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"Preghiera - un atto osceno".
Intervista a Margherita Ortolani, autrice e
attrice
Preghiera - un atto osceno, è
l'opera che è stata messa in scena allo Spazio
Tertulliano di Milano e che ha visto l'ottima regia
di Giuseppe Isgrò e le interpretazioni molto
coinvolgenti di Margherita Ortolani e di Vito
Bartucca. Margherita è anche autrice del testo,
dall'intensità esistenziale forte e incisiva: il
testo teatrale nasce, come dice la sua autrice, più
che da un'idea da un bisogno e vuole parlare dei
"momenti di lacerazione, incertezza e sconforto" di
una condizione, quale quella dell'esperienza della
malattia, che "dall'individuale può aspirare
all'universale". E' un racconto della volontà di
resistenza contro ogni forma che tende a portarci
alla perdita di sé, in una situazione che spesso si
tende a "nascondere o a ignorare, o a superare o a
dimenticare". Abbiamo intervistato Margherita
Ortolani, autrice e protagonista dello spettacolo.
1. Da dove nasce l'idea del testo e della
sceneggiatura dello spettacolo: ci sono elementi
autobiografici vissuti direttamente?
Un testo nasce da un'urgenza, prima che da un'idea.
Nel caso di "Preghiera" si tratta di un bisogno (non
autoreferenziale) di scolpire, in tutta la loro
forza poetica, momenti di lacerazione, incertezza,
sconforto, se vogliamo, ma anche rinascita e volo…
momenti che, nella vita quotidiana, si tende a
nascondere o a ignorare, o a superare o a
dimenticare.
"Preghiera" è stato immediatamente pensato per la
scena: la malattia che, sia in senso stretto che in
senso lato, è oggetto dello spettacolo, è un tema
fortemente teatrale e teatralizzabile, non per la
componente patetica, ma per la sua dirompenza
politica, di innesto e di svelamento di una
condizione che dall'individuale può aspirare
all'universale. Gli elementi autobiografici che sono
presenti nel testo sono un viaggio di andata e
ritorno nell'onestà, "l'onestà di essere svelati"
come recita la sinossi dello spettacolo, l'onestà di
scrivere di ciò che si é attraversato profondamente
fino alle viscere (non c'è altro modo di scrivere) e
l'onestà di prenderne le distanze per esserne
nuovamente attraversati nel portarlo in scena.
2. Quale è stato il lavoro di preparazione della
rappresentazione?
Ti dico subito che la parola "rappresentazione" non
mi piace, perché sa di vecchio, è un po' polverosa,
e forse la meno adatta a "Preghiera" che non vuole "ra
- ppresentare" qualcosa, neanche "ri - presentarla",
ma attraversarla come dicevo sopra.
Detto questo, il lavoro è stato quello di sempre: la
scrittura del testo é durata circa nove mesi, verso
il sesto mese ho aperto il lavoro a Giuseppe (Isgrò)
e gli ho chiesto se voleva curarne la regia.
Contemporaneamente é iniziato il processo di
ragionamento con Francesca Marianna Consonni (la
nostra dramaturg), cioé tutto quel lavoro
preziosissimo dentro ed attorno al testo ed alla
scena, in cui Francesca ci guida: diciamo che se il
lavoro fosse un albero di limone Francesca sarebbe
il giardiniere che fa gli innesti. Poi, il lavoro di
sound - design di Giovanni (Isgrò).
L'eccezionalità di questo processo di creazione
consiste nel fatto che Preghiera è stato co-prodotto
dal Teatro Garibaldi Aperto di Palermo, il teatro
che per diciotto mesi è stato riaperto da un
collettivo di operatori dello spettacolo.
L'occupazione oggi è conclusa, ma "Preghiera" ne
porta (fortunatamente) i segni: innanzitutto
l'elemento di co - produzione verteva non su un
aspetto economico, ma su una componente di
condivisione e scambio di competenze tra Palermo e
Milano, e questo ha innescato una serie di
relazioni, che nella loro forma più autentica, sono
destinate a proseguire, ma, soprattutto, la
ricchezza infinita di allestire, montare e debuttare
in un teatro bellissimo quale è il Teatro Garibaldi
lascia delle tracce indelebili (nel bene e nel male)
e in un processo di creazione, e nel frutto di
questo processo. Certo il fatto che l'occupazione
sia conclusa, impedisce che siano portate avanti
modalità più strutturate rispetto al senso di una
produzione in un teatro occupato (almeno nel
contesto del TGA), ma per portare avanti
ragionamenti di questo tipo sarebbe necessario un
collettivo assolutamente disinteressato, radicale,
compatto, adulto ed anche un po' folle. Non é andata
così. Peccato. Io continuo a pensare che il mestiere
dell'attore consista nel prendere posizione ( su un
palco e fuori) senza nascondersi dietro facili
maschere, e che, comunque, queste esperienze restino
preziosissime.
3. Perché la scelta del titolo: Preghiera. Un
atto osceno. Qual è il rapporto tra i due concetti?
Il sottotitolo è di Giuseppe, che nel momento in cui
l'ha proposto stava già elaborando il suo disegno di
regia.
Il titolo é mio ed é quello che viene prima di
tutto: dal momento in cui ho iniziato a scrivere io
volevo scrivere una preghiera, trovare silenzio, ma
anche urlare e creare connessione con un altrove.
Vedi com'é tutto ed il contrario di tutto?
"Preghiera. Un atto osceno" può apparire un
ossimoro, e forse lo é, ma i due concetti sono molto
meno in antitesi e, sicuramente, si escludono molto
meno, di quanto una visione standardizzata possa far
pensare.
4. Perché la preghiera come parte centrale
dell'opera?
Intendi la preghiera per Martina?
Lo dico nel testo, o meglio lo dice la Bibbia (Salmo
50 ): “ La mia lingua esalterà la tua giustizia”. C’
é troppo silenzio attorno al lacerante grido di
dolore che ci rende così disperatamente umani.
5. Quale è il significato metaforico e
antropologico che esprime il riferimento alla
preghiera?
Metaforico no. Non è una metafora, non è come se. Il
teatro è una sintesi, un distillato, non è una
metafora.
Antropologico, credo di averlo appena spiegato
sopra.
6. Che cosa hai voluto rappresentare della
condizione umana?
La possibilità di resistenza, di libertà e di sogno,
infinita ed incredibile, che possiede l'uomo. Questo
per me non è un concetto romantico, é un concetto
politico.
7. Il rapporto tra autrice del testo, che diventa
attrice protagonista principale, e la regia, che è
di Giuseppe Isgrò, come si è costituito, come è
evoluto, come si è espresso?
Io e Giuseppe siamo molto amici, e, cosa più
importante siamo amici nel lavoro. Ci conosciamo da
molti anni e collaboriamo da molti anni. Il nostro
rapporto quindi esisteva prima di questo lavoro.
Quando gli ho proposto "Preghiera", rientrava
fluidamente in un percorso di crescita del nostro
linguaggio individuale, e di quello di Phoebe.
Umanamente sapevo che sarebbe stato il giusto
alleato. In realtà tutto è andato avanti come sempre
nella voglia di creare insieme, fedeli ed infedeli
al nostro linguaggio: fedeli soltanto al desiderio,
come direbbe Pasolini.
8. La reazione da parte del pubblico?
Lo spettacolo è ancora troppo giovane per poter fare
un bilancio, ma generalmente ci sono due tipi di
reazioni: una totalmente empatica ed una più
cerebrale, che poi esplode in uno scioglimento a
posteriori. Ho avuto la fortuna di interpretare due
lavori, questo e Loretta Strong, che scatenano
qualcosa di ancestrale nel pubblico, e questo per
l'attore é una ricchezza, perché permette di giocare
con la parte più bestiale del mestiere. Ovviamente
questa fortuna é dovuta anche al sistema di
montaggio che usa Giuseppe nelle sue regie.
9. Ci sono riferimenti nella storia del teatro,
soprattutto contemporaneo, a cui hai fatto
riferimento per avviare uno spirito di ricerca nello
sviluppo del testo teatrale?
Preghiera é il quarto testo che scrivo. In generale,
quello che mi interessa é la potenza ritmica della
parola, ed il modo in cui sia possibile sottrarla al
silenzio per creare un nuovo silenzio sul piano del
linguaggio. Il sovraffollamento dei linguaggi, il
parossismo delle comunicazioni, é un rumore a cui la
parola va sottratta (per esempio l’affastellamento
del linguaggio scientifico in “Preghiera” serve a
far emergere nella loro forza icastica le parole più
autentiche, la reale preghiera).Amo questo della
moderna scrittura per il teatro: la decostruzione
del linguaggio, che implica una decostruzione
dell’uomo e dei suoi luoghi comuni. Preferisco
questo alle facili storielle che cercano di sfondare
qualcosa con l’ironia. Un autore che mi ha molto
affascinato e che sicuramente mi ha lasciato un
imprinting nell’obiettivo é Valére Novarina (non
tutta l’opera, ma quello che ho visto di suo in
scena negli anni in cui vivevo a Parigi), e
sicuramente la modernità di Copi, mi ha
inevitabilmente influenzato, avendo interpretato e,
continuando ad interpretare, quell’infallibile
gabbia ritmica che é Loretta Strong. Nello
specifico, comunque, Preghiera ha i suoi più grossi
debiti con la letteratura e col cinema, sul piano
del testo, che non con la scrittura teatrale, e se
proprio dobbiamo dare delle etichette musicali,
direi che più che essere post qualcosa, lo spirito
di scrittura è più accostabile al glitch.
10. Hai prossime tue performance o lavori a cui
stai lavorando, magari anche come regista?
Dall'11 al 16 Febbraio saremo al Teatro dell'Elfo a
Milano con "American blues", una produzione Phoebe
ZeitGeist, sempre con la regia di Giuseppe.
Sempre a Febbraio a Ravenna Visionaria ritornerá
Loretta.
Preghiera è uno spettacolo giovanissimo che ha
ancora bisogno di vivere a lungo e stiamo tutti
lavorando per questo, e si ! ho un nuovo progetto in
mente, a cavallo tra formazione e ricerca, ma è
ancora prematuro parlarne.
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