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Tavola rotonda / intervista
Interviste
Videoclip
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MUSICA ED ESPERANTO, ARTE E
IMPEGNO POLITICO
esperienze, slanci creativi e tensioni ideali a
confronto
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Sabato 16 Settembre 2006 - ore 21:00
Gazebo Informativo dell'ARCI Esperanto "Vezio
Cassinelli"
vicino all'uscita della metropolitana MM1-Lampugnano
presso la Festa de l'Unità di MILANO
MUSICA ED ESPERANTO, ARTE E IMPEGNO POLITICO
esperienze, slanci creativi e tensioni ideali a
confronto
TAVOLA ROTONDA/INTERVISTA
Massimo Acciai: Fondatore
e Direttore della rivista "Segreti di Pulcinella"
Alessandro Rizzo:Redattore
e Vicedirettore della rivista "Segreti di
Pulcinella"
Andrea Montagner: Presidente
dell'associazione "ARCI Esperanto Vezio Cassinelli"
Andrea Fontana: Socio
"ARCI Esperanto V.C.", Autore dei Testi in Esperanto
per il gruppo "Rêverie"
Valerio Vado: Musicista,
Fondatore, Arrangiatore e Autore delle Musiche del
gruppo "Rêverie"
Alberto Sozzi: Musicista del gruppo "Rêverie",
Ideatore della Sperimentazione Musicale dei "Rêverie"
con l'Esperanto
"Segreti di Pulcinella"
rivista online di letteratura e cultura varia
"Rêverie"
ensemble musicale elettro-acustico
http://www.reverieweb.com/
http://www.bloggers.it/Reverie/index.cfm
"ARCI Esperanto Vezio Cassinelli"
l'Esperanto con i Movimenti, l'Esperanto in
movimento
http://www.arciesperanto.it/html/
Attuali brani in Esperanto dei "Rêverie"
http://tinyurl.com/y2dmyp
http://tinyurl.com/yytbbb
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Segreti di Pulcinella
MA: Massimo Acciai
AR: Alessandro Rizzo
Arciesperanto
AM: Andrea Montagner
AF: Andrea Fontana
Rêverie
VV: Valerio Vado
AS: Alberto Sozzi
MA: Questo evento è frutto della collaborazione tra
Segreti di Pulcinella ed Arciesperanto di cui ci
parlerà brevemente Andrea Montagner…
AM:
Buonasera a tutti, la collaborazione tra
Arciesperanto e Segreti di Pulcinella era già in
fieri grazie ad i rapporti di amicizia che legavano
già me e Massimo Acciai che hanno fatto il giro del
mondo. Penso che tutti conoscano cos'è l'ARCI in
generale e questa aggiunta dell'esperanto è stata
una felice intuizione di alcuni amici che si sono
messi assieme e hanno dato inizio a questa
avventura. Questa sera, per quanto riguarda
l'Arciesperanto, siamo qui per quella C di ARCI,
ossia il Culturale. Quello che succede stasera è un
esempio di come i soci dell'ARCI in generale e di
Arciesperanto in particolare hanno davvero la
possibilità di esprimere tutte le loro potenzialità.
AF:
Buonasera.
Io sono esperantista da circa due anni, ed ho
incontrato sulla mia strada Alberto Sozzi (per altre
collaborazioni, sempre in campo musicale). Alberto è
stato una delle mie "vittime" quando ho informato i
miei amici della mia scoperta dell'esperanto. Dopo
circa un anno Alberto mi ha scritto una e-mail
proponendomi una collaborazione con il gruppo nel
quale suonava, ossia i Rêverie, dicendomi che questo
gruppo si dedicava ad un genere musicale molto
particolare (un genere musicale che recuperava
tradizioni folkloristiche di tutto il mondo,
rielaborate in chiave sperimentale), e mi ha scritto
che a suo parere poteva essere interessante tentare
un connubio tra questo tipo di musica "contaminata"
e l'esperanto. Così ci siamo incontrati.
Questo gruppo è stato fondato da Valerio Vado nel
1996 - poi Valerio parlerà meglio del loro percorso.
Sono partiti da un'impronta più "progressive rock" e
si sono gradualmente evoluti verso un genere che
chiamano "progressive folk". I Rêverie sperimentano
con diverse lingue, mettendo in musica molta poesia
(ad esempio i sonetti di Shakespeare, musicati e
cantati prestando attenzione alla pronuncia
dell'inglese shakespeariano). Valerio, che è di
origini friulane, ha musicato anche delle bellissime
poesie di Pasolini.
Il gruppo ha usato quindi l'italiano, l'inglese e il
friulano, aggiungendo di recente anche l'esperanto.
I due pezzi in esperanto realizzati con me sono
stati quindi un esperimento; hanno debuttato ad una
manifestazione dell'ARCI milanese grazie all'aiuto
di Andrea Montagner.
Passo quindi la parola a Valerio che ci parla del
suo gruppo.
VV:
Si tratta di un progetto che ho avviato nel '96. Ho
deciso di mettermi in proprio e fondare un progetto
più che un gruppo per avere un controllo totale
sulle cose proposte, poiché anche nella musica rock
progressiva, nell'ambito di un gruppo è molto
difficile riuscire a mettere insieme molte idee
diverse, Tuttavia è stato difficile nel corso degli
anni trovare un gruppo di collaboratori che non
fossero meri esecutori ma con i quali ci fosse una
sinergia, uno scambio di idee. Da tre anni abbiamo
trovato una formazione più o meno stabile dopo vari
cambi, e questa formazione è quella che ci ha
permesso di raggiungere risultati più lusinghieri.
Dietro suggerimento di Alberto, il nostro
polistrumentista, abbiamo sposato la nostra musica,
che riunisce vari stili, a dei testi in esperanto,
che è appunto un linguaggio che si basa sulla
multinazionalità linguistica. La cosa mi è sembrata
interessante e visto che l'esperimento ha funzionato
in questi due pezzi scritti in un tempo brevissimo,
abbiamo deciso di proseguire su questa strada.
AR:
Quello che si voleva fare stasera è un po' diverso
dalla canonica intervista che proponiamo di solito
su Segreti di Pulcinella ai gruppi soprattutto
giovanili e indipendenti che affermano un messaggio
sociale e culturale molto forte. Quello che volevamo
fare stasera, data la valenza molto forte,
universalistica, del tema "esperanto", è fare un
dialogo, un confronto, un dibattito, un incontro tra
punti di vista sul rapporto tra l'esperanto e
l'arte, ritornando appunto al rapporto tra esperanto
e cultura che l'ARCI, appunto nella sua lettera C
porta con se in maniera forte. Quello che proponiamo
stasera è quello che proponeva una volta la rivista
"Il Politecnico", una rivista degli anni '50-'60;
oltre a temi di analisi, creava dei dibattiti su
temi culturali e artistici molto interessanti.
Propongo quindi come incipit di questo dialogo
aperto tra tre realtà che, come diceva prima Andrea
Montagner, si sono trovate perfettamente contigue
per finalità ed interessi, propongo quindi come
incipit la commistione che può esserci tra l'arte,
che veicola un messaggio in maniera più incisiva nel
sentimento dell'uditore (rispetto invece ad un
convegno tradizionale), e l'esperanto che non è un
progetto soltanto linguistico ma è un progetto
politico. In che modo quindi l'arte può essere un
veicolo che incida maggiormente sugli animi delle
persone stesse rispetto al messaggio che l'esperanto
può inviare, non soltanto per la sua valenza
linguistica. L'arte di solito, come diceva Peter
Brook, che è un famoso analista della letteratura
teatrale, "un buon teatro è come una specie di
ristorante che fa delle buone pietanze", cioè lo
spettatore, come il cliente del ristorante, esce
fuori dal teatro più sollevato, più contento, più
forte nel concepire le contraddizioni della realtà
stessa, vuol dire che quel ristorante fa delle buone
pietanze, così come il teatro fa delle buone cose
quando riesce ad incidere fortemente sull'uditore.
Può l'arte avere questa valenza forte tramite il
colpire alcune sensazioni che maggiormente rimangono
nella memoria? Può incidere maggiormente rispetto ad
un convegno tradizionale? Insomma, il rapporto tra
arte ed esperanto…
AF: Io ho scritto i due testi appunto per i Rêverie.
La cosa che ho trovato molto interessante in questa
proposta di collaborazione, è il fatto che che si
tratta di un gruppo non-esperantista.
I membri di questo gruppo, che fa un tipo
particolare di sperimentazione con la musica, sono -
come ho detto più volte scherzando con loro -
esperantisti "senza saperlo", perché il loro tipo di
sperimentazione tende a mio parere verso un'idea di
universalità. Il loro modo di esplorare diversi
linguaggi - per esempio il blues, che loro associano
alla struttura della musica barocca - era un terreno
molto fertile per poter proporre l'esperanto al di
fuori del mondo esperantista.
Uno dei limiti, infatti, del mondo esperantista (che
possiede una letteratura ottima - è morto qualche
giorno fa William Auld, poeta scozzese proposto per
ben tre anni al Nobel per la letteratura), è che
solo chi è già esperantista può fruire della
letteratura e della poesia scritte in esperanto. La
musica invece si presenta, per la sua stessa
struttura, come una forma d'arte più universale.
Infatti la musica, se considerata negli aspetti che
le sono più propri e che la distinguono da altri
linguaggi (e quindi prescindendo dall'eventuale
presenza di testi), è un'arte prettamente formale:
quante volte ci capita di amare una canzone il cui
testo è scritto in una lingua diversa dalla nostra,
senza che noi ne conosciamo il significato (o
conoscendolo solo in parte)?
Ho visto, in questi anni, che sono soprattutto gli
esperantisti di sinistra ad essere interessati ad
un'apertura verso il mondo non-esperantista. Per chi
vive l'esperanto da una prospettiva di sinistra,
questa lingua è una piccola parte di un grande
progetto volto alla realizzazione di un mondo più
giusto. Noi ci occupiamo del problema della
democrazia e della dignità linguistica; ebbene,
tutto questo non si può fare finché rimaniamo
rinchiusi nei nostri circoli.
Quale forma d'arte può esser migliore della musica e
della canzone, per poter realizzare quest'idea di
portare l'esperanto fuori dai nostri circoli, dentro
la società?
Uno dei principali pregiudizi imputati all'esperanto
è quello di essere una lingua artificiale e fredda.
Questo è un po' strano alle orecchie di un
esperantista, in quanto la produzione poetica in
esperanto è nata quasi subito dopo la nascita della
lingua, anzi la prima forma d'arte esplorata dagli
esperantisti è stata proprio la poesia...
Il fatto, di per sé, che un gruppo non-esperantista
si interessi della possibilità di fare
sperimentazione artistica con una lingua come
l'esperanto, è già significativo che una certa
apertura nel mondo non-esperantista c'è. Bisogna
avere il coraggio di sfruttarla maggiormente.
Una delle cose più interessanti di questo progetto è
che i Rêverie sono un gruppo non-esperantista che
rimarrà non-esperantista; se qualcuno dei suoi
membri si avvicinerà di più all'esperanto ne sarò
felice, ma la cosa interessante è che il loro
pubblico è un pubblico non-esperantista e questo
contribuisce, attraverso la concreta realizzazione
artistica, a mostrare la vitalità dell'esperanto.
Il tipo di testi e di musica che abbiamo realizzato
non ha un contenuto direttamente politico - i
Rêverie, nelle altre canzoni che hanno scritto, si
sono dedicati ai temi classici della poesia, e hanno
quindi prodotto testi abbastanza intimistici - ma il
fatto, di per sé, che facciano vivere l'esperanto
attraverso la loro musica è significativo.
AM: Volevo aggiungere due cose a quanto detto da
Andrea Fontana. La prima è che sento spesso questo
termine "artificiale" come qualcosa di assolutamente
estraniato dall'arte, quando proprio scomponendo la
parola "arti-ficiale" si risale al significato di
"fatto ad arte" e questo mi è stato detto non solo
da esperantisti ma anche da molte persone incontrate
nei vari gazebo fatti finora. La seconda è un po'
più forte. Quando ci si chiede oggi come mai siamo
invasi dall'inglese, qualcuno dice "sì, in fondo
l'inglese noi lo abbiamo cominciato a sentire dalle
canzoni dei Beatles". Forse anche un testo in
esperanto può essere una delle strade possibili per
far apprezzare, chissà, forse cantare sottovoce
qualche persona che un giorno sentirà per caso una
canzone in esperanto e gli piacerà. Chissà, forse i
Rêverie sfonderanno con una canzone in esperanto -
noi glielo auguriamo, ma non perché diventino il
gruppo esperantista, ce ne sono già tanti, ma perché
questo binomio li porti là dove il loro messaggio
deve andare.
MA: Passiamo allora la parola ai Rêverie per sentire
cosa pensano di tutte queste considerazioni e spunti
che sono stati dati finora…
VV: In effetti i nostri testi non riguardano
direttamente un punto di vista politico per una
precisa scelta; penso che la musica di per sé - e
l'arte in generale - possa ampliare la visione del
mondo e far capire che la vita è molto di più di
quello che si vive: una serie di sensazioni che
magari da solo non puoi scoprire e che la musica ti
aiuta a percepire. Sto parlando naturalmente di
musica artistica e non delle canzoni alla radio. La
vera arte è già "sovversiva" di per sé, per cui non
serve parlare di cose prettamente sociali perché
secondo me molte canzoni dichiaratamente politiche,
col senno di poi, a distanza di anni poi perdono il
loro significato originario. Chi non ha vissuto
certi anni o certe cose non capisce di cosa si sta
parlando, mentre ci sono certe arie di Mozart che
possono commuoverti molto di più e mostrarti che la
vita può essere migliore. La musica è l'arte che più
facilmente riesce a smuovere l'animo anche senza
bisogno di parole: quello che ci interessa è
musicare testi che diano emozioni condivisibili da
quanta più gente possibile, indipendentemente dalla
lingua o dall'argomento. Ad esempio, un pezzo che
stiamo preparando è una rielaborazione di un coro da
una tragedia di Euripide. L'originale fa riferimenti
mitologici, ma quello che mi interessava è vedere
come Euripide sia riuscito ad esprimere un senso di
nostalgia che qualsiasi essere umano a più di
duemila anni di distanza riesce ancora a comprendere
e a commuoversi. Il messaggio di fondo - la libertà
perduta - è qualcosa di attualissimo. È utile e
bello usare una suggestione del genere. Per quanto
riguarda le lingue, tendenzialmente io sono contro
l'utilizzo dell'inglese, diffuso in Italia a causa
di una diffusa esterofilia. Usare i sonetti di
Shakespeare è nato dalla necessità di un testo
particolare per un pezzo all'epoca solo strumentale:
casualmente abbiamo scoperto che un sonetto di
Shakespeare trattava l'argomento che ci interessava,
ma purtroppo tutte le traduzioni in italiano non
rendevano le sfumature della lingua originale. Per
quanto riguarda invece l'esperanto, ha suscitato in
me interesse in quanto non non è una cosa imposta
dall'alto ma una cosa che nasce dall'impegno a
livello mondiale di gente "comune". Per noi può
essere anche interessante riuscire a farci capire da
quanta più gente possibile, essendo l'esperanto
diffuso a livello mondiale indipendentemente
dall'inglese. Ho scoperto poi con piacere che
l'esperanto non è una lingua fredda ma al contrario
è eufonica. Penso perciò che l'esperimento potrà
continuare tranquillamente.
AF: Non sapevo di questo progetto con Euripide, e
questa è una scoperta che conferma quanto ho detto
prima: ossia che un carattere distintivo dei Rêverie
è una ricerca dell'universalità. Cosa c'è infatti di
più universale dei "tipi umani" della tragedia
greca? Tornando quindi al discorso sulla funzione
dell'arte, un'altra cosa su cui mi trovo d'accordo
con Valerio è che è possibile parlare di temi
universali, di caratteri umani universali che sono
sempre gli stessi, e tuttavia parlarne in un modo
sempre nuovo e rivoluzionario.
Io penso che la caratteristica fondamentale
dell'opera arte, ovvero ciò che ci fa dire che una
determinata cosa è una vera opera artistica, sia il
fatto che ci apre nuove ontologie, ossia che
modifica la nostra visione complessiva del mondo.
Può spostarla di pochi centimetri, ma tutte le
relazioni tra le cose che percepiamo cambiano
all'improvviso. E' il caso della "canzone di una
vita", del "libro di una vita"...
Perciò l'arte è intrinsecamente rivoluzionaria,
perché arricchisce e modifica il nostro punto di
vista, realizzando un punto di vista prospettico più
alto e dal quale si recuperano tutti i punti di
vista precedenti.
Inoltre l'arte, in quanto fatto sociale (anche
quando si parla delle emozioni e dei sentimenti più
intimi), è comunque politica. Mi vengono in mente
alcune canzoni di De André che parlano semplicemente
di tipi umani, attraverso i quali però De André
comunica un'intera antropologia, e quindi un'intera
visione politica...
AS: Fondamentalmente condivido tutto quello che è
stato detto. Mi riallaccio a quello che diceva
Andrea sulla natura della nostra esperienza
esperantista. Dal nostro punto di vista interno la
vedo come una sorta di esplorazione, di viaggio alla
scoperta di un mondo. E' bello scoprire via via
l'ampiezza, la portata di questo mondo esperantista,
anche se gli autori sono loro ed io la sto
francamente un po' a guardare dall'esterno e devo
dire che mi piace. Si è realizzata una
collaborazione e non una completa conversione
all'esperanto, il che è decisamente molto
interessante.
AR: Allora, secondo step del dialogo. Un punto di
riflessione molto interessante proveniva
dall'intervento di Andrea Fontana sulle nuove
ontologie, quindi il rapporto che può esserci tra
arte musicale e l'esperanto come lingua ma anche
come progettualità di un cambiamento
socio-culturale, quindi esperanto che lingua
musicale. Ricordiamo la ricerca sociologica molto
interessante che Zamenhof ha compiuto per ogni
parola della sua lingua, nel totale rispetto delle
diverse culture linguistiche e dei diversi popoli
che trovano quella facilità di comprensione che è
propria dell'esperanto, in quanto parte di noi
tutti, contro lingue di natura imperialista che si è
imposta per esigenze di mercato. Vorrei chiedere
dove si trova questa forza rivoluzionaria, questo
impeto, che coinvolge l'ascoltatore su un piano
sensazionale e non solo intellettuale avvicinandosi
alla forza dirompente dell'arte che parla in
esperanto?
AF: La domanda è molto complessa, quindi la risposta
più aderente alla domanda deve fare appello anche
alla struttura formale dell'esperanto, perché quello
che hai detto relativamente alle caratteristiche del
significante in esperanto è effettivamente molto
vero.
L'esperanto nasce con il proposito di dare uno
strumento di comunicazione agli uomini di tutte le
nazioni (originariamente era un progetto europeo, ma
poi si è diffuso oltre i limiti dell'Europa).
L'iniziatore Zamenhof per diversi anni ha elaborato
diversi progetti linguistici ritoccati
continuamente, provandoli sul campo e traducendo
testi fondamentali come la Bibba. La "stella cometa"
che lo guidava era quella di creare uno strumento
che fosse molto semplice e il più possibile
universale. Ha creato pertanto una grammatica non
difettiva, ossia senza nessuna eccezione, che
esaltasse al massimo le possibilità espressive della
lingua.
Ricordiamo che le conoscenze linguistiche di
Zamenhof erano straordinarie: conosceva almeno sette
lingue, senza contare quelle antiche.
In Italia - questa è una piccola curiosità -
Zamenhof è più famoso, nelle università, come
filologo che come iniziatore dell'esperanto; infatti
alcuni suoi lavori filologici vengono studiati nei
corsi di lettere antiche (e considerate che lui era
un filologo dilettante! La filologia non era la sua
professione, di professione faceva l'oculista!).
Questa sua grande sensibilità linguistica, e la
possibilità del confronto tra varie lingue, gli ha
fatto cogliere, quando ancora la linguistica era una
scienza ai primordi, le caratteristiche essenziali
grazie alle quali una lingua è espressiva.
Una piccola riflessione per i non esperantisti:
pensiamo ad esempio alle coniugazioni dei verbi: in
italiano ce ne sono tre, in latino ce ne sono
quattro, ma questa pluralità non aggiunge un
millimetro di espressività a queste lingue. Questo
ci dà un esempio di cosa può significare fare una
ricerca volta alla semplificazione della
grammatica...
Allo stesso tempo però l'esperanto ha una grammatica
espressiva, e qui c'è una differenza, ad esempio,
con l'inglese. Spesso si pensa che l'inglese abbia
una grammatica semplice. In realtà l'inglese non ha
una grammatica semplice, bensì una grammatica
povera, che è un'altra cosa; e tutte le mancanze di
espressività dal punto di vista grammaticale,
vengono recuperate attraverso un vocabolario
amplissimo, che è una delle principali difficoltà
dell'uso della lingua inglese (anche se la
difficoltà più importante di questa lingua è il
numero impressionante di idiomatismi: uno può
conoscere tutto l'Oxford Dictionary, e nonostante
ciò non capire un tubo trovandosi di fronte ad
espressioni idiomatiche).
La prima caratteristica dell'esperanto è quindi
quella della semplificazione grammaticale. Zamenhof
ha pensato ad una lingua che potesse essere
acquisita anche da chi aveva scarse conoscenze
linguistiche, quindi l'esperanto è democratico anche
da questo punto di vista, ossia da quello della
divisione tra classi.
Pensate infatti a cosa vuol dire, oggi, da un punto
di vista socio-politico, il possesso della lingua
inglese: l'inglese non introduce disuguaglianze
soltanto tra nazioni, ma anche all'interno delle
singole nazioni... Tra l'altro, vista la sua
complessità (almeno per noi che parliamo lingue
neolatine), soltanto i figli delle classi
economicamente più avvantaggiate possono permettersi
i lunghi viaggi di studio all'estero necessari per
impadronirsi di questa lingua. Oggi un italiano che
conosce molto bene l'inglese si ritrova, in
qualunque situazione lavorativa, in una posizione di
vantaggio assoluto rispetto ai suoi colleghi, e
questo non perché è più bravo o perché ha studiato
di più, ma semplicemente perché l'inglese è una
lingua molto difficile, e di conseguenza non tutti
riescono a impararla bene.
L'esperanto è una linga pianificata, creata per
essere appresa da tutti (di qualunque classe
sociale), e che nel significante - come diceva
Alessandro - contiene già tutto un mondo ideale e
politico. Zamenhof infatti, anche per un'esigenza di
semplificazione oltre che di democrazia linguistica,
ha scelto le radici di questa lingua tra quelle
comuni al maggior numero possibile di lingue...
Certo, le lingue da lui prese in considerazione a
tale scopo erano europee (chiaramente non era
possibile fare una cosa del genere su scala
mondiale...); tuttavia la semplicità della
grammatica rese la lingua molto accessibile anche a
non-europei.
Ultimo punto relativo alla domanda di Alessandro sul
significante: una cosa notevole dell'esperanto è che
ha un tipo di grammatica e una struttura
agglutinante che permettono una completa libertà di
creare nuove parole. Qui riusulta evidente anche
l'aspetto della creatività dell'esperanto, che è una
lingua rigorosa e logica, ma che allo stesso tempo
consente una grandissima libertà espressiva. Quando
l'esperanto viene appreso fin dalla nascita,
infatti, il suo uso da parte del bambino non
sollecita quasi mai il maledetto rimporvero dei
genitori: "non si dice così!". Questa è una
differenza notevole con le lingue naturali. Per chi
usa l'esperanto, questa libertà espressiva si
traduce in una costante consapevolezza che questa
lingua non è imposta. Gli esperantisti, che non sono
quasi mai dei madrelingua, la sentono perciò fin da
subito come lingua propria. Questo mostra come
l'esperanto sia una lingua che nasce dal basso.
VV: Ho una curiosità da sottoporre agli esperti:
volevo sapere se nell'esperanto, come avviene con
altre lingue, ci sono dei nessi tra la lingua ed
alcune strutture di pensiero…
AF: L'esperanto è nato come una lingua utilizzata
internazionalmente; come altri progetti simili (vedi
il Volapük) è passato dalla carta a diventare lingua
vera perché ha avuto una comunità di parlanti.
Zamenhof si è autodefinito "iniziatore" della
lingua, non "autore". Tutti gli esperantisti hanno
stabilito quali testi fissare come canone di
riferimento, dopodiché la comunità ha sviluppato la
lingua, attraverso il suo concreto uso a livello
internazionale. Negli anni, poi, con l'evoluzione
della lingua è nata una cultura - o forse più
culture - che potremmo definire "transnazionale". "Trans"
indica il superamento di qualcosa, passandoci però
attraverso. Questa cultura si colloca in un punto
prospettico più elevato rispetto ai vari punti di
vista nazionali, senza però negarli. Per dirla in un
altro modo, il rapporto che c'è tra la cultura dell'esperantista
colto (che ha letto molto della letteratura
esperantista) e la sua cultura nazionale, potrebbe
essere lo stesso che un non-esperantista può
rilevare tra la sua cultura nazionale e quella
locale, dialettale; tant'è vero che gli esperanti
non soltanto difendono le lingue nazionali
(attraverso l'uso internazionale dell'esperanto, che
impedisce che una lingua nazionale schiacci tutte le
altre), ma hanno anche una particolare sensibilità
per la salvaguardia dei dialetti. Avere queste tre
identità (locale, nazionale e transnazionale) è una
cosa piuttosto insolita al di fuori del mondo
esperantista. Grazie a questa sensibilità verso le
altre lingue e culture (legata al fatto che l'uso
dell'esperanto non ne schiaccia nessuna),
nell'esperienza personale dell'esperantista non c'è
conflitto tra queste tre identità (transnazionale,
nazionale e locale), né tra lingue e culture
diverse. I primi esperantisti erano uomini che
volevano conoscere altre culture con un mezzo non
violento, con un mezzo neutrale. A questo
atteggiamento si deve ad esempio la conoscenza, da
parte degli esperantisti, dei poemi epici
scandinavi, che vengono da loro letti nelle
traduzioni in esperanto (mentre la maggior parte
delle persone ne ignora la stessa esistenza). Ad
esempio io in questi giorni sto leggendo in
esperanto un classico della letteratura cinese, di
cui non so nemmeno se esiste la traduzione in
italiano.
Questa cultura transnazionale è veicolata quindi sia
dalle traduzioni in esperanto, condivise dalla
comunità esperantista, sia dalle opere originali in
esperanto.
AM: Questa ultima tematica è abbastanza solleticante
per me che ho avuto l'ardire di recuperare dei testi
quasi irrecuperabili che hanno suscitato molto
dibattito: parlo dei testi di Gramsci
sull'esperanto, in cui criticò aspramente la lingua
artificiale proprio in nome e contro quella che a
suo tempo era l'introduzione dell'italiano. Io non
mi sento lombardo; non mi sentivo veneto neanche
quando vivevo in Veneto. Ho sentito recentemente
un'attrice a Venezia dire "la mia vera lingua è il
toscano, non è l'italiano", ed io ho avuto una
maestra toscana, in Veneto, e se mi sento italiano
l'ho dovuto molto alla scuola e non alla maestra
toscana. Credo che l'esperanto, quando cominci a
parlarlo, ti apra una serie di problematiche che non
sono solo linguistiche ma anche esistenziali che ti
porti o verso l'esasperazione del locale, per cui
salti addirittura il nazionale (ci sono ad esempio
esperantisti leghisti), oppure verso l'essere
cittadino del mondo. Non a caso ci sono esperantisti
che si sono avvicinati all'esperanto in quanto
appartenenti al Movimento di Cittadini del Mondo e
qui introduciamo poi la tematica forte
dell'Arciesperanto, ossia il cosmopolitismo.
AF: Credo che in realtà non siamo in disaccordo. La
caratteristica fondamentale dell'esperantismo
vissuto come qualcosa di esistenzialmente forte è la
consapevolezza di essere membri della famiglia
umana. Grazie a tale consapevolezza si può
comprendere come le culture più lontane non siano
qualcosa di contrapposto a quello che ci è più
vicino e proprio.
Io per esempio ho sempre avuto una certa vergogna
(ed oggi mi vergogno di questa vergogna) della
dimensione locale del dialetto; lo comprendo, ma non
l'ho mai imparato, e so che non lo trasmetterò ai
miei figli. Da quando sono esperantista, questa mia
ignoranza del dialetto mi dà la consapevolezza di
una perdita.
Perché, prima, la dimensione locale mi imbarazzava?
Perché la concepivo come contrapposta a quella del
mio vicino, e da persona di sinistra mi sembrava che
ciò introducesse una barriera tra gli uomini.
Invece, da quando ad esempio mi sono incuriosito -
grazie all'esperanto - della letteratura cinese, mi
capita anche di scoprire cose come, ad esempio, la
bellezza della poesia in dialetto lombardo...
AM: Infatti non c'è nessuna contrapposizione su
quello che diciamo. Io mi sono chiesto per esempio
quando è venuto a parlarci José Antonio Vergara
della scomparsa delle culture locali in Cile è
chiaro che dobbiamo imparare a scindere l'aspetto
culturale dall'aspetto che può essere
strumentalizzato da qualche movimento politico. La C
di Arciesperanto viene ancora di più esaltata
stasera da questa riflessione.
AF: Tu non credi che l'esperanto possa essere uno
strumento per evitare che le differenze regionali,
culturali e linguistiche evolvano verso uno scontro?
AM: Diciamo che non me lo sono mai posto come
problema. Se una cultura locale evolve contro non
penso che dipenda dalla cultura locale e neanche
dall'esperanto. L'esperanto è comunque una lingua di
pace.
AR: Interessante la valanga di dati che si sono
scambiati i due Andrea, F e M; volevo sapere se voi
Rêverie siete interessati ad intervenire su questo
aspetto, ossia esperantisti come cittadini del mondo
e dimensione "glocale" direi…
VV: Anche secondo me non c'è questa discrepanza tra
dimensione locale e nazionale. Per quanto mi
riguarda mi sono trovato a mio agio sia
nell'utilizzo dell'esperanto che del friulano: trovo
che ci sia altrettanta dignità e forza. Inoltre mi
interessa sia farmi capire da quanta più gente
possibile utilizzando l'esperanto, sia rivitalizzare
un dialetto - quello friulano - che ormai parlano in
pochi, tant'è vero che già nel Friuli l'assessorato
alla cultura mette cartelli con scritto "Parlate
friulano" perché comunque è interessante anche tener
conto delle proprie radici perché, come diceva non
ricordo chi, quando muore una lingua muoiono anche
certe cose, dato che il modo in cui le chiami in
quella lingua scompare per sempre. Mi viene in mente
che diversi anni fa, quando con altri gruppi
suonavamo all'estero, ci dicevano di cantare pure in
italiano perché tanto si capiva che non eravamo
inglesi e comunque l'italiano suonava benissimo lo
stesso. Ho capito così che l'inglese non è così
importante come supponevo da ragazzino; è una cosa
che non sento mia anche se lo uso per lavoro. Ho
capito poi che l'italiano, lingua più eufonica ad
esempio del tedesco e anche dell'inglese - che è
falsamente eufonica - è più facilmente "rivestibile"
di musica. Una frase che mi ha colpito di De Gregori
è: "Noi italiani abbiamo il difetto di scadere nel
melodico a tutti i costi". Allora io mi chiedo: se
abbiamo un'indole melodica perché dobbiamo farci
violenza e far finta di non averla? Sfruttiamo
questa cosa, tanto più che ci viene naturale. Il
bello della musica in esperanto è che per quanto
internazionale, si comprende la provenienza dei vari
musicisti perché ognuno tira in ballo il patrimonio
melodico del paese d'origine, senza però farlo
sentire una cosa ridicola come l'italiano che si
sente dire "Si capisce che non sei inglese".
AR: Vorrei sapere cosa pensa Alberto di questa
ultima discussione…
AS: Francamente non saprei cosa aggiungere.
Condivido il discorso che ha fatto adesso Valerio, è
sicuramente interessante perché porta sul piano
musicale quello che era stato detto prima sul piano
prettamente linguistico.
AF: La collaborazione è stata soprattutto tra me,
Valerio e Fanny (che è la cantante, e che purtroppo
stasera non è potuta essere dei nostri). Tu però mi
avevi scritto una lettera che per me era stata molto
stimolante, spiegandomi a grandi linee il tipo di
musica che facevate e dicendomi "pur non conoscendo
questa lingua, ho come l'impressione che potrebbe
sposarsi molto bene con lo spirito della musica che
facciamo noi". Adesso che sono passati questi mesi,
che avete fatto le prove insieme, che hai visto
dall'esterno la cosa procedere, com'è il rapporto
con le aspettative che ti eri fatto? Quali conferme
e quali sorprese?
AS: Sicuramente l'impressione iniziale basata su
poche nozioni apprese da qualche chiacchierata e
volantino era basata su una grande convergenza di
intenzioni tra il nostro progetto musicale e
l'esperanto. Il nostro intendo è infatti di trovare
convergenze tra diverse culture musicali, esplorare
nuove possibili combinazioni di sonorità al di fuori
dei canoni. L'esperanto, per quanto lingua elaborata
a tavolino, è comunque il frutto di tante lingue ed
esperienze linguistiche già esistenti. In un primo
bilancio di questi mesi di collaborazione, secondo
me sono molto positivi innanzitutto perché ho potuto
constatare la grande efficacia musicale
dell'esperanto. Di fatto è stata una scommessa,
perché in pochi giorni è difficile farsi un'idea
precisa della valenza musicale di una lingua. Posso
dire che è una lingua molto musicale ed espressiva,
forse più di altre lingue che hanno una maggiore
tradizione musicale. I risultati sono interessanti e
piacevoli, vivendoli anche da ascoltatore mentre
preparavo questi filmati. È una strada da portare
avanti con convinzione.
AR: Ho visto con grande piacere che c'è stato da
parte vostra il recepimento di questa sfida che
abbiamo lanciato come Segreti di Pulcinella, che è
stata un po' l'organizzatrice di questa serata. Ho
visto che questa modalità del dibattito, che penso
affronteremo, come metodologia redazionale, con
altre realtà artistiche indipendenti come voci
libere, voci contro questo pensiero unico e
omologante.
MA: Concludendo questa tavola rotonda, vorrei
ringraziare innanzitutto i Rêverie per la loro
disponibilità ed i loro interventi assolutamente
interessanti. Vorrei anche ringraziare anche
Arciesperanto, il presidente Andrea Montagner e
Andrea Fontana per averci ospitato qui nel loro
gazebo e averci dato la possibilità di realizzare
questo evento e per i loro interventi anch'essi
molto interessanti, ed infine ringrazio Alessandro
Rizzo, il nostro valido vicedirettore, per il modo
in cui ha dato i suoi imput, i suoi spunti a questa
discussione. Grazie a tutti.
[applauso]
AM: Volevo anch'io ringraziare voi tutti, perché
un'associazione credo non esiste di per se sulla
carta, come una lingua non esiste sulla carta, ma
sono le persone che le danno vita e la possibilità
di intraprendere un cammino che non sappiamo ancora
dove ci porterà. Grazie.
AF: Vorrei fare una chiosa che si collega a quella
di Alessandro. José Antonio Vergara, che è un
esponente importante del mondo esperantista di
sinistra, in una conferenza che ha fatto con
l'Arciesperanto ci ha detto che due persone che
parlano l'esperanto in una stanza sono "un atto di
resistenza contro la mcdonaldizzazione"...
AM: Estis la resisto al la "makdonaldigxo", li diris…
AF: Grazie.
Sulla web-tv italiana
Arcoiris potete vedere due videoclip con due
canzoni in esperanto scritte da Andrea Fontana
(testi) e Valerio Vado (musiche e arrangiamenti). Si
tratta della prima esecuzione pubblica di queste due
canzoni, eseguita dal gruppo musicale di Valerio (i
"reverie"), nel corso di una manifestazione musicale
organizzata dall'ARCI provinciale di Milano, con la
collaborazione di ARCI Esperanto. Potete guardare (cliccando
col pulsante sinistro del mouse) e/o scaricare (cliccando
col pulsante destro, e salvando il file nel vostro
computer) i due videoclip all'indirizzo web
sopramenzionato, secondo le seguenti possibili
opzioni:
- bassa definizione (56k - real player e windows
media player)
- alta definizione (adsl - real player e windows
media player)
- altissima definizione (mpg)
- file audio (mp3)
I due videoclip sono sottotitolati, sia in italiano,
sia in esperanto. |
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