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Narrativa
Questa rubrica è aperta a
chiunque voglia inviare testi in prosa inediti,
purché rispettino i più elementari principi
morali e di decenza...
Frontiere di Massimo Acciai,
Noia di
Giuseppe Costantino Budetta,
Professione Euro
di Elisabetta Giancontieri,
Diario di
Vagabonda di Tiziana Iaccarino,
La Fata dai
capelli biondi di Cesare Lorefice e Luana
Milan, Follia di Alessandro Pellino,
I
viaggiatori d'Europa di Paolo Ragni,
Viaggio
in Inferno di Peter Robertson,
Starnazzatori
di Stefano Carlo Vecoli,
Trenta ottobre di
Anna Maria Volpini
Poesia italiana
Poesia in lingua
Questa rubrica è aperta a chiunque voglia
inviare testi poetici inediti, in lingua diversa
dall'italiano, purché rispettino i più
elementari principi morali e di decenza...
poesie di Rossana D'Angelo,
Lucia Dragotescu,
Manuela Leahu,
Anna Maria Volpini
Recensioni
In questo numero:
- "Vita di Ungaretti" di Walter Mauro, nota di
Enrico Pietrangeli
- "Di chi è la luna?" di Massimo Acciai
- "Un barlume di speranza" di Tiziana
Iaccarino, nota di Massimo Acciai
- "Gli spettri del Quarto Riech" di Marco
Dolcetta, nota di Enrico Pietrangeli
- "Image this. Io e mio fratello John Lennon"
di Julia Baird
- "L'Occhio del Potere" di Stefano Peverati
- "Tra inferno e paradiso" di Cristina
Soranzio
- "Phönix" di Stefano Lanciotti
- "Ho gettato dio nella pattumiera" di Bruno
Previstali
- "La mummiona e altre storie" di Nicoletta
Santini, nota di Massimo Acciai
- "Animali & animali" di Cristina Buzzi
- "Chiedo i cerchi" di Valeria Serofilli
- "Puttanate magistrali" di Marco Porta
- "Triade" di Luca Vicari
- "Europa" di Massimo Semerano e Menotti
- "Malinconico Leprechaun" di Patrizio Pacioni
, recensione di Simonetta De Bartolo
- "Le stanze del cielo" di Paolo Ruffilli,
recensione di Roberto Mosi
- "Ritorno al mondo perduto" di Edward D.
Malone, nota di Enrico Pietrangeli
- "Dizionario etimologico"
- "Dizionario mitologia classica"
- Gli almanacchi meneghini della libreria
Milanese
Interviste
Incontri nel giardino
autunnale
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Quando ero bambina, mia mamma, in
vena di complimenti (come sempre), amava ripetere
spesso: "Certo che sei proprio una vagabonda", solo
perché mi piaceva gironzolare e bighellonare (in
fondo, mi chiedo ancora cosa ci fosse di tanto
male), lasciando la sua mano ed andandomene dove mi
pareva.
Mia mamma si pentì presto di avermi chiamata Serena
(anche perché spesso non sembravo per nulla serena,
anzi …) e decise di richiamarmi con un nuovo
appellativo e cioè "Vagabonda".
Nel corso degli anni, mi stufai pure di questo nuovo
nome, ma oltre ogni mia immaginazione, cominciò a
diventare 'famoso' e tutti quelli che mi
conoscevano, cominciarono a chiamarmi proprio
Vagabonda.
A quel punto, all'età di 19 anni, decisi di dare un
senso a quel mio nuovo nome e, zaino in spalla, feci
sapere ai miei che ero prossima ad andarmene in tour
per l'Europa, con la mia chitarra nuova di zecca e
qualche soldo conservato per decenni nel salvadanaio
appena rotto. Il mio era un sogno pazzesco: far
ascoltare la musica che componevo in tutti i Paesi
Europei che avrebbero potuto sopportarmi e decisi di
compiere il grande passo.
"Ha bevuto la sua birretta quotidiana prima del
solito" sentenziò pigramente mio padre in salotto,
leggendo le solite notizie di sport sul suo
quotidiano preferito.
"Secondo me, si è invaghita di qualcuno in chat e lo
raggiunge chissà dove!" esclamò, invece, mia madre
facendo un sorriso beffardo, mentre ripuliva
l'aspirapolvere.
"Vi sbagliate tutti e due: me ne vado in giro per
l'Europa, per far conoscere la mia musica agli …" mi
mancarono quasi le parole, ma poi giunsi a
conclusione:" … europei!".
"Certo" sorrise mio padre: "Sarebbe stato strano se
tu avessi detto che te ne volevi andare in giro per
l'Europa per far conoscere la tua musica agli …
americani!". Sorrisero entrambi.
"Comunque io … vado!" esclamai, allora, sul punto di
varcare la soglia della porta di casa.
"Va bene, ma non fare tardi per cena!" mi fece
sapere a gran voce mia madre, dall'altra stanza.
Insomma, i due non mi credettero, ma io diedi loro
la dimostrazione che quel che dicevo era del tutto
vero, porca vacca!
Da quel preciso momento, iniziò la mia avventura per
il continente Europeo: un'esperienza meravigliosa ed
indimenticabile in tutti i sensi!
Non dimenticherò mai le mie imprese per riuscire ad
arrivare innanzitutto in Spagna, tra treni ed
autostop selvaggi, lunghe camminate e nottatacce nei
campi che il mio cammino incontrava. Ma proprio in
Spagna decisi di far partire il mio mega tour: avevo
in saccoccia appena 550 euro che decisi di farmi
durare il più a lungo possibile (impresa quasi
impossibile, ma ci provai).
Mi fermai per qualche settimana a Barcellona, la
città più internazionale della Spagna e trovai
presto lavoro in una 'tapa' per soli 20 euro al
giorno (ero un po' sfruttata, ma decisi di fermarmi,
perché temevo di spendere tutti i soldi che avevo
con l'alloggio economico trovato in una specie di
pensione per stranieri alle porte … del porto!).
E proprio nella tapa in cui lavoravo incontrai il
mio primo e breve amore (purtroppo … e troppo
breve): Manuel, un bellissimo brasiliano dagli occhi
di ghiaccio e i lunghi capelli biondi e mossi che mi
conquistò con un sorriso mozzafiato.
Manuel aveva imparato lo Spagnolo stando in Spagna
da appena qualche settimana prima di me e parlava
con un accento brasiliano che avrebbe conquistato
chiunque.
Per qualche tempo condividemmo tutto: dai bocadillos
con jamón y queso (panini con prosciutto e
formaggio) al monolocale che aveva affittato poco
distante dalla bellissima cattedrale in
restaurazione della Sagrada Familia, il capolavoro
di Gaudì.
Quella mia avventura era cominciata alla grande,
soprattutto perché i fine settimana, quando non
lavoravamo, ci mettevamo a strimpellare per le vie
della città con la chitarra e la speranza che i
passanti si sarebbero fermati ad ascoltarci e a
lasciarci qualche spicciolo.
Manuel aveva una voce quasi idilliaca e di questo si
accorgevano tutte le figure femminili che ci
passavano di fianco, visti i sorrisi e le occhiatine
che gli lanciavano.
Qualcuna più generosa, poi, ogni tanto decideva di
lasciarci qualche 'sostanziosa banconota' da 10!
Insomma, quello che pareva riscuotere più successo
era proprio lui e non certo io con la mia chitarra e
la musica composta qualche tempo prima.
Un po' mi fece incavolare il pensiero che lui mi
rubasse la scena 'musicale', ma poi calcolando che
più di una volta al mese, riusciva a guadagnarsi
almeno 100 euro in mezza giornata, riuscivo a
perdonarlo con l'idea che, in fondo, da quando
condividevamo casa, mi aveva risparmiato l'affitto e
questo mi avvantaggiava molto mensilmente dal punto
di vista economico.
Un pomeriggio, però, lo sorpresi ad amoreggiare al
bar che si trovava vicino al nostro monolocale con
una signora di mezza età, bella ed elegante e mi
incavolai di brutto. Decisi di andarmene, senza
proferir parola.
Il mio viaggio successivo, sarebbe stato in
direzione della vicina Francia, dove avevo la
speranza di riuscire a trovare qualcosa di meglio.
Non ero mai stata in Francia e m'incuriosì non poco
l'idea di poterne conoscere ogni aspetto in modo del
tutto libero ed autonomo, per la prima volta in vita
mia.
Mi fermai a Bordeaux, anche se le mie intenzioni
erano quelle di raggiungere Parigi.
Feci l'autostop per giorni, rimorchiando camionisti,
autisti raffinati, impiegati, ragazzotti più o meno
drogati e gente di una certa età: il mio ultimo
passaggio, infatti, me lo diede una vecchietta di 89
anni, arzilla come non lo ero neanche io a 19.
"Gambe in spalla, ragazza mia!" mi disse in un
morbido francese e mi fece scendere alle porte di
Parigi: "Devo lasciarti qua, perché ho un
appuntamento col mio amante" mi confessò poco prima
di lasciarmi: "E non posso destare sospetti: mio
marito è molto geloso!". Sorrisi, non credevo alle
mie orecchie, sebbene la signora lasciasse intendere
di far sul serio.
Parigi fu la scoperta più bella della mia vita, con
le sue luci, i suoi colori, l'eleganza, la
raffinatezza, la bellezza e la storia di uno dei
luoghi davvero più … 'in' d'Europa: mi sentii
felice.
A Parigi consumai l'amore più folle della mia
esistenza: quello con un ricco industriale con
famiglia al seguito che mi viziò per tutto il tempo
del mio soggiorno in Francia.
Lo conobbi in una boutique nella quale ero entrata
semplicemente a curiosare, non potendomi permettere
l'acquisto di capi d'abbigliamento firmati e
ricamati.
Nella boutique era presente sua moglie: una
raffinatissima aristocratica di origini olandesi che
non disdegnava acquisti sopra i 500 euro a … pezzo!
Il marito, seduto in un angolo, le faceva passare
ogni capriccio, sorrideva e … si guardava attorno.
Ci notammo e ci piacemmo. Appena un'ora dopo, mi
ritrovai avvolta tra le candide e morbide lenzuola
ricamate di una lussuosissima suite d'hotel a cinque
stelle del centro!
Mi accorsi di non avergli neanche chiesto il nome,
quando mi ritrovai sotto la doccia.
Uscii e decisa a spiaccicare qualche parola di
francese, mi diressi in salotto: lui era disteso sul
divano a fumare un puzzolente sigaro e a
contemplarmi in accappatoio.
Ero sul punto di parlare, quando con l'indice
m'indicò il tavolo che regnava imponentemente al
centro del lussuoso salotto e mi fece notare su di
esso una banconota da … 500 Euro che faceva bella
mostra di sé, non aspettando altro che di esser …
raccolta.
All'inizio pensai d'infuriarmi di brutto, ma poi …
osservando bene la banconota … insomma, ne avevo un
gran bisogno e non ci misi neanche un quarto di
secondo ad accettarla con un vergognoso sorriso
compiaciuto sulle labbra ed una vocina interiore che
mi diceva: "Vergognati!".
Il mio idillio col francese fu dei più … lussuosi e
comodi che la mia ancor breve vita avesse mai potuto
ricordare: suite pazzesche, boutique firmate dai più
grandi nomi della moda internazionale, ristoranti
che accettavano di far entrare i propri clienti solo
in abito da sera, casinò e gite folli per la Senna.
Mi sentivo nel sogno che persino la mia più fervida
immaginazione non avrebbe potuto creare!
La Tour Eiffel era la prima cosa che potevo ammirare
dalla suite in cui il mio misterioso amante aveva
voluto che restassi per tutto il tempo che avessi
voluto.
La bellezza mi sembrava qualcosa di … parigino nella
mia vita, perché quella città aveva un qualcosa di
così magico, da non lasciarmi neanche capire cosa.
In un mese riuscii a farmi regalare oltre 2000 euro
dal bel francese e, quando mi stancai, consapevole
che quella nostra avventura non sarebbe potuta
continuare in modo indisturbato, decisi di andar
via.
In borsa scoprii di avere una bellissima spilla:
cosa che non c'era prima ed intuii che,
probabilmente lui aveva capito da tempo la mia
insofferenza nel restare a lungo in un unico luogo.
Mi aveva voluto fare un ultimo e di certo
costosissimo regalo.
Da bambina mio padre amava ripetermi: "L'Europa è un
mondo da scoprire: te ne accorgerai da grande,
quando capirai quanto i propri Paesi siano molto più
vicini di quel che si possa solo geograficamente
capire".
Aveva ragione. Ad unire i Paesi europei è un'unica
cultura: quella conquistata con le lotte decennali
ed i poteri imperiali, quella creata sulle macerie
degli errori storici che ne hanno forgiato la nuova
esistenza ed una nuova unione con il passare dei
secoli.
Volevo che gli europei capissero ed ascoltassero la
mia musica, tra le strade di un continente che mi
era sembrato molto più grande di quel che potevo
immaginare.
Non volevo perdere in un soffio di vento i soldi che
ero riuscita fortuitamente ad ottenere dal ricco
francese e decisi di continuare a strimpellare per
strada, piuttosto che di cominciare a spendere il
gruzzoletto in qualche hotel che poi magari non mi
avrebbe offerto neanche la Tv in camera!
Li raggiunsi quasi tutti i miei sogni, nel corso di
quella mia folle avventura europea e ne disegnai con
cura ogni sfumatura, alla ricerca di un qualcosa che
mi portasse a capire dove realmente stessi andando e
soprattutto dove volessi andare.
Chiamai i miei genitori da un telefono pubblico in
Germania, avendo dimenticato a casa il mio già
antiquato telefonino di qualche anno prima.
"Stai bene, tesoro?" mi chiese con voce preoccupata
mio padre: "Se hai bisogno di soldi, devi solo
farmelo sapere".
"(Non ci provare proprio)" pensai, ma risposi: "Non
ho bisogno di nulla, grazie! Vi chiamo presto, mi
fermo un po' in Germania" feci sapere ancor prima di
deciderlo realmente.
Non restai a lungo in Germania: lavorai per qualche
settimana presso una pizzeria gestita da italiani
che mi trattavano come fossi una componente della
loro famiglia, ma in realtà era il luogo a non
piacermi.
La signora Dorella che tutti chiamavano
affettuosamente Lella aveva cresciuto in Germania
ben 4 figli, dopo esser andata via dall'Italia
quando aspettava appena il primo, perché i suoi
genitori la cacciarono fuori casa, non appena
seppero che era incinta di un tedesco conosciuto in
vacanza in Sicilia.
Allora, decise di trasferirsi in Germania: venne
accolta amorevolmente dalla famiglia di lui e si
sposarono in men che non si dica, dando luogo
all'inizio di una fantastica avventura familiare,
perché i figli arrivarono uno dietro l'altro e tutti
maschi. Al quarto, benché desiderasse la bambina,
decise di fermarsi.
Servii pizze per loro cantando "O sole mio" che i
tedeschi amavano molto sentire, gustando la
Margherita e l'atmosfera era così bella e rilassata
da farmi quasi credere di trovarmi proprio in
Italia.
Nell'aria si respirava un'italianità che, spesso,
non avevo trovato neanche nella stessa Roma, dove
vivevo da sempre e dove amavo intrattenermi nella
trattoria di mio zio Rodolfo.
I tedeschi amano la pizza Margherita non solo per la
sua bellezza e bontà, ma anche per quel che
rappresenta: un vero simbolo di italianità, di
genuinità mediterranea, pura e unica.
La famiglia della signora Lella mi aveva persino
organizzato un angoletto in pizzeria che volevano
riservare all'intrattenimento ovvero al momento
canoro che potesse accompagnare i propri clienti nel
corso dei loro pasti.
In men che non si dica e nel giro di pochi giorni,
registrammo un incredibile affluenza di persone che
volevano che servissi loro la pizza Margherita
cantando col microfono "O sole mio"!
Anche io non potevo crederci … eppure, riuscii a
riscuotere più successo in qualche giorno da
cameriera cantando canzoni napoletane che nel corso
di tutto il mio viaggio, strimpellando per strada
con la mia chitarra!
Ci presi persino gusto, pur sapendo che non sarebbe
stato certo quello il mio avvenire.
La Signora Lella, per premiare le mie 'performance'
canore con la pizza sul braccio, tra i tavoli della
sua pizzeria, mi preparava quasi ogni sera l'amatriciana
ed io mi sentivo felice ed ispirata: avrei potuto
mettermi a cantare anche "Caruso", ma non ne feci
parola, per non trovarmi di lì a qualche giorno a
dover tenere dei veri e propri concerti con tanto di
gruppo musicale al seguito, tra una pizza e l'altra.
Quel ruolo mi stette presto stretto: la famiglia
della pizzeria mi aveva accolta con grande amore,
ospitandomi persino a casa propria ed evitandomi
spese d'affitto che avrebbero potuto sequestrarmi
quel che guadagnavo giornalmente.
Ero molto grata loro per il trattamento che mi
avevano riservato, perché mi avevano fatta sentire
come parte della propria famiglia e questo mi aveva
resa davvero felice e soddisfatta della mia
esperienza in Germania.
Mi ritrovai così ancora per strada, pronta ad
intraprendere un nuovo viaggio: avrei voluto fare di
più, vedere di più, vivere di più, forse anche
cazzeggiare di più, non lo so.
Un ragazzone mezzo ubriaco mi diede un passaggio in
Austria, dove probabilmente avrei cercato
innanzitutto un alloggio.
Viaggiavamo con la vodka sotto i sedili e ci
passavamo spinelli vari, fino a quando ad un certo
punto: "Cazzo!". La polizia ci fermò ad un posto di
blocco.
In meno di due ore mi ritrovai in gattabuia, in
attesa di qualcuno che potesse capire quel che
dicessi nella mia Lingua e darmi l'opportunità di
farmi chiamare almeno qualcuno in grado di farmi
uscire da quella situazione.
Il pensiero che gli austriaci potessero rintracciare
i miei genitori mi intimoriva molto di più del
pensiero di farmi qualche tempo dietro le sbarre.
Avevo una paura fottuta della reazione di mio padre.
Buono sì, ma non … coglione e se combinavo qualcosa
di tosto, erano mazzate.
Dietro le sbarre conobbi un ragazzo molto
interessante oltre che molto sexy: alto, biondo, gli
occhi azzurri e la dentatura perfetta. "Cosa avrà
mai fatto un bel tipo come questo, per trovarsi qua
dentro?" mi chiesi senza riuscire a trovare la
risposta.
Pretendere che il bel ragazzo parlasse l'Italiano
era pura fantascienza e cercai d'instaurare con lui
un dialogo in un Inglese marcio ed arrugginito
(anzi, sembravo più una bambina di terza media che
una di 19 anni che aveva studiato Lingue!).
Presto mi accorsi che anche il suo Inglese non era
fantastico, ma ancor non riuscii a decifrare di
quale Paese europeo fosse e soprattutto cosa avesse
fatto per trovarsi là.
Ci scrutavamo come bambini e sorridevamo come
deficienti, mentre una guardia fuori ci teneva
d'occhio.
Mi sembrò un … semi-incubo la mia esperienza in
cella, ma poi qualcuno venne a salvarmi: un
interprete (finalmente!).
"Vi hanno trovati ubriachi e mezzi drogati, ma
quello che guidava sta peggio di te" m'informò
placidamente: "Domani uscirai".
"E a chi devo questo miracolo?" chiesi esterrefatta.
"A me?" chiese quasi sorridendo l'uomo mezzo
attempato che venne a tradurmi e a dirmi ogni cosa.
"Perché … a te?" allora gli chiesi: "Forse perché mi
piaci e perché sono amico di quello che gestisce le
cose qua?"
"Ma …" non avevo molto da dire, non ci capivo
niente: "Sei italiano?" allora chiesi.
"Come te!" esclamò, sorridendomi.
"E cosa dovrei fare in cambio di questa … cortesia?"
cercai di capire come stavano le cose.
"Fare sesso con me?" disse ironicamente, ma non al
punto da farmi intendere che scherzasse.
Feci un'espressione più schifata che comica, vista
la situazione, anche se ero molto sollevata al
pensiero di tornare in libertà e soprattutto di
esser riuscita a non far avvertire i miei di quello
che mi era capitato.
"A casa di chi?" scherzai, cercando di
sdrammatizzare la situazione a un certo punto.
"Intanto stanotte te la fai in cella e domani si
vedrà" mi sfiorò il volto con una carezza e andò
via.
Le guardie mi riportarono in cella dal bel
giovanotto misterioso e la notte parve non passare
più.
Ero còlta da mille pensieri e non sapevo quale
sarebbe stato davvero il mio destino. Avevo paura,
ma decisi di farmi forza e di aspettare l'indomani
per capire in che modo sarebbe tramutata la mia …
avventura.
L'indomani, entrai quasi in punta di piedi nella
casa dell'uomo che mi aveva fatta scarcerare. Mi
sentivo fuori luogo, oltre che in grande imbarazzo.
Lui m'invitò quasi subito ad accomodarmi e, nel
sistemarsi il grembiule già mezzo macchiato della
propria cucina, si mise a rovistare nel frigo.
"Hai fame?" mi chiese.
"Tanta" risposi, in un tono un po' cupo. ("Forse
intende far sesso dopo pranzo") pensai ("Alla nove
settimane e mezzo, con la fragola sulla lingua e
tutto il resto?") mi chiesi.
Mi sentivo ridicola a pensare quelle cose, mentre
lui era in cucina a preparare qualcosa di
commestibile da mettere sotto i denti.
D'improvviso sentii un rumore provenire da un'altra
stanza e pensai: ("Ecco un complice, un pappone
pronto a saltarmi addosso: cosa vuole fare? Si
preparano ad un'orgia da nove settimane e mezzo in
tre?).
Poi mi girai e scorsi con grande sorpresa un bambino
che mi veniva incontro con la sua sedia a rotelle.
"E' tuo figlio?" gli chiesi e lui fece capolino
dalla cucina ed annuì.
Mangiammo una frittata con uova e cipolle, a quanto
pare non c'era rimasto altro in cucina, ma mi
adattai e mi sembrò la frittata più buona che avessi
mai mangiato.
Il bambino mi guardava con curiosità, ma non
parlava.
"E' muto" mi disse suo padre: "Non parla dalla
nascita" ed io mi sentii male: un pugno allo stomaco
mi spappolò quel che avevo appena mangiato.
"Sua madre è morta quando era piccolo e ora siamo
solo in due a crescere insieme" continuò l'uomo,
mentre sorseggiava un bicchiere di vino bianco.
Ero una deficiente: avevo pensato le cose peggiori
fino a quel momento. E di punto in bianco mi
ritrovavo a mangiare in silenzio una frittata in
compagnia di uno sconosciuto che mi aveva tirato
fuori dai guai e del figlio che mi guadava come se
la cosa più strana al mondo fosse proprio la mia
faccia. Forse aveva ragione. Mi sentii davvero
strana.
Mi congedai da loro poco dopo e sentii mancarmi
qualcosa, anche se ancor non saprei ben definire
cosa.
Ripensai ai miei genitori e al fatto che anche loro
avessero soltanto me ed io soltanto loro. Cominciai
a capire le loro preoccupazioni nei miei confronti
ed intorno al viaggio che avevo deciso
d'intraprendere, ma decisi ugualmente di proseguire
per la mia strada.
Tornai a fare l'autostop, avevo pochi soldi in
tasca: quei bastardi dei poliziotti austriaci mi
avevano restituito solo in parte il denaro contante
che avevo con me.
Questa volta, però, a darmi un passaggio era un
camionista polacco che in uno strambo Inglese mi
fece capire che stava tornando in Polonia.
E io risposi: "Ok!" e decisi di recarmi alla
scoperta di un nuovo Paese. Ero una persona credente
ed ero stata molto affezionata a Papa Wojtyla,
pensai di andare a visitare la sua terra per fargli
un omaggio, a modo mio.
Arrivammo in un giorno, passato a bere tazze giganti
di caffè e brodo, a Cracovia. Non mi sembrava vero:
ero nella bellissima Cracovia, una delle città più
antiche d'Europa!
Faceva un freddo cane e a giudicare dalle strade
mezze deserte, anche un cane sarebbe stato folle a
passeggiarci!
Entrai in un bar ed indicai con un ditino mezzo
congelato una lattina di birra, quando d'improvviso,
al momento di pagare, mi ricordai che in Polonia non
era ancora presente la moneta unica ed io avevo
dimenticato di cambiare il denaro: "Porca miseria!".
Il barista lo capì e mi prese tra le mani 5 euro,
facendo segno col pollice che andava bene così: ci
credo … a chiunque sarebbe piaciuto guadagnarsi 5
euro per una lattina di birra!
Ma decisi di soprassedere e di sorseggiare in santa
pace la mia birretta in un angoletto, quando scorsi
poco distante, all'interno del bar, seduto ad un
tavolo solo soletto, il bel ragazzo misterioso che
mi aveva tanto affascinata ed incuriosita in
carcere.
Non potevo crederci: era proprio lui. Mi notò e mi
raggiunse.
"Ma … sei polacco?" gli chiesi. Mi fece l'occhietto
e sporse la sua birra verso la mia, nell'intento di
accostare le due lattine e pronunciare il fatidico
ed internazionale 'cin-cin'.
Tomek (era questo il suo nome) mi fece vedere casa
sua, mi presentò la famiglia e persino il cane
(infatti, col freddo che faceva, era il primo a
starsene vicino al camino e a non mettere il naso
fuori casa).
Tempo qualche giorno e con Tomek riuscii ad
instaurare un bel dialogo in un Inglese da pessima
figura, ma in compenso avevo trovato un nuovo amico,
oltre ad un'ottima persona.
Mi spiegò che era finito in cella per un paio di
notti solo per esser stato sorpreso ad acquistare
dei sigari di contrabbando che avrebbe voluto
destinare a suo padre, fumatore incallito che aveva
deciso di andarsene a vivere sulle montagne di
Zakopane, una bellissima località di villeggiatura e
non solo.
Gli feci sapere che mi sarebbe piaciuto visitare la
dimora nella quale era nato e cresciuto Papa Wojtyla
e lui mi ci portò qualche giorno dopo.
La cittadina si chiama Wadowice ed è una delle più
belle destinazioni polacche del sud, non solo meta
di pellegrinaggio e turismo, ma anche luogo in cui
poter vivere meravigliosamente tutto l'anno.
La casetta di Papa Wojtyla era adibita a museo ed
era stupenda: gestita da alcune suore che, tra
l'altro, avevo sentito parlare anche in Italiano e
visitata da persone che arrivavano da tutti i Paesi
Europei.
Un'esperienza indimenticabile, il mio viaggio in
Polonia. Una terra che non immagini, perché
sorprende il proprio visitatore in tutto e per
tutto.
Quando uno si reca in un luogo ha, spesso,
l'illusione e la presunzione di conoscere già in
parte quel che andrà a visitare e a conoscere
meglio, ma la verità è tutt'altra, perché esistono
luoghi che hanno il potere di far capire
l'impensabile.
In realtà un luogo non lo capisci e non lo conosci,
se prima non hai modo di viverci, anche solo per
poco e di condividerne persino quelle piccolezze che
puoi credere di nessuna importanza, prima di
assaggiarne l'essenza.
L'Europa è continente antico e magnifico: unico per
la sua storia, le sue meraviglie artistiche e le sue
capacità culturali. E' un continente da vivere a 360
gradi e forse neanche un'intera esistenza
riuscirebbe a godersene appieno le sfumature che
offre attraverso quel 'tutto' confinato tra le
frontiere mentali esistenti di Paese in Paese.
La verità è che le vere differenze sociali ed umani
atte a far nascere il senso del razzismo, nascono
solo ed esclusivamente dall'incivile ignoranza di
quegli esseri umani che non ne comprendono la mera
inutilità.
Un viaggio in Europa può servire a tutti per
comprendere meglio che siamo molto più simili di
quel che si potrebbe immaginare!
Una Serena Vagabonda
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