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Intervista a Simone Boscolo, pittore fondatore,
cofondatore della Galleria Zamenhof a Milano
 

a cura di Alessandro Rizzo


Simone Boscolo è un artista. Si è formato con la propria esperienza e ha dato vita insiemead altre e ad altri artisti a una Galleria a Milano, Zamenhof. L'intento è chiaro nell'attività di Simone e dei suoi colleghi: creare le condizioni per non essere più periferia dell'impero nello scenario artistico postmoderno.



Iniziamo con il parlare della tua formazione: dove sei nato come artista e come sei cresciuto?

Non ho fatto il liceo artistico. Dopo avere conseguito la maturità di ragioneria mi sono iscritto all'Università Statale di Milano. Ho seguito per un anno i corsi: un'esperienza umanamente importante. Dopo questa parentesi ho deciso di frequentare i corsi dello IED, e precisamente quelli riguardanti l'illustrazione.
Sono chiaramente un autodidatta e da sempre, comunque, ho nutrito forte interesse per la disciplina artistica, disegnando e appassionandomi al dipinto.

Possiamo, seppure siamo in una fase di eclettismo nell'arte pittorica, definirti appartenente o vicino a una determinata corrente artistica?

Non mi pongo questo problema per il semplice motivo che non esiste e in quanto tale non si pone. Oggi, nella nostra modernità, ormai questa tematica non si evidenzia, neppure se si parla di avanguardia. Ripeto: non è un problema da porsi. La questione si poneva nel passato, ma ora non più.

Quali sono i soggetti della tua ricerca, ossia su quali lati del reale o del surreale ti ispiri?

Non è facile definire un soggetto, in quanto spesso ci sono artifici da cui parte una ricerca. Ho una serie di primi lavori, appena iniziati, e che sarebbero da riprendere in mano. Sono delle memorie storiche, auto rappresentative dell'Italia agreste, con alta attenzione all'ambiente della montagna, vista come luogo chiuso, come spazio chiuso.
Cerco, seppure comprenda la difficoltà e la necessità di maggiore tempo, di avviare un discorso di analisi storico sociale.
La mia volontà consiste nel garantire dalla piccola dimensione la portata storica del cambiamento socio culturale e delle sue conseguenze.
In questo caso, sia chiaro, non voglio cadere nell'ingenuità e non voglio esprimere alcun giudizio morale. Non sarebbe né possibile né onesto.



Tu insieme ad altre artiste e altri artisti gestite una galleria a Milano, Zamenhof, che è di nuova costituzione e che ha già visto un ricco calendario di mostre, collettive e personali. Come nasce la Zamenhoff?

L'idea è nata nell'aprile 2008 proprio da una proposta del proprietario dell'Atelier Chagall presente sui Navigli a Milano. Ci sono 6 artisti associati con l'intento chiaro di tornare sul territorio milanese per cercare artisti giovani, validi, e con lo specifico obiettivo di andarli a trovare, reperire. Lo spazio diventa, così, opportunità di rendere loro visibili.
A Milano c'è una grossa quantità di gallerie stantie e mercantili, che ignorano gli outsider, per un mercato puro. Esistono addirittura gallerie che dedicano personali ad artisti morti.

Esiste, o avverti, quindi, un oligopolio del mercato dell'arte e della sua offerta a Milano, ma direi anche in Italia?

Non parlerei di oligopolio, ma è indubbio che è difficile scalfire l'ostracismo pregiudiziale. La nostra filosofia consiste nel selezionare le opere, oltre agli artisti, in una dimensione collettiva per dare avvio a un cammino che possa continuare anche per lunghi anni.
Zamenhoff si occupa, quindi, di arte contemporanea. La selezione delle diverse ricerche artistiche parte da un presupposto: il rispetto del singolo artista e della sua autonomia.

Come possiamo definire la vostra filosofia artistica, il vostro "manifesto"?

Nella dimensione postmoderna, possiamo definirla così, abbiamo artisti consci che hanno metabolizzato il '900, senza intenzione di emularlo, ma rielaborarlo. Non è una contaminazione, parola inflazionata, spesso conformista. Abbiamo semplicemente significanti vari e stili diversi sintetizzati in varie opere. Dobbiamo fare leva sulla capacità interpretativa dell'artista. Questa è la base di partenza del nostro discorso estetico. Esiste una rielaborazione del digerito, del "briciolame", nell'intenzione di volere superare il '900, almeno si auspica avverrà.
In Italia in questa ottica siamo ancora come una "periferie dell'impero" per citare Umberto Eco e per ritornare allo spirito degli anni '70.
E' in uso, a livello mondiale, un'intuizione e una consapevolezza dell'elaborazione artistica, ma in Italia su questo, come su ogni innovazione, si arriva sempre dopo.

Quali sono gli altri artisti coinvolti in questa esperienza?

Gli artisti sono soci contemporaneamente. Abbiamo Davide Corsetti, Valentina Carrera, Virgilio Patarini, ideatore della galleria e gestore dell'Atelier Chagall, Giuseppe Ferraia, Giacobino, nome d'arte, Giovanni Grassi, Cito anche Andrea Borgonovo ed Emanuela Racca. Il file rouge che ci lega artisticamente consiste nel fatto che prima eravamo tutti presso l'Atelier Chagall, mentre oggi abbiamo dato vita alla galleria forti delle possibilità che abbiamo visto esprimersi nell'atelier.
Siamo un movimento postmoderno, almeno questo è quello che dice Virgilio. Per chi vuole avere informazioni sui nostri eventi e le nostre attività può accedere al link www.galleriazamenhof.com

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