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Narrativa
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, purché rispettino
i più elementari principi morali e di decenza...
poesie di Lucia
Dragotescu, Robert
Serban
Recensioni
In questo numero:
- "In bianco e nero" di Maddalena Lonati, nota
di Massimo Acciai
- "Poesie 1803" di Adam Oehlenschläger, a cura
di Francesco Felici
- "Le catene del potere" di Tiziana Iaccarino,
nota di Massimo Acciai
- "Supernext" l'antologica connetivista nel
blog della Kipple Officina Libraria
- "Namasté" di Maria Antonietta Nardone, nota
di Massimo Acciai
- "Paolo e il segreto delle nuvole" di
Annalisa Margarino
- "Amore mio dolce" di Alda teodorani
- "La stortura della ragione" di Gian Piero
Stefanoni, nota dell'autore
- "Io e te" di Niccolò Ammaniti, recensione di
Emanuela Ferrari
- "Demon Hunter: l'arcangelo risolutore" di
Riccardo Brumana, recensione di Sara Rota
- "Mercanti di organi" di Aldo Emilio Moretti,
recensione di Sara Rota
- "Johnny Nuovo" di Mauro Evangelisti,
recensione di Sara Rota
- "Mattatoio n. 5" di Kurt Vonnegut,
Recensione a cura di Mauro Biancaniello
- "Occhi d'Oro" di Alda teodorani
- "Pazienti smarriti" di Maria Rosaria
Pugliese, recensione di Lorenzo Spurio
- "New Yorker's Breaths" di Maurizio Alberto
Molinari, recensione di Lorenzo Spurio
- "Pensieri senza pretese" di Christian Lezzi,
recensione di Lorenzo Spurio
- "Jane Eyre, Una rilettura contemporanea" di
Lorenzo Spurio
- "Il mare di spalle" di Antonio Sofia
- "Di esperanto in esperanto" di Giuseppe
Macrì
- "Dalla vetrata incantata" di Sandra Carresi,
Prefazione di Lorenzo Spurio
- "Etica oggi" di Michela Marzano, articolo di
Damiano Mazzotti
- "Nebular" di Antonio Messina
Articoli
Letteratura per la Storia
Interviste
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Non mi sarei mai aspettata che,
per realizzare un sogno, avrei dovuto cambiare
esteriormente. E anche alcuni modi di pensare.
Sono del parere che se una persona abbia delle
ottime doti, nel campo in cui desidera lavorare, non
debba cambiare per compiacere gli altri.
Insomma, devono guardare il talento oppure l'aspetto
della persona da cui viene fornito il talento?
Quando vai incontro ad un sogno, ci sono molti
cambiamenti di strade, con tante scorciatoie. C'è
chi arriva più veloce al primo posto (grazie alle
raccomandazioni) e chi, invece, viene scartato con
interesse zero o va piano e incontra tante
difficoltà, come me.
Di certo non mi sono arresa. Ho continuato a
combattere, anche se sono nata e cresciuta in una
famiglia contadina, senza arte né cultura. Ma mi
hanno insegnato sin da piccola a non arrendermi alle
prime difficoltà e a non smettere di amare, poiché
grazie all'amore, è possibile arrivare ovunque.
Sono nata in una città formata da un legame molto
stretto con la montagna e il clima molto freddo (ma
fresco in estate).
Questa bellissima città si chiama Trento. Una città
con ancora vecchie tradizioni. Dove non si utilizza
ancora "tecnologia indipendente".
Dopo gli studi, non riuscendo a trovare un buon
lavoro, ho iniziato a collaborare con due amici,
Gianpiero e Chiara, e ad andare in giro con un
camper a vendere bigiotteria e oggettini d'arte
realizzati da me.
Con il camper andavamo in giro in cerca di fortuna.
Ma sapevamo che, fino a quando saremmo rimasti nel
nostro "recinto", non avremmo trovato alcuna
fortuna.
Quando un giorno, guardando la televisione, vidi una
pubblicità diversa dalle altre, che mi permise
un'idea.
"Siete bravi a disegnare modelli? Siete bravi a
sfilare in passerella anche se non siete dei
professionisti? Siete in ottima amicizia con la
fotografia? Volete lavorare nel mondo della moda?
Ebbene, cosa state aspettando? Venite dal 20 al 21
Agosto a Milano, nell'agenzia più grande di Mario
Bronzi: "The Style". Mi raccomando, non mancate!".
Rimasi immobile a guardare lo schermo, quando mi
cadde il telecomando di mano e sussurrai: "CHE
COSA?" per poi cominciare ad urlare di gioia.
Chiamai immediatamente Gian e Chiara per chiedere
loro se avevano ascoltato la notizia e mi
confermarono di esserne a conoscenza.
Eravamo contentissimi, proprio perché il giorno
seguente, sarebbe stato il 20 Agosto. Nel momento in
cui staccai con loro, andai verso la cucina a fare
una durissima prova: convincere i miei genitori a
farmi andare a Milano.
Silenziosamente entrai in cucina. Feci cadere di
proposito la scopa elettrica, anche se finsi
indifferenza e casualità e si voltarono verso di me,
chiedendo cosa avessi.
Balbettai. Poi presi coraggio e dissi che avrei
voluto partecipare ad alcuni provini che si
sarebbero tenuti a Milano, per cercare di entrare
nel mondo della moda con i miei amici.
Per un attimo, cadde il silenzio. Si udì solo il mio
fratellino starnutire, ma grazia a lui, in seguito,
i miei genitori ripresero la parola: "Figlia mia, ma
certo ... è una bellissima notizia. Mi raccomando,
però, state attenti." disse mio padre alzandosi
dalla sedia e abbracciandomi.
Intanto, quando preparai la borsa, mia madre mi
aiutò portandomi un sacco di farmaci e persino una
sciarpa. Ma non andavo di certo al Polo Nord (le
feci notare)!
Mi raccomandò di stare attenta, di mangiare sano, di
usare la medicina per il mal di testa o qualunque
nevralgia e di coprirmi bene.
Sorrisi. Era sempre stata molto apprensiva e
premurosa, allo stesso tempo.
Venne finalmente il giorno della partenza.
Ricordo che passai la notte in bianco. I miei amici
vennero a bussare alla mia porta già alle prime ore
del giorno, dando un saluto anche alla mia famiglia
in vestaglia.
Salutammo i miei genitori e scendemmo con tanto
entusiasmo.
Quando mettemmo in moto il camper, Chiara mi chiese:
"Elena, hai preso tutto?".
"Sì, perchè?" risposi.
"Sicura? Non t'ho vista scendere con le mani piene".
Pensai per 5 minuti con lo sguardo nel vuoto, poi
capii: "Uh cavoli, la valigia!" ecco cosa avevo
dimenticato.
Salii a casa velocemente, dove trovai i miei con la
valigia ad aspettarmi fuori alla porta: "Sempre la
solita storia!" sorrisero, divertiti.
"Scusate, ma è l'emozione!" esclamai affannosamente
per aver fatto le scale di corsa. E così cominciò il
viaggio.
Arrivammo a Milano in preda al totale
disorientamento, poiché non sapevamo neanche quale
strada prendere, né dove andare esattamente per
raggiungere l'agenzia "The style".
Intanto, ci fermammo affianco ad un pub a prendere
qualcosa. E, nel sederci presso un tavolino,
sbuffammo delusi.
"Quindi, che facciamo, torniamo a casa?" chiesi in
preda allo sconforto.
"Penso proprio di sì. Che sciocchi … ci siamo
illusi!" disse Gian e Chiara concordò.
Dopo aver pagato il conto, arrivammo all'uscita,
quando ci scontrammo con un uomo che fece cadere la
mia borsa con la sua. Chiesi scusa, non avendolo
guardato neanche in viso e presi subito la borsa da
terra.
Quando poi ci mettemmo in moto col camper, ci
accorgemmo che non c'era più neanche benzina. Ci
mancava solo quello!
Eravamo disperati e, nel momento in cui cercai di
chiamare qualcuno, aprii la borsa, ma mi accorsi che
non era la mia. Era colma di documenti, oltre ad un
cellulare, un album di modelli di vestiti ed
un'agenda.
Iniziò a salire il panico. Scesi dal camper ed
entrai di nuovo al pub per chiedere delle
informazioni, poiché mi ero scontrata poco prima per
strada con un uomo col quale avevo abadatamente
confuso la borsa con la mia.
Mi chiesero di descriverlo, ma era difficile farlo,
poiché non lo avevo visto in viso. Che sfortuna
ebbi! Sarebbe stato meglio se non mi fossi mossa da
casa!
Si fece sera, e ancora non trovammo soluzione.
Quando squillò il cellulare contenuto nella borsa di
dell'uomo misterioso.
Vidi il numero sul display e notai che era il mio
numero. Risposi e sentii la sua voce scusarsi per
aver preso per sbaglio la mia borsa, poiché era
identica.
Mi comunicò che sarebbe venuto, in breve tempo, a
riprenderla nello stesso posto in cui ci eravamo
scontrati e, inoltre, si disse interessato a
parlarmi.
Dopo 15 minuti vedemmo avvicinarsi un uomo verso di
noi che mi chiese se ero Elena. Feci un cenno con la
testa.
Si tolse gli occhiali da sole e scoprimmo che si
trattava di Mario Bronzi in persona!
Gli occhi miei e quelli dei miei amici, si aprirono
come quelli dei gufi, poiché eravamo increduli di
avere davanti il nostro idolo.
Rimanemmo in silenzio, sperando che non fosse una
semplice allucinazione. Staccò la spina del silenzio
Gian, chiedendo se fosse l'autentico Mario Bronzi.
L'uomo rispose con un sorriso e con un cenno: "Ho
visto i tuoi disegni, Elena. Sono favolosi,
complimenti. Sei interessata ad entrare nella mia
agenzia? Ovviamente, se anche loro sono bravi …
perchè no? Formerete un'ottima squadra!".
"Noi siamo prontissimi!" rispondemmo tutti in coro
entusiasti.
"Io sono portata come fotomodella e cucito!" disse
Chiara.
"Io con le foto. Ho fatto una scuola specializzata
proprio per questo settore!" esclamò Gian.
"Bene ragazzi, allora domani mattina all'Agenzia
Style. Lo sapete dove si trova, giusto?" chiese.
"No, purtroppo … non siamo della zona. E, inoltre, è
finita pure la benzina, siamo a piedi!" dissi.
Lui ci guardò, girandosi verso l'auto con cui era
venuto accompagnato da suo agente e aggiunse: "Beh
ragazzi … sarete ospiti a casa mia. E domani
mattina, porteremo la benzina a questo bel camper.
Okay?".
Sorridemmo, ancora increduli.
Così, fummo ospiti a casa di Mario Bronzi e il
giorno seguente portammo benzina al nostro camper.
In seguito, andammo all'agenzia.
Compilammo un modulo d'iscrizione all'agenzia per
potervi lavorare e ci tenemmo uniti e contenti.
Finalmente il nostro sogno stava diventando realtà.
Passarono 15 giorni da quel momento.
Tutti i colleghi dell'agenzia tornarono dalle
proprie vacanze "vip" e, nel vedermi, cominciarono a
commentare amaramente: "Me l'aspettavo meglio"
mentre altri ridevano di sottecchi e altri ancora
iniziarono a sbirciare tra i miei capi
d'abbigliamento.
Proprio quel giorno conobbi Eugenio Bronzi, il
figlio di Mario. Bellissimo. Al punto che tutte le
segretarie e modelle dell'agenzia erano ai suoi
piedi.
Quando ci fu la stretta di mano, mi persi nei suoi
occhi color azzurro ghiaccio. Mi bloccai per un
attimo, poiché in quell'azzurro ritrovai il
bellissimo paesaggio del Trentino.
Sembrava un ragazzo molto simpatico, ma non mi sarei
mai potuta dire "un suo tipo".
In seguito conobbi il secondo socio dell'agenzia, la
sorella di Mario, Veronica. Tutti dicevano che era
una persona cattiva ed egoista. Offendeva facilmente
i suoi colleghi.
Quando mi conobbe, subito si apprestò a chiedere:
"Tu saresti quella famosa neostilista?" senza
stringermi neanche la mano.
"Sì, sono io, piacere." sorrisi.
"Mmm … mamma mia, tesoro, hai mai visto un negozio
d'abbigliamento? Da dove vieni?" commentò nel
guardarmi da capo a piedi.
Mi offesi e a stento risposi: "Da Trento".
"Beh … Heide aveva più gusto di te nel vestirsi!"
esclamò con ironia, per poi proseguire: "E quei
capelli? E gli … occhiali?" chiese ancora,
sospirando, in modo quasi infastidito.
"Veronica, la vuoi smettere?" s'intromise, invece,
con gentilezza il fratello Mario. Ma la donna non
rispose. Rimase col suo viso da superba e se ne
andò.
Mario mi chiese scusa per il comportamento della
sorella, dicendo che era così con tutte. Ma non
volevo le sue scuse, piuttosto quelle di Veronica in
persona.
Il peggio? Eravamo anche vicine di studio e
approfittava spesso della mia bontà e pazienza. Mi
chiedeva spesso di farle delle commissioni da
"inserviente", del tipo … "Portami caffé, cornetto e
riviste moda!".
Era diventata fin'anche un'abitudine, ad un certo
punto.
Non ero più un'apprendista-stilista, ma la sua
segretaria. Ci sarebbe mancato solo che mi avesse
chiesto di rispondere alle sue chiamate in studio,
quando non ci sarebbe stata!
Intanto, il lavoro procedeva bene insieme ai miei
amici, anche se le prese in giro da alcuni colleghi
non si risparmiavano.
A inizio Ottobre avemmo il compito di organizzare un
set fotografico ed una sfilata per la collezione
Autunno - Inverno da portare a termine entro il 25
del mese.
Il gruppo "C.G.E." soprannominato così da noi per
usare le nostre stesse iniziali e da alcuni
colleghi, si mise subito all'opera per preparare la
sfilata più bella di tutti.
Arrivò il giorno che precedette la sfilata e tutto
era pronto ma, accadde qualcosa.
Quella mattina, gli abiti erano tutti nel mio
studio. Ne presi uno a caso e lo indossai, per poi
specchiarmi. Mi stava d'incanto.
Avevo in mano un bicchiere di cioccolata calda che,
nel voltarmi, si rovesciò sull'abito.
Il vestitino da che era un misto tra argento e
bianco, diventò una grossa macchia marrone. L'unica
soluzione sarebbe stata quella di portarlo in
lavanderia immediatamente, sperando che sarebbe
potuto tornare tra gli altri pronto ed asciutto per
il giorno seguente.
Lo portai subito in lavanderia, senza dar occhio ai
miei colleghi e, tanto meno, a Chiara. Se fosse
venuta a sapere una cosa de genere, malgrado fossimo
grandi amiche, mi avrebbe ammazzata!
Passarono un po' di ore dalla mia consegna. Attesi
ansiosamente in lavanderia che il vestito tornasse
quello di prima, poiché mi dissero che avrei potuto
aspettarlo il giorno stesso per il ritiro.
Quando me lo consegnarono, però, notai che non era
più argento e bianco, ma tra il rosa ed il fucsia.
Chi l'avrebbe detto a Chiara?
Tornai allo studio ad un orario tardo, quando ormai
non c'era più nessuno, poiché era l'ora di chiusura
dell'agenzia.
Ma entrando nel mio studio, notai che c'era Chiara
ad aspettarmi. Probabilmente, doveva aver notato da
subito l'assenza di un abito. Infatti, mi chiese
dove fosse l'abito argento e bianco al quale avrebbe
voluto fare un piccolo ritocco.
Balbettai. Non sapevo cosa dire e soprattutto come
affrontare l'argomento.
Avevo l'abito in una busta che sorreggevo con la
mano destra e tremavo al pensiero che,
probabilmente, non sarebbe più servito neanche per
essere indossato.
Chiara mi chiese, ad un certo punto, cosa ci fosse
nella busta che portavo. Tremai, ma le mostrai
l'abito dicendo con voce roca: "Chiara … è stato un
incidente. Davvero scusa, perdonami!" terminai con
un tono quasi implorante.
La mia amica non parlò. Aveva gli occhi spalancati,
la bocca aperta e il corpo rigido. Di sicuro, non
respirava nemmeno più!
"Com'è successo?" mi chiese, ad un certo punto, con
un filo di voce.
"Inutile raccontarlo. Sono una frana. La peggiore
amica che hai. Sono una stupida!" abbassai il capo e
feci scendere alcune lacrime.
Non rispose, ma mi abbracciò: "Tu non sei stupida.
Sei la migliore amica che ho. Sei fantastica così
come sei. Ma ora … cosa facciamo?" chiese, dandomi
dei colpetti dietro la schiena.
Arrivò il giorno della sfilata. Le nostre modelle
erano pronte. Prima della sfilata, fu allestito
anche un grande buffet per festeggiare l'evento.
Alla sfilata arrivarono anche i miei genitori e mio
fratello.
Sembrava che tutto andasse per il verso giusto, fino
a quando alcune modelle ci dissero: "Ci dispiace
ragazzi, ma ..." s'interruppe una di loro,
portandosi una mano sulla bocca ed un'altra continuò
la frase: " … Elena, stiamo malissimo!" esclamò,
massaggiandosi la pancia.
Le chiesi cosa avessero mangiato e risposero dei
pasticcini che aveva offerto loro Veronica di
nascosto, rassicurandole che nulla sarebbe accaduto,
se avessero solo "assaggiato" qualcosa.
Capimmo subito che Veronica ne aveva fatta una delle
sue, per gelosia. E in quel momento, come avremmo
trovato di punto in bianco altre modelle per la
sfilata?
Ma mi venne un'idea: scegliere alcune ragazze tra
gli invitari. Ragazze dall'aspetto dignitoso e
longilinee, possibilmente.
Riuscimmo a prenderne ben otto. Entrammo nel
backstage e chiedemmo loro di indossare i nostri
abiti per sostituire delle modelle che si erano
sentite male improvvisamente e non avrebbero potuto
sfilare. Accettarono, piacevolemente sbalordite ed
iniziammo a prepararle.
Cominciammo con il make-up e l'acconciatura, nella
speranza che gli abiti e le scarpe calzassero loro
nel modo giusto, poiché le taglie che avevano non
erano le stesse delle modelle.
La sfilata iniziò.
Entrarono in scena le prime: sfilarono alla grande,
senza dare nell'occhio al pubblico e ai giornalisti.
Ma poi accadde che la terza ragazza, nel camminare,
cominciò a tremare e a reggersi a stento sui tacchi
troppo alti, così prese una storta e cadde, ma per
fortuna riuscì ad alzarsi.
La quarta ragazza, invece, era troppo rigida, come
se trattenesse la pancia. Infatti, quando arrivò
alla fine della passerella, facendo il giro per
tornare indietro, strappò l'abito che indossava,
partendo dalla schiena fino al suo fondo e fuoriuscì
la sua parte intima, che lasciò intravedere la
biancheria usata.
Sentivo il pubblico che rideva e me ne dispiaceva.
Notai soprattutto Veronica godere di quelle
disavventure nel corso della sfilata e mi fece
rabbia.
In seguito un'altra ragazza sfilò con l'abito che
avevo portato in lavanderia.
"Oh … no, cavoli, ma è scema questa? Chi l'ha fatta
sfilare con quel vestito?" chiese dietro le quinte a
qualcuno di non ben definito che non rispose.
Chiara mi guardò per dire: "Ma non lo avevamo
buttato?", poi attese il ritorno della ragazza che
aveva sfilato, poiché non ricevette alcuna risposta
e le chiede dove aversse preso il vestito e chi le
avesse detto di indossarlo per sfilare.
La ragazza rispose: "Veronica me l'ha dato dicendo
che era un'idea realizzata insieme a voi". Ma ormai
era cosa fatta.
In seguito chiesi a Chiara la cortesia di sfilare al
posto di una ragazza, ma si oppose, dicendo che era
portata solo come fotomodella e che non era una
"mannequin", che non sapeva sfilare. Ma la convinsi,
facendole capire la situazione nella quale eravamo.
Salì così in passerella. Era ansiosa, ma seppe
nascondere bene il suo stato d'animo e lo fece con
un sorriso elegante.
Sfilò benissimo ma, arrivata quasi al termine della
pista, sopraggiunse mio fratello piccolo da dietro
le quinte a tirarle delle palline colorate che
Chiara, colta d'improvviso, non vide e cadde.
Conclusione? La sfilata era ufficialmente terminata
con un voto: "disastro in assoluto". Voto peggiore
non esisteva.
I giornalisti attaccarono l'evento come tra i
peggiori a cui avevano assistito nel corso dell'anno
al punto da farmi sentire ancor peggio.
Mario si dirisse verso di noi, facendo allontanare i
giornalisti. Ci portò al suo studio e disse:
"Ragazzi, sono molto dispiaciuto. Deluso. Non mi
aspettavo tale risultato proprio da voi … da tutti,
ma non da voi. Siete una squadra perfetta, non so
cosa vi sia successo!" esclamò.
Non rispondemmo. Avevamo le teste abbassate. Non
avevamo altro da aggiungere.
Nello studio, c'era anche Eugenio che cercò di
allegerire la situazione: "Dai papà, non diamo
subito la colpa a loro. Qua c'è qualcosa sotto.
Perché ho visto il loro lavoro nei giorni scorsi e
proseguiva alla grande. Un qualcosa deve pur esser
successo se il risultato non è stato quello che ci
si aspettava!".
"Infatti Eugenio, non sto dicendo che la colpa è la
loro. Ma … chi l'avrebbe fatta una cosa del genere?
E' così stupido e immaturo quel che è accaduto!"
esclamò.
Avrei voluto dirgli che in parte la colpa era stata
di sua sorella, ma non risposi nel timore di non
esser creduta. Dopotutto, chi ero io? Solo
un'estranea che avrebbe incolpato una persona che
apparteneva alla sua famiglia.
"Qualcuno che ci odia, ovvio!" esclamò Gianpiero per
poi aggiungere: "O meglio ... parecchi o qualcuno in
particolare." commentò, infine, gettando uno sguardo
truce verso il portafoto appoggiato alla scrivania
di Mario che era stato fotografato con sua sorella
Veronica.
Diedi una gomitata a Gianpiero per fargli capire di
farla finita.
"Va bene, ragazzi. Oggi è andata così. Tenetevi
pronti domani mattina. I giornalisti saranno in
agguato per offendervi!" disse alzandosi dalla
poltrona ed accompagnandoci alla porta.
"Scusa, Mario … ho rovinato tutto." dissi
rincresciuta e con lo sguardo ancora basso.
"Elena, ti dico solo questo: sei una delle migliori.
E so certamente che è opera di qualcuno. Non ti
demoralizzare. Anch'io ho avuto degli sgambetti in
passato … e anche peggiori" sorrise ed aggiunse:
"Vedrai che tu ed i tuoi amici arriverete lontano.
Non arrenderti per colpa degli altri, poiché è
questo che alcuni di loro vorrebbero!" terminò,
accarezzandomi il capo.
Sospirai: "Okay … lo farò!" e ritornai con lo
sguardo verso il basso. Quelle parole mi fecero
tranquillizzare, prendere un po' di coraggio, ma non
troppo. Stavo troppo a pezzi.
Eugenio ci accompagnò a casa.
Ero seduta affianco a lui e, una volta arrivati,
prima di scendere dall'auto mi afferrò il polso e
disse: "Ehi! Lo so che è stata mia zia Veronica. Ti
dico solo questo: non fare che per colpa delle sue
cattiverie, tu chiuda con i tuoi sogni nel cassetto!
Nel tempo, ci sarà sempre qualcuno che vorrà il male
dei tuoi sogni, ma questo non capita solo a te, ma a
tutte le persone che sognano. Pensa che anche con me
l'ha fatto e lo fa ancora!" rise, facendomi
sorridere a mia volta.
"Grazie Eugenio … sei un amico" risposi riconoscente
per quelle sue parole.
Salendo in casa mi sentivo più serena. Era un amico.
Già, ma quella parola stordiva. Per lui ero un'amica
e per me un amico, ma dentro me … era qualcosa di
più. Un traguardo impossibile da raggiungere. Mi
sentivo come una ranocchia, mentre lui era il
Principe. E, guarda caso, solo nelle favole accade
che s'innamorano.
La giornata che seguì fu terribile. I giornalisti si
scatenarono sulle riviste di gossip e moda, mi
avevano soprannominata "La stilista imbranata".
Ormai anche camminare per la strada significava
camminare sui carboni ardenti a piedi nudi. La gente
rideva di sottecchi, mi prendeva in giro, diceva di
tutto. E non certo per la sfilata, piuttosto per il
mio aspetto! Dopotutto, una persona "trasandata"
come me come avrebbe potuto occuparsi di "moda"?
E parlando di aspetto, si avvicinò il giorno di
Halloween. Non ebbi bisogno di travestirmi. Ero già
un mostro di natura. Infatti, tanto gentili e
premurosi, alcuni dei miei colleghi, avevano
attaccato al muro del mio studio un foglio con
scritto "Buon Compleanno! Speriamo tu lo possa
passare "da paura" ... da parte dei tuoi cari e
bellissimi colleghi, un bacio!".
Lo staccai dal muro strappandolo in mille pezzi e,
socchiudendo la porta dello studio, iniziai a
piangere.
Eugenio vide tutto: "Ehi" sussurrò entrando senza
bussare: "Lascia stare ...".
"Ti prego … voglio stare da sola … non ce la faccio
più!" dissi singhiozzando tra le lacrime, quando
sentii un forte calore che mi avvolgeva attorno.
Erano le sue braccia, mentre le sue mani
accarezzavano i miei capelli. La sua camicia si
bagnò con le mie lacrime come se fosse stato un
fazzoletto.
Quella sera stessa, c'era una festa. Ma non volli
partecipare. Quindi, restai a casa a festeggiare da
sola.
Chiara e Gianpiero andarono alla festa, perché li
costrinsi, ma ritornarono a casa dopo un'oretta,
dicendo che non si stavano affatto divertendo,
perché mancavo io … la matta del gruppo.
Meno male che avevamo tre giorni di ferie! E quei
tre giorni, li passai sempre a casa.
Ma trascorsero troppo velocemente.
Non avevo voglia di andare a lavoro e, infatti,
escogitai un piano. Feci finta di avere già un po'
di mal di gola e tosse la sera prima di rientrare a
lavoro. Poi, andando all'agenzia, avrei finto che il
mio stato di salute fosse peggiorato, con un
raffreddore e dei brividi. Quindi influenza!
Vedendomi in quel "finto stato" mi consigliarono di
tornare a casa e presi una settimana in malattia.
Recitai tanto bene che ci credettero anche i miei
amici. Non ero contenta di ingannarli, perché non lo
meritavano a causa di un capriccio.
Però, avrei lavorato lo stesso a casa. Disegnavo i
modelli, mentre Chiara li avrebbe portati nello
studio di Mario a mostrarli poi cuciti e Gianpiero
avrebbe fatto da fotografo alle modelle dei miei
abiti.
Tutto sommato, il lavoro lo svolgevo, anche se da
casa.
Ma, come sempre, anche quella settimana passò e
chiesi altri tre giorni cautelativi per il timore di
una "finta" ricaduta.
In seguito, organizzai anche un altro piano: far
finta di essere caduta dalle scale ed essermi fatta
male ad un ginocchio e ai piedi.
Quel piano riuscì alla perfezione. Un medico al
quale chiesi la cortesia di aiutarmi, mi fasciò un
piede ed un ginocchio. Gli diedi dei soldi, perché
solo privatamente sarei riuscita a trovare qualcuno
che assecondasse le mie richieste.
Quindi … finchè non fossi guarita del tutto, la
gente sapeva che non sarei potuta tornare al lavoro
in agenzia.
Chiara e Gianpiero, però, a quel punto, non si
fecero sfuggire la bugia dalle mani. Capirono.
Fecero tutto di nascosto per scoprire il mio piano.
Quando avevano detto che sarebbero scesi, in realtà
si erano nascosti per spiarmi ed io, scema, a casa
mi comportai come se nulla fosse, spostandomi in
cucina come la persona sanissima che ero.
"Ti abbiamo beccata!" esclamarono quasi in coro,
incrociando le braccia.
Li guardai sorpresa e balbettai con una finta
risata: "Eh … ragazzi, cercate di capirmi, io … " ma
non avevo parole per giustificarmi.
Allora raccontai tutta la verità. Mi compresero ma,
allo stesso tempo, mi fecero capire che non avrei
potuto continuare in quel modo.
"Come ti farai una famiglia?" mi chiese Chiara.
"Perchè sei tanto sicura che mi faccia una
famiglia?" le risposi.
"Perché? Non ne vuoi una?" mi chiese Gianpiero.
"Certo che ne voglio una, ma … siete tanto sicuri
che riuscirò a trovare l'uomo della mia vita? Che mi
amerà? Che non dovrò accontentarmi del primo che mi
capita, solo perché nessuno mi vuole!" esclamai
sbuffando e proseguii: "Pensa che pure i vecchi mi
evitano!" terminai.
"Non dire sciocchezze. Lo troverai. Mettiti con
Eugenio!" disse Chiara ridacchiando con Gianpiero.
"Ha ha … spiritosi!" ribattei con una smorfia:
"Proprio lui poi … l'impossibile avete nominato!".
"Tesoro, niente è impossibile se lo si vuole per
davvero!" mi disse Gianpiero.
Ma che cavolo capivano? Loro erano belli, mentre io
…
Chiesi loro la cortesia di farmi restare un altro
paio di giorni a casa. Sarei uscita di sicuro, ma in
quel momento, ancora non me la sentivo.
Acconsentirono, a patto che si sarebbe trattato solo
di un altro paio di giorni.
E in quei giorni venne a trovarmi a casa Eugenio.
Che sorpresa! Restava anche interi pomeriggi a casa
a lavorare al mio fianco.
Ma, alla fine, gli usciva sempre la solita frase:
"Sei davvero un'amica". Non sopportavo che lo
dicesse. Avrei preferito mille volte che mi avesse
chiamata "Brutta!" piuttosto che "Amica"!
Una sera poi venne a trovarmi a casa Mario: "Ehi,
Elena come va ora?" mi chiese.
"Bene, grazie. E a te con l'agenzia?" risposi per
passare anche ad un altro argomento.
"Bene, anche se ci manchi".
Staccai lo sguardo: "Sì … alcuni però ...".
"Elena, sai che scappare dalle paure e dal giudizio
della gente, non serve a niente? E tanto meno
restare chiusi in casa facendo il colore alle
quattro mura che ti circondano?". Non risposi.
"Ieri l'influenza. Oggi la rottura. Domani chi lo
sa. Credi che il mondo possa cambiare in senso
positivo o, tanto meno, la gente? Aspetti questo? Mi
dispiace, allora, perché stai aspettando
inutilmente. Stai aspettando l'impossibile. Devi
reagire! Non puoi chiuderti in casa per colpa dei
giudizi altrui, perché quelli ci saranno sempre.
Anche se fossi stata la persona che avresti sognato
di essere, avresti ricevuto critiche e giudizi,
fidati!" terminò.
"Invece no!" sbottai, stufa, io.
"E invece sì!" mi rispose subito lui: "Devi imparare
a combattere. Devi formarti uno scudo protettivo. E
il tuo scudo protettivo non si forma restando chiusi
in casa! Ti diranno di cambiare? Tu fai modifiche.
Ti diranno di arrenderti? Tu combatti ancora di più.
Ti diranno che sei inutile? Fatti rendere utile con
onestà. Ti diranno che i sogni non esistono?
Dimostra che i sogni si realizzano. Ti diranno che è
impossibile? Dimostra che l'impossibile è solo
l'aggiunta dell'im da persone del passato, le stesse
che sono state negative con sé stesse e con gli
altri".
I miei pensieri, le mie paure, tutto svanì in quel
momento, ma non perché fosse passato con la
bacchetta magica, ma perché quelle parole mi avevano
portato ad una confusione mentale.
Non sapevo dare alcuna risposta. Come se non sapessi
parlare la sua stessa Lingua. Non riuscii a trovare
le parole giuste per rispondere. Proprio perché non
conoscevo neanche una parola di quella Lingua.
Eppure era la stessa della mia.
"Come fai a sapere che … era tutta una finzione?
Come fai a sapere sempre tutto? E a trovare le
parole giuste, per dare forza?" gli chiesi.
"Elena … "sospirò per poi aggiungere: "Non è
difficile comprendere le persone. Basta guardarle
negli occhi. Basta capire il loro comportamento. Non
c'è bisogno di conoscere una persona per tanti anni
per capire il suo comportamento. Basta anche un
attimo. E poi le parole giuste non esistono. Ogni
parola è quella giusta se è detta col cuore in
mano".
"E le parole cattive?" gli chiesi allora: "Quelle
rovinano la mente degli esseri umani. Fa più male
una parola di un gesto, anche di uno schiaffo o di
qualsiasi atto di violenza carnale. E lo sai perché?
Perché hanno toccato esteriormente ed è facile
sconfiggere la paura. Ma quando ti colpisce
interiormente, soprattutto il cervello, dopo diventi
incurabile. E dopo? Si diventa pazzi e per colpa di
chi? Delle parole cattive!" continuai: "Perchè è più
facile pensare al male che al bene? Perché il male
riesce a penetrare con facilità, mentre il bene no?
Perché non potrebbe essere il contrario?".
Lui fece un cenno con la testa e poi mezzo sorriso:
"Elena … allora, perché lasciate che vinca il male
se volete il bene? Perché il male è più forte del
bene? No … non è così. Perché vi lasciate
influenzare, ecco! Se siete più svegli, state certi,
che nessun male, potrebbe riuscire a farvi cambiare
idea. Nessun male farà di voi il male. Perché se
avete l'amore, il bene, già sarà un arma potente,
uno scudo potente, per sconfiggere il male. E poi
c'è anche un'altra arma, piccola, ma potente."
"E qual è?".
"Il sorriso! Qualsiasi sorriso … non importa se
bello o brutto, con i denti storti o dritti, non ha
alcuna importanza. Quel che conta è sorridere".
Non parlai. Ma che cosa stava succedendo? Mai
nessuno mi aveva detto parole del genere. Nemmeno i
miei genitori. Quelle parole mi avevano stravolta.
Guardò l'orologio sul polso e disse: "Va bene,
Elena. Io vado. Mi raccomando, torna presto in
Agenzia. Prima torni e meglio è!" disse
avvicinandomi e dando un bacio sulla fronte.
Quando Mario se ne andò, i miei amici entrarono in
camera, dicendo che avevano ascoltato tutto e anche
loro avevano la testa stravolta. Mario aveva detto
cose molto saggie.
Non dormii tutta la notte. Sentivo ancora le parole
di Mario. Ma una risposta a come dovevo combattere
contro le persone e le parole cattive ancora non
l'avevo trovata. Come potevo combattere senza far
del male? Ad ogni combattimento, c'è sempre una
ferita. Ed io, non volevo lasciare né male e né
ferita. Preferivo farmi male io, piuttosto che
ferire gli altri, anche se loro, lo facevano senza
scrupoli.
Passarono due giorni, quando Chiara mi svegliò
dicendo:"Sveglia dormigliona. Oggi ho preso un
giorno libero. E questo giorno libero sarà pieno
d'impegni divertenti per noi".
"Quali sarebbero?" chiesi assonnata, mentre mi
nascondevo sotto la coperta e il cuscino.
"Per prima cosa" tolse il cuscino: "Sveglia! E
seconda ..." togliendo la coperta: "Vestiti e fai
presto!" e andò in cucina a preparare la colazione.
Uscimmo di casa e le chiesi dove mi volesse portare.
"E' giunta l'ora finalmente, no?" disse sorridente.
"E' giunta l'ora per cosa?" le chiesi, ma non
rispose.
Mi portò dal dentista. Aveva prenotato una visita un
paio di giorni prima per farmi togliere
l'apparecchio. Infatti, che lo ricordassi o meno,
era giunta l'ora di toglierlo!
Dopo un'oretta e mezza, Chiara mi disse, prendendomi
sotto il braccio: "Ora … in farmacia a prendere le
lenti a contatto!". E fuori anche gli occhiali!
Già mi sentivo un'altra persona … ma in senso
positivo.
"E ora?" le chiesi.
"Parrucchiere, tesoro! Un bel taglio scalato ... e
sarai una favola!" esclamò sempre sorridente.
Uscite dal parrucchiere, andammo a mangiare in un
pub e … che cosa avrei dovuto fare d'altro? Ah … sì,
shopping per rinnovare l'armadio!
Trascorsi una bellissima giornata con Chiara.
Diversa dalle altre e soprattutto, diversa anche
esteriormente.
Quindi il giorno seguente avrei fatto ritorno
all'agenzia, e che ritorno!
Indossai un vestitino non troppo corto. Nero,
semplice, a maniche lunghe e un po' scollato.
Decoltè e tacco 7 centimetri. Capelli sciolti.
Trucco semplice e nuova borsa.
Sembravo un'altra persona, irriconoscibile per gli
altri. Infatti, quando diedi il buongiorno a tutti,
la segretaria, mi trattò come se fossi una ragazza
che cercava lavoro: "Buongiorno. Ha per caso
appuntamento con Mario Bronzi?" mi chiese.
Risi: "Stefania non mi hai riconosciuta?" le
risposi.
Lei alzò lo sguardo e mi guardò perplessa: "Oh mio
Dio. ELENA?" disse, alzando la voce.
"Esatto!" risposi con un sorriso timido.
Tutti si alzarono per potermi guardare.
"Che è successo?" sentii la voce di Mario sempre più
vicina.
Mi voltai verso lui che disse: "Oh mio Dio …
Elena?".
"Sì" sorrisi.
"Complimenti, sei bellissima!" esclamò compiaciuto.
"Grazie ai tuoi consigli. Sai … se ti dicono di
cambiare, tu modifichi. In realtà, mi sento la
persona di sempre e non voglio cambiare, solo
modificare, ma in meglio!".
"Brava, Elena. Benvenuta di nuovo fra noi!" sorrise
e mi abbracciò proseguendo: "Dai, che ci fate tutti
qui? A lavoro, su!" incitò Mario rivolgendosi ai
colleghi.
Eugenio si avvicinò a me, facendomi battere forte il
cuore: "Wow … Elena … spero solo che tu non sia
diventata antipatica!" esclamò sorridendo.
"In che senso? Perché?" chiesi.
"Perché la maggior parte delle belle ragazze e di
quelle che si trasformano in meglio diventano
egoiste ed antipatiche" rispose.
Sorrisi e sussurrai: "Shhh … sono solo modifiche
queste. Ma dentro, c'è sempre Elena, la vecchia
Elena che non cambierà mai".
"Ah … meglio così, altrimenti mi avresti fatto
preoccupare!" rise ancora.
Trascorsero giorni più sereni. Non c'erano più prese
in giro e men che meno Veronica nei dintorni.
Inoltre, una mattina, Eugenio mi chiese se per la
sera sarei stata impegnata, poiché mi voleva portare
a cena fuori. Accettai con piacere.
Quando tornai a casa, raccontai tutto a Chiara e ci
mettemmo a saltare come due bambine sul lettone.
Con Eugenio ci frequentammo per un paio di giorni,
uscendo con i suoi e i miei amici. Fino a quando,
una sera di inizio Dicembre, con l'aria natalizia
nell'atmosfera, andammo a pattinare sul ghiaccio.
Tra una caduta e l'altra, una spinta e una risata,
arrivò un bacio inatteso.
Quella sera ci fidanzammo. E lo scoop arrivò presto
anche alle redazioni di tutte le riviste di moda.
I titoli pubblicati dicevano che non ero più:"La
stilista imbranata" o "Il brutto anatroccolo", ma
decantavano: "Il brutto anatroccolo si è trasformato
in un bellissimo cigno" o "La bellissima fata
stilista".
La gente cominciò a chiedermi autografi e foto. Mi
guardavano tutti ammirati. Tutto era cambiato.
Che strano. Eppure, non mi sentivo cambiata. Ero
sempre la stessa Elena. Ero cambiata esteriormente
solo per la gente.
Non voglio dire che dobbiamo essere belli per essere
accettati, ma credo che la bellezza stia in ognuno
di noi e a volte la nascondiamo facilmente con una
"brutta maschera". Se proviamo a toglier via la
maschera, ci si ritroverà cambiati esteriormente, ma
non interiormente, soprattutto quando si ha già un
buon carattere.
In conclusione: ti diranno che è impossibile?
Dimostra che l'impossibile è solo l'aggiunta dell'im
da persone del passato che sono state sempre
negative con sé stesse e con gli altri. Se hai un
sogno … allora, è già una realtà!
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