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Tool: contaminazioni dell'A(e)nima
I
Tool si formano nel 1990 a Los Angeles, California,
città che ha dato i natali a band di tutt'altro
spessore sonoro ed artistico: tra le tante Guns'n'roses
e Motley Crue. Ma è l'inizio degli anni 90 e il "Grunge"
sta sterminando inesorabilmente ogni germe di Hard
Rock patinato e pieno di lustrini presente nello
stato americano.
Due sono le strade: sciogliersi travolti
dall'indifferenza più totale della gente oppure
indossare una camicia a quadroni e seguire le orme
di chi vende milioni e milioni di copie: Nirvana,
Pearl Jam, Soundgarden etc.
Per il quartetto "losangeliano", invece la realtà è
ben più profonda e complessa di quanto possiamo
immaginare. Parliamo, infatti. di un'entità aliena a
tutto quello che è stato il rock in questi ultimi
anni. Un pachiderma informe e inarrestabile di
elettricità e melodia che in breve tempo e con pochi
splendidi album ha saputo travolgere ogni moda o
genere del momento creandosi un alone di mistero ma
anche di culto. Nati soprattutto per volere del
cantante Maynard keenan ( personalità camaleontica e
dolorosa che ama travestirsi con lunghe parrucche
oppure con maschere antigas sul palco) e del geniale
chitarrista Adam Jones ( degno epigono dei grandi
compositori progressive degli anni 70) debuttano nel
1993, con lo splendido "Undertow". Inseriti a torto
nel filone di Seattle, la musica del quartetto a
stelle e strisce risulta invece ispirata e
influenzata dal progressive rock di band anni
settanta come Rush oppure King Crimson, cosa
alquanto inusuale per l'epoca. Epocale la tripletta
di pezzi iniziale, (Intolerance, Prison Sex, Sober )
che diventeranno dei cavalli di battaglia per quanto
riguarda le esibizioni dal vivo.
E' la volta, nel 1996 , di "Aenima, altro capolavoro
di rock duro e psichedelico ove le composizioni si
dilatano ancora maggiormente creando delle atmosfere
sempre in bilico tra luce e oscurità. Addirittura
shockanti e onirici sono i video creati a promozione
dei brani dove esseri umanoidi oppure simili a
marionette si muovono su uno sfondo tra sogno ed
incubo.
Il nome della band comincia a rimbalzare da un
continente all'altro attirando stormi di persone ai
loro concerti.
Il successo giunge quasi inatteso da parte dei
nostri intaccando il loro spirito ermetico ed
empirico.
I Tool decidono di fermarsi.
Dopo un'attesa spasmodica durata oltre 5 anni sarà
il turno di "Lateralus".
L'anima dei Tool è stata finalmente contaminata e il
processo di trasformazione ha raggiunto stavolta uno
stadio compiuto. Melodie orientali, lunghissimi
arpeggi di chitarra acustica, morbose litanie del
cantante Maynard , shamano visionario e apocalittico
del ventesimo secolo, ma soprattutto la pesantezza
elettrica di alcuni brani al limite del metal
estremo( tra tutti il pachiderma "Shism" deglo del
Doom più funereo), mostrano un volto nuovamente
diverso a chi ancora tentava, invano, di
catalogarli. Degna di menzione la sezione ritmica(
Paul D'amour, basso, Dannny Carey, drums) che si
muove tra un tribalismo post-atomico e la violenza
più cieca e subdola
La band si imbraca in un ennesimo tour mondiale.
Inutile dire che sarà un successo dovunque sbarchino
Passeranno altri 5 anni prima di poter ascoltare
"10.000 Days" .
Un lungo viaggio lisergico (oltre 75 minuti!),
tecnologico e mantrico, verso una dimensione fatta
di puro spirito. Gli sviluppi stilistici presenti in
"Lateralus" vengono riproposti in modo più maturo ma
anche prolisso. L'intensità delle atmosfere dipinte
dal virtuoso Adam sono ancora li a ricordarci che
seppure il serpente non ha cambiato pelle , il
veleno che ha saputo iniettarci poco a poco
stravolgerà la mente portandola in un deliquio di
visioni e ombre. Inutile e insensato citare un solo
brano. L'album va ascoltato nel suo mastodontico
insieme, prendere o lasciare! Una cosa è certa : chi
ama la musica non può ignorare i Tool.
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