Eventi  -  Redazione  -  Numeri arretrati  -  Edizioni SDP  -  e-book  -  Indice generale  -  Letture pubbliche  -  Blog  -  Link  

  Indice   -[ Editoriale | Letteratura | Musica | Arti visive | Lingue | Tempi moderni | Redazionali ]-


Didattica

Italiano per principianti, italiano per avanzati
di Massimo Acciai Baggiani

Ecologia

La natura di oggi e di ieri
di Siro Baggiani

Storia

Le donne e la resistenza. Storie straordinarie di donne ordinarie
di Antonella Bausi

 

Le donne e la resistenza.
Storie straordinarie di donne ordinarie
 

Antonella Bausi


 

 

Studiare la Resistenza, cercare di comprendere cosa sia stata la Resistenza in Italia e ovviamente, anche in Toscana, non è certo una cosa semplice; se ci si vuole avvicinare a questo momento storico con un approccio serio dobbiamo considerare le molte variabili che sono confluite in questo movimento ed in primo luogo ricordare come esso sia stata un fenomeno collettivo, una vera reazione di popolo. In altre parole, una reazione del popolo ad un altro fenomeno che aveva assunto connotazioni popolari, il fascismo!
La resistenza al fascismo inizia effettivamente come l'espressione di un élite politicamente formata dal confino e dalle galere fasciste, ma già dall'8 settembre 1943 erano attive diverse forme a base popolare avverse ai fascisti ed ai tedeschi che occupavano l'Italia.
Inoltre in Toscana, subito dopo l'armistizio, erano attivi numerosi comitati interpartiti che chiesero alle strutture statuali una reazione antitedesca o, in subordine, la consegna di armi da distribuire ai civili. Il rifiuto di queste richieste ed il conseguente abbandono della popolazione a sé stessa, determinò la nascita quasi immediata delle prime formazioni di patrioti. Nella seconda metà di quello stesso mese di settembre, si erano costituite formazioni, dislocate sulle pendici di alcuni rilievi (Apuane e Massetano, Casentino, Appennino Pistoiese) luoghi che potevano offrire rifugio alle bande di patrioti.
Il rapporto col mondo contadino, presso il quale le formazioni partigiane trovarono solidarietà, sussistenza e riparo fu uno dei fattori fondamentali che contribuirono non poco al successo del movimento insurrezionale così come il collegamento che quasi subito si attuò tra le formazioni in montagna e gli organismi politici residenti nei paesi e nelle città, costituiti in massima parte da vecchi combattenti antifascisti che del regime avevano già sperimentato le atrocità ma che conoscevano molto a fondo anche le migliori dinamiche per impostare la lotta.
Possiamo quindi affermare che il movimento della Resistenza fu caratterizzato dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, cattolici, liberali, repubblicani, anarchici), confluiti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) il quale svolse il ruolo di raccordo regionale.
Ma oltre ai contadini ed ai combattenti, una componente fondamentale per la riuscita del movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo fu la presenza delle donne nella Resistenza italiana ed oggi non vi sono più dubbi che il ruolo delle donne nel movimento di Resistenza sia stato rilevante, anche se a lungo misconosciuto.
Le cifre ufficiali registrano 35.000 partigiane combattenti, 20.000 le patriote, con funzioni di supporto, 70.000 le donne appartenenti ai Gruppi di Difesa, per la conquista dei diritti delle donne, 16 medaglie d'oro e 17 medaglie d'argento, 512 le commissarie di guerra, 4.633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, 1890 le deportate in Germania, oltre mille sono quelle cadute in combattimento e più di duemila quelle fucilate e impiccate.
Sono dati eloquenti che contribuiscono a connotare la natura del movimento femminile di Resistenza, ma dentro questi numeri sono ancora più importanti le scelte di vita che hanno spinto queste donne a prendere parte attiva al conflitto.
Infatti, queste donne che parteciparono al movimento, furono capaci di compiere un enorme salto qualitativo lasciando i loro ruoli di donne e di madri e lottando per riconquistare la libertà e la giustizia del proprio paese, arrivando anche a ricoprire funzioni di primaria importanza.
Quello che salta platealmente agli occhi è il fatto che, in contrasto con i dettami del fascismo il quale tentò sempre di escludere le donne da ogni attività extrafamiliare e di riaffermare l'ideale della donna come "angelo del focolare", una parte consistente del mondo femminile ebbe una reazione a quest'inquadratura che ne penalizzava le doti.
Tuttavia questa reazione non fu però ristretta ad una classe sociale, quella borghese, che aveva avuto modo di studiare, leggere e quindi prendere coscienza del proprio potenziale.
E' innegabile che in questi ambiti fosse più diffusa l'insofferenza verso il regime e che ci fosse un'avversione più netta per al fascismo e a Mussolini, maturata in famiglia e sui banchi di scuola, mentre nel mondo rurale l'approccio ad una coscienza antifascista maturò più lentamente ed esclusivamente all'interno del nucleo famigliare, magari legata al ricordo di violenze e soprusi subiti, ma è anche vero che il fenomeno investì il mondo femminile in toto: donne giovani e anziane, intellettuali, studentesse e professoresse, ma anche e soprattutto donne provenienti dal popolo, che lavoravano nelle fabbriche e nei campi. Furono le donne che cominciarono a manifestare e protestare, nelle piazze il loro dissenso contro il regime, come le operaie che chiedevano migliori condizioni di lavoro, anche perché erano convinte che sia pure per i fascisti fosse difficile sparare su donne inermi.
Inoltre, in diverse occasioni le donne seppero fare del gruppo femminile un'arma potentissima, come nel caso delle lavoratrici della Manifattura Tabacchi di Firenze che arrivarono a sbeffeggiare il temutissimo Mario Carità, o come in quello delle donne di Massa Carrara che unite e compatte, sfidarono il Comando germanico il quale aveva dato l'ordine di sfollare completamente la città riuscendo ad imporsi anche ai tedeschi, i quali si trovarono costretti a revocare l'ordine.
Queste diverse provenienze portarono quindi a due tipi di supporto diverso alla lotta partigiana e fecero sì che il movimento avesse un'ampiezza ancora maggiore, a trecentosessanta gradi, oseremmo dire.
Quindi se, da una parte le donne dotate di cultura più elevata organizzavano delle riunioni private a carattere politico e quindi erano maggiormente agganciate all'attività dei GAP (Gruppi di Azione Partigiana) e delle SAP (Squadre di Azione Partigiana), tra le donne di campagna invece, era prevalente il sostegno pratico alle attività partigiane con staffette che portano ordini, messaggi, cibo, a volte anche armi etc., piuttosto che la diretta partecipazione alle attività belliche o politiche.
Tuttavia, nonostante questa, chiamiamola divisione di compiti, le azioni delle donne erano soggette a rischio quanto quelle degli uomini e, se in genere le ragazze non sparavano, avevano funzioni essenziali nell'espletamento di compiti pericolosissimi ed esse erano ben consapevoli che se fossero cadute in mano nemica erano passibili di essere torturate e fucilate ma, al di là della coscienza di questi pericoli, niente fermò le donne che avevano aderito al movimento di resistenza.
Le donne sapevano quanto valevano e, perché no, sapevano di avere anche qualche freccia in più nel loro arco rispetto alla loro controparte maschile. Oltre alla scaltrezza nel camuffare armi e munizioni, spesso, quando venivano fermate dai tedeschi con addosso qualcosa di compromettente, riuscivano ad evitare la perquisizione, dichiarando, con encomiabile faccia tosta, compiti importanti da svolgere, familiari ammalati, bambini affamati da accudire. Sapevano, più o meno consciamente che parlando della sfera familiare, usavano una lingua universale capace di suscitare sentimenti e sensibilità nascoste.
Inizialmente per molte di loro si trattò di una resistenza quasi inconscia ed esplicata nei modi più squisitamente femminili, ma successivamente questa partecipazione al movimento di Resistenza portò le donne a maturare anche politicamente ed a varcare quei ruoli assegnati tradizionalmente che le confinavano in casa e in posizioni subalterne (‹‹Mi sentivo libera››, sarà il leitmotiv dei racconti che successivamente faranno le protagoniste di questo movimento).
Come dirà successivamente una delle protagoniste di questa pagina storica, Teresa Mattei, ‹‹La Resistenza era fatta anche di piccole cose, che cominciarono molto prima dell'8 settembre, molto prima del 10 giugno '40›".
Ecco così, che equilibri che si credevano consolidati da secoli di soggezione femminile, erano sovvertiti da un'emergenza che premeva sempre più drammaticamente.
E' evidente che siamo di fronte a uno strappo con la tradizione. L'impegno attivo delle donne si accompagna alla definizione di una nuova prospettiva personale che guarda oltre la propria famiglia e i propri affetti. I ruoli di moglie, madre, casalinga, giovane figlia, tutti sottoposti all'autorità maschile, (tante sono le giovanissime anche sotto i vent'anni) finiscono in secondo piano. Davanti a tutto c'è il movimento di Resistenza che è sentito come uno strumento di riscatto personale oltre che politico e sociale.
Si comincia sostituendo gli uomini nelle fabbriche - come del resto era successo già nella prima guerra mondiale, in fabbrica e in ufficio si prendeva coscienza dei problemi che attraversava il Paese - e si arriva alla scelta di entrare o collaborare con le formazioni partigiane accettando di mettere a rischio la vita, anche perché non potendo circolare gli uomini in età di leva, erano le donne che giravano mascherando, almeno durante il giorno, le funzioni militari dietro le quotidiane commissioni domestiche.
Per comprendere meglio l'evoluzione di questa formazione, per così dire "morale", basta dare una scorsa alle lettere, le ultime lettere, delle donne condannate a morte, inserite nel libro Lettere di condannati a morte della Resistenza. Al di là del rimpianto per gli affetti che si perderanno (in primo luogo i figli) permane fortissima la sensazione di aver fatto oltre il proprio dovere, la coscienza di essere andate oltre a tutte quelle barriere che la società aveva sempre fabbricato per le donne, preparando la strada per le altre donne che sarebbero venute.
La Resistenza, quindi ha rappresentato una nuova importante tappa del percorso emancipativo femminile, determinando per la donna un universo simbolico di riferimento nuovo, sancito formalmente dal decreto sull'estensione del diritto di voto del 1° febbraio 1945.
Nonostante il fatto innegabile che queste antifasciste siano state considerate coraggiose ed altruiste, per decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario e contribuendo così ad alimentare una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" al "maschile". I dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno usato inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari, non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa.
Il loro contributo è stato tanto misconosciuto che le hanno chiamate donne della "resistenza taciuta" perché combattevano, portavano armi, discutevano appassionatamente, facevano l'amore, sorridevano, s'arrampicavano su montagne gelate venivano arrestate, a volte picchiate o violentate dai nazifascisti, senza parlare o tradire e tuttavia, raramente apparivano in prima linea anche se il rischio che correvano era altissimo.
Inoltre, finita la guerra molte di loro hanno scelto di rientrare nell'ombra, riprendendo i loro ruoli tradizionali, ma non per questo quanto hanno fatto, quanto hanno dato in termini di vite umane, valore, partecipazione, deve essere sottovalutato.
Occorre perciò riconoscerle per ciò che furono: autentiche leader, politiche e morali e dimostrazione vivente di quanto le donne possano fare anche e soprattutto nelle circostanze più avverse.
Quando si parla di resistenza al femminile il primo pensiero va a quello che fu considerato il compito precipuo delle donne entrate nel movimento, quello di staffetta ed in effetti questa non è una mansione che si può compiere inconsapevolmente.
Il continuo rischio di essere intercettate dal nemico e di conseguenza arrestate, violentate e torturate, rendeva queste donne innanzitutto forti dentro, pienamente coscienti del ruolo che stavano svolgendo. Il ruolo della staffetta, era spesso ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, per il semplice fatto che si pensava destassero meno sospetti e che non venissero quindi sottoposte a perquisizione. Le staffette avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie; in alcuni casi avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti.
Senza i collegamenti che loro assicuravano, tutto si sarebbe fermato ed ogni cosa sarebbe stata più difficile. Come non ricordare che proprio durante i giorni terribili dell'agosto 1944, nella Firenze martoriata dai colpi di mortaio e dai franchi tiratori, erano solo le donne che avevano avuto dal comando tedesco il permesso di uscire per attingere acque e quante staffette partigiane riuscirono a mescolarsi fra questa folla femminile per portare ordini e messaggi urgenti?
Inoltre le staffette non erano armate e per questo il loro compito era molto pericoloso. Il loro obiettivo era quello di passare inosservate: infatti erano vestite in modo comune, ma con una borsa con doppio fondo, per nascondere tutto ciò che dovevano trasportare.
Altri collegamenti che si rivelarono indispensabili sin dagli inizi della guerriglia erano quelli che tenevano le staffette tra città e montagna. Specie nei momenti più difficili, le staffette recuperavano e mettevano in salvo molti feriti e sbandati e ripristinavano quasi tutti i collegamenti che l'operazione nemica aveva interrotto, accompagnavano giovani desiderosi di unirsi alle bande partigiane, percorrevano chilometri in bicicletta, a piedi, talvolta in corriera e in camion, pigiate in un treno insieme al bestiame, per portare notizie, trasportare armi e munizioni, sotto la pioggia e il vento, tra i bombardamenti e i mitragliamenti, con il pericolo ogni volta di cadere nelle mani dei nazifascisti.
Tuttavia le donne furono anche partecipanti attive dei GAP e delle SAP, all'occasione sapevano anche cimentarsi con le armi e partecipavano alle riunioni portando il loro contributo politico ed organizzativo.
Quindi non solo staffette ma anche coordinatrici, collaboratrici dei capi carismatici della resistenza, non dietro gli uomini ma "al loro fianco" ricoprendo quindi quel ruolo che esse hanno voluto per tutte le altre donne italiane venute dopo di loro.
Emblematiche, per riconoscere questo ruolo giocato così animosamente, le parole che Bruno Fanciullacci rivolse ad una partigiana fiorentina, Elsa Becheri Massai ed al gruppo delle volontarie che operavano con lei nei giorni dell'emergenza: ‹‹Dopo questa esperienza ogni di idea di ineguaglianza dovrà essere bandita, non credo che nessuno riuscirà più a farvi abbassare la testa a voi donne››.
Poiché sarebbe impossibile ricordarle tutte, in questo contesto siamo perciò ad analizzare alcune figure di donne che hanno partecipato alla resistenza in Toscana e in alcuni casi pagando anche di persona con la vita o con la perdita della salute.
Anna Maria Enriques Agnoletti, Tosca Bucarelli Martini, Vera Vassalle, Assuntina (Tina) Lorenzoni, Rina Chiarini Scappini, Teresa Mattei, sono donne estremamente diverse fra di loro per provenienza, formazione politica e culturale ma unite dallo stesso desiderio di contribuire alla riscoperta di quei valori di libertà e giustizia sociale che sembravano scomparsi per sempre dal lessico comune.
La prima, sorella di Enzo Enriques Agnoletti futuro dirigente del CTLN Toscano e poi senatore, laureata in storia medievale e successivamente impiegata come paleografia anche presso la Biblioteca Vaticana, proviene da un ambiente colto e raffinato (il padre era un matematico famoso), ma questo non le impedisce di avvicinarsi al Movimento Cristiano Sociale (diverso dalla tradizionale Democrazia Cristiana per una connotazione più socialista) e, successivamente al Partito d'Azione al quale appartiene il fratello Enzo, collabora con Radio CORA (acronimo di Commissione Radio), un'emittente clandestina che mantiene i rapporti tra il comando alleato e la resistenza.
In seguito all'arresto di alcuni membri del Movimento Cristiano Sociale i fascisti vengono a sapere delle attività a favore di ebrei e di antifascisti ricercati che Anna Maria esercita e, con uno stratagemma vergognoso (la fanno contattare da uno di loro che si finge un militare sbandato in cerca di aiuto), l'arrestano nel giugno del 1944.
Imprigionata prima nel carcere femminile di Santa Verdiana, viene successivamente affidata alle "cure" di Mario Carità e della sua banda di aguzzini che escogitano per lei una tortura raffinata: tenerla sveglia per giorni e giorni di seguito.
Nonostante queste ed altre sevizie, Anna Maria riesce a non parlare e a non rivelare i suoi legami con Radio Cora (nel frattempo smantellata) che pure i fascisti sospettano e così la notte del 14 giugno viene aggregata al gruppo di patrioti di Radio Cora che i fascisti sono intenzionati a liquidare, portata in una località vicino a Monte Morello, Cercina, e lì fucilata insieme ad Italo Piccagli ed altre persone.
Tosca Bucarelli Martini, invece sceglie una strada diversa, anche perché diversa dall'Agnoletti per età, provenienza, formazione. Figlia di un operaio, impiegata alle poste, ha solo ventidue anni rispetto ai trentasette dell'altra e sicuramente una mentalità diametralmente opposta anche perché legata agli ambienti comunisti.
Figlia di un antifascista, fin da ragazzina vede il padre vessato in continuazione a causa delle sue idee e questo alimenta in lei un rancore nei confronti dei fascisti ed una voglia di riscatto che si traducono, appena le circostanze glielo permettono, in un impegno totale ed in una dedizione alla causa che trascende i suoi pochi anni.
Volontaria del "soccorso rosso" a soli diciassette anni, la sua prima impresa risale all' indomani dell' 8 settembre, quando contribuisce a liberare i soldati rinchiusi nella caserma "Lupi di Toscana" che si trova vicino a casa sua.
Coraggiosa fino all'incoscienza, capacissima di mantenere il sangue freddo nelle occasioni più tremende, si fa notare dai vecchi dirigenti del Partito Comunista ed entra quasi subito a far parte dei GAP compiendo azioni audacissime e rischiose, come quando mette una bomba al Teatro della Pergola, durante il raduno dei caporioni fascisti.
Per queste sue qualità viene scelta per mettere, insieme al gappisti Antonio Ignesti, una bomba al Caffè Paskowski dove si riuniscono abitualmente tedeschi e fascisti. Purtroppo qualcosa va storto, l'ordigno cade in terra e, nel tentativo di raccoglierlo, i due vengono notati e bloccati. Il gappista riesce a fuggire ma non Tosca, la quale viene portata a Villa Triste, dove la banda del famigerato Carità, cerca in ogni modo di farla parlare. Tosca cerca di farsi passare per una prostituta ma non le credono e le sevizie che riceve la riducono in uno stato pietoso, tanto da far decidere il suo ricovero nell'infermeria del carcere di Santa Verdiana.
Lì le condizioni sono migliori, ma rimane sempre il pericolo che venga prelevata e fucilata (il ricordo della fine di Anna Maria Enriques Agnoletti è vivissimo) e viene deciso di tentare di liberarla con un audace colpo di mano guidato da Bruno Fanciullacci. Il colpo riesce, anche grazie alla collaborazione delle suore, e Tosca ottiene in più che tutte le detenute politiche siano liberate. Viene nascosta nella casa di Roberto Martini e qui curata con i pochi mezzi che ci sono a disposizione, anche se le percosse ricevute le causeranno strascichi penosi per tutta la vita.
Anche Vera Vassalle non sceglie un compito facile e per aiutare la causa della resistenza lascia pure un buon impiego presso la Filiale di Viareggio della Cassa di Risparmio di Lucca. Entrata nella resistenza, nonostante un piccolo handicap dato da una leggera poliomielite, grazie al cognato Manfredo Bertini che occupa già una posizione di spicco dentro di essa, le viene affidato il compito di attraversare l'Italia ancora occupata, raggiungere il meridione ormai libero e chiedere agli alleati di effettuare lanci di armi per i partigiani che operano nel versiliese. Dopo quattordici giorni di viaggio terribile e pieno di pericoli (ai controlli afferma di essere stata separata dai genitori durante un bombardamento e di essere in cerca di loro) in mezzo ad un Paese allo sbando, raggiunge il Comando Alleato ed espone i problemi dei partigiani che operano in Versilia e sulle Apuane.
Colpito dal suo coraggio, il colonnello alleato che è riuscita a contattare, la conduce a Napoli e poi a Taranto per essere addestrata presso i Servizi strategici e dove segue corsi di addestramento sulle trasmissioni radiofoniche ed altri sistemi di informazione clandestina. Alcune settimane dopo viene sbarcata clandestinamente di notte in Maremma portando con sé una valigetta con una radio ricetrasmittente e da lì in mezzo a pericoli ancora maggiori, riesce a raggiungere Viareggio ed il comando partigiano al quale riferisce l'esito della sua missione. Ovviamente il compito che si è assunta non finisce qui e non contenta dei rischi che ha finora passato, si fa mandare sulle Alpi dove, con l'aiuto di un altro partigiano, appositamente inviato per aiutarla, continua nella trasmissione di dati che collegano il CLN al Comando Alleato, fino al termine delle ostilità quando, sfruttando il suo diploma di maestra, si mette ad insegnare, pur continuando nel suo impegno politico.
Certo la figura di questa ragazza deve aver colpito davvero la coscienza di molti se anche il grande scrittore di origine viareggina, Mario Tobino, nel suo romanzo "Il clandestino" narrerà in modo assai fedele sia le vicende di Vera (la Rosa del romanzo) che quelle di Manfredo Bertini.
La storia di Assuntina, detta comunemente Tina, Lorenzoni, è invece quella di una ragazza di buona famiglia figlia di un professore universitario e che durante la guerra si è impegnata come Crocerossina.
Tuttavia anche se lei sembra essere una ragazza senza storia, paga del suo compito di infermiera, forse anche a causa della formazione familiare (il padre in gioventù è stato amico di Cesare Battisti) decide di agire e fare qualcosa di concreto. Subito dopo l'armistizio, Tina non se ne resta tranquillamente a casa, ma inizia a prendere contatto con il gruppo antifascista fiorentino "Giustizia e Libertà" e le viene affidato l'incarico dei collegamenti.
Svolge compiti pericolosi, portandosi anche al nord organizzando l'espatrio di ebrei e nascondendo ricercati politici. Inoltre, essendo di origine trentina conosce benissimo il tedesco e riesce ad intercettare e tradurre comunicazioni che si riveleranno poi di grande importanza per partigiani ed alleati.
Quando la battaglia per la liberazione di Firenze divampa, Tina riesce ad attraversare tre volte almeno la linea di combattimento per portare e ricevere ordini da e per il Comando partigiano attestato in Oltrarno, continuando nello stesso tempo anche la sua opera di infermiera dove ce ne fosse bisogno.
I pacchi delle medicazioni sono ottimi nascondigli per piantine di postazioni nemiche, codici cifrati ed altro materiale che se fosse scoperto comporterebbe la fucilazione immediata dell'audace che lo sta trasportando, ma Tina continua nella sua missione con tranquillo coraggio, sorretto anche da una fede profonda che a lei, di salda formazione cattolica, non viene mai meno.
Firenze é ormai stata quasi del tutto liberata e manca solo la zona di via Bolognese dove le truppe tedesche si stavano ritirando, quando il 21 agosto Tina Lorenzoni si offre di fare una ricognizione per riferire l'esattezza delle postazioni nemiche. Purtroppo, catturata da una pattuglia di tedeschi che ormai non rispettano più neppure il braccialetto della croce rossa che lei tiene in evidenza, viene portata a Villa Cisterna e rinchiusa in una stanza. Forse i tedeschi non hanno neppure l'intenzione di ucciderla, forse pensano di trattenerla in attesa di chiarirne la posizione, ma Tina pensa ai partigiani che aspettano notizie sulle postazioni da attaccare e decide di tentare la fuga. Mentre sta cercando di scavalcare un muro, una raffica di mitra la uccide, chiudendo così una giovane vita spesa generosamente.
Destino tragico e beffardo che fa finire la vita di questa venticinquenne proprio quando Firenze era vicino alla liberazione e destino ancora più beffardo che ferma anche la vita del padre di Tina.
Il vecchio professore sta andando a cercare di parlamentare con il comando tedesco quando una granata lo fulmina ed il suo sacrificio va così ad aggiungersi a quello della figlia.
Se Tina Lorenzoni viene da un ambiente dove cattolicesimo e liberalismo si fondono in un impegno civile e morale, Teresa Mattei, genovese d'origine ma trasferita a Firenze a causa delle idee antifasciste dal padre, si forma in un ambiente nel quale Mussolini ed il fascismo sono visti come la causa di tutti i mali.
L'antifascismo del padre forma i figli, in primis Gianfranco, che sarà un partigiano combattente e finirà tragicamente la sua breve vita, ma anche Teresa che si dimostrerà sempre coerente con le sue scelte. Giovanissima deve dare la maturità da privatista perché ha criticato in classe le vergognose leggi razziali facendosi così espellere da tutte le scuole italiane.
Grazie alla collaborazione dei suoi numerosi fratelli, Teresa parteciperà ad azioni di sabotaggio e di disturbo nei confronti dei fascisti, riuscendo a non trascurare la propria formazione culturale.
Si iscrive a Lettere e Filosofia e qui avrà modo di incontrare il Professor Giovanni Gentile, eminentissimo filosofo, ma asservito al fascismo.
Proprio il disprezzo che prova per Gentile uomo, la porterà ad organizzare insieme ad altri gappisti fiorentini, fornendo informazioni preziose sulle sue abitudini, l'attentato che costerà la vita al filosofo, anche se lei personalmente si vanterà di non aver mai sparato un colpo.
La sua partecipazione alla lotta di Liberazione è attiva soprattutto nelle cellule comuniste che operano nella città di Firenze. Inizialmente si offre come staffetta, poi fonda i Gruppi di difesa della donna di Firenze, e finisce la guerra di Liberazione con il grado di Comandante di Compagnia.
Una delle sue azioni più significative in questo contesto fu la programmazione dell'incendio di alcuni carri ferroviari carichi di esplosivo, che ebbe come effetto diversivo quello di far suonare l'allarme e permettere così la liberazione, dal carcere delle Murate di diversi detenuti politici fra i quali uno dei suoi fratelli. Da notare, che mentre l'incendio divampava Teresa discuteva la sua tesi di laurea in uno scantinato a causa, appunto dell'allarme che era scattato a seguito della sua impresa.
Sembra, ma non è sicuro che a lei ed al suo gruppo combattente si è ispirato Roberto Rossellini per l'episodio di Firenze del film Paisà, anche se risulta difficile vederla come la crocerossina inglese che cerca il suo amore italiano che è diventato un capo partigiano.
Anche dopo che la guerra ed i suoi orrori saranno passati Teresa continuerà il suo impegno politico diventando la più giovane delle donne elette nell'Assemblea Costituente e proponendo, in occasione della prima Festa della Donna, che alle donne venga regalata la mimosa, fiore povero ma emblematico.
Ancora diverso è il cammino di Rina Chiarini Scappini. La sua è una vicenda che inizia ad Empoli in una famiglia di poveri operai, dove aveva conosciuto da subito le privazioni dovute anche all'impegno antifascista del padre, tanto che a soli 11 anni deve lasciare la scuola per trovare un lavoro di operaia ed aiutare così la famiglia.
Fidanzata con Remo Scappini, antifascista e comunista, viene sottoposta per anni a vessazioni e sorveglianza dalla polizia e dai fascisti. Il fidanzato viene condannato al carcere ma lei continua a seguirlo e ad aspettarlo. Si sposano nel 1943 ma continuano la lotta spostandosi a Genova dove Rina viene catturata dalla Polizia Fascista comandata dal famigerato Commissario Veneziani, (per il quale, vergognosamente Giampaolo Pansa avrà poi parole di compianto e di giustificazione), torturata fino a provocarle un aborto terribile e che avrà come conseguenza quella di non poter poi più avere figli.
Il Veneziani arriverà al punto di mandarla davanti ad un falso plotone di esecuzione per vedere se davanti alla morte questa donna di ferro, si decida a cedere, ma non riesce nell'intento ed allora la deferisce davanti ad un tribunale speciale che la condanna a 24 anni di reclusione in un lager di Bolzano dal quale Rina riesce però a fuggire nel marzo del 1945. Raggiunge Milano e il 26 aprile Genova, dove ha la somma soddisfazione di sapere che il giorno prima il Comandante delle truppe tedesche Gunther Meinhold, ha firmato la resa e si è consegnato proprio nelle mani di suo marito.
Dunque donne diverse queste che ricordiamo in questo contesto, diverse in tanti aspetti ma unite in quello di contribuire coscientemente alla nascita di una nazione civile che ripudiasse violenza e sopraffazione, una nazione nella quale libertà e giustizia sociale non andassero mai disgiunte.
Da una parte abbiamo Anna Maria Enriques Agnoletti, Tina Lorenzoni, Teresa Mattei, che hanno come humus la buona borghesia italiana e fiorentina, alle spalle famiglie benestanti, o perlomeno senza problemi economici, che hanno loro permesso di studiare e di conseguire lusinghieri titoli di studio, ma forse sono proprio l'apertura mentale regalata loro dagli studi, il substrato culturale che le famiglie di origine hanno loro trasmesso, che hanno consentito a queste donne, o meglio ragazze, di porsi criticamente nei confronti del fascismo e della sua volontà di inquadrare le donne in un ruolo subalterno a vita, abbracciando così una lotta che diventava insieme riscatto politico ed umano allo stesso tempo.
Insieme a loro, ma provenienti da altri ambienti, forse più semplici e sicuramente meno agiati economicamente, abbiamo Tosca Bucarelli, Vera Vassalle, Rina Chiarini Scappini e, anche di esse credo si possa affermare che fu la loro provenienza sociale a plasmarle, facendo toccare con mano la miseria della popolazione al tempo del "felice" periodo fascista.
Povertà, anche fame in alcuni casi, soprusi sociali che si subivano o che si vedevano subire dai propri cari, sono tutte variabili che innestate su temperamenti forti, energici e dalla volontà ferrea, producono germogli eccezionali che danno risultati altrettanto eccezionali.
Ma questo gruppo di donne si può studiare anche sotto altri aspetti che non siano quelli della provenienza. Esse si possono anche raggruppare in base al contributo che scelsero di portare ala lotta antifascista, ai compiti che si accollarono.
Così vediamo Anna Maria Enriques Agnoletti che aiuta la rete spionistica di Radio Cora e procura rifugio agli ebrei perseguitati (non dimentichiamoci che se lei era cattolica praticante, la famiglia paterna è di origine ebraica). Simile al suo è il compito che svolge Tina Lorenzoni, la quale durante la battaglia di Firenze, quando ormai nascondere gli ebrei non è più una necessità impellente, passa a fare la staffetta partigiana, rimettendoci purtroppo, la vita.
Entrambe, per quanto ne sappiamo, non impugnano un'arma, ma il pericolo cammina insieme a loro e la morte sarà la ricompensa del loro altruismo.
Non hanno materialmente combattuto, ma hanno salvato vite, protetto persone impegnate in missioni difficili e, al di là della retorica che gronda dalle motivazioni con le quali vennero assegnate loro le medaglie d'oro al valore ed alla memoria, nessuno può negare quanto siano state importanti nella lotta al nazifascismo.
Tosca Bucarelli e Teresa Mattei sono invece quelle che scelgono di andare in prima linea; la Bucarelli addirittura sarà una delle pochissime donne che fanno parte dei temutissimi GAP e la Mattei, dopo aver pianificato l'agguato a Giovanni Gentile, avrà il comando di una Compagnia appartenente al Fronte della Gioventù. Questo non può averlo Tosca Bucarelli per ovvie ragioni, ma se non fosse stata convalescente delle terribili sevizie che le hanno propinato quelli della Banda Carità, sicuramente l'avremmo trovata in prima linea nei terribili giorni dell'emergenza fiorentina.
Anche Vera Vassalle è una che non ha paura perché come abbiamo visto, le sue missioni su e giù per l'Italia occupata e dilaniata sono quanto di più pericoloso possano essere e così è anche per Rina Chiarini, la quale manterrà i contatti fra le brigate "Garibaldi" di Genova.
Sembra un paradosso parlare di amore in tempo di guerra ma anche l'amore gioca un ruolo importante nella vita di alcune di queste donne ed in un certo qual modo le raggruppa in modo diverso.
Se Anna Maria Enriques e Tina Lorenzoni sembrano assurgere a dei connotati tipici di una donna angelicata e disincarnata, sarà l'amore per Bruno Sanguinetti, intellettuale antifascista di origine ebraica, che porta Teresa Mattei a collaborare con lui in un compito che avrebbe fatto inorridire tanti uomini per non parlare di tante donne: quello di eliminare Giovanni Gentile, responsabile di aver avallato pubblicamente il fascismo e la Repubblica di Salò. Amore per il suo compagno, ma anche per il fratello Gianfranco morto suicida, per non tradire, a Roma nelle carceri di Via Tasso.
Ed è ancora l'amore che conduce Rina Chiarini da sempre vicina al suo Remo Scappini, in quel percorso di sacrifici, paura ed eroismi che percorre già da anni e che continuerà ancora fino alla fine della guerra.
Anche Vera Vassalle, si vedrà cadere letteralmente l'amore dal cielo. Sì, perché il patriota Mario Robello, verrà paracadutato appositamente per collaborare con lei nelle trasmissioni dei messaggi ed insieme formeranno una coppia formidabile in guerra e, successivamente nella vita.
In ultimo, vediamolo come il lieto fine di una fosca fiaba, sarà ancora l'amore che premierà per così dire le sofferenze di Tosca Bucarelli. Affidata dal gruppo antifascista che la libera dal carcere, alle cure del comunista Roberto Martini, non passeranno molti giorni perché fra l'avvocato di trentadue anni, comunista ma di estrazione borghese e benestante, e la ragazzina terribile di ventidue di famiglia operaia, sbocci l'amore, un amore che sfocerà nel primo matrimonio civile del dopoguerra e che si rivelerà un legame saldissimo per tutta la loro vita.
Donne, quindi ma che donne! Di alcune di loro ricordiamo affettuosamente il nome di battaglia: Chiarina, Toschina, Chicchi, Rosa, cosa che sembra far pensare a donne vocate a cose superiori, ma in realtà si tratta di donne "normali" occupate prima della guerra in compiti "normali"; studiavano, lavoravano in casa, in ufficio, in fabbrica, sognavano di innamorarsi, di farsi una famiglia, come facevano tutte le altre donne. Ma poi qualcosa è cambiato e la realtà della guerra le ha poste davanti a scelte che esse avevano già intimamente elaborato e sono diventate donne "eccezionali" che hanno fatto cose che forse non avrebbero mai pensato di fare.
E' vero che il momento era particolare ma sicuramente, se ognuna di loro non avesse posseduto dentro di sé qualità particolari non avrebbero intrapreso quel cammino difficilissimo, doloroso ed anche tragico che le ha portate dentro la STORIA.


BIBLIOGRAFIA

AA.VV. Lettere di condannati a morte della Resistenza, Torino, Einaudi, 1955
Addis, S.M., Partigiani- Tutte le donne della Resistenza, Milano, Mursia, 1998
Alloisio, M. Gadola, G., Volontarie della libertà - Lampi di stampa 1981
Antonelli, L. , Voci della storia - Le donne della Resistenza In Toscana, Pentaline, Prato, 2006
Barbieri, O. I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza Firenze, Istituto Gramsci, 1984
Cappelletti U., Firenze città aperta, Firenze, Bonechi, 1975
Cappelletti U., Firenze in guerra Prato, Edizione del Palazzo, 1984
Francovich, C. La resistenza a Firenze Firenze, LA Nuova Italia, 1975
Frullini, G. La liberazione di Firenze, Firenze, Sperling e Kupfer, 1982
Gracci, A., Brigata Sinigallia - Firenze, Libreria Feltrinelli, 1975
Innocenti, M., Storie di donne e di guerra in Toscana - 1943 - 1945 - I.S.P.R.T., Pistoia, 2006
La Rocca, G. La Radio Cora di Piazza D'Azelio Firenze Ed. Giuntina, 2004
Mafai, M., Pane nero - Milano, Mondatori, 1988
Marcolin, A. Firenze in camicia nera Firenze Ed. Medicea, 1993
Ungherelli, S., Quelli della stella rossa - Firenze, Polistampa, 1999

Contatore visite dal 6 giugno 2011
 
Segreti di Pulcinella - © Tutti i diritti riservati