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Busker
Fotografia
Miti mutanti 14
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"Eroe? Macchè... chiamatemi
Soltanto busker"
Matteo è Soltanto un ragazzo
che ha fatto una scelta nella sua vita: vivere della
propria musica facendola per strada. Qualcuno nella
Pop Art definiva l'arte come qualcosa che deve saper
parlare alle persone e che non è necessaria la
critica artistica per comprendere una forma d'arte.
Soltanto parla con le emozioni e comunica la sua
storia cantandola per strada. Il giovane busker vive
gli angoli di Milano, spesso grigi e innondati da
passanti affrettati e concitati, dove poter
comunicare il messaggio delle sue composizioni,
ponendosi, muovendosi, parlando anche col corpo. Lo
abbiamo intervistato.
Perché Soltanto?
Suono da quando ho 14 anni, avendo da subito
fatto parte di gruppi con cui facevo musica per
hobby. Un paio di anni fa mi sono laureato in
scienze politiche. A 18 anni sono uscito di casa
finendo il liceo frequentando i corsi serali. Ho
lavorato per Noura produzioni. Ho deciso, poi, di
fare il busker, musicista di strada in modo
autentico. Sono partito, così, con uno zaino, una
tenda e una chitarra girando per l'Europa,
chiamandomi Matte Super Tramp, un po' come il
protagonista di "In to the wild". Partivo dall'idea
che la felicità debba essere condivisa: non volevo
isolarmi in Alaska, come invece ha fatto il
protagonista del film. Pertanto ho fatto un lungo
viaggio da Lione a Tenerife: ho visto, infine, che
una strada era possibile anche a Milano. Non c'era
bisogno di fare il super eroe: la mia sfida, così, è
stata ed è essere soltanto me stesso. Ho avuto un
successo enorme.
È una tua professione?
L'unica; lavoro per 2, 3 pomeriggi a settimana,
3 ore al giorno e vendo dischi.
Quale è la risposta dal pubblico? Milano come
risponde?
Ho suonato in molti posti dell'Europa. La
risposta da Milano? E' stata ed è appagante. Tanti
mi dissuadevano di venire a Milano, mentre molti
apprezzavano e incentivavano la mia scelta. Manca la
cultura non nel pubblico ma nei musicisti. Alcuni mi
dicono: fai il barbone? Io vivo di questo: è un'arte
e non lo è solo suonare in un locale. La strada non
è un palcoscenico. Chi è in un locale ha un pubblico
venuto apposta e, quindi, è avvantaggiato. In
strada, invece, devi conquistare ogni persona che
viene a sentirti e che passa. Non puoi fare questo
se sei solo bravo. Non è questione di solo
virtuosismo: devi emozionare; ed emozioni se
racconti una storia.
Cosa significa suonare per strada?
Essere in un palcoscenico teatrale, non su un
palco. Esiste un sottotesto: importante è come ti
poni, come ti muovi. La musica è più una colonna
sonora. Il messaggio che esprimi è la tua storia,
come ti presenti, il tuo angolo in strada. Occorre
far comprendere che l'urgenza non è il guadagnare.
Nei locali, invece, come ti proponi?
È un trio acustico, una formazione con
violoncello e una chitarra elettrica.
La strada è migliore?
È un'altra cosa. Non è più musica e basta, ma è
mettere in gioco molte cose. Non sai mai cosa
incontri. Ogni minuto hai persone diverse da
conquistare da zero.
Il genere che fai?
È rock melodico: canzoni che vengono arrangiate
in dimensione melodica, un rock dolce. Abbiamo anche
fatto cover, ma la cosa principale è l'inedito. Un
mio riferimento è Cesare Cremonini più che un
Samuele Bersani. È molto più approfondito. Esiste
una certa sensibilità che gli riconosco nei testi.
Riesce a raccontare, come nelle "6 e 26", un ragazzo
che non riesce a dormire e che incontra una
prostituta con cui poter parlare. Riuscire a
raccontare una storia simile non è da tutti. I testi
sono ricercati.
Quindi hai dei tuoi riferimenti?
Sono vicino a quel genere prima descritto. Penso
anche di attingere come stile da De andrè, De
Gregori.
Cosa consigli a chi vuole intraprendere la tua
attività?
A me sembra che, parlando con i gruppi, molti
siano legati all'idea: "io sono bravo e attendo il
produttore per fare il disco ma intanto faccio il
cameriere". Credo che questa sia una mentalità da
cambiare. Io faccio musica da anni: sono andato io a
cercare questa cosa, scegliendo di essere un artista
di strada. Non tutti vogliono questo. Se c'è un
talento è chiaro che ognuno abbia la propria storia.
Io mi sono laureato e ho abbandonato una produzione,
lasciando, così, ogni garanzia. Chi vuole vivere di
sola musica lo può fare. Dipende cosa sei disposto
di mettere in gioco.
Cosa succede a Matteo Terzi, ossia a Soltanto,
quando è in strada? Cosa prova?
In strada vado in trance. A ogni storia definita
ho dedicato una canzone, così come a una perdita di
una persona cara.
Escono le emozioni. Le persone, così, comprano i
miei dischi e mi scrivono: quello che passa è ciò
che viene premiato. Non è il virtuosismo perchè crea
allontanamento. Attraverso il solo virtuosismo dici:
"guarda come sono bravo". Questo puoi farlo solo in
un locale. In strada suono sempre a piedi nudi. Sono
in strada e ci voglio stare senza filtro. Questa
scelta è giunta alle persone come naturale. Questo è
in sintesi il mio concetto di artista di strada.
Alcuni giustamente hanno definito che andare a un
concerto vuol dire andare a vedere e non solo
sentire un musicista?
In strada questa sensazione è moltiplicata,
amplificata. Io non pago chi viene a sentirmi. È
nella mente dell'essere umano fermarsi in luoghi
dove c'è più folla.
Quale tipo di comunicazione utilizzi per
richiamare le persone?
Utilizzo il mio profilo su facebook, facebbok/Soltanto,
e il mio sito
www.soltanto.net
Scrivo i concerti, le date, le news e la mia storia.
Chi vuole si mette in contatto con me. Non do un
servizio musicale: Soltanto non è una maschera, ma
una parte di me. Non sono lì per fare musica: ma per
sentirmi. È sentire quello che ho scelto di
raccontare agli altri: un reality. Una scelta di
vita raccontata ispira le persone: la mia scelta è
stata seguire il mio sogno. Questo garantisce
ispirazione per tanti miei coetanei. Provo piacere
nel raccontare. So bene dov'è Matteo Terzi e dov'è
Soltanto. Io scelgo i modi: non accetterei mai di
andare dalla D'Urso a farmi intervistare, per
esempio.
Non hai mai pensato di partecipare ad alcuni
talent show, che oggi vanno molto di "moda"?
La mia insegnante di canto mi spinse a fare
provini per una trasmissione di talent. Portare la
mia storia in un contesto grande non è il problema.
Il problema è il contratto di esclusiva che ti
propongono. Questo è il mio lavoro. Un contratto di
esclusiva sarebbe gravoso. Non è snobbismo. Mi
toglierebbe, così, il lavoro.
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