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Dal Web alla storia globale e
alla condizione post-coloniale in Italia
Gennaro Tedesco
Dalla ricerca elettronica , per
quanto certamente parziale , frammentaria e non
esaustiva , condotta sulle fonti del Web in italiano
e in inglese , relative alla Storia mondiale , alla
Storia globale , alla nuova Storia globale e agli
Studi post-coloniali e subalterni , emergono alcune
indicazioni ed ulteriori ipotesi di lavoro che
potrebbero e dovrebbero estendere , confermando o
smentendo , quanto da noi faticosamente posto in
essere più che in luce .
Innanzitutto i temi e i problemi di Storia mondiale
e degli Studi post-coloniali e subalterni sono molto
più presenti in ambito italiano nel Web di quanto
non lo siano nell'editoria scolastica e soprattutto
nella Scuola reale e militante , appena un po' di
più nelle nostre Università che solo negli
ultimissimi anni e con estremo ritardo e con grandi
difficoltà rispetto al mondo anglo-americano stanno
prendendo atto della Rivoluzione storiografica ,
economica e antropologica in corso da decenni sulle
due sponde settentrionali dell'Atlantico , ma anche
su quelle dell'Oceano Indiano e Pacifico .
Purtroppo questo ritardo culturale e educativo del
Bel Paese non è un caso . Esso comincia dai
primissimi anni Ottanta del secolo scorso per
approfondirsi ulteriormente e progressivamente nel
corso del lungo sonno produttivo e creativo di una
Nazione irrimediabilmente introiettata nella assurda
e claustrofobica ricerca di monocratiche fondamenta
e monolitiche radici , mai esistete e tanto meno
possedute , appartenenti all'Eldorado celeste della
mitologia e non certamente al Mondo terrestre della
Storia .
Il "fondamentalismo" e il "radicalismo" di una parte
delle nostre istituzioni culturali e formative dalla
Scuola all'Università e a tanta parte della Stampa ,
dell'Editoria e dei Media è la reazione , la
risposta "reazionaria" alla sfida posta dalla
globalizzazione cavalcata dai Giganti emergenti
dell'Asia , l'Elefante Indiano e il Dragone Cinese ,
nel bene e nel male , scardinatrice di secoli , anzi
millenni di predominio non solo economico , ma anche
culturale e formativo e conseguentemente e
coerentemente ideologico dell'Occidente colonialista
.
Mentre dagli Anni Ottanta in poi nel mondo
anglo-americano, ma anche in quello asiatico e
latino-americano si prendeva atto dei processi
disgregativi di una "Modernità" eurocentrica e
occidentale in "polvere" e sempre più in crisi ,
anzi in rapida e ineluttabile dissoluzione ,
contribuendo , dall'interno di questo processo
emergenziale in atto , al suo riconoscimento ,
ricognizione e descrizione critica in ambito storico
, politico , economico , sociale e antropologico ,
oltre che educativo , nel nostro Paese il dibattito
culturale ed educativo , oltre che storico e
politico , continuava a muoversi , anzi ad
atrofizzarsi , entro i rigidi e parametrati confini
di un superstite , persistente e attardato
italocentrismo neanche tanto consapevole della non
sempre sua acclarata e "perfetta" aderenza ad un
Occidente più ideologico , letterario e immaginario
che reale .
Certamente c'erano e ci sono tutti i presupposti
conoscitivi e critici per tentare di spiegare
l'arretratezza dei nostri processi evolutivi ( o
involutivi?) rispetto alla drammatica realtà di una
globalizzazione , perché di questo si tratta quando
parliamo di una Modernità in polvere , che non solo
non ci vedeva e non ci vede protagonisti o almeno
copratagonisti , ma che ci costringe negli anfratti
più bui e miserevoli di una contemporaneità in
accelerazione costante rispetto agli anni "gloriosi"
della Ricostruzione post-bellica .
E' proprio la storia , anzi la cronaca degli
avvenimenti più recenti che ci può consentire un
primo approccio esplicativo al problema . Il tragico
declino industriale del nostro Paese proprio dagli
Anni Ottanta in poi del secolo scorso è sotto i
nostri occhi e sotto le lenti acuminate di una parte
della nostra Stampa , almeno di quella ,
risicatissima , che ancora ha visioni e approcci
cosmopolitici oltre che comparativi .
La mancanza , anzi la sistematica distruzione di una
rete estesa , solida e robusta delle pochissime
nostrane Multinazionali impediva e impedisce al Bel
Paese l'assalto al cielo del mercato mondiale in
rapida e costante espansione soprattutto in Oriente
, penalizzandoci non solo dal punto di vista
economico , ma anche da quello politico , culturale
e educativo . La loro assenza nel nostro tessuto
sociale e istituzionale non ha consentito la
formazione di un ceto manageriale cosmopolitico e
"illuminato" , forgiato dalle dure e aspre battaglie
sui mercati globali . Le conseguenze di questa
mancata e tradita apertura al mondo si avvertono
anche nel ceto politico , e non solo politico ,
dirigente e in tanta parte della popolazione , non
solo in quella meno acculturata . Non avendo
accumulato e "capitalizzato" una lunga , dolorosa e
complessa tradizione di accentuata e persistente
competitività nei tumultuosi e volatili mercati
mondiali come altri nostri partner europei o
americani , raramente si riesce a concepire l'idea
della necessità permanente di guardare al di là del
proprio ristretto e angusto cortile di casa . Non si
accetta l'idea di rischio "sistemico" consustanziale
a qualsiasi società capitalistica giunta alla sua
maturità capitalistica e imperialistica .Non a caso
, caso più unico che raro , nel contesto mondiale
della finanza globalizzata , il Bel Paese detiene il
certo non invidiabile primato dell'investimento
immobiliare . Anche da ciò si deduce e si evidenzia
non solo la mancata metabolizzazione della
inevitabile rischiosità dell'investimento
capitalistico in una società globalizzata e
imperialistica , ma anche la conseguente limitatezza
e meschinità dei quadri sociali e ideologici di
riferimento diffusi in gran parte di un'opinione
pubblica nazionale non acculturata e non educata al
confronto anche spigoloso e qualche volta brutale
con la realtà del mondo globalizzato .
La stazza continentale di Giganti dell'Asia come la
Cina con le sue imprese multinazionali con milioni
di operai e impiegati annienta sul nascere ogni
tentativo della nostra industria di confrontarsi con
essi sui mercati mondiali . Ma non è solo una crisi
di internazionalizzazione dei mercati concretamente
intesi , è soprattutto una crisi di mondializzazione
e globalizazione finanziaria , organizzativa che
apre , amplia e trascina con se conseguenti e
invitali problematiche culturali e educative che
ancora oggi in molta parte della nostra classe
dirigente e dell'opinione pubblica nazionale non
sembrano ancora del tutto comprese nella loro
cogente consequenzialità . Tutto ciò che da questo
mondo "estraneo" , "straniero" , "alieno" e
"incomprensibile" proviene e impatta clamorosamente
e dolorosamente sulle abitudini consolidate e sulle
consuetudini usurate dalla decrepita asfissia di un
provincialismo , anzi di un paesanismo sonnolento e
sonnambulo , viene visto , ma soprattutto vissuto
come ostile e pericoloso .
Lo splendido e impossibile isolazionismo o
neoisolazionismo provinciale e paesano della nostra
elite dirigente , ma anche di gran parte della
nostra obsoleta opinione pubblica trova facilmente
un sostenitore e un amplificatore potente e
prepotente in una industria editoriale e "culturale"
, ma anche e soprattutto mediatica quasi tutta
dedita all'esclusiva descrizione e esaltazione di
contesti e tradizioni nazionali nel migliore dei
casi . Nel peggiore , e non è raro , anzi tutt'altro
, dei casi , a tali artificiali fabbriche del
consenso non interessa nemmeno l'ambito nazionale
che spesso e volentieri viene disprezzato a favore
dell'incredibile e pur vera esaltazione del
Campanile , del Borgo medioevale e del suo
"Territorio" , magico termime che dovrebbe spazzar
via quello di "Nazione" , per non parlare di quello
di "Mondo" che neanche esiste nell'orizzonte
concettuale di costoro , per divenire l'unica Realtà
ontologica .
A tutto ciò si aggiunga , a parte qualche
encomiabile e lodevole eccezione , una Scuola e una
Università , demotivate e devastate da politiche
finanziarie restrittive e poco lungimiranti , che ,
come nel periodo fascista e in gran parte di quello
liberale , nei loro programmi , nei loro curricoli e
nei loro corsi continuano a insistere e persistere
intorno ad ambiti storici , culturali e educativi
che non solo non tengono conto delle esigenze di
allievi globalizzati e di adolescenti e giovani
immigrati dall'"Altro Mondo" , ma nemmeno si
preoccupano di aprirsi a istanze cosmopolitiche e
mondializzanti . Certo non sempre per loro colpa ,
ma spesso per "colpa" di una dimensione psicosociale
territorializzata , istituzionalizzata , "corporata",
incorporata e "ancorata" a una struttura economica
parcellizzata , destrutturata e ,più che diffusa ,
reclusa in angusti e ristretti microterrirtori molto
spesso non comunicanti .
Le nostre industrie , le nostre banche non solo
soffrono di nanismo dimensionale e istituzionale ,
ma anche di carente capitalizzazione e di quasi
assoluta mancanza di autonoma e innovativa capacità
di ricerca scientifica e tecnologica . Anche quel
tanto di presenza dello Stato nella ricerca sta
rapidamente venendo meno , aggravando una situazione
già endemicamente fragile .
Come si risponde a questo drammatico scenario
economico e finanziario? Non tentando di ricomporre
i cocci di una industria in lento e inesorabile
disfacimento , cioè operando fusioni e accorpamenti
di tutte quelle imprese che , una volta ricompattate
in grosse Concentrazioni , potrebbero ancora sperare
di giocare un ruolo rilevante nell'agone mondiale ,
ma suonando la gran cassa e il trombone della
piccola e media industria e dell'ampliamento e
"rinnovamento" del lavoro autonomo che non potranno
mai aspirare seriamente a confrontarsi con i Colossi
asiatici con qualche possibilità di affermazione .
Tutta questa opera di ristrutturazione ( o
destrutturazione) industriale , recentemente
sostenuta anche da politiche "distrettualistiche"
miranti a creare zone territotrializzate e protette
di piccole e medie imprese liberamente associate ,
che assomigliano più a velati ripiegamenti in
enclave superfortificate da ultimo"Baluardo" contro
un nemico non solo numericamente superiore , che a
iniziative propulsive e proiettive volte al futuro ,
contribuisce in modo diretto e indiretto a
consolidare e a diffondere un "meccanismo"
ideologico abbastanza coerente e preciso nelle sue
architravi portanti . Non è più possibile o ,
comunque , è sempre più difficile confrontarsi
adeguatamente e alla pari col "Resto" del Mondo ?
Be' , allora l'unica soluzione a portata di mano è
quella di concentrarci nella "coltivazione" dei
nostri campi conclusi e reclusi . Un ritorno alle
fondamenta , anzi alle radici ancestrali , alla
Madre Terra non solo in senso metaforico , ma anche
in senso concreto . Dilagano programmi e progetti
economici tesi a rivitalizzare la nostra morente
agricoltura . Si badi bene che non si vuol
sottovalutare il contributo dell'agricoltura , della
montagna , della pesca , dei mari , dell'artigianato
tradizionale , del turismo e dell'agro-alimentare .
Ma anche qui oltre alle enunciazioni ci vogliono
investimenti , ricerca scientifica, ammodernamenti ,
aggiornamenti tecnologici , riqualificazioni
territoriali e riorientamenti infrastrutturali e
politici oltre che culturali e educativi , insomma
un nuova programmazione economica e politica di
vastissime dimensioni e proporzioni che non sono
certamente all'ordine del giorno nelle agende della
nostra confusa e intimorita classe dirigente ,
dedita esclusivamente al tentativo di riproposizione
di obsolete e logore mitologie e litografie
vetero-nazionalistiche e vetero-autarchiche . Non
saranno né la riscoperta né la rivalorizzazione di
borghi e castelli medioevali , né economie "distrettualizzate"
a poterci tirare fuori dalle secche e dal pantano in
cui siamo finiti . Esse , al contrario , potranno
solo contribuire e a rinchiuderci , pieni di rabbia
e di invidia e di razzismo , in un angolo asfittico
e claustrofobico del pianeta mentre la
globalizzazione vincente degli Altri , Cina , India
, Brasile , Indonesia decolla incontenibile senza e
contro un Bel Paese finalmente "rifeudalizzato" .
Ma la "criticita" tutta ed esclusivamente italica ,
anzi italocentrica , nei confronti di un mondo
economico , politico , culturale e educativo che
sembra non solo poter fare a meno del Bel Paese , ma
addirittura ritrovarlo , il Bel Paese , ostile ,
ostacolo e impedimento a una globalizzazione
(post-moderna ?) ci fa nascere un terribile sospetto
. Non è che , forse , tutta questa arretratezza ,
questa visione attardata e questo approccio obsoleto
e livoroso al mondo contemporaneo non sia molto più
profonda di quanto siamo disposti ad ammettere ? Che
non sia solo frutto di un mancato o carente
"aggancio" alla globalizzazione e alla
mondializzazione in corso , per quanto lo stesso
processo di globalizzazione non sia certo cominciato
da poco ?
Forse gli ultimi avvenimenti in Libia ci possono
aprire degli spiragli di luce sull'assenza
significativa di un dibattito di qualche importanza
e di una qualche rilevante paretecipazione nazionale
in relazione ai temi e ai dilaceranti problemi posti
nella Comunità scientifica internazionale
dall'emergenza della Storia globale e degli Studi
post-coloniali e subalterni . In Libia la nostra
classe dirigente si gioca gli ultimi residui e
risibili scampoli di un post-colonialismo e
neocolonialismo straccione . Dal fascismo in poi nel
Bel Paese si è creduto di far fronte a nostre
ataviche carenze nella politica estera , ricorrendo
a un mediocre e debole imperialismo militaristico ,
sostituto successivamente alla caduta del fascismo ,
con un miscuglio insignificante e deleterio di
politiche fragili e estemporanee basate su
protezionismi economici e politici e su
inconcludenti e pericolosi rapporti personalistici .
Approcci , questi , alla politica estera e mondiale
, del tutto in linea con una politica interna
fondamentalmente protezionistica e nazionalistica
sia in economia che nella cultura e nell'educazione
. Mentre ad esempio , Gran Bretagna , Stati Uniti ,
Francia e Olanda , con grandi e contraddittorie
tradizioni coloniali , intraprendevano un percorso
di politica estera e globale antiprotezionistico e
liberistico , discendente e derivante dalla loro
possente eredità di traffici marittimi
concorrenziali e competitivi , con una
riaffermazione anche culturale , linguistica ed
educativa su scala planetaria , il Bel Paese si
incamminava sulla via di uno sviluppo capitalistico
fondato essenzialmente sulla costruzione di una rete
stradale e autostradale tutta concepita ,
introiettata e indirizzata a una evoluzione ( o
involuzione ?) territoriale , continentale ,
strettamente legata al progetto politico di una
economia "monoculturale" incentrata sull'industria
automobilistica , siderurgica e cementifera .
La stessa "rinascita" culturale e politica del
nostro Paese , in particolare col neo-realismo
letterario e cinematografico , pur inaugurando un
indubbio periodo di notevole e insuperabile
effervescenza e originalità artistica e creativa mai
più ritrovata e superata negli anni a venire dalla
neonata Repubblica , evidenziava un legame
particolarmente stretto e coerente con le scelte di
politica economica e estera poste poco prima in luce
, tutte rivolte ad esaltare e illuminare le
potenzialità di un approccio endogeno , peninsulare
, territoriale e continentale al nostro complessivo
sviluppo , a cominciare da quello economico . Dalla
fine del secondo conflitto mondiale rarissimamente
non solo la nostra narrativa e il nostro cinema , ma
anche la nostra stessa storiografia soprattutto non
hanno fatto i conti con la storia globale e con la
condizione postcoloniale , non producendo romanzi
d'avventura , di viaggio o di vita coloniale , film
di spessore cosmopolitico( a parte quella eterogenea
congerie di film di serie b genericamente e
malamente etichettati come "storici") o saggi
storici di apertura mondiale anche perché la nostra
storia nazionale non ha mai veramente posseduto un
passato coloniale tale da consentire a una
debolissima e divisa Borghesia senza Rivoluzione di
poterlo costruire e inventare sia in prospettiva
ideologica e politica che letteraria .
Le recenti tempeste di sabbia dei deserti delle
ombre libiche sono il prezzo salatissimo che
paghiamo e pagheremo per aver dimenticato , o peggio
ancora , ignorato il lascito strategico della
tradizione veneziana .
La grande Lezione e la splendida eredità della
Serenissima sono state messe a tacere a favore di
una posizione longobardica , franca e latina che
privilegia la terraferma e i territori interni della
Penisola e il suo "appendicalismo" continentale , la
sua dipendenza e il suo radicamento nel cuore del
Sacro Romano Impero.
L'apertura orientale greca , magno-greca , bizantina
e poi veneziana , basata sui traffici marittimi
orientali e sulla cultura dell'ibridazione , è stata
del tutto soppiantata da un monismo e monolitismo
ermetico e identitaristico del tutto privo di un pur
qualsiasi riferimento non solo alla nostra
tradizione di interscambio economico e culturale con
l'Oriente , ma anche alla nostra centralità e
radicamento geografico e strategico in un bacino del
Mediterraneo che non a caso da "Altri" , ma non da
noi , viene configurato e ridefinito "Allargato" . E
non solo la crisi libica , ma anche quella libanese
, irachena e afgana avrebbe dovuto contribuire a
farci aprire da tempo gli occhi e la mente su questa
eclatante realtà .
Inoltre non a caso solo da poco i nostri storici
hanno cominciato ad accendere i riflettori sulla
civiltà bizantina in Italia , tra l'altro quei pochi
sinceramente interessati ad essa rimanendo molto
distanti da un qualsivoglia tentativo di
approfondimento delle influenze bizantine sui nostri
percorsi strategici e di politica estera . Come non
meno avvolti nel buio rimangono i tentativi greci ,
magno-greci e bizantini di un'eventuale costituzione
e formazione di un Regno greco del Sud e delle sue
eventuali oscillazioni orientali.
Che poi nel DNA storico del Bel Paese ci sia anche
l'evidente tendenza al suicidio politico lo sta a
dimostrare non solo un tardivo , contrastato e
eurocentrico Risorgimento la cui acuta e persistente
contraddittorietà è dimostrata da rigurgiti
separatisti , neoceltici , neolongobardistici e
neoterritorialistici , ma anche e soprattutto tutta
la storia precedente della Serenissima che
imbarcatasi nell'unica possibile politica estera e
cioè quella dell'Oltremare orientale e della cogente
necessità dell'unificazione politica della nostra
Penisola , non riuscirà nell'intento unitario
proprio grazie alle spinte vetero-separatiste e
antinazionali promosse e sostenute dall'abbraccio
mortale di" Patrioti italici" e
"Alleati"continentali .
Un contributo non secondario all'introduzione ,
radicamento e consolidamento della Storia globale e
degli Studi post-coloniali e subalterni avrebbe
potuto trarre vantaggio dalla nostra millenaria
Diaspora migratoria , ma neanche di essa e della sua
lunga e possente tradizione non si è approfittato a
dimostrazione ancora una volta che il nostro Paese
ha deciso di non fare i conti col proprio passato
storico e con la sua propria originalità nel
contesto mondiale . Non solo . Si è temuto e si teme
di riannodare certi fili sottili e impalpabili e pur
consistenti con il passato incombente e ingombrante
della nostra Storia nazionale nel confronto con un
presente sempre più cosmopolitico , dominato da
crescenti e tumultuose ondate migratorie che ,
destabilizzando non solo la nostra insensibilità, di
fronte a una "Nazione" destoricizzata e smemorata
(fintamente o realmente?) stanno a ricordarci quando
anche noi eravamo albanesi , tunisini , marocchini ,
libici , egiziani ….. Ma , ovviamente , come dice il
proverbio, non c'è peggior sordo di chi non vuol
sentire o peggior cieco di chi non vuol vedere
neanche di fronte a catastrofi epocali come
l'assalto alla Fortezza Europa da parte dei
disperati dell'Africa .
La nostra intensa storia di emigrazione americana ,
canadese , australiana , brasiliana , argentina ,
venezuelana …. viene negata da un popolo e da una
Nazione , da poco e malamente divenuta "benestante",
alla ricerca di un posto alla mensa di Signori
aristocratici che storcono il naso e non sanno cosa
farsene del nostro pedigree da colonialismo
straccione .
L'esperienza storica dei nostri Migranti
trasnsoceanici è divenuta forza politica ed
economica al di là degli Oceani , ha creato un
proprio mercato delle merci che connette le terre
meridionali della Penisola con Stati Uniti , Canada
e Australia . Ma se parlate con un qualunque
politico o cittadino "benestante" del bel Paese , vi
accorgereste che entrambi non sanno nulla di questa
realtà che attraversa e domina i confini nazionali .
Non sa che si è formata una Comunità cosmopolitica
transoceanica che , in virtù dell'immane sofferenza
patita nel corso di precipitose e dolorose
Migrazioni , non approverebbe e non approva non solo
la nostra colossale e dolosa perdita della nostra
storia migratoria , ma anche la nostra barbarica e
disumana reazione nei confronti di un prossimo Altro
nel quale non smette di riconoscersi malgrado tutto
.
A conclusione di questa necessariamente breve ,
parziale e incompleta ricognizione sui motivi di una
debolissima e carente , se non assente , assunzione
delle problematiche poste dalla Storia globale e
dagli Studi postcoloniali e subalterni in Italia ,
va poi aggiunta nella Scuola e nell'Università la
forte persistenza di una concezione e pratica della
Storia come orto concluso e recluso di Specialisti ,
bravi , belli e impossibili , ma rinchiusi in una
inossidabile Torre d'avorio non solo refrattaria
all'essenza interdisciplinare e transdisciplinare
della storia , del mondo attuale e dei suoi insoluti
e gravi problemi globali, ma anche ai nuovi codici e
ai nuovi linguaggi non lineari e olistici dei nostri
adolescenti e giovani e soprattutto alle drammatiche
esigenze di una generazione studentesca sempre più
ibrida , malgrado i risibili e improponibili
baluardi razzisti proposti e imposti da una
propaganda e una pubblicità demente e alla lunga
perdente , non solo dal punto di vista antropologico
, ammesso e non concesso che in antropologia , ma
anche in storia, esistano o siano mai esistite
popolazioni non ibride.
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