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Intervista a Berlinghiero
Buonarroti
Il nome di Berlinghiero Buonarroti non può essere
sconosciuto a chi si occupa di lingue artificiali: è
infatti il coautore (insieme a Paolo Albani) di "Aga
magera difura. Dizionario delle lingue immaginarie"
(Zanichelli, 1994), autentica bibbia per
l'appassionato. La mia prima conoscenza di questo
personaggio eclettico e geniale è avvenuta proprio
attraverso questo libro: solo in seguito ho scoperto
che si tratta di una piccola parte della sua
sterminata attività artistica e culturale, che
spazia dal disegno alla realizzazione di macchine
combinatorie, dall'umorismo alla stampa, eccetera.
Ho avuto il piacere di incontrarlo una fredda
mattina di fine novembre 2015 nel suo laboratorio a
Compiobbi grazie al comune amico Alessandro Franci,
redattore de L'Area di Broca, il quale si è
incuriosito riguardo alla mia
Lingua Indaco di cui avevo parlato in un
articolo pubblicato sul suo
blog e aveva parlato di me a Berlinghiero.
Entrare nel suo laboratorio è come entrare in un
mondo incantato, fuori dal tempo, in un paese delle
meraviglie. Berlinghiero, persona molto cordiale e
disponibile, mi ha illustrato le sue numerosissime
attività, mi ha fatto vedere e toccare i suoi libri,
mi ha mostrato le macchine combinatorie e mi ha
parlato dei suoi tantissimi progetti. Abbiamo
parlato anche di lingue artificiali, naturalmente,
ma ancora di più mi ha colpito l'immensa mole di
materiale che compone il suo archivio: un autentico
patrimonio che si cela in una piccola frazione a una
decina di chilometri dal centro di Firenze. Non
potevo non proporgli un'intervista per SDP: proposta
che Berlinghiero ha accettato e che abbiamo
realizzato tramite mail. Le immagini delle opere di
Berlinghiero sono tutte inedite e sono onorato di
poterle pubblicare qui per la prima volta sul web.
1) Cominciamo coi tuoi studi, la tua formazione
culturale...
Benché sia diplomato in grafica presso
l'Istituto d'Arte di Firenze, la mia formazione
culturale è essenzialmente quella dell'autodidatta.
Le "forche" messe in atto durante la scuola, sono
quelle che più hanno contribuito alla mia
formazione. Ricordo ancora una delle frequenti
diserzioni, nel 1960, quando avevo 18 anni. Invece
di intrupparmi con altri "marinari di classe", una
certa mattina, alla Biblioteca Nazionale, incontrai
casualmente il volume di Marcel Jean intitolato "Il
Surrealismo". Fu una rivelazione che ha condizionato
tutta la mia vita.
Scoprivo ciò che era vicino alla mia sensibilità.
Erano gli amori da accantonare per la vecchiaia. Un
incontro fortuito col mio "livre de chevet".
Sfogliando avidamente quelle 380 pagine incappai
nelle immagini di Böklin, nelle figure stranianti
del Doganiere Rousseau, nell'architettura fantastica
del Postino Cheval, negli umorismi sotto roccia di
Magritte, Paul Klee e Picasso, nelle impensabili
"forme amorfe" di Dali, Oscar Dominguez e Yves
Tanguy, negli interventi iconoclasti di Clovis
Trouille e nei fotogrammi provocatori di Buñuel. Ma
ciò che più colpì la mia sorpresa furono i disegni
umoristici di Maurice Henry e di Kurt Seligman, i
collage di Max Ernst e gli oggetti di Man Ray e
Meret Oppenheim.
Scoprii soprattutto che tutti questi artisti, legati
dal comune sentire del concetto di "umorismo nero",
erano stati rivelati dal genio di André Breton,
l'inventore del Surrealismo.
2) Come e quando hai iniziato ad interessarti
alle lingue artificiali?
Il mio interesse per i linguaggi universali
risale ai primi mesi del 1964, quando acquistai il
numero monografico 32-33 della rivista
parasurrealista francese "Bizarre", dedicato alla "Littérature
illettrée", vale a dire a tutte quelle
rappresentazioni grafiche che ambivano a farsi
capire da tutti, indipendentemente dalla lingua
parlata.
Vi figuravano le ardite sperimentazioni tipografiche
dadaiste e lettriste, le lingue filosofiche
universali settecentesche, le scritture lunari e
marziane e perfino le immagini di un catechismo
bilingue, con trascrizione nella lingua geroglifica
micmac degli indigeni wabanaki del Maine (1866).
In quel periodo ero molto interessato alle vignette
umoristiche senza parole, soprattutto francesi, una
vera e propria lingua universale comprensibile da
tutti, in quasi tutto il mondo, se si esclude il
problema relativo alle culture diverse.
Fu, quindi, più che naturale il passaggio
all'interesse per le lingue artificiali.
Pochi anni prima, nel 1960, il disegnatore rumeno
Saul Steinberg, naturalizzato statunitense, dopo
essersi laureato in architettura a Milano, aveva
dato alle stampe, a New York, alla raccolta di
disegni surreali "The Labyrinth". Nelle vignette,
tassativamente senza parole, come è tutta la
produzione di questo formidabile disegnatore,
vengono descritte le personalità di diversi tipi di
persone, per mezzo di fumetti esclusivamente
grafici, che rendono perfettamente la personalità di
un burocrate, piuttosto che quella di un petulante o
di un romantico. Era rappresentato perfino
l'abbaiare di un cane, con le varianti grafiche
dell'intensità della "voce" del ringhiare canino.
Nella stessa raccolta, per raffigurare i suoni dei
vari strumenti musicali, Steinberg utilizza una
stilizzazione grafica che fuoriesce direttamente
dallo strumento stesso. Traduce di volta in volta lo
scoppiettio sonoro della tromba, il volteggiare
brioso del suono del flauto, il saltellio scalare
del pianoforte, l'arabesco ricamato del suono
dell'arpa e il dialogo sonoro fra un violino e un
contrabbasso.
3) Ci puoi parlare di "Aga magera difùra"? Quanto
tempo ha occupato la realizzazione di questo
poderoso volume sulle lingue inventate? Come è nata
l'idea? Quali difficoltà hai incontrato nel
realizzarla?
La ricerca sulle "lingue immaginarie" è durata
oltre cinque anni, dal 1989 al 1994, con visite
costanti a biblioteche specializzate, come la BNCF e
l'Accademia della Crusca e con la consultazione di
repertori che esistevano solo in russo e in
esperanto, dove i relativi autori avevano
soprattutto schedato lingue internazionali tipo
esperanto o volapük. Di questo tipo di lingue
artificiali siamo riusciti a schedarne circa 800.
L'idea iniziale di "Aga magera difùra", di cui
esiste anche un'edizione francese, edita dal
prestigioso editore parigino "Les Belles Lettres", è
nata da Paolo Albani che, nel numero 3/1989 della
sua rivista Tèchne, aveva pubblicato una "Piccola
antologia dei linguaggi immaginari". In quel caso si
trattava di testi composti con parole inventate, più
che un prodotto di lingue vere e proprie
strutturate.
4) Parliamo della tua attività di umorista e di
disegnatore, del tuo lavoro nella rivista "Ca Balà",
ai tuoi disegni più recenti, tra surrealismo e
satira...
Non definirei i miei disegni come satirici
perché non affrontano mai tematiche legate
direttamente all'attualità. Non amo la satira e la
caricatura perché la ritengo effimera e legata agli
avvenimenti, destinata, negli anni, ad essere
incomprensibile se non viene contestualizzata. Fra
l'altro la satira politica è anche il tipo di
rappresentazione grafica il più lontano possibile
dalle potenzialità espressive delle lingue
universali, visto che ha bisogno, quasi sempre, di
molte parole.
Ormai disegno da quasi 50 anni. Dopo l'esperienza
della rivista di satira e di umorismo grafico "Ca
Balà", di cui sono uno dei fondatori e redattore per
dieci anni dal 1971 al 1980, oggi non collaboro ad
alcun periodico né cartaceo né digitale. Accumulo
disegni inediti che finiscono in una cassettiera
ormai traboccante. Il vantaggio di questo modo di
operare mi lascia libero di esprimermi liberamente,
seguendo l'impulso del momento e i suggerimenti
della voce della creatività, che mi colloca in
diretto rapporto col fondo segreto dell'universo.
Come ho avuto modo di scrivere, nel lontano 1982,
nel catalogo della mostra "Humour mon amour",
tenutasi a Fiesole, "l'humour è la suprema filosofia
della vita, un gioco disinteressato
dell'immaginazione gratuita, un divertimento
cerebrale, un pizzicore cervellotico, che stimola il
sorriso solitario, piuttosto che la frequentata
risata liberatoria".
5) Ci puoi parlare della tua attività di
disegnatore scientifico?
Per sei anni, a cominciare dal 1985, ho lavorato
come disegnatore botanico presso l'Istituto di
Fisiologia Vegetale dell'Università di Firenze. Ho
realizzato molte centinaia di disegni relativi alla
flora sarda. Si trattava di misurare e rappresentare
dal vero, al naturale, campioni essiccati di piante,
talvolta risalenti all'800. I particolari di petali,
sepali, infiorescenze e semi, ingranditi perfino 30
volte, erano disegnati direttamente sotto il
microscopio binoculare, per meglio catturare i
minutissimi dettagli. La minuzia dei particolari mi
ha messo in contatto coi segreti formali della
meraviglia scientifica della natura, dove ogni forma
possiede un'armonia e una ricchezza superiore a
qualsiasi immaginazione artistica. Inoltre, questo
tipo di lavoro, mi ha insegnato la disciplina della
caparbietà e della pazienza.
Ogni disegno richiedeva l'applicazione di circa 10
ore, poi, dopo il benestare del professore e del
tecnico, veniva ripassato a china con pennino.
Tassativamente proibito il rapidograph, per la
costante uniformità del segno.
Pur rimanendo all'interno degli obblighi delle
misurazione decimillimetriche, tale lavoro permette
di oltrepassare continuamente le frontiere fra
rappresentazione scientifica e fantasia, non fosse
altro che per il tracciato di un singolo pelo di una
pianta. Il segno, seppure appaia rigoroso e quasi
"esatto", nasconde la libertà formale che, comunque,
il disegnatore rappresenta anche non volendo. Fa
essere il disegno, contemporaneamente, oggettivo e
soggettivo.
È lo stesso problema che la critica d'arte ha nel
distinguere il figurativo dall'astratto. La
schematica divisione fra i due termini è
completamente artificiosa. Non tiene conto, infatti,
che elementi astratti sono comunque presenti nel
tratto figurativo, perché questo ultimo è formato da
infinite microforme astratte. Ma anche le forme
astratte sono formate da infinitesimali tratti
figurativi.
6) Sono rimasto molto colpito anche dalla tua "Encyclopaedia
Heterologica", un'opera singolare e complessa,
basata sulle "discipline anomale": ce ne puoi
parlare?
L'Encyclopaedia Heterologica è un tentativo di
classificazione, uno dei tanti possibili, del
"Sapere negativo" vale a dire di quelle scienze
inesatte di cui, di solito non ci si occupa nei
trattati estetici o filosofici.
Sono state individuate 411 scienze della
contraddizione e dell'irregolarità, organizzate in
15 macrodiscipline anomale.
Le Scienze dello scarto e dello squilibrio sono
composte da: Allodossia, Artifiziologia, Estetica
del brutto, Eteroclitologia, Scatologia, Tanatologia
e Teratologia.
Le scienze dell'Indeterminato e del Tradimento della
Logica sono composte da: Anfibologia, Geo-Utopia,
Clinoglottologia, Maculalogia, Paradossologia,
Patafisica, Sensibilia e Stocastica.
Ogni disciplina è corredata da un saggio critico e
da un'immagine dell'autore ottenuta con diversi
sistemi di stampa (tipografia, serigrafia,
cromolitografia) in 58 colori piatti complessivi.
Il lavoro di stampa ha richiesto sei mesi di lavoro.
Il volume d'artista, nato nell'ambito dell'Istituto
di Anomalistica e delle Singolarità, che ha sede nel
mio studio di Compiobbi, è stato stampato in 300
copie numerate con l'attrezzatura di macchinari da
stampa dismessi, provenienti da una piccola
tipografia che avevo acquistato.
Due parole sull'Istituto di Anomalistica tratte dal
volume "Encyclopaedia Heterologica. Ars
discombinatoria. Progetto per una sistematica delle
discipline singolari", ed. Wunderkammer , Compiobbi,
1998:
"L'Istituto di Anomalistica e delle Singolarità si
occupa dei concetti inesplorati o di quelli
ingiustamenti dimenticati o senza paternità
scientifica, di quelli indegni d'ascolto e di quelli
elaborati da pazzi di genio. Indaga gli accostamenti
pericolosi e le dissonanze impreviste, in una parola
è il luogo deputato ad accogliere qualsiasi idea
proveniente da una circuitazione ardita, anche se
solo immaginata a livello di progetto. Una specie di
raccolta enciclopedica delle apparenti impossibilità
e delle intuizioni falsamente impercorribili.
L'Istituto di Anomalistica ha la pretesa di sancire
il trionfo dell'eccepibile e della confutazione
molesta. Scombina regole e assiomi, opera in campi
dove i contrari possono coincidere, innesta uno
sregolamento dei sensi, dimostra in definitiva che
tutto è possibile. I saperi, oggetto dell'indagine
dell'Istituto di Anomalistica e delle Singolarità,
possono essere definiti Saperi Distratti, perché la
scienza si è rivolta altrove da loro, sottraendoli
alla curiosità della conoscenza. Ma sono anche
distratti nel senso positivo del termine, cioè
distolti e sviati rispetto alle dottrine canoniche
del "conforme alle regole", tanto da potersi
permettere la sana condizione che fa giungere al
fantasticare creativo, partendo dalla perdita della
concentrazione e passando dall'estraneazione. "
7) Ci puoi parlare del tuo rapporto con Compiobbi,
luogo di cui sei la memoria storica?
Il lavoro di ricerca storica, che ha come
oggetto il mio paese, ha richiesto 15 anni di
lavoro, che hanno permesso di produrre tre volumi a
stampa. Più che la storia di un paese è un'analisi
antropologica ed etnografica, filtrata attraverso un
intervento artistico concettuale. In altre parole le
quasi 500 pagine in grande formato de "Il Triangolo
delle Gualchiere. Itinerario storico nella Valle
dell'Arno del Comune di Fiesole", solo
apparentemente lo fanno assomigliare ad una storia
locale. L'utilizzo di oltre mille fotografie e le
notizie attinte da oltre 5.000 documenti, hanno
prodotto un lavoro di classificazione così
particolareggiato che, pur basandosi su avvenimenti
e dati documentati, è ispirato dalla pretesa utopica
di una classificazione infinitesimale dei
microrganismi di una piccola comunità, con lo
spirito "folle" di ricostruirne la "vita" e le
situazioni; perfino le più irrilevanti e
trascurabili. Un modo di analizzare una fetta di
territorio quale fosse un campione decomposto
dell'intero universo. A posteriori rimane il dubbio
se sia un lavoro di "megalomania controllata" oppure
un'indagine che, "nel ricordare il passato, permette
in futuro di non fare gli stessi errori, bensì
altri".
Proprio dall'esperienza di disegnatore botanico
avevo imparato che, per analizzare la flora di una
certa zona, ci si limita a perimetrare solamente un
metro quadrato di quel territorio, dopo di ché si
schedano tutte le specie botaniche esistenti in quel
piccolo spazio.
8) Arriviamo alle macchine combinatorie: a cosa
servono? Quando e come hai iniziato a costruirle?
Come ti è venuta questa idea?
Le macchine combinatorie nascono nel 1998,
collateralmente al lavoro di ricerca condotto con P.
Albani e P. della Bella e che sfocerà
nell'Enciclopedia delle Scienze anomale "Forse
Queneau" (1999). Visto che eravamo alla ricerca di
qualsiasi scienza inesatta, quale occasione migliore
che inventare un meccanismo che ne producesse ben
84.100. Cosa che avvenne fabbricando il "Disconfinatorium".
In quel periodo mi erano stati commissionati dal
Centro Nazionale di Studi Leopardiani una serie di
disegni sulle ricerche del filosofo Giordano Bruno
(1548-1600). Fu l'occasione per studiare anche altri
filosofi che si erano occupati delle scienze
combinatorie e delle ruote della memoria, come il
catalano Raimondo Lullo (1233-1316), il filosofo
gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602-1680) o
come lo scienziato tedesco Gottfried Leibniz
(1646-1716). Non è un caso, peraltro, che tutti e
quattro questi filosofi siano anche inventori di
lingue universali.
Mescolando tali "alte esperienze" con l'applicazione
più moderna delle Slot Machine (la prima nel 1895),
nascono i miei strumenti ibridi di sei macchine
combinatorie, di cui sono stati costruiti i
prototipi, nell'ambito dell'Istituto di Anomalistica
e delle Singolarità, istituzione che avevo fondato
nel 1992.
Gli apparecchi in oggetto non servono a niente se
non a mettere in risalto la capacità creativa di
combinare, per esempio, ben 8.916 miliardi
d'aforismi eterocliti, come nel caso della "Black
Light Machine (2001). Secondo la definizione di
Marcel Duchamp sono "macchine celibi", cioè macchine
non ammogliate, che non producono prole...
Per definizione, qualsiasi macchina produce sempre
un movimento iterativo. Queste macchine
combinatorie, invece, hanno la possibilità di
produrre milioni e milioni di varianti diverse che,
quasi, ne annullano la monotona ripetitività
meccanica.
Le mie macchine combinatorie sono dei congegni in
copia unica, costruiti artigianalmente in legno: più
facile a dirsi che a farsi.
9) Le tue tecniche artigianali di stampa si
rifanno ad un passato che, in questa epoca digitale
e di cose fatte in serie, sta scomparendo: cosa puoi
dire riguardo a questo aspetto del tuo lavoro?
La tecnica artigianale di stampa che ho sempre
utilizzato nel mio laboratorio, sia per la stampa in
serigrafia che per quella in offset, è una tecnica
che era in voga alla fine dell'800 e che si chiama
cromolitografia.
La caratteristica sta nel fatto che non si usa il
retino meccanico fotografico, per scomporre
qualsiasi sfumatura del disegno da riprodurre, a
differenza di ogni sistema di stampa commerciale,
che utilizza la selezione quadricromatica. Con la
stampa dei 4 colori fondamentali (giallo, magenta,
cyan e nero), sono in grado di duplicare qualsiasi
originale.
Al contrario, nella cromolitografia, le eventuali
sfumature si ottengono sovrapponendo, a mo' di una
lasagna, un colore sopra all'altro.
Naturalmente la separazione dei colori che poi
saranno stampati (di solito nel numero di 7 o 8),
vengono prima separati mentalmente, immaginando
anche le nuances che produrranno le sovrapposizioni.
Le selezioni sono poi disegnate, una alla volta, su
dei fogli trasparenti, che serviranno per la
preparazione dei vari telai di nylon e le lastre di
alluminio sensibili alla luce.
Inoltre c'è anche la tecnica del fotopolimero, un
cliché tipografico in rilievo, che si ottiene
impressionando alla luce del sole e sviluppandolo in
acqua, per ognuno dei colori da stampare.
Conosco queste ed altre tecniche artigianali di
stampa perché per 15 anni sono stato insegnante di
Tecnologia grafica e Grafica editoriale presso
l'Istituto per l'Arte e il Restauro "Palazzo
Spinelli" di Firenze.
10) A cosa stai lavorando in questo periodo?
Da un anno sto raccogliendo i testi teorici e
critici sull'humour noir, a partire da André Breton
fino a tutti i saggisti che hanno affrontato le
teorie del comico.
È incredibile quanto sia stato discettato su tale
argomento, argomento che credevo fosse circoscritto
ad una élite.
11) Progetti per il futuro?
Riassumendo, schematicamente, la mia attività
fino ad oggi ne viene fuori questo bilancio:
10 anni dedicati alla redazione della rivista di
satira e umorismo grafico "Ca Balà";
6 anni come disegnatore scientifico botanico;
15 anni come insegnante di Grafica Editoriale;
15 di ricerca storica locale per la realizzazione
del volume "Il Triangolo delle Gualchiere".
Tirando le somme, ne deriva un totale di 46 anni
che, alla mia età di 74 anni, non mi permettono di
ipotizzare un'altro lungo ciclo di lavoro.
Quindi non mi resta altro che fare mia una frase di
Albert Einstein, pronunciata nel dicembre 1930: "Non
penso mai al futuro. Arriva così presto".
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