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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Il cacciatore di
Riccardo Lupo, Il
brutto sogno della contessa Carafa di
Giuseppe C. Budetta,
Un lungo 5 maggio nel cuore della vita di
Salvatore Gurrado
Poesia italiana
Recensioni
In questo numero:
- "Sempre ad est" di Massimo Acciai,
recensione di Lorenzo Spurio
- "La metafora del giardino in letteratura" di
Lorenzo Spurio e Massimo Acciai
- "Graffio d'Alba" di Lenio Vallati, nota di
Massimo Acciai
- "Cassa integrazione guadagni… la mia è
straordinaria" di Antonio Capolongo
- "Le avventure di Luchi e Striche" di
Francesco Vico
- "Qualcosa che non c'è" di Maria Gioia Spano,
recensione di Emanuela Ferrari
- "Il troppo" di Giuseppe Rensi, recensione di
Emanuela Ferrari
- "L'invasione degli storni" di Roberto Mosi
Articoli
Interviste
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Il brutto sogno della contessa
Carafa
Carl Gustav Jung affermò che i
sogni premonitori esistono. La giovane contessa
Carafa fece un brutto sogno nella notte tra il 18 e
19 marzo dell'anno 1880. Sognò che l'amante stava
affogando e che lei non riusciva a salvarlo. La
contessa aveva pianto per quasi tutta la notte.
Verso il mattino era riuscita a prendere sonno, ma
la mente si era immersa negl'incubi. Nel mondo
onirico che emergeva alla tormentosa coscienza, era
tirata di qua e di là da individui sconosciuti.
Svincolatasi, camminava timorosa all'ombra di alberi
forzuti e giganteschi, all'interno di una
interminabile foresta. Disperata, si era messa a
piangere. Dal cupo della foresta uscivano sibili
prolungati, miagolii, muggiti, terribili ululati e
latrati famelici di cani spersi e di lupi predatori.
In lontananza, i branchi dei lupi la fissavano con
occhi sanguinolenti. Una flebile voce umana si
udiva. Una voce che invocava aiuto. Girandosi, aveva
scorto che l'amante Ciro Esposito stava annegando in
un lago scuro, circondato da folta ramaglia, da
spine e da cupe tenebre. Lei era corsa ad aiutarlo e
cercava con un ramo di tirarlo fuori. Col ramo
cercava di estrarlo lui fuori dal gelido lago.
Tirava su con tutte le forze. Era disperata, ma non
sapeva a chi chiedere aiuto. Lui annaspava, chiudeva
gli occhi soffocando. Lei gridava, ma nessuno
accorreva. Nessuno udiva le disperate grida. Il
medico Ciro Esposito annegava. Sopra di lui l'acqua
si chiudeva, emergendo solo le dita che avevano
afferrato il ramo, offerto da lei nell'estremo
tentativo di tirarlo fuori. Lui annegava. Il ramo si
spezzava e lei cadeva a terra senza avere la forza
di potersi alzare. Tutto era perduto. Angoscia.
Scure tenebre nebbiose avvolgevano il bosco. Le
acque del lago avevano ingoiato il suo amante erano
calme a cancellare la terribile tragedia. Al sommo
della disperazione, la contessa si svegliò con un
grido. Era tutta sudata. Andò in toilette a lavarsi.
Tra i vetri, vide che era una giornata di sole. Il
tempo s'era calmato un poco anche se nel cielo
incombevano grosse nuvole e c'era vento che
sollevava sulla via, polvere e foglie morte.
Desolazione. Tristezza andante. Vita priva di ogni
significato. Vuota esistenza. Udì per le scale del
palazzo la serva che piangeva e parlava eccitata col
portiere. Sul ballatoio, lei chiese che cosa fosse
tuta quell'agitazione. La serva piangente e
singhiozzando le annunciò:
"Signora contessa, ieri sera sul tardi, mentre il
dottore Ciro Esposito rincasava a casa, gli hanno
sparato alle spalle un colpo di rivoltella."
"Cosa?"
"E' morto. C'è la polizia che indaga. Dicono che si
tratta di un delitto d'amore."
La contessa svenne all'istante.
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