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Le donne e la resistenza.
Storie straordinarie di donne ordinarie
Studiare la Resistenza, cercare
di comprendere cosa sia stata la Resistenza in
Italia e ovviamente, anche in Toscana, non è certo
una cosa semplice; se ci si vuole avvicinare a
questo momento storico con un approccio serio
dobbiamo considerare le molte variabili che sono
confluite in questo movimento ed in primo luogo
ricordare come esso sia stata un fenomeno
collettivo, una vera reazione di popolo. In altre
parole, una reazione del popolo ad un altro fenomeno
che aveva assunto connotazioni popolari, il
fascismo!
La resistenza al fascismo inizia effettivamente come
l'espressione di un élite politicamente formata dal
confino e dalle galere fasciste, ma già dall'8
settembre 1943 erano attive diverse forme a base
popolare avverse ai fascisti ed ai tedeschi che
occupavano l'Italia.
Inoltre in Toscana, subito dopo l'armistizio, erano
attivi numerosi comitati interpartiti che chiesero
alle strutture statuali una reazione antitedesca o,
in subordine, la consegna di armi da distribuire ai
civili. Il rifiuto di queste richieste ed il
conseguente abbandono della popolazione a sé stessa,
determinò la nascita quasi immediata delle prime
formazioni di patrioti. Nella seconda metà di quello
stesso mese di settembre, si erano costituite
formazioni, dislocate sulle pendici di alcuni
rilievi (Apuane e Massetano, Casentino, Appennino
Pistoiese) luoghi che potevano offrire rifugio alle
bande di patrioti.
Il rapporto col mondo contadino, presso il quale le
formazioni partigiane trovarono solidarietà,
sussistenza e riparo fu uno dei fattori fondamentali
che contribuirono non poco al successo del movimento
insurrezionale così come il collegamento che quasi
subito si attuò tra le formazioni in montagna e gli
organismi politici residenti nei paesi e nelle
città, costituiti in massima parte da vecchi
combattenti antifascisti che del regime avevano già
sperimentato le atrocità ma che conoscevano molto a
fondo anche le migliori dinamiche per impostare la
lotta.
Possiamo quindi affermare che il movimento della
Resistenza fu caratterizzato dall'impegno unitario
di molteplici e talora opposti orientamenti politici
(comunisti, azionisti, monarchici, socialisti,
cattolici, liberali, repubblicani, anarchici),
confluiti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN)
il quale svolse il ruolo di raccordo regionale.
Ma oltre ai contadini ed ai combattenti, una
componente fondamentale per la riuscita del
movimento partigiano nella lotta contro il
nazifascismo fu la presenza delle donne nella
Resistenza italiana ed oggi non vi sono più dubbi
che il ruolo delle donne nel movimento di Resistenza
sia stato rilevante, anche se a lungo misconosciuto.
Le cifre ufficiali registrano 35.000 partigiane
combattenti, 20.000 le patriote, con funzioni di
supporto, 70.000 le donne appartenenti ai Gruppi di
Difesa, per la conquista dei diritti delle donne, 16
medaglie d'oro e 17 medaglie d'argento, 512 le
commissarie di guerra, 4.633 le donne arrestate,
torturate e condannate dai tribunali fascisti, 1890
le deportate in Germania, oltre mille sono quelle
cadute in combattimento e più di duemila quelle
fucilate e impiccate.
Sono dati eloquenti che contribuiscono a connotare
la natura del movimento femminile di Resistenza, ma
dentro questi numeri sono ancora più importanti le
scelte di vita che hanno spinto queste donne a
prendere parte attiva al conflitto.
Infatti, queste donne che parteciparono al
movimento, furono capaci di compiere un enorme salto
qualitativo lasciando i loro ruoli di donne e di
madri e lottando per riconquistare la libertà e la
giustizia del proprio paese, arrivando anche a
ricoprire funzioni di primaria importanza.
Quello che salta platealmente agli occhi è il fatto
che, in contrasto con i dettami del fascismo il
quale tentò sempre di escludere le donne da ogni
attività extrafamiliare e di riaffermare l'ideale
della donna come "angelo del focolare", una parte
consistente del mondo femminile ebbe una reazione a
quest'inquadratura che ne penalizzava le doti.
Tuttavia questa reazione non fu però ristretta ad
una classe sociale, quella borghese, che aveva avuto
modo di studiare, leggere e quindi prendere
coscienza del proprio potenziale.
E' innegabile che in questi ambiti fosse più diffusa
l'insofferenza verso il regime e che ci fosse
un'avversione più netta per al fascismo e a
Mussolini, maturata in famiglia e sui banchi di
scuola, mentre nel mondo rurale l'approccio ad una
coscienza antifascista maturò più lentamente ed
esclusivamente all'interno del nucleo famigliare,
magari legata al ricordo di violenze e soprusi
subiti, ma è anche vero che il fenomeno investì il
mondo femminile in toto: donne giovani e anziane,
intellettuali, studentesse e professoresse, ma anche
e soprattutto donne provenienti dal popolo, che
lavoravano nelle fabbriche e nei campi. Furono le
donne che cominciarono a manifestare e protestare,
nelle piazze il loro dissenso contro il regime, come
le operaie che chiedevano migliori condizioni di
lavoro, anche perché erano convinte che sia pure per
i fascisti fosse difficile sparare su donne inermi.
Inoltre, in diverse occasioni le donne seppero fare
del gruppo femminile un'arma potentissima, come nel
caso delle lavoratrici della Manifattura Tabacchi di
Firenze che arrivarono a sbeffeggiare il temutissimo
Mario Carità, o come in quello delle donne di Massa
Carrara che unite e compatte, sfidarono il Comando
germanico il quale aveva dato l'ordine di sfollare
completamente la città riuscendo ad imporsi anche ai
tedeschi, i quali si trovarono costretti a revocare
l'ordine.
Queste diverse provenienze portarono quindi a due
tipi di supporto diverso alla lotta partigiana e
fecero sì che il movimento avesse un'ampiezza ancora
maggiore, a trecentosessanta gradi, oseremmo dire.
Quindi se, da una parte le donne dotate di cultura
più elevata organizzavano delle riunioni private a
carattere politico e quindi erano maggiormente
agganciate all'attività dei GAP (Gruppi di Azione
Partigiana) e delle SAP (Squadre di Azione
Partigiana), tra le donne di campagna invece, era
prevalente il sostegno pratico alle attività
partigiane con staffette che portano ordini,
messaggi, cibo, a volte anche armi etc., piuttosto
che la diretta partecipazione alle attività belliche
o politiche.
Tuttavia, nonostante questa, chiamiamola divisione
di compiti, le azioni delle donne erano soggette a
rischio quanto quelle degli uomini e, se in genere
le ragazze non sparavano, avevano funzioni
essenziali nell'espletamento di compiti
pericolosissimi ed esse erano ben consapevoli che se
fossero cadute in mano nemica erano passibili di
essere torturate e fucilate ma, al di là della
coscienza di questi pericoli, niente fermò le donne
che avevano aderito al movimento di resistenza.
Le donne sapevano quanto valevano e, perché no,
sapevano di avere anche qualche freccia in più nel
loro arco rispetto alla loro controparte maschile.
Oltre alla scaltrezza nel camuffare armi e
munizioni, spesso, quando venivano fermate dai
tedeschi con addosso qualcosa di compromettente,
riuscivano ad evitare la perquisizione, dichiarando,
con encomiabile faccia tosta, compiti importanti da
svolgere, familiari ammalati, bambini affamati da
accudire. Sapevano, più o meno consciamente che
parlando della sfera familiare, usavano una lingua
universale capace di suscitare sentimenti e
sensibilità nascoste.
Inizialmente per molte di loro si trattò di una
resistenza quasi inconscia ed esplicata nei modi più
squisitamente femminili, ma successivamente questa
partecipazione al movimento di Resistenza portò le
donne a maturare anche politicamente ed a varcare
quei ruoli assegnati tradizionalmente che le
confinavano in casa e in posizioni subalterne (‹‹Mi
sentivo libera››, sarà il leitmotiv dei racconti che
successivamente faranno le protagoniste di questo
movimento).
Come dirà successivamente una delle protagoniste di
questa pagina storica, Teresa Mattei, ‹‹La
Resistenza era fatta anche di piccole cose, che
cominciarono molto prima dell'8 settembre, molto
prima del 10 giugno '40›".
Ecco così, che equilibri che si credevano
consolidati da secoli di soggezione femminile, erano
sovvertiti da un'emergenza che premeva sempre più
drammaticamente.
E' evidente che siamo di fronte a uno strappo con la
tradizione. L'impegno attivo delle donne si
accompagna alla definizione di una nuova prospettiva
personale che guarda oltre la propria famiglia e i
propri affetti. I ruoli di moglie, madre, casalinga,
giovane figlia, tutti sottoposti all'autorità
maschile, (tante sono le giovanissime anche sotto i
vent'anni) finiscono in secondo piano. Davanti a
tutto c'è il movimento di Resistenza che è sentito
come uno strumento di riscatto personale oltre che
politico e sociale.
Si comincia sostituendo gli uomini nelle fabbriche -
come del resto era successo già nella prima guerra
mondiale, in fabbrica e in ufficio si prendeva
coscienza dei problemi che attraversava il Paese - e
si arriva alla scelta di entrare o collaborare con
le formazioni partigiane accettando di mettere a
rischio la vita, anche perché non potendo circolare
gli uomini in età di leva, erano le donne che
giravano mascherando, almeno durante il giorno, le
funzioni militari dietro le quotidiane commissioni
domestiche.
Per comprendere meglio l'evoluzione di questa
formazione, per così dire "morale", basta dare una
scorsa alle lettere, le ultime lettere, delle donne
condannate a morte, inserite nel libro Lettere di
condannati a morte della Resistenza. Al di là del
rimpianto per gli affetti che si perderanno (in
primo luogo i figli) permane fortissima la
sensazione di aver fatto oltre il proprio dovere, la
coscienza di essere andate oltre a tutte quelle
barriere che la società aveva sempre fabbricato per
le donne, preparando la strada per le altre donne
che sarebbero venute.
La Resistenza, quindi ha rappresentato una nuova
importante tappa del percorso emancipativo
femminile, determinando per la donna un universo
simbolico di riferimento nuovo, sancito formalmente
dal decreto sull'estensione del diritto di voto del
1° febbraio 1945.
Nonostante il fatto innegabile che queste
antifasciste siano state considerate coraggiose ed
altruiste, per decenni a livello storiografico ed
istituzionale il contributo delle donne alla
Resistenza non è stato mai adeguatamente
riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo
secondario e contribuendo così ad alimentare una
visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva
"declinata" al "maschile". I dati ufficiali della
partecipazione femminile alla Resistenza hanno usato
inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni
puramente militari, non prendendo in considerazione
i "modi diversi", ma non per questo meno importanti,
con cui le donne parteciparono ad essa.
Il loro contributo è stato tanto misconosciuto che
le hanno chiamate donne della "resistenza taciuta"
perché combattevano, portavano armi, discutevano
appassionatamente, facevano l'amore, sorridevano,
s'arrampicavano su montagne gelate venivano
arrestate, a volte picchiate o violentate dai
nazifascisti, senza parlare o tradire e tuttavia,
raramente apparivano in prima linea anche se il
rischio che correvano era altissimo.
Inoltre, finita la guerra molte di loro hanno scelto
di rientrare nell'ombra, riprendendo i loro ruoli
tradizionali, ma non per questo quanto hanno fatto,
quanto hanno dato in termini di vite umane, valore,
partecipazione, deve essere sottovalutato.
Occorre perciò riconoscerle per ciò che furono:
autentiche leader, politiche e morali e
dimostrazione vivente di quanto le donne possano
fare anche e soprattutto nelle circostanze più
avverse.
Quando si parla di resistenza al femminile il primo
pensiero va a quello che fu considerato il compito
precipuo delle donne entrate nel movimento, quello
di staffetta ed in effetti questa non è una mansione
che si può compiere inconsapevolmente.
Il continuo rischio di essere intercettate dal
nemico e di conseguenza arrestate, violentate e
torturate, rendeva queste donne innanzitutto forti
dentro, pienamente coscienti del ruolo che stavano
svolgendo. Il ruolo della staffetta, era spesso
ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, per
il semplice fatto che si pensava destassero meno
sospetti e che non venissero quindi sottoposte a
perquisizione. Le staffette avevano il compito di
garantire i collegamenti tra le varie brigate e di
mantenere i contatti fra i partigiani e le loro
famiglie; in alcuni casi avevano anche il compito di
accompagnare gli eventuali resistenti.
Senza i collegamenti che loro assicuravano, tutto si
sarebbe fermato ed ogni cosa sarebbe stata più
difficile. Come non ricordare che proprio durante i
giorni terribili dell'agosto 1944, nella Firenze
martoriata dai colpi di mortaio e dai franchi
tiratori, erano solo le donne che avevano avuto dal
comando tedesco il permesso di uscire per attingere
acque e quante staffette partigiane riuscirono a
mescolarsi fra questa folla femminile per portare
ordini e messaggi urgenti?
Inoltre le staffette non erano armate e per questo
il loro compito era molto pericoloso. Il loro
obiettivo era quello di passare inosservate: infatti
erano vestite in modo comune, ma con una borsa con
doppio fondo, per nascondere tutto ciò che dovevano
trasportare.
Altri collegamenti che si rivelarono indispensabili
sin dagli inizi della guerriglia erano quelli che
tenevano le staffette tra città e montagna. Specie
nei momenti più difficili, le staffette recuperavano
e mettevano in salvo molti feriti e sbandati e
ripristinavano quasi tutti i collegamenti che
l'operazione nemica aveva interrotto, accompagnavano
giovani desiderosi di unirsi alle bande partigiane,
percorrevano chilometri in bicicletta, a piedi,
talvolta in corriera e in camion, pigiate in un
treno insieme al bestiame, per portare notizie,
trasportare armi e munizioni, sotto la pioggia e il
vento, tra i bombardamenti e i mitragliamenti, con
il pericolo ogni volta di cadere nelle mani dei
nazifascisti.
Tuttavia le donne furono anche partecipanti attive
dei GAP e delle SAP, all'occasione sapevano anche
cimentarsi con le armi e partecipavano alle riunioni
portando il loro contributo politico ed
organizzativo.
Quindi non solo staffette ma anche coordinatrici,
collaboratrici dei capi carismatici della
resistenza, non dietro gli uomini ma "al loro
fianco" ricoprendo quindi quel ruolo che esse hanno
voluto per tutte le altre donne italiane venute dopo
di loro.
Emblematiche, per riconoscere questo ruolo giocato
così animosamente, le parole che Bruno Fanciullacci
rivolse ad una partigiana fiorentina, Elsa Becheri
Massai ed al gruppo delle volontarie che operavano
con lei nei giorni dell'emergenza: ‹‹Dopo questa
esperienza ogni di idea di ineguaglianza dovrà
essere bandita, non credo che nessuno riuscirà più a
farvi abbassare la testa a voi donne››.
Poiché sarebbe impossibile ricordarle tutte, in
questo contesto siamo perciò ad analizzare alcune
figure di donne che hanno partecipato alla
resistenza in Toscana e in alcuni casi pagando anche
di persona con la vita o con la perdita della
salute.
Anna Maria Enriques Agnoletti, Tosca Bucarelli
Martini, Vera Vassalle, Assuntina (Tina) Lorenzoni,
Rina Chiarini Scappini, Teresa Mattei, sono donne
estremamente diverse fra di loro per provenienza,
formazione politica e culturale ma unite dallo
stesso desiderio di contribuire alla riscoperta di
quei valori di libertà e giustizia sociale che
sembravano scomparsi per sempre dal lessico comune.
La prima, sorella di Enzo Enriques Agnoletti futuro
dirigente del CTLN Toscano e poi senatore, laureata
in storia medievale e successivamente impiegata come
paleografia anche presso la Biblioteca Vaticana,
proviene da un ambiente colto e raffinato (il padre
era un matematico famoso), ma questo non le
impedisce di avvicinarsi al Movimento Cristiano
Sociale (diverso dalla tradizionale Democrazia
Cristiana per una connotazione più socialista) e,
successivamente al Partito d'Azione al quale
appartiene il fratello Enzo, collabora con Radio
CORA (acronimo di Commissione Radio), un'emittente
clandestina che mantiene i rapporti tra il comando
alleato e la resistenza.
In seguito all'arresto di alcuni membri del
Movimento Cristiano Sociale i fascisti vengono a
sapere delle attività a favore di ebrei e di
antifascisti ricercati che Anna Maria esercita e,
con uno stratagemma vergognoso (la fanno contattare
da uno di loro che si finge un militare sbandato in
cerca di aiuto), l'arrestano nel giugno del 1944.
Imprigionata prima nel carcere femminile di Santa
Verdiana, viene successivamente affidata alle "cure"
di Mario Carità e della sua banda di aguzzini che
escogitano per lei una tortura raffinata: tenerla
sveglia per giorni e giorni di seguito.
Nonostante queste ed altre sevizie, Anna Maria
riesce a non parlare e a non rivelare i suoi legami
con Radio Cora (nel frattempo smantellata) che pure
i fascisti sospettano e così la notte del 14 giugno
viene aggregata al gruppo di patrioti di Radio Cora
che i fascisti sono intenzionati a liquidare,
portata in una località vicino a Monte Morello,
Cercina, e lì fucilata insieme ad Italo Piccagli ed
altre persone.
Tosca Bucarelli Martini, invece sceglie una strada
diversa, anche perché diversa dall'Agnoletti per
età, provenienza, formazione. Figlia di un operaio,
impiegata alle poste, ha solo ventidue anni rispetto
ai trentasette dell'altra e sicuramente una
mentalità diametralmente opposta anche perché legata
agli ambienti comunisti.
Figlia di un antifascista, fin da ragazzina vede il
padre vessato in continuazione a causa delle sue
idee e questo alimenta in lei un rancore nei
confronti dei fascisti ed una voglia di riscatto che
si traducono, appena le circostanze glielo
permettono, in un impegno totale ed in una dedizione
alla causa che trascende i suoi pochi anni.
Volontaria del "soccorso rosso" a soli diciassette
anni, la sua prima impresa risale all' indomani
dell' 8 settembre, quando contribuisce a liberare i
soldati rinchiusi nella caserma "Lupi di Toscana"
che si trova vicino a casa sua.
Coraggiosa fino all'incoscienza, capacissima di
mantenere il sangue freddo nelle occasioni più
tremende, si fa notare dai vecchi dirigenti del
Partito Comunista ed entra quasi subito a far parte
dei GAP compiendo azioni audacissime e rischiose,
come quando mette una bomba al Teatro della Pergola,
durante il raduno dei caporioni fascisti.
Per queste sue qualità viene scelta per mettere,
insieme al gappisti Antonio Ignesti, una bomba al
Caffè Paskowski dove si riuniscono abitualmente
tedeschi e fascisti. Purtroppo qualcosa va storto,
l'ordigno cade in terra e, nel tentativo di
raccoglierlo, i due vengono notati e bloccati. Il
gappista riesce a fuggire ma non Tosca, la quale
viene portata a Villa Triste, dove la banda del
famigerato Carità, cerca in ogni modo di farla
parlare. Tosca cerca di farsi passare per una
prostituta ma non le credono e le sevizie che riceve
la riducono in uno stato pietoso, tanto da far
decidere il suo ricovero nell'infermeria del carcere
di Santa Verdiana.
Lì le condizioni sono migliori, ma rimane sempre il
pericolo che venga prelevata e fucilata (il ricordo
della fine di Anna Maria Enriques Agnoletti è
vivissimo) e viene deciso di tentare di liberarla
con un audace colpo di mano guidato da Bruno
Fanciullacci. Il colpo riesce, anche grazie alla
collaborazione delle suore, e Tosca ottiene in più
che tutte le detenute politiche siano liberate.
Viene nascosta nella casa di Roberto Martini e qui
curata con i pochi mezzi che ci sono a disposizione,
anche se le percosse ricevute le causeranno
strascichi penosi per tutta la vita.
Anche Vera Vassalle non sceglie un compito facile e
per aiutare la causa della resistenza lascia pure un
buon impiego presso la Filiale di Viareggio della
Cassa di Risparmio di Lucca. Entrata nella
resistenza, nonostante un piccolo handicap dato da
una leggera poliomielite, grazie al cognato Manfredo
Bertini che occupa già una posizione di spicco
dentro di essa, le viene affidato il compito di
attraversare l'Italia ancora occupata, raggiungere
il meridione ormai libero e chiedere agli alleati di
effettuare lanci di armi per i partigiani che
operano nel versiliese. Dopo quattordici giorni di
viaggio terribile e pieno di pericoli (ai controlli
afferma di essere stata separata dai genitori
durante un bombardamento e di essere in cerca di
loro) in mezzo ad un Paese allo sbando, raggiunge il
Comando Alleato ed espone i problemi dei partigiani
che operano in Versilia e sulle Apuane.
Colpito dal suo coraggio, il colonnello alleato che
è riuscita a contattare, la conduce a Napoli e poi a
Taranto per essere addestrata presso i Servizi
strategici e dove segue corsi di addestramento sulle
trasmissioni radiofoniche ed altri sistemi di
informazione clandestina. Alcune settimane dopo
viene sbarcata clandestinamente di notte in Maremma
portando con sé una valigetta con una radio
ricetrasmittente e da lì in mezzo a pericoli ancora
maggiori, riesce a raggiungere Viareggio ed il
comando partigiano al quale riferisce l'esito della
sua missione. Ovviamente il compito che si è assunta
non finisce qui e non contenta dei rischi che ha
finora passato, si fa mandare sulle Alpi dove, con
l'aiuto di un altro partigiano, appositamente
inviato per aiutarla, continua nella trasmissione di
dati che collegano il CLN al Comando Alleato, fino
al termine delle ostilità quando, sfruttando il suo
diploma di maestra, si mette ad insegnare, pur
continuando nel suo impegno politico.
Certo la figura di questa ragazza deve aver colpito
davvero la coscienza di molti se anche il grande
scrittore di origine viareggina, Mario Tobino, nel
suo romanzo "Il clandestino" narrerà in modo assai
fedele sia le vicende di Vera (la Rosa del romanzo)
che quelle di Manfredo Bertini.
La storia di Assuntina, detta comunemente Tina,
Lorenzoni, è invece quella di una ragazza di buona
famiglia figlia di un professore universitario e che
durante la guerra si è impegnata come Crocerossina.
Tuttavia anche se lei sembra essere una ragazza
senza storia, paga del suo compito di infermiera,
forse anche a causa della formazione familiare (il
padre in gioventù è stato amico di Cesare Battisti)
decide di agire e fare qualcosa di concreto. Subito
dopo l'armistizio, Tina non se ne resta
tranquillamente a casa, ma inizia a prendere
contatto con il gruppo antifascista fiorentino
"Giustizia e Libertà" e le viene affidato l'incarico
dei collegamenti.
Svolge compiti pericolosi, portandosi anche al nord
organizzando l'espatrio di ebrei e nascondendo
ricercati politici. Inoltre, essendo di origine
trentina conosce benissimo il tedesco e riesce ad
intercettare e tradurre comunicazioni che si
riveleranno poi di grande importanza per partigiani
ed alleati.
Quando la battaglia per la liberazione di Firenze
divampa, Tina riesce ad attraversare tre volte
almeno la linea di combattimento per portare e
ricevere ordini da e per il Comando partigiano
attestato in Oltrarno, continuando nello stesso
tempo anche la sua opera di infermiera dove ce ne
fosse bisogno.
I pacchi delle medicazioni sono ottimi nascondigli
per piantine di postazioni nemiche, codici cifrati
ed altro materiale che se fosse scoperto
comporterebbe la fucilazione immediata dell'audace
che lo sta trasportando, ma Tina continua nella sua
missione con tranquillo coraggio, sorretto anche da
una fede profonda che a lei, di salda formazione
cattolica, non viene mai meno.
Firenze é ormai stata quasi del tutto liberata e
manca solo la zona di via Bolognese dove le truppe
tedesche si stavano ritirando, quando il 21 agosto
Tina Lorenzoni si offre di fare una ricognizione per
riferire l'esattezza delle postazioni nemiche.
Purtroppo, catturata da una pattuglia di tedeschi
che ormai non rispettano più neppure il braccialetto
della croce rossa che lei tiene in evidenza, viene
portata a Villa Cisterna e rinchiusa in una stanza.
Forse i tedeschi non hanno neppure l'intenzione di
ucciderla, forse pensano di trattenerla in attesa di
chiarirne la posizione, ma Tina pensa ai partigiani
che aspettano notizie sulle postazioni da attaccare
e decide di tentare la fuga. Mentre sta cercando di
scavalcare un muro, una raffica di mitra la uccide,
chiudendo così una giovane vita spesa generosamente.
Destino tragico e beffardo che fa finire la vita di
questa venticinquenne proprio quando Firenze era
vicino alla liberazione e destino ancora più
beffardo che ferma anche la vita del padre di Tina.
Il vecchio professore sta andando a cercare di
parlamentare con il comando tedesco quando una
granata lo fulmina ed il suo sacrificio va così ad
aggiungersi a quello della figlia.
Se Tina Lorenzoni viene da un ambiente dove
cattolicesimo e liberalismo si fondono in un impegno
civile e morale, Teresa Mattei, genovese d'origine
ma trasferita a Firenze a causa delle idee
antifasciste dal padre, si forma in un ambiente nel
quale Mussolini ed il fascismo sono visti come la
causa di tutti i mali.
L'antifascismo del padre forma i figli, in primis
Gianfranco, che sarà un partigiano combattente e
finirà tragicamente la sua breve vita, ma anche
Teresa che si dimostrerà sempre coerente con le sue
scelte. Giovanissima deve dare la maturità da
privatista perché ha criticato in classe le
vergognose leggi razziali facendosi così espellere
da tutte le scuole italiane.
Grazie alla collaborazione dei suoi numerosi
fratelli, Teresa parteciperà ad azioni di sabotaggio
e di disturbo nei confronti dei fascisti, riuscendo
a non trascurare la propria formazione culturale.
Si iscrive a Lettere e Filosofia e qui avrà modo di
incontrare il Professor Giovanni Gentile,
eminentissimo filosofo, ma asservito al fascismo.
Proprio il disprezzo che prova per Gentile uomo, la
porterà ad organizzare insieme ad altri gappisti
fiorentini, fornendo informazioni preziose sulle sue
abitudini, l'attentato che costerà la vita al
filosofo, anche se lei personalmente si vanterà di
non aver mai sparato un colpo.
La sua partecipazione alla lotta di Liberazione è
attiva soprattutto nelle cellule comuniste che
operano nella città di Firenze. Inizialmente si
offre come staffetta, poi fonda i Gruppi di difesa
della donna di Firenze, e finisce la guerra di
Liberazione con il grado di Comandante di Compagnia.
Una delle sue azioni più significative in questo
contesto fu la programmazione dell'incendio di
alcuni carri ferroviari carichi di esplosivo, che
ebbe come effetto diversivo quello di far suonare
l'allarme e permettere così la liberazione, dal
carcere delle Murate di diversi detenuti politici
fra i quali uno dei suoi fratelli. Da notare, che
mentre l'incendio divampava Teresa discuteva la sua
tesi di laurea in uno scantinato a causa, appunto
dell'allarme che era scattato a seguito della sua
impresa.
Sembra, ma non è sicuro che a lei ed al suo gruppo
combattente si è ispirato Roberto Rossellini per
l'episodio di Firenze del film Paisà, anche se
risulta difficile vederla come la crocerossina
inglese che cerca il suo amore italiano che è
diventato un capo partigiano.
Anche dopo che la guerra ed i suoi orrori saranno
passati Teresa continuerà il suo impegno politico
diventando la più giovane delle donne elette
nell'Assemblea Costituente e proponendo, in
occasione della prima Festa della Donna, che alle
donne venga regalata la mimosa, fiore povero ma
emblematico.
Ancora diverso è il cammino di Rina Chiarini
Scappini. La sua è una vicenda che inizia ad Empoli
in una famiglia di poveri operai, dove aveva
conosciuto da subito le privazioni dovute anche
all'impegno antifascista del padre, tanto che a soli
11 anni deve lasciare la scuola per trovare un
lavoro di operaia ed aiutare così la famiglia.
Fidanzata con Remo Scappini, antifascista e
comunista, viene sottoposta per anni a vessazioni e
sorveglianza dalla polizia e dai fascisti. Il
fidanzato viene condannato al carcere ma lei
continua a seguirlo e ad aspettarlo. Si sposano nel
1943 ma continuano la lotta spostandosi a Genova
dove Rina viene catturata dalla Polizia Fascista
comandata dal famigerato Commissario Veneziani, (per
il quale, vergognosamente Giampaolo Pansa avrà poi
parole di compianto e di giustificazione), torturata
fino a provocarle un aborto terribile e che avrà
come conseguenza quella di non poter poi più avere
figli.
Il Veneziani arriverà al punto di mandarla davanti
ad un falso plotone di esecuzione per vedere se
davanti alla morte questa donna di ferro, si decida
a cedere, ma non riesce nell'intento ed allora la
deferisce davanti ad un tribunale speciale che la
condanna a 24 anni di reclusione in un lager di
Bolzano dal quale Rina riesce però a fuggire nel
marzo del 1945. Raggiunge Milano e il 26 aprile
Genova, dove ha la somma soddisfazione di sapere che
il giorno prima il Comandante delle truppe tedesche
Gunther Meinhold, ha firmato la resa e si è
consegnato proprio nelle mani di suo marito.
Dunque donne diverse queste che ricordiamo in questo
contesto, diverse in tanti aspetti ma unite in
quello di contribuire coscientemente alla nascita di
una nazione civile che ripudiasse violenza e
sopraffazione, una nazione nella quale libertà e
giustizia sociale non andassero mai disgiunte.
Da una parte abbiamo Anna Maria Enriques Agnoletti,
Tina Lorenzoni, Teresa Mattei, che hanno come humus
la buona borghesia italiana e fiorentina, alle
spalle famiglie benestanti, o perlomeno senza
problemi economici, che hanno loro permesso di
studiare e di conseguire lusinghieri titoli di
studio, ma forse sono proprio l'apertura mentale
regalata loro dagli studi, il substrato culturale
che le famiglie di origine hanno loro trasmesso, che
hanno consentito a queste donne, o meglio ragazze,
di porsi criticamente nei confronti del fascismo e
della sua volontà di inquadrare le donne in un ruolo
subalterno a vita, abbracciando così una lotta che
diventava insieme riscatto politico ed umano allo
stesso tempo.
Insieme a loro, ma provenienti da altri ambienti,
forse più semplici e sicuramente meno agiati
economicamente, abbiamo Tosca Bucarelli, Vera
Vassalle, Rina Chiarini Scappini e, anche di esse
credo si possa affermare che fu la loro provenienza
sociale a plasmarle, facendo toccare con mano la
miseria della popolazione al tempo del "felice"
periodo fascista.
Povertà, anche fame in alcuni casi, soprusi sociali
che si subivano o che si vedevano subire dai propri
cari, sono tutte variabili che innestate su
temperamenti forti, energici e dalla volontà ferrea,
producono germogli eccezionali che danno risultati
altrettanto eccezionali.
Ma questo gruppo di donne si può studiare anche
sotto altri aspetti che non siano quelli della
provenienza. Esse si possono anche raggruppare in
base al contributo che scelsero di portare ala lotta
antifascista, ai compiti che si accollarono.
Così vediamo Anna Maria Enriques Agnoletti che aiuta
la rete spionistica di Radio Cora e procura rifugio
agli ebrei perseguitati (non dimentichiamoci che se
lei era cattolica praticante, la famiglia paterna è
di origine ebraica). Simile al suo è il compito che
svolge Tina Lorenzoni, la quale durante la battaglia
di Firenze, quando ormai nascondere gli ebrei non è
più una necessità impellente, passa a fare la
staffetta partigiana, rimettendoci purtroppo, la
vita.
Entrambe, per quanto ne sappiamo, non impugnano
un'arma, ma il pericolo cammina insieme a loro e la
morte sarà la ricompensa del loro altruismo.
Non hanno materialmente combattuto, ma hanno salvato
vite, protetto persone impegnate in missioni
difficili e, al di là della retorica che gronda
dalle motivazioni con le quali vennero assegnate
loro le medaglie d'oro al valore ed alla memoria,
nessuno può negare quanto siano state importanti
nella lotta al nazifascismo.
Tosca Bucarelli e Teresa Mattei sono invece quelle
che scelgono di andare in prima linea; la Bucarelli
addirittura sarà una delle pochissime donne che
fanno parte dei temutissimi GAP e la Mattei, dopo
aver pianificato l'agguato a Giovanni Gentile, avrà
il comando di una Compagnia appartenente al Fronte
della Gioventù. Questo non può averlo Tosca
Bucarelli per ovvie ragioni, ma se non fosse stata
convalescente delle terribili sevizie che le hanno
propinato quelli della Banda Carità, sicuramente
l'avremmo trovata in prima linea nei terribili
giorni dell'emergenza fiorentina.
Anche Vera Vassalle è una che non ha paura perché
come abbiamo visto, le sue missioni su e giù per
l'Italia occupata e dilaniata sono quanto di più
pericoloso possano essere e così è anche per Rina
Chiarini, la quale manterrà i contatti fra le
brigate "Garibaldi" di Genova.
Sembra un paradosso parlare di amore in tempo di
guerra ma anche l'amore gioca un ruolo importante
nella vita di alcune di queste donne ed in un certo
qual modo le raggruppa in modo diverso.
Se Anna Maria Enriques e Tina Lorenzoni sembrano
assurgere a dei connotati tipici di una donna
angelicata e disincarnata, sarà l'amore per Bruno
Sanguinetti, intellettuale antifascista di origine
ebraica, che porta Teresa Mattei a collaborare con
lui in un compito che avrebbe fatto inorridire tanti
uomini per non parlare di tante donne: quello di
eliminare Giovanni Gentile, responsabile di aver
avallato pubblicamente il fascismo e la Repubblica
di Salò. Amore per il suo compagno, ma anche per il
fratello Gianfranco morto suicida, per non tradire,
a Roma nelle carceri di Via Tasso.
Ed è ancora l'amore che conduce Rina Chiarini da
sempre vicina al suo Remo Scappini, in quel percorso
di sacrifici, paura ed eroismi che percorre già da
anni e che continuerà ancora fino alla fine della
guerra.
Anche Vera Vassalle, si vedrà cadere letteralmente
l'amore dal cielo. Sì, perché il patriota Mario
Robello, verrà paracadutato appositamente per
collaborare con lei nelle trasmissioni dei messaggi
ed insieme formeranno una coppia formidabile in
guerra e, successivamente nella vita.
In ultimo, vediamolo come il lieto fine di una fosca
fiaba, sarà ancora l'amore che premierà per così
dire le sofferenze di Tosca Bucarelli. Affidata dal
gruppo antifascista che la libera dal carcere, alle
cure del comunista Roberto Martini, non passeranno
molti giorni perché fra l'avvocato di trentadue
anni, comunista ma di estrazione borghese e
benestante, e la ragazzina terribile di ventidue di
famiglia operaia, sbocci l'amore, un amore che
sfocerà nel primo matrimonio civile del dopoguerra e
che si rivelerà un legame saldissimo per tutta la
loro vita.
Donne, quindi ma che donne! Di alcune di loro
ricordiamo affettuosamente il nome di battaglia:
Chiarina, Toschina, Chicchi, Rosa, cosa che sembra
far pensare a donne vocate a cose superiori, ma in
realtà si tratta di donne "normali" occupate prima
della guerra in compiti "normali"; studiavano,
lavoravano in casa, in ufficio, in fabbrica,
sognavano di innamorarsi, di farsi una famiglia,
come facevano tutte le altre donne. Ma poi qualcosa
è cambiato e la realtà della guerra le ha poste
davanti a scelte che esse avevano già intimamente
elaborato e sono diventate donne "eccezionali" che
hanno fatto cose che forse non avrebbero mai pensato
di fare.
E' vero che il momento era particolare ma
sicuramente, se ognuna di loro non avesse posseduto
dentro di sé qualità particolari non avrebbero
intrapreso quel cammino difficilissimo, doloroso ed
anche tragico che le ha portate dentro la STORIA.
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