|
|
Libri a fumetti
Le
notti eterne del signore dei sogni
Recensione di
Andrea Cantucci
Cinema e fumetti
Cinema e fumetto. I personaggi dei comics sul
grande schermo
di Maddalena Lonati
Cinema
Intervista ad Andrea Gagliardi
di Massimo Acciai
A Venezia la Rivoluzione Copernicana del
cinema da Festival
di Alessandro Rizzo
Pittura
Da
Giovanni Fattori a Giacomo Balla, da Giorgio De
Chirico a Renato Guttuso. L'arte internazionale a
cavallo dei due conflitti mondiali
di Maddalena Lonati
Everything is going to be alright: tutto andrà
per il meglio.
Le metope del Partenone e l'eterna vittoria
dell'Ordine nella ricerca artistica
di Marco Nocca
|
|
A Venezia la Rivoluzione
Copernicana del cinema da Festival
La 63^ Mostra Biennale del Cinema si è conclusa sabato al Lido
di Venezia, luogo sempre romantico, ma anche un po'
esistenziale, che induce alla riflessione, tipico di un racconto
di Tomas Mann. Ma quest'anno più che mai si chiude un'edizione
speciale del Festival, che finalmente diventa internazionale nel
senso non solo di partecipazione, data la sua identità, ma anche
in quello sostanziale. Il messaggio di quest'anno non poteva
rispecchiare l'esigenza di un'arte nuova, come quella
cinematografica, filmica, di diventare arte di massa, ma di
respiro culturale, di forte spirito critico e di grande
rilevanza sociale. I premi predisposti alla Mostra sono stati,
possiamo dire, bene onorati: dal Leone d'oro per il miglior film
andato a Sanxia Haoren (Still Life) di Jia Zhangke al Leone
d'argento assegnato per la migliore regia ad Alain Resnais con
il film Private Fears in Public Placet; dal Leone d'argento
Rivelazione attribuito a Emanuele Crialese autore di Nuovomondo
- Golden Door, alla Coppa Volpi che è stata consegnata a Ben
Affleck con Hollywoodland, e Helen Mirren con The Queen. Ma la
particolarità di questa 63° edizione del festival di Venezia va
ben oltre alla dimensione possiamo dire un po' celebrativa e un
po' di ritualità che da qualche anno, soprattutto in pieno
"revisionismo" artistico e "modernismo" fine a sé stesso degli
anni 80, fatti di consumismo acritico e corruttibilità di alcune
espressioni di rilievo artistico per lauti guadagni e profitti,
ha contaminato la Biennale, rendendola priva di quella
necessaria abilità maieutica di coltivare le nuove espressioni
dell'arte audiovisiva. E tutto questo è da condirsi con un
occhio alle nuove tecnologie, al perfezionamento delle immagini,
alla capacità di comunicazione incisiva tipica delle fotografie,
delle parole, dei suoni, delle musiche. L'occhio è ritornato
come riflettore in questi spazi angusti, rendendo Venezia
protagonista di una nuova era del cinema: il cinema del tempo,
della realtà, non della fiction pura, ma di un'edizione di tipo
documentaristico, possiamo dire anche immaginario, ma, sempre,
nell'ascrizione possiamo dire "verisimile" del carattere del
film e dell'opera. Le storie narrate diventano storie reali,
soggettive, non preconfezionabili, non ideologizzabili, non
astratte, ma di caratura scientifica, fortemente dissonante e
denunciante il pensiero unico omologante, gli effetti
contraddittori della contemporaneità attuale. Il cinema a
Venezia 2006 è diventato cinema non asservibile e non
strumentalizzabile, ma, bensì, assolutamente distonico rispetto
alla conservazione dei costumi, del pensiero e del potere: è una
voce senza patria, senza appartenenze, senza schematismi
cristallizzanti: è un cinema di utopia, ma anche che mira a
essere preponderante con la sua funzione di rottura, non
secessionista nel senso pittorico del termine, ma dissacrante,
non omologabile, ma egemonizzante, prevalente anche con la sua
capacità, quasi come figlio degno del teatro vivente alla Peter
Brook, provocatoria di incidere nelle sensazioni e nelle
sensibilità dell'uditore, dell'utente, dello spettatore per
rendere impermeabile quello che comunica con la forza del
sentimento e dei sensi. Non è un cinema pedagogico, non ne vuole
avere le intenzioni, sarebbe, come dire, alquanto pretenzioso e
fortemente paternalistico, tale da snaturarne le prospettive
nuove che a Venezia si sono delineate sull'orizzonte dello
schermo. E', possiamo dire, un cinema fuori dal coro, modesto,
reale, altamente indipendente nel senso sostanziale del termine,
non nel senso storico del genere, alquanto liberale nei costumi,
ovvero non didattico, né didascalico, ma chiaramente
annunciatore di spaccati positivi della società contemporanea,
con le sua contrapposizioni interne, che diventano globali nel
senso positivo e negativo del termine. Non possiamo parlare,
quindi, di cinema pretenzioso, ma di cinema voce libera fuori
dal coro, perché getta un bastone nei rodaggi stereotipati della
tradizione filmica informativa e di comunicazione omologata e
omologante. La prospettiva rivoluzionaria della Venezia
copernicana della 63° edizione sconvolge sia il mondo del
mainstream, sia quello senza "patroni" di massa. Ed è questo che
viene, poi, evidenziato nelle scelte della giuria, nel suo
verdetto finale: da "Still life" dove si evince la storia reale
delle condizioni socio economiche di un ragazzo minatore cinese,
dove oltre a essere protagonista tutto tondo del film, diventa
elemento che da una certa continuità all'oggettistica, e anche
qui ritorna la dimensione oggettiva della narrazione, delle
immagini, che è parte integrante del popolo cinese, intrisa di
messaggi e di significanti remoti, di tradizione, di
appartenenza, di affezione, di memoria. La censura in Cina,
negli ultimi anni, è diventata più soft, ma traspare nelle
scelte fatte dal potere nell'ostacolare la proposizione post
produzione di ogni film che parli in libertà di contenuti
critici nazionali. "Non si può certo tornare indietro - dice il
regista, laureatosi all'Accademia del Cinema di Pechino - il
cinema cinese ha bisogno di libertà. Se ci saranno delle
difficoltà, comunque noi ci batteremo". E da questo si può
evincere lo spirito di militanza intellettuale cinematografica
dell'artista. La dimensione globale delle contraddizioni non
romanzate dei nuovi film documentaristici, possiamo dire
provenienti dalla tradizione del romanzo storico, basato sulla
verisimilanza tipica della letteratura dell'Ottocento, nel
periodo in cui il libro scritto stava diventando da opera d'arte
elitaria a opera d'arte di massa, e anche educatrice,
propedeutica nelle sue funzioni, si evince anche, come un lungo
"fil rouge", negli altri fil, che qui citeremo, ma riservandoci
in futuro un'analisi più approfondita. In Private fears in
public places, tratto dall'omonima opera teatrale di Alan
Ayckbourn, la memoria diventa protagonista molto presente del
passato con conseguenze nel presente, dove la protagonista, che
ricorda gli anni passati di un Brasile atterrito da una
dittatura sanguinaria, ritorna, dopo alcuni anni passati in
Francia, lontano dalla sofferenza liberticida, nel proprio
Paese; ma in questa seconda parte alcune persone che incontra,
esempio una prostituta, diventano elementi metaforici dove la
dimensione intimistica della sofferenza per il marito perduto,
ma con minimo di speranza di rincontrarlo, assurge da elemento
valutativo di un tempo che scorre incessante e senza fine,
propugnante trasformazioni e pericoli, in un'insanabile ricerca
della propria identità. Può essere, invece, propedeutico tipico
di una storia che diventa maestra di vita, il terzo film che
esaminiamo in questo articolo sulla rivoluzione copernicana del
cinema veneziano: "Nuonomondo - The Golden Door" di Crialese, in
cui da spazio la storia internazionale delle conseguenze delle
condizioni e della miseria del genere umano si tramuta in tempo:
come nel passato anche nel presente i flussi migratori sono
elementi strutturali di uno sviluppo iniquo. Non dimenticare i
nostri emigranti in America, protagonisti di questo film,
significa comprendere le motivazioni degli attuali flussi.
Si chiude Venezia, con una critica da farsi: nonostante il forte
coraggio rinnovatore del direttore Muller, con la sua
"scorrettezza partigiana" in alternativa al "political correct"
del gotha illuminato dell'intellighenzia cinematografica, la
politica istituzionale ha poco investito in energie, risorse sul
festival, tanto da considerare poco produttiva e fruttuosa,
anche se ancora sconosciuta nella sua valenza culturale, la
parallela e quasi sovrapponibile edizione del Festival di Roma,
che si terrà a fine settembre. Il tempo non si sa a chi potrà
dare ragione e chi potrà premiare: a Venenzia, comunque, non è
stata la spettacolarità delle stantie e ostentate passerelle
modaiole della vita mondana dei protagonisti di primo piano di
un cinema massivo e commerciale, ma è stata la voglia di
riscatto di un'arte che sta per risorgere e assurgere a canale
di comunicazione artistica globale. |
|
|