlare di "nemesi", dunque, presuppone considerare
la realtà liquida nella quale il nostro essere si
trova come un immenso vivente dominato da forze
imperscrutabili, ingovernabili che, in una certa
misura, dettano a nostra insaputa le nostre azioni,
in altre parole di fatalismo. Una nemesi, dunque,
presuppone un prima e un dopo, un periodo di
tristezza, un altro di rappacificazione, un tramonto
e un sorgere. Ma l'attenzione non è tanto su questi
due elementi, quanto sul processo di cambiamento
stesso, sul momento "rivelatore" che consente
appunto di passare dal prima al dopo.
La silloge si apre con la lirica intitolata "8 marzo
1908", già letta e contenuta in Poeti contemporanei
e non. Antologia di poesia civile edita da Agemina
(2012) nella quale la poetessa affida tutto al
ricordo di quella data dolorosa nella storia
dell'umanità: il rogo che si diffuse in una fabbrica
americana producendo una grande quantità di vittime
donne portò l'attenzione sulle cattive condizioni di
lavoro e sullo sfruttamento (tanto lavorale che non)
della donna nella società. La festa della donna
nasce per ricordare il sacrificio di donne con la
"D" maiuscola che soffrirono le ingiustizie della
storia e la prepotenza degli uomini sulla loro
pelle. Della lirica i versi più belli sono quelli
che affondano la loro essenza nel vivo cromatismo:
"ricorda che quel fiore profumato/ è rosso sotto un
giallo camuffato/ del sangue delle donne forti e
fiere/ che vollero lottare per cambiare" (p. 7).
Ci sono liriche dolorose, ma al contempo ricchissime
dal punto di vista dei sentimenti e sono
principalmente quelle che hanno un qualche legame al
tema del tempo come in "A mio padre" dove l'uso
continuo di quel condizionale "vorrei" ci dice che
la poesia non è altro che un sogno ad occhi aperti,
un qualcosa di illusorio, una sorta di tentativo di
voler riconquistare quello che in un tempo andato
non si è potuto fare o non si è avuto il tempo di
fare. Ed è forse proprio il tempo, quel gigante
invisibile e sempre presente, a rappresentare la
"nemesi", quello stacco lucido da un prima a volte
doloroso o che si ricorda con nostalgia al presente
che, invece, è immancabilmente diverso dal prima,
addirittura differente da come ce l'avremmo
immaginato: "La vita ci conduce dove vuole/ ma
niente può nascondere e occultare/ i sogni ed i
ricordi sono eterni/ bagaglio di un'essenza da
cullare", scrive la poetessa in "Ad un caro amico
ritrovato" (p. 9). Come per dire: siamo noi stessi
solo perché abbiamo avuto un passato (privato e
collettivo) e perché abbiamo ricevuto e dato
emozioni. Una vita senza affetti, infatti, si
ridurrebbe a niente: desolazione e senso di nullità.
La Carocci sottolinea in queste liriche quanto
l'amore, l'amicizia, l'affratellamento e le piccole
cose possano alimentare quella ragion d'esserci nel
presente e quella forza motrice per andar avanti e
non lasciarsi scoraggiare. La morte di un genitore,
allora, non è solo vivido manifesto di un dolore che
mai più verrà colmato, ma anche un sorriso incantato
sul viso della poetessa.
In "Amore immortale" scopriamo la poetessa-madre in
una lirica d'amore verso i suoi figli nella quale,
come spesso accade nelle liriche della Carocci, fa
capolino il tempo, quasi fosse un ospite non
gradito, un nemico indissolubile. La riflessione sul
tempo è chiara ed espressa in termini facilmente
comprensibili a tutti: "Sfugge poi il tempo e
scorrono gli anni" scrive, per concludere in un
chiaro encomio all'amore che salva e che unisce
anche oltre la morte: "Non sarà il tempo, trascorso
e andato/ che arresterà questo mio amore" (p. 11).
Il tempo ritorna in tutte le possibili
manifestazioni in questa silloge d'inestimabile
valore: le rughe (p.12, 45,46) segno fisico della
giovane età ormai sfiorita, il ritardo (una
dilazione, improvvisa, nel tempo che solitamente
provoca scoraggiamento e che nella lirica "Agape"
dedicata al marito, invece, è diventato ormai segno
di "ritualità"), la stanchezza fisica che il "peso
del tempo" (p. 13) arreca, il "come allora"
dell'omonima poesia; i "bimbi già vecchi" in
"Dolore" (p.23) , cresciuti troppo velocemente e
privi di una dolce infanzia a causa della violenza
della guerra e i "giorni usurati" (p.42). Stupenda
la poesia "Assorta" in cui la poetessa osserva la
madre a distanza cercando di capirne i pensieri, i
ricordi più o meno felici del suo passato, e tituba
se avvicinarsi o no quasi da sentirsi invadente o
inopportuna, ma poi è la forza di un gesto, quel
"prendere la mano" che apre il cuore della poetessa
e lo avvicina a quello della madre.
Ma una delle cose più curiose di questa silloge è
che, anche se la poetessa parla sempre di questo
duello perenne con il tempo o del tempo che divora
il presente per condurre l'uomo alla vecchiaia e
alla fine dei suoi giorni, lei non parla mai di
morte. Non usa questa parola troppo dura, fredda,
che annulla le speranze e preferisce descriverla con
versi più elaborati che ci trasmettono un'immagine
di eleganza e ci fanno pensare alla morte come una
danza che corteggia l'uomo: "[il] traguardo d'un
tempo/ codardo e impietoso/ che in fondo ci attende
crudele" (in "Anche io avrò il tuo tempo", p. 13).
In "Come allora" la morte è semplicemente "la via de
non ritorno" (p.19).
In "Carnevale" la poetessa affonda in un momento di
colori e travestimenti, qual è appunto quello della
festa di Carnevale e durante la quale "[fingerà] per
non farsi scoprire" (p. 17). C'è da una parte
un'insaziabile sentimento fanciullesco e ludico che
torna a galla, quasi con la volontà di sfidare se
stesso e gli altri, dall'altra, però, c'è la volontà
della poetessa di osservare, travisata, gli altri e
il mondo, senza esser vista né riconosciuta. Il
bisogno di cambiare prospettiva, di indossare gli
abiti di un altro e di sentirsi un po' questa
persona e soprattutto la necessità di celarsi al
mondo, è forse rivelatrice di come la poetessa
consideri importante il tema dell'identità passata.
Mascherandoci e ritornando bambini possiamo
illuderci di rivivere quei momenti andati per sempre
e di rinverdire ricordi ormai appassiti: "Di domani
non voglio parlare,/ la mia maschera ride perenne,/
cosa importa se dietro io vivo,/ altri mondi, altri
sogni per me" (p. 17).
Il tempo che divora e che consuma non viene mai
insultato, offeso o vezzeggiato dalla Carocci, ma è
esso stesso oggetto di riflessione dei suoi
pensieri; parlare di esso significa cercare di
conoscerlo, respirarlo e farselo amico. La Carocci
dialoga con esso, quasi volesse delle risposte che
puntualmente non giungono. Non si scoraggia e lo
richiama, lo interpella, lo chiama in causa. E' lui
che comanda tutto e l'uomo deve prenderne atto.
Non si sfugge dal tempo, non si annulla, non
possiamo dilatarlo: "Ma niente contro lo scandir/
degli anni io posso", scrive in "Madre" (p. 54).
Possiamo viverlo, però, mitigarlo, sfidarlo o, come
ci dice la Carocci, "trasformarlo":
Non sono più bambina,
né giovane ragazza
ma il tempo che è passato,
lo voglio trasformare.
(in "E sarà di nuovo giorno", p. 24)
La sensibilità di una poetessa come la Carocci è
così variegata ed eccelsa proprio perché parte da
un'attenta esegesi sul tempo e sul ruolo che esso
svolge nelle nostre vite e, soprattutto, nelle
nostre riflessioni. Così il ricordo della nonna e i
giochi dell'infanzia sembrano a prima vista essere
perduti e sostituiti da quei "nostalgici giorni" (p.
33) del presente, un tempo in cui la malinconia, la
tristezza e la continua lotta con la dimenticanza,
scrivono le ore, ma il passato non è perduto perché
rivive nei sogni dove la poetessa ritrova quei tempi
e riscopre momenti passati, re-incontra i suoi cari
e quasi dialoga con essi. Così la mamma, il genitore
premuroso che ha dato amore e cresciuto il figlio,
una volta anziano diventa come un infante a cui il
figlio da' amore, premure e attenzioni cantandogli
una dolce ninna nanna ("Ninna nanna", p. 61).
Jesi, 19-02-2013
* * *
Un passaggio verso le emozioni (2010-2012)
di Giorgia Catalano
Prefazione a cura di Emanuele Marcuccio
Photocity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012
ISBN: 978-88-6682-321-6
Pagine: 63
Costo: 8,14 €
Link diretto all'acquisto
Recensione di Lorenzo Spurio
A piccoli passi, andiam
verso la vita
verso noi stessi,
verso lo specchio
della nostra anima
(in "Anima", p. 7)
Con Un passaggio verso le emozioni Giorgia Catalano
esordisce nel mondo della poesia, sebbene abbia già
pubblicato varie liriche in antologie. Come
sottolinea in maniera acuta il poeta e aforista
palermitano, nonché curatore della silloge, Emanuele
Marcuccio, la sua poesia è ricca di musicalità
grazie alla presenza di forme retoriche e di
stratagemmi metrico-poetici che rimandano a una
poetica di tipo classico.
Le liriche condividono un senso di nostalgia e
tristezza per un passato ormai andato: nella lirica
che apre la raccolta, "Fioco lamento" c'è
desolazione, silenzio e un senso d'abbandono che,
però, porta la poetessa a prendere una decisione
importante: "Rubo un sorriso/ ad un cucciolo
d'uomo,/ spezzo l'affanno del tempo/ che fu" (3). E
nella lirica che segue, "Ripenso", i pensieri
dolorosi assumono materialità e vengono equiparati a
dei panni: per rinverdire quei momenti passati e per
privarli dell'angoscia ai quali erano legati sarà
necessaria una purificazione: "Così, odorosi di
bucato/ li indosserò come abito nuovo" (4). Bastano
due semplici liriche per comprendere quali sono le
tematiche profonde che caratterizzano un poeta e
queste due, scelte non a caso, ne sono la prova: la
Catalano affronta i temi del tempo e del suo
indissolubile scorrere, del passato e del ricordo,
del dolore e dell'assenza e del bisogno che l'uomo
ha nella sua contemporaneità di "fare i conti" con
quello che è stato. Siamo quelli che siamo stati ed
è impossibile annullare il passato, è vero, ma la
Catalano ci insegna che forse il presente fluido
dell'oggi può insegnarci a ricomprendere il passato,
a rivederlo, a riviverlo, sempre che siamo disposti
a farlo, prendendo le distanze da quel dolore vivo
che invece caratterizzò quei momenti.
Nella poesia "Tremo", quella che a mio modesto
parere tocca l'apice dell'espressività lirica e al
contempo è in grado di trasmettere la violenza delle
immagini, Giorgia Catalano ci "narra" dell'angoscia
che può nascere in una persona che viene ferita
psicologicamente e fisicamente, un dolore vergognoso
che genera disperazione e incomprensione: "Tremo/
vicino alle tue mani/ percosse e deturpate" (8).
Ovviamente la poetessa ci regala liriche anche più
lucide ed ottimistiche, come "Per te, piccola"
ispirata alla nascita della piccola Martina e che,
in qualche modo, celebra il mistero della vita che
puntualmente si rinnova. Ci sono liriche colorate e
profumate come "Porta Palazzo" dove la poetessa
riflette su culture ed etnie diverse guardando una
donna in burka "dallo sguardo cupo" (10) per poi
riflettere anche sulla presenza cinese nel nostro
paese: "Gente che va e che viene,/ che s'adopera in
acquisti" (10) e anche la poesia "Tasselli", una
sorta di manifesto della sua poetica, dove le
canoniche attività del libero pensatore (leggere,
pensare, sperare, poetare) vengono considerate
tasselli, ossia parti che solo uniti tra loro danno
forma e unità a un qualcosa che, lentamente, "si fa/
immagine" (19). In "A te, poesia", la poetessa
annuncia il suo amore per questo genere letterario
che è consolazione, guarigione e custode di mali
tanto da portarla ad utilizzare un linguaggio
iperbolico: "Vivo per te" (28) che ben mette in luce
quanto il rapporto della Catalano con la poesia sia
vivido e autentico.
Mi piace concludere questo mio breve commento con la
speranza che trasuda dalla lirica intitolata "Anime
spoglie" dove la morte di un ragazzo viene accolta
dal Cielo con un lampo che "squarcia/ l'unica bianca
nube seppellita da cumuli/ anneriti dalla
disperazione" (12) descritto come un fiore che di
colpo appassisce, all'improvviso per tramontare per
sempre. Dov'è allora la speranza in una lirica
luttuosa come questa? La speranza è il dolore stesso
che, ormai come un fardello che la madre del
protagonista porterà fino alla fine dei suoi giorni,
"abita/ nel suo cuore" (13) come un tremendo
compagno e un dolce nemico che, tuttavia, le farà
compagnia. Così come avviene in "A chi non c'è più"
dove l'idea di un aldilà è in grado di mitigare quel
dolore e quell'assenza: "Ci sarà sempre/ un tuo
sguardo/ amorevole e attento,/ posato su di me"
(15).
Lorenzo Spurio
Jesi, 01-02-2013
Giorgia Catalano è nata a Ventimiglia (IM) nel 1971.
Nel 1989 ha conseguito la maturità magistrale.
Inizia a scrivere poesie in età adolescenziale. A
partire dal 2010 varie sue liriche sono apparse in
diverse antologie poetiche e riviste letterarie
online. L'autrice ha un suo blog che prende il nome
dal titolo di questa sua prima raccolta poetica dove
pubblica poesie, foto, pensieri e altro.
E' SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA
PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI
STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL'AUTORE.
* * *
Gli invisibili
di Gianfranco Menghini
Un industre popolo che dalla Magna Grecia, a causa
di un'esplosione terrificante dell'Etna oltre
tremila anni fa, varca le colonne d'Ercole e,
ramengo e prossimo alla fine per lo stremo, approda
in una grande isola in mezzo all'Oceano Atlantico.
Dotato di una forza di volontà straordinaria e di
una compattezza d'intenti, si dà leggi semplici ed
efficaci. Niente perdita di tempo in religioni,
mitologie o comportamenti scaramantici. Si dedica
interamente a migliorare la sua situazione. Grazie
anche alla fertilità dei terreni
dell'isola-continente e alle sue immense risorse
minerarie e ittiche. Quando Cristoforo Colombo si
avventura in mare per circumnavigarlo e approdare
nel mitico Catai, questo popolo che niente vuol
spartire con gli umani, ha raggiunto un livello di
tecnologia tale da essere considerato inconcepibile
anche ai nostri giorni. Ha nascosto l'isola sotto
una campana elettromagnetica che la rende invisibile
agli occhi animali e a tutti i più sofisticati
congegni di ingegneria ottica compresi i satelliti
spia, con un confine che supera le quaranta miglia
attorno alle sue coste. Nessuna nave né aereo può
perforare, nemmeno per sbaglio, il suo spazio vitale
giacché, senza che gli esterni se ne accorgano, la
prua dei loro veicoli viene deviata per seguire i
paralleli e i meridiani disegnati dagli uomini.
Tutto questo e altre cose che nemmeno adesso si
possono immaginare come, per fare un solo esempio,
un potentissimo computer il cui nucleo è composto da
una materia chimica simile a quella del cervello
umano, ma ridondante di neuroni attraversati da
miliardi di finissimi filamenti d'oro che conducono
un'elettricità a nanoamperaggio, il cui
funzionamento è superiore a cento milioni dei più
potenti computer utilizzati dagli umani.
Tuttavia una cosa, purtroppo, il popolo degli elleni
(così si definiscono gli abitanti di KALLITALA)
condividono con il genere umano: l'aria che
respirano, e dato che sono sensibilissimi a ogni sia
pur minima variazione negativa del composto aereo
nonostante l'isola sia situata sulla faglia che
taglia in due il fondale dell'Atlantico, l'aria
inquinata arriva anche là...
SE HAI UN IPAD, GALAXY O ALTRO LETTORE MULTIMEDIALE,
FAMMELO SAPERE, TI INVIERO' IL LIBRO COMPLETO.
Uno straordinario capolavoro, un libro che farà
epoca, leggibile dall'adolescenza in su che, sotto
forma di fantasy, espone in modo chiaro il problema
della sopravvivenza del pianeta Terra, dando spunti
interessanti che forse un gruppo di scienziati
potrebbe mettere in pratica. Perché esistono l'oro,
i diamanti e il platino? Perché non vengono creati
minerali e rocce in un composto più omogeneo come il
ruprizio, la fresire, il rocroasio, eccetera? Eppure
la nostra Terra ce ne ha dato innumerevoli prove.
Basta studiare più attentamente le stratificazioni
dovute sia ai sedimenti che ai movimenti tellurici
di millenni di anni fa.
La lettura di questo libro è allietata da una storia
affascinante, piena di colpi di scena, di un amore
celestiale e di un finale mozzafiato… (Ted Patty -
L'ECOLO')
* * *
Il punto estremo
Paolo Pajer
Erga edizioni, 2012
Nota di Massimo Acciai
Un libretto piccolo nel formato e nel numero di
pagine, quello di Paolo Pajer, ma denso nel
contenuto. Il "punto estremo" del titolo è, come si
può intuire, quello della fine dell'esistenza. In
particolare si narra il "punto estremo" di tre vite,
strettamente legate: Adele, Claudio e un feto
indicato col nome di Zero. Diverse per ciascuno le
scansioni temporali: la storia di Adele si misura in
giorni, quella di Claudio in ore e quella di Zero in
istanti. Il tempo è il protagonista di questo libro:
i ricordi, il passato, il futuro precluso ai
personaggi, il tempo degli affetti e del dolore, il
tempo che manca, che passa inesorabile verso
l'istante finale in cui tutto cade nell'oblio. Si
parla della morte in modo poetico, alla ricerca di
un senso dell'esistenza. Un libro che fa riflettere.
* * *
La riva in mezzo al mare
Monica Fantaci
Tracce per la meta, 2012
Nota di Massimo Acciai
La silloge della giovane poetessa siciliana Monica
Fantaci si apre con una prefazione a cura di Lorenzo
Spurio (scrittore e critico letterario jesino,
fondatore insieme a Monica e al sottoscritto della
rivista Euterpe) e con la poesia che dà il titolo al
libro: un titolo che subito solletica la fantasia
del lettore e lo introduce nel mondo poetico
dell'autrice. Freschi versi inaugurano la raccolta
poetica: uno sguardo solare e riflessivo sul mondo,
una continua scoperta di freschezza e di paesaggi
silenziosi e assolati, dove cercare se stessi. La
poesia è lo strumento di questa ricerca e la Natura
- come dichiara Spurio nella sua prefazione, e come
suggerisce anche la copertina (che ritrae un
tramonto infuocato sul mare) - la grande
protagonista della maggior parte delle liriche. La
Natura che fa da specchio all'anima, benigna, in cui
l'uomo può ritrovarsi e ritrovare il suo equilibrio.
Una rinascita nella libertà, nella Bellezza,
nell'Amore. Lo stile è piano, con alcuni arcaicismi
e un uso intenso della rima e dell'assonanza nel
verso libero. Versi brevi, essenziali, dipingono
scenari della terra di origine di Monica, con poche
sapienti pennellate, risvegliando i sensi.
Riassumendo in tre parole il libro lo possiamo
definire un Inno alla Vita.
* * *
Vi segnalo l'uscita del mio nuovo libro di poesie,
con prefazione di Ilaria Dazzi e Postfazione di
Renzo Montagnoli.
Ciao a tutti.
Antonio
Mitologie domestiche dell'anima
Autore Messina Antonio
Prezzo
Sconto 15% € 8,50
(Prezzo di copertina € 10,00 Risparmio € 1,50)
Dati 2012, 80 p., brossura
Editore Ass. Culturale Il Foglio (collana Poesia)
* * *
Non ti avrò mai
di Claudio Secci
(2013)
Recensione di Lorenzo Spurio
Il titolo enigmatico di questo libro richiama da
subito l'attenzione e la curiosità del lettore. Chi
è che non avrà mai chi? Il libro è un romanzo
pervaso da spirito giovanile che narra in maniera
autentica di sentimenti quali l'amicizia e l'amore
che nascono all'interno di un gruppo di amici. I
normali rapporti di questo gruppo di giovani, che si
concede un viaggio nell'affascinante Spagna del
nord, vengono rivisti alla luce dei momenti vissuti
ventiquattro ore su ventiquattro insieme e così una
parola non detta o una mossa fatta di troppo vengono
a caricarsi improvvisamente di significati ben più
grandi di quelli che corrispondono al semplice atto
di "dire" o di "fare".
Da subito l'autore delinea come possano esistere
tante varietà di amicizia: quella leale e fidata che
travalica tutto, quella silenziosa e traballante,
quella mal riposta. Se, poi, l'amicizia con una
persona del sesso opposto si trasforma in
infatuazione, prima ed ossessione poi le logiche
interpersonali si complicano ulteriormente. Chi
decide "cosa" è una persona per noi? Dove finisce
l'amicizia e dove inizia l'amore? Chi definisce
questi limiti, ammesso che questi possono essere
definiti tali?
Claudio Secci affronta una materia tendenzialmente
semplice facendolo, però, in maniera inedita ed
estremamente acuta: il tessuto psicologico dei
membri del gruppo fuoriesce attraverso i numerosi
dialoghi spesso due a due, le conversazioni o le
riflessioni ad alta voce. Lo stile ha
immancabilmente moltissimo del linguaggio parlato
con vari termini tratti direttamente dal linguaggio
giovanile che rendono la lettura spigliata e
coinvolgente.
Ma il libro non è solo questo, è molto di più.
Un amore platonico e non corrisposto è il punto di
partenza e di fine di questa narrazione avvincente
che incollerà le mani del lettore al libro fino a
che non lo avrà chiuso perché ultimato. Ed ancora
richiamiamo in causa il "limite" perché qual è
l'argine che stabilisce la normalità dalla morbosità
di un rapporto? Forse è qualcosa di individuale,
forse è una materia meramente soggettiva.
Il protagonista del libro, frustrato e indeciso,
riflette molto su di sé, su quello che desidera
(l'utopico) e su quello che di concreto ha (il
reale) e il volo che fa di continuo da un mondo
all'altro è tessuto sulla carta dai suoi pensieri,
dalle sue sofferenze momentanee, dalla sua grande
voglia che accada qualcosa che cambi la realtà nella
maniera che lui desidera. Ma non è possibile forzare
il destino e, spesso, quando lo si fa questo diventa
controproducente, quasi che il Fato, indispettito,
decida di avventarsi su di noi.
Il personaggio di questo libro, infatti, non lo
farà, ma neppure si rassegnerà alla sua condizione
di amante deluso, di eterno addolorato per pene
d'amore e cercherà sempre di darsi da fare per
risollevare la sua situazione.
Secci inserisce un finale che il lettore avverte
come agrodolce dall'incipit e che scoprirà, invece,
essere drammaticamente spietato, ma non meno
coinvolgente.
Un'amara riflessione sui limiti dell'amore e su come
il tempo, inesorabile, non è in grado di restituire
all'uomo ciò che ha perso nel suo passato.
Jesi, 28-02-2013
* * *
Prefazione a "Senza rete" di Fiorella Carcereri
Frammenti di poesia, "specchi fedeli" di sentimenti
vissuti, in cui il lettore può ritrovare se stesso:
il canto di Fiorella Carcereri ha tono
autobiografico, eppure è universale.
Senza rete di protezione l'autrice procede
funambolicamente dibattendosi tra illusioni e
disincanti, vittorie e sconfitte, tra emozioni
violente, improvvise, e stati d'animo più pacati,
sintomo di un'avvenuta riconciliazione col mondo e,
ancor prima, con se stessa.
La raccolta, articolata in due parti, appare alla
stregua di un percorso, un cammino di crescita
personale, che l'autrice compie attraverso l'ars
poetica, sublimando il dolore, l'intimo grido della
sofferenza provata.
L'amore nelle più varie sfaccettature aleggia
sull'intera silloge. In maniera ordinata, come
accingendosi a compilare un inventario delle
sensazioni esperite personalmente, l'autrice passa
in rassegna nella prima sezione, Tu ed io, le fasi
salienti di una finita storia amorosa: l'abbandono,
i ritorni continui, simili a "maree", le illusioni,
i tentativi di riavvicinamento, l'indifferenza.
Il discorso della Carcereri non è però nichilista e
nella seconda parte, dal titolo Io e il resto, si
pone in relazione con la realtà circostante, facendo
entrare nuovi attanti nell'intessuto della
scrittura, protagonisti, non secondari, della vita
dell'autrice. Un dialogo fitto, a tu per tu, con i
destinatari: la madre, un'amica, uno sconosciuto
incontrato per caso. Non solo, ma è la società tutta
a essere chiamata a testimone di stati d'animo
personali e riflessioni di più ampio respiro sui
tempi in corso, spesso espresse sotto forma di
monito. E' alta e sentita l'urgenza di richiamare
l'attenzione su tematiche globali, come
l'inquinamento, le guerre, le ingiustizie sociali,
considerate sintomo di regressione e stupidità
dell'uomo.
In tal modo, in Senza rete succede che il canto
iniziale di dolore di una donna si può sciogliere
nella dolcezza di un ricordo o coniugarsi in
protesta civile e infine tentare di abbracciare
l'universo.
Il libro "senza rete" puo' essere acquistato o
prenotato presso tutte le librerie del territorio
nazionale oppure ordinato direttamente all'editore
al seguente indirizzo e-mail:
commerciale@edizioniensemble.com
* * *
La vita nell'osmosi del tempo
di Lenio Vallati
Prefazione di Mazia Carocci
Il viaggio emozionale che il poeta ci propone è la
vita stessa attraverso le molteplici esperienze
ch'ella ci offre al di là di noi e del nostro
volere; egli ci porterà nel vortice dei giorni meno
felici, nelle primavere, nelle tempeste ma anche fra
le gratificazioni vissute.
Ricordi e nostalgie, rimpianti e desideri in un
continuo altalenarsi dove ognuno di noi, trova un
po' di sé e ne condivide l'emozione fino a sentirla
propria, a goderne l'attimo o a piangerne la
memoria.
Lenio Vallati, ci propone una poesia spontanea,
vera, emozionale, un poeta che non costruisce
schematicamente la versificazione, egli condivide la
propria "emozione" inebriandosi in questa lui
stesso, per affidarcela poi, a piene mani, aprendosi
al lettore senza timore di esporsi , concedendo
quell'interiorità che l'anima sua conosce.
Parole come carezze, profumi, canti, ma anche graffi
di rimembranze e riflessioni che si contorcono, si
plasmano, s'innalzano nella realtà delle cose dove
tutto non è sempre luce, ma tinte di ombre in attesa
di chiarore e di speranze.
Liriche di amore, d'impegno civile, di passione e
dolore; poesie che incantano e non impongono
l'espresso detto, ma ne danno invece, una visione
limpida e ricca d'immaginazione per eventuali
considerazioni e analisi, attraverso la metamorfosi
del ragionamento umano, spesso egoistico e
disinteressato.
La poesia, del Vallati è il piacevole conduttore di
un pensiero profondo, dove idiomi musicali prendono
a muoversi a odorare, a rendere rappresentazione
visiva l'immaginario, parole vive, capaci di fare
commuovere, ricordare e a fare riaffiorare momenti e
situazioni credute perdute nel tempo.
"La vita/ è un barlume di sogno/ immerso/ nella
caligine nera/ del tempo."
Lenio Vallati, poeta e scrittore, ha raggiunto la
giusta maturità dell'espressione emozionale/
introspettiva, mai prosaico, attento al mondo
circostante dove da diligente osservatore, ne rileva
i numerosi riflessi fatti di incanti, difficoltà,
gioie e sogni, esponendo il tutto con l'eleganza
poetica che lo contraddistingue.
Un autore che sa esaltare attraverso la parola, quel
miracolo che si apre ogni giorno, il prodigio che si
ripete ogni istante, l'incanto eterno dove ogni
vibrazione, ogni palpito ogni pulsazione è nostra
eredità: la vita stessa.
Lenio Vallati è nato a Gavorrano (GR) il 21/9/1953 e
risiede a Sesto Fiorentino. E' capostazione presso
l'impianto di Firenze-Castello. Esordisce nel 2003
con il libro di narrativa 'Soggiorno a Bip-Bop',
Aut. Libri Firenze. Del 2004 'Un criceto al
computer', Ibiskos ed, del 2006 'Desiderio di
volare', ed. Bastogi. Sempre del 2007 è il volume di
poesie "Alba e tramonto" ed. Bastogi. Nel 2011, per
le ed. Bastogi, esce il suo primo romanzo, Graffio
d'Alba, ambientato a Sesto Fiorentino. A metà marzo
del corrente anno uscirà il suo secondo libro di
poesie, dal titolo ancora da definire. Lenio Vallati
è socio di Liberarte e fa parte delle giurie dei
concorsi "San Lorenzo in poesia" e "Prato, un
Tessuto di Cultura". Recentemente ha ricevuto, nel
Salone dei 500 in Palazzo Vecchio, una targa alla
carriera per la sua attività letteraria. Hanno
recensito le sue opere Marzia Carocci, Anna Balsamo,
Massimo Acciai, Gianni Calamassi, Alessandra
Bruscagli, Carmelo Consoli, Lia Bronzi, Ester Cecere,
Sandra Carresi etc.
* * *
Antimateria di Andrea Blu.
Leica, Kami e Giada vogliono cambiare la propria
vita ma finiscono con l'annullarsi. Il loro universo
privo di tabù e limiti, senza nessun appiglio morale
nel quale tutto va perduto, trascinerà il lettore in
un labirinto circolare. Le uscite sono ovunque e da
nessuna parte, al pari di una salvezza luminosa ma
irraggiungibile.
Un viaggio farneticante, che passa fra sesso e
droghe, serate inconcludenti e programmi tv, saggi
sulla coltivazione della marjuana e parentesi
oniriche surreali.
Chi è Andrea Blu? Come lui stesso racconta Andrea è
nato dall'uovo. Subito dopo aver rotto il guscio, si
è guardato intorno e ha detto: "blu!" Oggi il suo
arrivo è annunciato così: "Illustrissimi signori, è
un onore per me presentarvi quest'uomo in
calzamaglia. Egli non è altri che l'incredibile Blu!
I libri di Blu sono fatti di specchi, schermi
scollegati, fili di cristallo e statue dal cuore
duro".
"Antimateria. Perché il mondo non è finito. È Blu"
Il romanzo affatto nuovo di Andrea Blu impazza i
neuroni tra fragili graffi e dolci rintocchi e
innerva la rete di acido melenso.
Dal 21 gennaio 2013 l'uomo in calzamaglia di
Antimateria, in seconda versione rivisitata per
salvare il mondo e tinteggiarne di blu le pareti, si
aggira in rete sotto forma di ebook.
Dissonante e vertiginoso, disossante e voluttuoso,
Antimateria rifugge con cautela ogni classificazione
giocando con una circolarità devastante che
accompagna il lettore in un viaggio labirintico. Non
c'è spazio per tabù e vincoli. Nessun limite, nessun
appiglio morale che possa salvare.
Non c'è neppure una trama. Per Leica, Kami e Giada,
decise a cambiare la propria vita, ogni varco si
apra all'orizzonte si perde nel nulla, in un viaggio
farneticante fra sesso e droghe, serate
inconcludenti e programmi tv, saggi sulla
coltivazione della marjuana e parentesi oniriche
surreali.
Esordio letterario di una scrittura psichedelica che
gioca fino in fondo con le parole, con le visioni,
quello di Andrea Blu è l'apoteosi del frammento
incastonato tra pagine bianche, le pagine del non
detto. Specchi, schermi scollegati, fili di
cristallo e statue dal cuore duro sono i veri
protagonisti.
Edizioni di Karta
Tel. +39 070-7966552
www.kartaedizioni.com
info@kartaedizioni.com
|
|
|