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"Giovane e bella"
di François Ozon
con Marine Vacth, Frédéric Pierrot, Géraldine
Pailhas, Nathalie Richard e Charlotte Rampling
Ho appena visto il film "Giovane e bella" di Fran?ois
Ozon, che è uscito in concomitanza, qui in Italia,
con il caso delle due quindicenni romane che si
prostituivano per soldi - così sembrerebbe, ma le
indagini sono tuttora in corso -. Mentre in Francia,
proprio in questi giorni, infuria la polemica sulla
punibilità o meno dei clienti con tanto di
dichiarazioni rivendicatorie, che sono state
raccolte in un manifesto; il manifesto dei 343 "salauds"
(maiali) - sic! -.
Un colpo al cuore è vedere questo film! Il panorama,
e le risposte, degli adulti sono desolanti (eccetto,
forse, il personaggio di Charlotte Rampling, la
moglie di un cliente frattanto deceduto).
La diciassettenne Isabelle, studentessa introversa e
studiosa, appartenente ad una famiglia che non ha
problemi economici, dopo essersi liberata della sua
verginità con un tedesco conosciuto durante le
vacanze al mare, una volta tornata a Parigi, mette
alcune sue foto on line e comincia a prostituirsi.
L'universo maschile, dal patrigno al padre assente,
dai clienti ai poliziotti ecc. ecc. è paurosamente
privo di qualsiasi morale, responsabilità ed
autorevolezza. La reazione della madre quando viene
a conoscenza di quello che fa Isabelle nei suoi
pomeriggi è di un'immaturità e di un'incapacità di
accogliere e comprendere la figlia da fare paura.
Sembra sentire di più il suo dolore di madre (io
tuttavia dubito molto che questo sia effettivamente
dolore, sembra piuttosto un inorridire, un
inorridire molto superficiale, tra l'altro) che non
il dolore e il malessere profondo della figlia.
Anzi, questa madre, la figlia, non la "vede"
proprio! Perché il dolore della figlia, tenuto ben
nascosto dalla stessa interessata, c'è, eccome se
c'è!
C'è, poi, un momento in cui se la madre avesse avuto
fiducia in Isabelle, se solo le avesse detto la
verità riguardo al proprio interessamento verso un
altro uomo, un amico di famiglia, avrebbe
conquistato il suo rispetto e probabilmente
guadagnato le sue confidenze. Ma la donna preferisce
mentire, allontanando in questo modo ancora di più
la figlia, e senza nemmeno accorgersene. Chi si
salva in questa storia? Il fratello più piccolo, con
cui Isabelle ha una forte complicità e l'amica del
cuore; ossia due adolescenti.
Il disagio di questa ragazza, fisicamente bellissima
peraltro, continua ad accompagnarmi anche dopo la
visione del film così come anche quel suo dolore che
non è raccolto da nessuno. Dolore anche di non
afferrare nemmeno lei, bene, perché si senta così
attratta dalla prostituzione. E alla quale tornerà
nonostante il tentativo, toccante ma solo
volontaristico, di vivere una relazione con un
ragazzo suo coetaneo, che a lei infine non dice
proprio nulla - ed in effetti, diciamolo, il ragazzo
è piuttosto scialbo -.
Detto questo, il regista mostra quest'indifferenza
sentimentale di Isabelle verso qualsiasi uomo
incontri, che mi sembra un po' azzardata; presentare
poi questa sua scelta di prostituirsi, che la
ragazza, finché può tiene segreta, quasi come un
atto di ribellione da una madre e da un patrigno
inadeguati, inadeguatissimi, è un'operazione forzata
ed intellettualistica, intesa nel peggior senso del
termine. La ragazza, nel film, ha un'indubbia
freddezza, un gelo affettivo che niente e nessuno
pare sciogliere. Questo gelo così compatto,
psicologicamente, però, mi convince poco. E come
scriveva Toltstoj, a proposito del romanzo (e i film
sono storie e/o "romanzi" per immagini), in un
romanzo, scriveva, si può inventare tutto, tutto, ma
non la psicologia dei personaggi. Inoltre il fatto
che la protagonista non pensi di essere usata -
anzi, pensa che sia lei ad usare i clienti - non
significa che, oggettivamente, non sia usata e,
visto che è una minorenne, non sia abusata.
E a chi ha la tentazione di mettere al pubblico
ludibrio i clienti delle prostitute rispondo così:
in una società priva del sentimento della vergogna,
il pubblico ludibrio dei clienti penso che non
avrebbe alcun effetto. Ma, anche ammesso che
funzioni, la trovo una 'punizione' incivile e
retrograda - mai dimenticata la A di adultera del
romanzo "La lettera scarlatta" di Nathaniel
Hawthorne o la M di mostro del film "M, il mostro di
Dusseldorf" di Fritz Lang -. Dal linciaggio morale a
quello fisico il passo è breve, brevissimo. E a me
fanno orrore entrambi, sia pure in misura diversa. E
poi, secondo diverse statistiche, gli uomini
italiani che vanno con le prostitute sono circa nove
milioni. Praticamente, un italiano su tre. Dove
sarebbe il pubblico ludibrio con una popolazione
maschile così vasta dedita all'uso e al consumo
delle prostitute? Si avrebbe, più che altro, una
pubblica complicità, con conseguente, gravissima,
autoassoluzione. Sconfortante? Eh, sì, direi proprio
sconfortante sia che la si veda dalla parte della
giovanissima prostituta sia da quella dei maturi o
vecchi clienti!
Ma, se è ancora permesso pensarlo e dirlo, a me
preme di più comprendere il disagio di queste
giovanissime che scelgono la prostituzione come
un'opzione di lavoro fra le tante, appunto, che non
la motivazione di quegli uomini che cercano e pagano
alcune donne per avere dei rapporti sessuali - anche
perché queste motivazioni e ragioni sono già note -.
A me preme di più che qualcuno accolga il dolore di
queste ragazze e lo trasformi - almeno che si tenti
di trasformarlo con tutte le proprie forze e risorse
-; trasformarlo in indirizzi di vita più sani e
vitali. Consegnare di nuovo a queste ragazze la
possibilità di scegliere che cosa fare della propria
vita e non solo del loro corpo - questa frattura
corpo-anima fa comodo a chi le usa e ne abusa, non a
loro -; di scegliere veramente, liberamente, con un
minimo di conoscenza di sé e di consapevolezza. E di
necessario rispetto di sé, aggiungerei. Sì, questo è
quello che dovrebbe premere a degli adulti
responsabili, donne o uomini che siano, e quali che
siano i mezzi e gli strumenti con cui si trovano ad
operare, o i ruoli che si trovano a ricoprire.
(novembre 2013)
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