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Libri a fumetti

IL CAMPIONE DEL VERDE
Il ciclico ritorno di Swamp Thing

Articolo di Andrea Cantucci

Cinema

"Preghiera - un atto osceno". Intervista a Margherita Ortolani, autrice e attrice
a cura di Alessandro Rizzo

Fotografia

Mostra di Fotografia e Poesia - Roberto Mosi "Firenze, dalle vetrine alle periferie"
di Roberto Mosi

Teatro

Giovane e bella
di Maria Antonietta Nardone

Miti mutanti 21

Strisce di Andrea Cantucci

Un artista a Coverciano 7

Strisce di Luca Mori

Giovane (e bella?)

 

Maria Antonietta Nardone
 


"Giovane e bella"
di François Ozon
con Marine Vacth, Frédéric Pierrot, Géraldine Pailhas, Nathalie Richard e Charlotte Rampling

Ho appena visto il film "Giovane e bella" di Fran?ois Ozon, che è uscito in concomitanza, qui in Italia, con il caso delle due quindicenni romane che si prostituivano per soldi - così sembrerebbe, ma le indagini sono tuttora in corso -. Mentre in Francia, proprio in questi giorni, infuria la polemica sulla punibilità o meno dei clienti con tanto di dichiarazioni rivendicatorie, che sono state raccolte in un manifesto; il manifesto dei 343 "salauds" (maiali) - sic! -.
Un colpo al cuore è vedere questo film! Il panorama, e le risposte, degli adulti sono desolanti (eccetto, forse, il personaggio di Charlotte Rampling, la moglie di un cliente frattanto deceduto).
La diciassettenne Isabelle, studentessa introversa e studiosa, appartenente ad una famiglia che non ha problemi economici, dopo essersi liberata della sua verginità con un tedesco conosciuto durante le vacanze al mare, una volta tornata a Parigi, mette alcune sue foto on line e comincia a prostituirsi. L'universo maschile, dal patrigno al padre assente, dai clienti ai poliziotti ecc. ecc. è paurosamente privo di qualsiasi morale, responsabilità ed autorevolezza. La reazione della madre quando viene a conoscenza di quello che fa Isabelle nei suoi pomeriggi è di un'immaturità e di un'incapacità di accogliere e comprendere la figlia da fare paura. Sembra sentire di più il suo dolore di madre (io tuttavia dubito molto che questo sia effettivamente dolore, sembra piuttosto un inorridire, un inorridire molto superficiale, tra l'altro) che non il dolore e il malessere profondo della figlia. Anzi, questa madre, la figlia, non la "vede" proprio! Perché il dolore della figlia, tenuto ben nascosto dalla stessa interessata, c'è, eccome se c'è!
C'è, poi, un momento in cui se la madre avesse avuto fiducia in Isabelle, se solo le avesse detto la verità riguardo al proprio interessamento verso un altro uomo, un amico di famiglia, avrebbe conquistato il suo rispetto e probabilmente guadagnato le sue confidenze. Ma la donna preferisce mentire, allontanando in questo modo ancora di più la figlia, e senza nemmeno accorgersene. Chi si salva in questa storia? Il fratello più piccolo, con cui Isabelle ha una forte complicità e l'amica del cuore; ossia due adolescenti.
Il disagio di questa ragazza, fisicamente bellissima peraltro, continua ad accompagnarmi anche dopo la visione del film così come anche quel suo dolore che non è raccolto da nessuno. Dolore anche di non afferrare nemmeno lei, bene, perché si senta così attratta dalla prostituzione. E alla quale tornerà nonostante il tentativo, toccante ma solo volontaristico, di vivere una relazione con un ragazzo suo coetaneo, che a lei infine non dice proprio nulla - ed in effetti, diciamolo, il ragazzo è piuttosto scialbo -.
Detto questo, il regista mostra quest'indifferenza sentimentale di Isabelle verso qualsiasi uomo incontri, che mi sembra un po' azzardata; presentare poi questa sua scelta di prostituirsi, che la ragazza, finché può tiene segreta, quasi come un atto di ribellione da una madre e da un patrigno inadeguati, inadeguatissimi, è un'operazione forzata ed intellettualistica, intesa nel peggior senso del termine. La ragazza, nel film, ha un'indubbia freddezza, un gelo affettivo che niente e nessuno pare sciogliere. Questo gelo così compatto, psicologicamente, però, mi convince poco. E come scriveva Toltstoj, a proposito del romanzo (e i film sono storie e/o "romanzi" per immagini), in un romanzo, scriveva, si può inventare tutto, tutto, ma non la psicologia dei personaggi. Inoltre il fatto che la protagonista non pensi di essere usata - anzi, pensa che sia lei ad usare i clienti - non significa che, oggettivamente, non sia usata e, visto che è una minorenne, non sia abusata.
E a chi ha la tentazione di mettere al pubblico ludibrio i clienti delle prostitute rispondo così: in una società priva del sentimento della vergogna, il pubblico ludibrio dei clienti penso che non avrebbe alcun effetto. Ma, anche ammesso che funzioni, la trovo una 'punizione' incivile e retrograda - mai dimenticata la A di adultera del romanzo "La lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne o la M di mostro del film "M, il mostro di Dusseldorf" di Fritz Lang -. Dal linciaggio morale a quello fisico il passo è breve, brevissimo. E a me fanno orrore entrambi, sia pure in misura diversa. E poi, secondo diverse statistiche, gli uomini italiani che vanno con le prostitute sono circa nove milioni. Praticamente, un italiano su tre. Dove sarebbe il pubblico ludibrio con una popolazione maschile così vasta dedita all'uso e al consumo delle prostitute? Si avrebbe, più che altro, una pubblica complicità, con conseguente, gravissima, autoassoluzione. Sconfortante? Eh, sì, direi proprio sconfortante sia che la si veda dalla parte della giovanissima prostituta sia da quella dei maturi o vecchi clienti!
Ma, se è ancora permesso pensarlo e dirlo, a me preme di più comprendere il disagio di queste giovanissime che scelgono la prostituzione come un'opzione di lavoro fra le tante, appunto, che non la motivazione di quegli uomini che cercano e pagano alcune donne per avere dei rapporti sessuali - anche perché queste motivazioni e ragioni sono già note -.
A me preme di più che qualcuno accolga il dolore di queste ragazze e lo trasformi - almeno che si tenti di trasformarlo con tutte le proprie forze e risorse -; trasformarlo in indirizzi di vita più sani e vitali. Consegnare di nuovo a queste ragazze la possibilità di scegliere che cosa fare della propria vita e non solo del loro corpo - questa frattura corpo-anima fa comodo a chi le usa e ne abusa, non a loro -; di scegliere veramente, liberamente, con un minimo di conoscenza di sé e di consapevolezza. E di necessario rispetto di sé, aggiungerei. Sì, questo è quello che dovrebbe premere a degli adulti responsabili, donne o uomini che siano, e quali che siano i mezzi e gli strumenti con cui si trovano ad operare, o i ruoli che si trovano a ricoprire.

(novembre 2013)

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