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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Virus mutandis
di Giuseppe Costantino Budetta,
Là dove
convergono i meridiani di Giulio Capitani,
U lazzu e a strummula di Giulio Capitani,
Paese di notte di Antonio Carollo,
La giornata
della memoria di Marcellino Lombardi,
Ushuaia
di Micha
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di
Lucia Dragotescu,
Manuela Leahu
Recensioni
In questo numero:
- "Canti" di Giuseppe Serembe, nota di Enrico
Pietrangeli
- "Penelope Guzman - Il colpevole" di Eliott
Parker, nota di Riccardo Lupo
- "Dire fare baciare" di Alfonso Raffaelli
- "Il segreto dei Vanderloo" di Allegra Nasi
- "Ho ingoiato l'anima" di Marco Cocciola
- "Pura Vida" di Teresa Giulietti
- "Ofelia e la luna di paglia" di Antonio
Messina, nota di Massimo Acciai
- "Geografia del mattino e altre poesie" di
Gian Piero Stefanoni
- Crimine e Onore. I codici di comportamento
delle organizzazioni criminali e 'Ndrangheta.
I mille volti di un sistema criminale di
Antonella Colonna Villasi, nota a cura di
Roberto Casalena
- "L'eroe non è di carta" di Gianrocco Pucino
- "Leggere conosce crescere" di Nunziante
Minichiello, recensione di Maria Ianiciello
- "Libero pensiero e liberi pensatori" di
Damiano Mazzotti, nota di Massimo Acciai
- "Quando torna" di Roberto Pallocca, nota di
Enrico Pietrangeli
- "S.O.S. Manuale di sopravvivenza" di Giorgio
Gazzolo
- "Parole e silenzi" di Antonio De Rosa,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Felci" di Alessandra Ferrari, recensione di
Emanuela Ferrari
- "L'arte di insultare" di Arthur Schopenhauer,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Il caso Imprimatur" di Simone Berni
- "Nostalgia del grigio - 60 anni di BUR" di
Oliviero Di liberto
- "I corvi e i campi di grano" di Maria
Galella, recensione di Eduardo Vitolo
- "Johnny cash - the man in black" di Stefano
Santangelo, recensione di Eduardo Vitolo
- "Per Elisa" di Mangani Azzurra, recensione
di Eduardo Vitolo
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
Saggi
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Iuri Lombardi, poeta e scrittore
Collaboratore di vecchia data
alla nostra rivista (sulle pagine di SDP sono
comparsi suoi racconti, poesie e poemetti, nonché la
presentazione del suo romanzo d'esordio, "Briganti e
Saltimbanchi"), è un piacere intervistare un vecchio
amico, soprattutto nell'occasione dell'uscita del
suo secondo romanzo. L'intervista è stata fatta
tramite e-mail, nel maggio 2009.
Iniziamo dalla tua formazione culturale; ci puoi
dire qualcosa dei tuoi studi? Delle tue letture?
Come puoi ben sapere sono laureato in lettere
moderne, nello specifico in letteratura italiana, ma
non credo sia importante, in quanto penso che
fondamentale per uno scrittore, o per colui che fa
delle lettere un mestiere o qualcosa di simile, sia
il proprio esercizio culturale di letture,
esercitazioni, di pensiero quotidiani quello che
conta. Un autore, come un artista in genere, dal
momento che scrive e quindi ha una responsabilità
nei confronti del lettore, sia esso un pubblico più
o meno vasto, deve avere in sé e custodire un
proprio retroterra culturale che prescinde da tutto
e da tutti. Il mio panorama letterario è popolato da
tanti autori, a cominciare dai classici greci e
latini sino ad arrivare ai contemporanei, anche se
Pasolini, Pavese e Sciascia, ma soprattutto la
letteratura americana sembrano avermi profondamente
influenzato. Pasolini sicuramente per quanto
concerne la poesia, la mia produzione poetica, al
punto di avere scritto e pubblicato presso la tua
prestigiosa rivista "l'ultima cena" un poemetto
fortemente pasoliniano. Pavese e gli americani per
la prosa, soprattutto certi autori Beat o
addirittura precedenti.
Quali autori hai amato di più? ce n'è qualcuno
che ha influenzato, in qualche misura, il tuo stile?
Attualmente che lavoro fai?
Per quanto riguarda gli autori torno a ripetere la
risposta precedente, anche se da ragazzo ero
attratto molto dalla letteratura francese e russa.
Oggi però rispetto a ieri ho una consapevolezza
maggiore su tutto ciò che mi circonda e quindi anche
sotto il profilo letterario e filosofico. Che lavoro
faccio? Bella domanda! Ho iniziato a fare il
giornalista a 19 anni, o giù di lì, per arrivare poi
a fare il pubblicitario per i giornali. In poche
parole sono cresciuto tra i giornali. Inoltre, per
chi ancora non lo sapesse, e lo dico con molto
orgoglio, sono titolare di un programma radiofonico
per Novaradio, Universo di Celluloide, da me
fondato, scritto e diretto nel 2007; l'unico
settimanale di cinema d'autore che abbiamo a
Firenze.
Qual è secondo te il ruolo del poeta oggi,
nell'attuale società?
Anche questa, come le precedenti, è una bella
domanda, però cerco di risponderti con precisione.
Anzitutto bisognerebbe domandarsi che cos'è un
poeta; credo che poeti si nasce e non lo si diventi.
Poi credo che un poeta abbia sempre una
responsabilità etica e civile nei confronti della
società, anche se quest'ultima crede che i poeti
siano una razza in estinzione. Comunque per fartela
breve ti rispondo prendendo a prestito, e scusami se
puoi, la definizione che Ungaretti si diede in
Comizi d'amore di Pasolini, quando quest'ultimo lo
intervistò: il poeta è un trasgressivo per
eccellenza, in quanto facendo poesia corrompe la
natura, compie un atto contro la natura. Platone
d'altronde parlava nel Simposio degli ibridi
sessuali come "figli della luna"; credo che un poeta
sia giusto definirlo così.
Abbiamo segnalato qualche numero fa del tuo primo
romanzo; com'è nata l'idea? Quanto tempo è occorso
per realizzarla? Che riscontro ha avuto?
Il romanzo, la mia prima opera ufficiale,
intendo Briganti e Saltimbanchi, è un romanzo
scritto a quattro mani con Vincenzo Labanca, uno
scrittore lucano. Il soggetto era interamente mio e
proposi a Vincenzo di poter lavorare assieme; e così
fu. Ricordo che è stata una bellissima esperienza
sia dal punto di vista umano, sia per quello
letterario. Il romanzo era dedicato al brigantaggio
post-unitario e nacque per due motivi; il primo
motivo per fare luce su di un capitolo di storia,
sanguinoso e affascinante, sottaciuto e fortemente
criminalizzato dagli storici. In secondo luogo, lo
concepii dietro l'onda provocatrice di intitolare in
Basilicata e in Puglia le strade ai briganti. Una
proposta che alcuni scrittori del cosi detto romanzo
antropologico, quali: Nigro, Labanca, Venezia fecero
alla repubblica italiana e che in seguito furono
loro stessi da promotori a vittima ad essere
considerati dei briganti della cultura da storici e
da accademici, che come sai non ho mai condiviso per
una mia innata sopportazione a quei sistemi che
prevedano nel loro codice una struttura gerarchica e
baronale.
Veniamo al tuo secondo romanzo, da poco uscito
con Romano Editore di Firenze (che sarà presentato
alla libreria Seeber a Firenze il 16 giugno); come
si intitola? Di cosa parla?
Il nuovo romanzo, Contando i nostri passi - da
mezzanotte alle sei, credo che sia un testamento di
una generazione bruciata, se non al capolinea. Di
una generazione alla quale è stata sottratta l'arma
del riscatto civile e sociale; strumento critico ed
esistenziale importante per la dignità dell'uomo e
del proprio tempo. Venendo al romanzo, la storia si
sviluppa attraverso una discussione notturna tra due
amici che discorrono di vita, di cose andate, di
amori infranti, ma soprattutto di tematiche
scottanti come la prostituzione e la
tossicodipendenza. Realtà oramai per noi quotidiane
e con le quali, prima o poi, dovremmo
inevitabilmente fare i conti. Tuttavia nel romanzo
si parla anche del terrorismo, se pur in termini
grotteschi, e della morte di Don Cuba, a me molto
caro e la cui lezione di vita mi ha profondamente
segnato. Di fatto, però, i due protagonisti, come il
resto dei personaggi della storia, vivono senza la
prospettiva di un futuro, affrontano la loro
esistenza lacerata con sofferenza, per cui ogni cosa
dal ricordo ad una voce per strada, sino ad un
semplice passante diventa loro un salvagente, una
epifania alla quale si aggrappano per non
soccombere.
Anche per questo romanzo ti chiedo la sua genesi…
Il romanzo l'ho concepito a casa di un amico, a
Firenze, una notte d'estate, credo da sbronzo. Una
delle tanti notti in cui ti rendi conto che non
tutto si riesce a comunicare naturalmente e per
questo la scrittura viene in soccorso per dire il
non detto, ciò che è rimasto non compiuto. Ricordo
che nel dormiveglia di essere stato colpito da
immagini e che ho cercato semplicemente di afferrare
per poi costruirci sopra una storia. Da tempo
sentivo l'esigenza di scrivere sulla mia generazione
e ho semplicemente preso l'occasione a volo, anche
se in precedenza avevo scritto dei racconti da te
pubblicati sui SDP fortemente impegnati su questo
fronte.
Nella tua biografia accenni al tuo interesse per
i dialetti; com'è nato questo interesse? Verso quali
dialetti precisamente? In quali occasioni li hai
sperimentati nei tuoi scritti?
Mi affascinano tutti i dialetti, in quanto lingua di
minoranza, di piccole etnie che delineano attraverso
modi di fare, linguaggi e costumi un proprio
imprescindibile territorio. Comunque quando parlo di
dialetti, mi riferisco al dialetto, o alla lingua
lucana, avendo io parte delle origini lucane.
Dialetto che ho appreso da mia nonna, alla quale ne
sono grato, e che parlo per diletto. Sul piano
letterario invece l'ho sperimentato intessendolo e
sposandolo con la lingua nazionale sia nei racconti,
sia nel primo romanzo. Il dialetto credo che vada
rivalutato e il primo ad avercelo insegnato è stato
Dante; il poeta dei poeti.
Ci troviamo d'accordo; l'attenzione ai dialetti
(vere e proprie lingue) è caratteristico anche della
nostra rivista. Progetti per il futuro?
Sicuramente un romanzo, che sto già pensando e per
il quale mi aggiro per le strade in cerca di rubare
storie e trame per una storia attendibile. Poi sul
piano poetico sperimentare un piccolo poemetto in
dialetto lucano e poi... poi radio, giornali, e
vivere, un mestiere complesso come diceva Pavese,
cercando in primis di sopportare me stesso, il che
non è poco.
Grazie mille. Buon lavoro!
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