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Ricostruire la democrazia
Antoine Fratini
The bottom problem of today's
Italian politics concerns the democracy. Resorting
to a building metaphor I will try to demonstrate
that this problem mine at the base the possibility
to find true solutions at the political and social
problems that are succeeded.
Parole chiavi: conflitto di interessi – democrazia –
ostracismo – metafora edile – ipnosi - Silvio
Berlusconi – Matteo Renzi
Il problema di fondo dell’odierna politica italiana
verte sul concetto di democrazia. Come cercherò di
dimostrare ricorrendo ad una metafora edile, questo
problema, proprio perché fondamentale per qualunque
nazione, non può non ripercuotersi in mille modi
sulla società civile, minando alla base la
possibilità stessa di trovare vere soluzioni ai
problemi politici e sociali che si succedono.
Un potere mediatico personale senza precedente ha
portato ripetutamente Silvio Berlusconi a rivestire
una delle più alte e importanti cariche dello Stato
italiano, quella di Presidente del Consiglio.
L’impatto che il tubo catodico ha sugli
telespettatori in generale, quindi anche
sull'elettorato, non si discute e l'influenza di ben
tre reti televisive nazionali rappresenta un
vantaggio quasi disarmante per gli avversari
politici. Come insegna il padre dell’ipnoterapia
moderna M.E. Erickson, i metodi migliori per indurre
stati mentali di trance in cui il soggetto è
maggiormente predisposto ad accogliere pensieri
altrui sono anche quelli più sottili. In effetti,
oggi l’ipnoterapia usa quasi esclusivamente tecniche
di suggestione indiretta, più efficaci per aggirare
le frequenti resistenze dei pazienti. Per questo
appare lecito affermare che la TV è una vera e
propria scatola ipnotica in grado di plasmare la
psicologia della gente. Essa sembra innocua perché,
in quanto elettrodomestico, fornisce l’illusione
della scelta dei programmi e quindi del dominio
tecnico su di essa, ma in realtà insinua le proprie
opinioni grazie ad una presenza costante, famigliare
ed intimistica. Come se non bastasse, il cosiddetto
“Lodo Alfano” approvato dal Parlamento nelle passate
legislature garantisce al Presidente del Consiglio
l’impunità penale, attribuendogli quindi un grande
privilegio. Per intenderci, è come se un giocatore
di ruolo acquistasse una specie di campo di forza
che gli desse la magica facoltà di parare qualunque
colpo sferzato dagli avversari. Un tale personaggio
diverrebbe in breve tempo invincibile (oltre che
antipatico) e la partita presto finirebbe, con
grande frustrazione degli altri giocatori.
Uno dei principi cardini che risiede alla base del
sistema democratico così come fu concepito in
origine nella Grecia antica è l’ostracismo. “Niente
di troppo” era il monito principale posto
all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi, anche se
noi ricordiamo più volentieri il socratico “conosci
te stesso”. Nell’Antichità non esisteva ancora
quella netta separazione che noi conosciamo tra
cultura e spiritualità, e persino il governo
razionale della polis trovava ispirazione nella
saggezza degli archetipi espressi nei miti.
L’ostracismo può essere considerato a giusto titolo
non soltanto un provvedimento punitivo, ma anche una
misura preventiva volta ad impedire che un politico
ottenga un potere tale da mettere in serio pericolo
quel contratto fondamentale tra governanti e
governati in cui consiste in pratica la democrazia.
Tramite un procedimento di voto segreto operato da
almeno 6000 cittadini, colui che si riteneva avesse
acquistato troppo potere poteva essere destituito
dai suoi incarichi amministrativi, bandito dalla
città o addirittura condannato a morte. La
drasticità di tali provvedimenti non deve trarre in
inganno. Per funzionare il “governo del popolo” deve
fare virtù di certe limitazioni.
Una maniera più moderna e accettabile di concepire
l’ostracismo potrebbe per esempio consistere nel
porre l’obbligo ai politici di sottoporsi
continuamente a rigide procedure di controllo sul
rispetto di alcuni dei criteri democratici più
fondamentali. Come è noto, uno di questi afferma che
chi detiene una forma di potere (per esempio quella
mediatica) non possa essere investito da altre forme
(per esempio quella politica). Tale dispositivo
permetterebbe di controllare e, almeno in parte, di
vanificare la volontà di potenza così radicata nella
natura umana. Trattasi del noto e annoso problema
del “conflitto di interessi”.
A livello economico il problema è stato affrontato
piuttosto efficacemente attraverso il vaglio della
cosiddetta “legge Antitrust”, la quale potrebbe
sicuramente fare da modello per la politica in
quanto detiene uno scopo affine: impedire che
qualche scaltro imprenditore si impadronisca del
Mercato e riesca a dettarvi le proprie regole. Il
caso di Bill Gate, patron della Microsoft più volte
processato e multato per avere violato questa legge,
è emblematico in questo senso. Un dispositivo di
questo tipo, che tenga conto dei pericolosi giochi
legati agli intrecci di poteri e di interessi, manca
alla politica italiana in misura maggiore rispetto
agli altri grandi paesi democratici. La gravità
della situazione politica italiana è evidenziata in
particolare dall’accantonamento del problema
relativo al conflitto di interessi. L’aspetto che
lascia ancora più perplessi è che tale
accantonamento è stato operato dalla stessa sinistra
che ai tempi del governo Prodi appunto mancò
colpevolmente l’occasione per affrontare la
questione. Chi sostiene che il problema sia
diventato ora di ordine secondario dopo il
ridimensionamento politico di Berlusconi solitamente
devia l’attenzione dei cittadini su altri temi
ritenuti di volta in volta più importanti e urgenti,
per esempio riguardanti l’andamento di una Economia
che sembra essere diventata oggi una sorta di
religione inconsapevole, o sul sentimento di
insicurezza della gente. Queste operazioni sono a
mio parere retoriche e pericolose.
La politica italiana è stata recentemente macchiata
da altri fatti insoliti riconducibili alla smisurata
quanto irragionevole fiducia accordata, almeno
secondo i sondaggi, all'attuale Presidente del
Consiglio Matteo Renzi. E' vero che dopo il crollo
dei precedenti governi il popolo italiano,
fortemente preoccupato per la situazione economica
del paese a rischio di default, si trovava
particolarmente predisposto ad accogliere un premier
autoritario che desse l'impressione di potere «
raddrizzare » la situazione. E' tuttavia
significativo che il primo rappresentante di un
partito politico, il Partito Democratico, che pone
la parola « democrazia » in primo piano, mostri nei
propri discorsi e comportament arroganza e
autoritarismo. Sembra proprio che Renzi non abbia
ben chiara nella mente la distinzione, pur enorme,
esistente tra « governare » e « commandare ». Si
potrebbe ritenere che egli si sia infine troppo
identificato al desiderio di leader degli italiani,
ma a questo proposito è bene ricordare che il suo
atteggiamento fu lo stesso sin dall'inizio. Che dire
per esempio del fatto che, pur di andare al governo,
Renzi abbia richiamato in campo l'ormai destituito
Berlusconi, pericolo per la democrazia, e realizzato
un nuovo ed inaspettato impasto di governo con
alcuni degli esponenti di Forza Italia ? Cosa dire
ancora di un governante che a causa del proprio
autoritarismo si mette contro buona parte degli
esponenti del proprio partito e che nei confronti di
costoro impiega il termine « rottamazione » come
fossero automobili o elettrodomestici da buttare,
che ribadisce continuamente di ascoltare tutti ma
prosegue imperterrito sulla propria strada delle
riforme approvate a colpi di fiducia e puntualmente
osteggiate dalle categorie in oggetto (vedi per
esempio le manifestazioni dei magistrati e degli
insegnanti) ? Sembra proprio che Renzi scambi l'
”ascolto » con una mera performance dell'udito !
L'ascoltare rimanda invece ad una operazione ben più
complessa che implica il coinvolgimento interiore e
la capacità di accogliere i punti di vista altrui
giugendo a nuove e costruttive sintesi dei pensieri
espressi dalle parti. Dovessi proporre una analisi
di tipo psicoanalitico direi che, paradossalmente,
la capacità di dialogo e di ascolto era quasi
maggiore in Berlusconi, probabilmente perché questi
poteva avvalersi di un forte senso di sicurezza in
parte mediato dal proprio potere economico e
mediatico.
Quando si costruisce una casa, non si incomincia dal
tetto, dalle finestre o dagli infissi, ma bensì
dalle fondamenta. Se queste non sono realizzate
secondo collaudati criteri, è l’intero edificio poi
a risentirne. Le mura non vengono su diritte,
l’acqua trafila e provoca crepe nelle fondamenta che
mettono in pericolo l’intera costruzione. La
democrazia è come una grande casa costruita sul
terreno di una politica sempre in tensione, quindi
per natura instabile e franoso. Se le sue fondamenta
fanno acqua, la casa della democrazia non potrà
aspirare ad una durata e ad una qualità tali da
consentire un governo equilibrato e una evoluzione
positiva della società. Questa metafora edile può
anche illuminare il significato di molte azioni
politiche dei governi che si sono susseguiti negli
ultimi anni in Italia. La litigiosità tra governo e
opposizione nel nostro paese non trova eguale in
nessun altra democrazia avanzata. Le coalizioni che
si formano, si sciolgono e riformano repentinamente
così come i provvedimenti legislativi presi a colpi
di fiducia rappresentano dei sintomi tipici di una
condizione di democrazia perennemente traballante
causata da una grave carenza di adeguate fondamenta.
Questa considerazione è la prima sulla quale i
cittadini italiani oggi dovrebbero riflettere.
Purtroppo, è anche l’ultima della quale si dibatte
ormai nelle tribune politiche e nei media in
generale.
Una questione si pone, anzi, s’impone rispetto al
futuro che si prospetta alla grande casa della
democrazia in Italia: conviene proseguire nella
solita strategia del tamponamento delle falle
(conflitto di interessi, riforme non condivise,
rimpasti di governo...) o non sarebbe meglio
demolire l’edificio diroccante e ricostruirne uno
nuovo partendo da fondamenta più sane?
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