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Libri a fumetti
Le
notti eterne del signore dei sogni
Recensione di
Andrea Cantucci
Cinema e fumetti
Cinema e fumetto. I personaggi dei comics sul
grande schermo
di Maddalena Lonati
Cinema
Intervista ad Andrea Gagliardi
di Massimo Acciai
A Venezia la Rivoluzione Copernicana del
cinema da Festival
di Alessandro Rizzo
Pittura
Da
Giovanni Fattori a Giacomo Balla, da Giorgio De
Chirico a Renato Guttuso. L'arte internazionale a
cavallo dei due conflitti mondiali
di Maddalena Lonati
Everything is going to be alright: tutto andrà
per il meglio.
Le metope del Partenone e l'eterna vittoria
dell'Ordine nella ricerca artistica
di Marco Nocca
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Intervista ad Andrea Gagliardi,
regista e sceneggiatore
Andrea Gagliardi,
conosciuto tramite un comune amico che si interessa di cinema,
mi risponde tramite mail il 25 agosto alle mie molte domande…
D: Cominciamo dai tuoi studi, dalla tua formazione culturale…
R: Non si può dire che io sia nato divorando film come molti
altri giovani filmmaker, infatti le mie passioni, in età
adolescenziale, vertevano soprattutto sulla letteratura e sul
teatro che ho studiato e praticato in età scolastica. Passando
per il lavoro di attore ho cominciato ad apprezzare in teatro il
compito della regia, e, quando mi sono trovato, terminati gli
studi classici, a scegliere quale corso di laurea seguire ho
optato verso le discipline del teatro e del cinema, rinunciando
agli studi filosofici che pur mi tentavano fortemente. Il cinema
mi si è rivelato allora come un intrigante strumento di
comunicazione, il più consono ad un certo tipo di discorso che
covavo dentro e che desideravo esprimere in qualche maniera.
D: Quali sono stati (se ci sono stati) i suoi modelli, i
registi che ha amato di più, che secondo te hanno contribuito a
formare il suo stile?
R: Negli anni degli studi formativi ho poi sviluppato una
passione molto forte verso il cinema che ho iniziato a
conoscere, anche oltre il percorso accademico, attraverso
l'opera di registi come David Lynch, Martin Scorsese, Takeshi
Kitano, Marco Ferreri, Wim Wenders, Stanley Kubrick, Woody Allen,
Michael Hanecke, Richard Linklater, Roger Avary. Se penso alla
mia formazione sono questi gli autori che mi vengono in mente e
a cui mi sono avvicinato vuoi per interesse intellettuale, vuoi
per sensibilità emotiva, o ancora per motivazioni di carattere
puramente estetico. Recentemente sono stato piacevolmente
colpito da film come Match Point, The Village, Le regole
dell'attrazione e Mare Dentro, per il carattere melodrammatico,
visionario, o sarcastico di queste opere, che sanno essere
profondamente moderne senza per forza rinnegare il passato.
D: Un paio di domande sul tuo cortometraggio "A momentary
lapse of reason" (della durata di circa 8 minuti). Innanzitutto
il titolo, una citazione del titolo di un noto album dei Pink
Floyd (dalla tua filmografia noto che questa non è l'unica
citazione dal celebre gruppo progressive)…
R: Ad influenzare lo stile e l'anima dei mie lavori ci sono
influenze che, come dicevo, vengono da più parti, ad esempio
dalla musica. I Pink Floyd sono stati una delle mie passioni più
grandi da ragazzo, e quindi è stato facile citarli , con un
pizzico di orgoglio, nei miei piccoli cortometraggi a cui
spesso, se si esclude "Non morirò mai…", non riesco a dare un
titolo originale.
D: L'impressione che, come spettatore, ho ricavato da "A
momentary lapse of reason" è stata si di angoscia, nel seguire
la corsa disperata della ragazza protagonista negli ambienti
deserti dell'università, ma anche di un profondo mistero, oltre
che sulla presenza della ragazza in questo ambiente deserto (e
perciò ostile) e sull'identità dell'aggressore.
R: In A momentary lapse of reason ho sperimentato la possibilità
di passare dal piano realistico, per quanto angoscioso e
sinistro, ad una dimensione altra, quella propria dell'incubo e
dell'irrealtà, senza soluzione di continuità, ossia senza
esplicitare lo scarto tra questi due mondi e creare distinzioni
a mio parere superflue. L'idea è che non esistano distinzioni
tra ciò che noi percepiamo come reale e ciò che noi releghiamo
nel campo dell'irrealtà della fantasia , dell'incubo, del
sovrannaturale. A ben vedere al giorno d'oggi, se ci si avvicina
anche solo in modo molto semplice agli studi moderni sulla
fisica che proseguono le teorie quantistiche già di per sé
rivoluzionarie, si aprono scenari che vanno ben oltre ogni più
fervida fantasia, che pongono in discussione il nostro concetto
di spazio, di tempo e di materia in maniera talmente estrema da
farci perdere ogni certezza fino ad oggi acquisita. Eppure
trattasi della realtà secondo la scienza e non di qualche
stramba dottrina spiritualista, ed a pensarci bene come definire
se non assurda e misteriosa la condizione dell'essere umano
sperduto su di un qualsiasi pianeta nell'immensità dell'universo
e privato della possibilità di dare una risposta al perché della
propria cosciente esistenza? (mi viene da pensare a 2001:
odissea nello spazio, il film più importante della storia del
cinema) Insomma la vita è mistero, e la vita dell'uomo non può
che essere accompagnata dall'angoscia e dall'inquietudine per
l'inesplicabile, sentimenti che una persona affetta da ansia
cronica e crisi di panico come me non può che provare
quotidianamente sulla propria pelle ed eleggere ad assunto
teorico delle proprie produzioni in campo artistico.
D: Il finale, mi pare, ha qualcosa di pirandelliano; il
cinema che riflette su se stesso…
R: Il finale di A momentary lapse of reason è la logica
conseguenza dell'illogicità di una situazione quotidiana che
degenera nell'assurdo, e, allo stesso tempo, può rappresentare
un momento di riflessione sulle dinamiche relazionali che si
instaurano tra fruitore e produttore di un'opera audiovisiva, un
circolo che diviene vizioso nel momento in cui l'autore osserva
il proprio lavoro attraverso la mediazione critica del pubblico.
In "Serafino Gubbio operatore" gli attori temevano il cinema
come una macchina infernale che rubava la vitalità
cristallizzando le loro performance in forme eternamente uguali
ed infinitamente riproducibili, ed è curioso notare quanto il
finale di questo corto, con lo sguardo terrorizzato della
ragazza di fronte allo schermo che proietta la propria morte,
possa in qualche modo riproporre questo tipo di riflessione.
D: Passiamo adesso al tuo recente cortometraggio, più
complesso e a mio parere più intrigante; "Non morirò mai…"
(della durata di 27 minuti circa). Come è nato questo soggetto?
R: "Non morirò mai.." nasce dalla volontà di realizzare qualcosa
di serio, un corto di più vasto respiro che professionalmente
potesse preparare, e magari preludere, alla produzione di un
lungometraggio. Frequentavo già da alcuni anni il panorama dei
cortometraggi nelle varie rassegne e festival del settore, ed
avevo notato per lo più, al di là di alcune notevoli eccezioni,
il ripetersi di uno schema ormai collaudato, sul modello dello
sketch televisivo, che consiste nel breve accenno di una storia
che termina sbrigativamente con un finale a sorpresa, piuttosto
fine a sé stesso. Avevo insomma considerato la possibilità di
lavorare ad un progetto che aprisse invece, anche oltre le
evidenti limitazioni temporali del cortometraggio, ad un
discorso che potesse contenere più chiavi di lettura e invitare
lo spettatore a muovere il cervello ed a concorrere nel dare
senso all'opera stessa. Una raccolta di racconti di fantasmi di
Edith Wharton mi ha offerto lo spunto per l'ambientazione della
storia, ed un racconto in particolare, "Stregato", mi ha turbato
per l'ambiguità del finale che non risolveva il caso e lasciava
la storia avvolta da un alone di mistero. Il corto si ispira
alla vicenda ricalcando taluni personaggi e l'ambientazione
della villa ottocentesca nel tentativo di restituire quel
sentimento di ansia e turbamento che mi aveva generato il
racconto. Inoltre questa storia poteva essere il pretesto per
alludere a qualcos'altro, a qualcosa che avesse a che fare con
la nostra vita e l'illusione che abbiamo di dominare la realtà e
di comprendere l'essenza delle cose.
D: All'inizio del film c'è una citazione da un testo
sanscrito…
R: La citazione all'inizio del film è una frase che apre un
capitolo del celeberrimo libro di Fritjof Capra, Il Tao della
fisica, che affronta in modo strabiliante le coincidenze e le
implicazioni delle filosofie orientali nel campo della fisica
atomica moderna. Cercavo un incipit deciso che aprisse il
cortometraggio e, per analogia, ho trovato adeguata questa
citazione che pareva anche sintetizzare l'anelito all'eternità,
all'assoluto, che sembra costituire lo spirito di quest'opera.
D: Bellissima l'inquadratura della villa con lo psicologo che
fugge mentre viene osservato da due figure in controluce; c'è
qualcosa di veramente magico! Come è stata costruita questa
scena?
R: L'inquadratura a cui fai riferimento nel finale è quella per
la quale ho ricevuto i maggiori apprezzamenti, anche in sede di
ripresa da parte degli stessi attori, ed è una delle immagini di
cui sono più fiero per una molteplicità di cause, soprattutto
perché rappresenta un punto di convergenza tra estetica,
espressione di un'idea narrativa e rappresentazione di un
concetto trasversale alla storia stessa. Ma è tutta la sequenza,
composta da tre semplici inquadrature correlate da precisi e
concisi movimenti di macchina concepiti in maniera rigorosa, ad
essere a mio avviso sublime (non prestatemi troppa attenzione,
sono spudoratamente di parte…). Al di là di tutto, per
realizzare una scena come questa devono confluire per il meglio
una serie di fattori alcuni dei quali imprevedibili, possibili
solo a causa di coincidenze "magiche", ed quindi difficile, se
non impossibile, prevederne l'esito a priori. Io penso che il
segreto sia realizzare prima un bel lavoro di preparazione,
corredato da storyboard o da una precisa scaletta delle
inquadrature, e successivamente lasciare aperta "una finestra
sul set" in modo da farsi trovare sempre pronti e recettivi agli
stimoli anche impensabili che vengono dall'esterno.
D: Quanto tempo hai impiegato per girare "Non
morirò mai"?
R: Ci sono voluti sei giorni pieni di riprese per girare questo
corto, ma bisogna calcolare che il lavoro di preparazione è
durato diversi mesi impiegati a trovare i fondi, la villa, gli
attori, preparare le scenografie, per evitare di farsi trovare
impreparati in sede di ripresa.
D: E' un peccato, a mio parere, che in Italia raramente si
vedano film del genere e che il thriller psicologico sia
pochissimo sperimentato; cosa pensi del cinema italiano
contemporaneo? C'è qualcosa di interessante da andare a vedere?
E volgendosi al passato?
R: Non basterebbero poche righe per offrire un affresco
significativo sul cinema italiano di oggi: c'è da dire che è
difficile farsi strada con proposte interessanti attraverso i
canali ufficiali, mentre i tentativi di alcuni registi di
lavorare in digitale ed a basso costo si sono rivelati piuttosto
mediocri per la trascuratezza con la quale hanno affrontato
taluni aspetti della produzione e la scarsezza di idee davvero
originali. In Italia il problema non è relativo alla carenza del
thriller psicologico, ma a quella del cinema in generale, se
consideriamo che i film prodotti in un anno sono un numero
irrilevante e che l'unica possibilità di raccontare storie di
finzione sembra essere offerta dalle fiction televisive,
anch'esse piuttosto mediocri se non peggio. Dovremo sperare in
una utopica rinascita dell'industria italiana, perché solo
all'interno di essa è possibile costruire un percorso artistico
e produttivo che non sia costituito da sporadici ed isolati
episodi da parte di qualche autore. Le opere più interessanti
vengono da Sorrentino e Garrone, dei quali ho apprezzato L'uomo
in più, Le conseguenze dell'amore e L'imbalsamatore, ma anche, e
non me ne vogliano, da Gabriele Muccino con Ricordati di me,
checché ne dicano orde di cinefili arrabbiati.
Guardando indietro mi sembra che gli anni '70 abbiano visto,
proprio per il prosperare di un'industria guidata da produttori
"illuminati", il fiorire di una vasta schiera di autori e di
opere variegate che offrivano un programma culturalmente più
interessante di quello di oggi; tra questi film io amo molto I
Pugni in tasca di Bellocchio, Blow Up di Antonioni, C'era una
volta il west di Leone, Dilinger è morto di Ferreri, Il
Conformista di Bertolucci.
D: So che sei anche sceneggiatore; puoi parlarci del lavoro
di sceneggiatore? Una sceneggiatura può cambiare durante le
riprese e il montaggio?
R: La sceneggiatura a mio parere è la fase più delicata ed
importante nella realizzazione di un film, perciò io ritengo che
sia necessario prendersi del tempo ed essere molto concentrati
per poter scrivere qualcosa di significativo. Ho l'impressione
che in Italia si ponga poco l'attenzione sull'importanza di
studiare la sceneggiatura in maniera analitica, mentre si
preferisca considerarla come frutto della mente ispirata di
qualche autore geniale. A tal proposito consiglio la visione di
un film molto intelligente sull'argomento, Il ladro di orchidee,
scritto dal più grande sceneggiatore hollywoodiano del momento,
Charlie Kaufman, che è una sorta di autobiografia paranoica e
schizzata sul lavoro di sceneggiatore.
Una sceneggiature deve saper cogliere, anche durante le riprese,
ciò che il caso può presentare; il bello di lavorare al di fuori
di grandi produzioni e degli studi cinematografici, è quello di
avere a disposizione una grande ricchezza che è costituita dalla
realtà che a volte può essere più fantasiosa della finzione. Ciò
che ha reso grandi certi film europei e affascinanti agli occhi
di un pubblico come quello americano abituato alle avventure
ricostruite negli studi, è la bellezza di certi momenti, certe
situazioni, certi personaggi che solo la realtà sempre
imprevedibile può regalare al cinema.
D: Che consiglio daresti a chi si affaccia al mondo della
fiction?
R: Se devo dare dei consigli invito tutti a prestare molta
attenzione alla fase della sceneggiatura che deve richiedere
tempo ed essere flessibile, come le ali di un aereo, al vento
che soffia quel tanto che basta per non farsi spezzare, e di non
cedere alle facili tentazioni di realizzare lavori privi di una
struttura narrativa perché, se l'obiettivo è quello di diventare
registi, è importante imparare le regole che determinano i
meccanismi di fruizione del pubblico cinematografico. Col tempo,
acquisendo le competenze specifiche, si riuscirà a sperimentare
qualcosa di veramente nuovo ed interessante.
D: Progetti per il prossimo futuro? Magari un lungometraggio?
R: Per adesso mi sto riposando in attesa di sviluppare un paio
di idee che dà un po' mi frullano per la testa, una storia di
alieni che affliggono un piccolo villaggio nella campagna
laziale, e un thriller melodrammatico che racconta una vicenda
d'amore e morte. Si tratta di due lungometraggi perché per ora,
con i corti, ho veramente chiuso. |
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