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I padri della psicoanalisi si
sono abbondantemente ispirati alla mitologia nel
tentativo di sondare e di descrivere i complessi più
reconditi della natura umana. In un certo senso, si
può affermare che, così come gli oggetti delle
ricerche nei campi della neurobiologia e della
fisica quantistica sono costituiti rispettivamente
dai neurotrasmettitori e dai quanti, l'oggetto delle
ricerche in campo psicoanalitico è rappresentato dai
complessi. Questi si deducono, nella pratica
analitica, dagli agglomerati di significanti attorno
ai quali gravitano le associazioni di idee
dell'analizzando. Freud è stato il primo a capire
che l'inconscio è struttura di linguaggio e che i
grumi di significanti in cui consistono i sintomi
andavano sciolti attraverso un lavoro di analisi
basato sul metodo della libera associazione di idee
e il cui risultato è la presa di coscienza. I
complessi inconsci possono quindi essere considerati
la materia prima del lavoro analitico. Tra questi
complessi, alcuni sono considerati di fondamentale
importanza per via della loro valenza universale. Il
complesso di Edipo, che riunisce l'amore per la
madre e l'odio verso il padre, è di gran lunga il
più noto, seguito da vicino dal complesso di
Narciso, che esprime lo smisurato amore verso la
propria immagine, e da altri meno noti come per
esempio i complessi di Icaro, Elettra, Osiride,
Orfeo ... Come si può notare, la maggiore parte
delle tendenze psicologiche più profonde trovano un
corrispettivo nei miti, i quali sono per la
psicoanalisi veri e propri specchi dell'anima dell'
intera umanità, di ciò che è universalmente umano.
L'intento di questo articolo è di descrivere,
ricorrendo sempre alla mitologia classica, un
complesso universale ancora poco noto benché
dominante in tutte le macro-società, cioè nelle
cosiddette "grandi civiltà", le quali sono, non a
caso, particolarmente dipendenti dalla sfera
tecnologica: il complesso di Dedalo, che si
riferisce allo smisurato amore e alla smisurata
fiducia nella tecnica. Alcuni paleoantropologi fanno
addirittura risalire l'origine stessa della razza
umana all'abitudine e quindi alla facoltà di tenere
con sé i propri strumenti (dopo averli costruiti),
facendo di questi una sorta di appendice tecnologica
del corpo . Il filosofo U. Galimberti ha ripreso e
sviluppato questa tesi nel suo libro Psyché e Techné
finendo per assimilare la tecnica alla più intima
essenza psicologica dell'uomo. Occorre però rilevare
che è soprattutto nelle macro-società che l'uomo
risulta così dipendente dalla tecnica. Le civiltà
tribali ne sono molto meno influenzate. La nostra
società, invece, ha da sempre accordato estrema
importanza alla tecnologia. La scienza stessa è
stata, progressivamente, sempre più asservita alla
tecnologia: le sue scoperte hanno dovuto e devono,
tuttora più che mai, servire la società e le nazioni
dandole una supremazia sulla Natura e sulle nazioni
concorrenti. La tecnica è quindi intimamente legata
non soltanto all'istinto di sopravivenza, ma anche
alla volontà di dominio. E oggigiorno il dominio ha
preso soprattutto le forme impartite dal dio
Economia . Come conseguenza dell'invenzione della
bomba atomica, le grandi nazioni hanno rinunciato a
farsi la guerra tra di loro, ma questo non significa
che l'atteggiamento bellico sia sparito. Esso si è
spostato sul piano economico. La sua finalità non è
più la conquista delle nazioni, ma la conquista dei
mercati. E tutti i problemi che l'homo economicus
incontra sulla propria strada devono essere risolti
senza rimettere in questione il sistema che li ha
prodotti. Per questo ci si affida corpo e anima ad
un atteggiamento tecnico di cui la figura mitica di
Dedalo rappresenta in qualche modo l'archetipo. Come
suggerisce il mito omonimo, nel mettere avanti la
tecnologia e nell'affidarsi così tanto ad essa,
l'uomo è irrimediabilmente portato a sostituire la
riflessione con l'azione o comunque ad esaltare
questa ultima.
Il mito racconta che quando il re cretese Minosse
cercò di ottenere il trono, chiese un segno a
Poseidone, il quale fece emergere dal mare un toro
meraviglioso. Quel toro era così bello che Minosse
scelse di non sacrificarlo al dio, come avrebbe
dovuto fare, ma di tenerlo per sé. Per punizione
Poseidone ispirò alla moglie di Minosse, Pasifae,
una irresistibile passione per l'animale. Minosse
incaricò il suo ingegnere Dedalo, fuggito da Atene
in seguito all'omicidio del suo assistente e nipote
Talo perché geloso della sua abilità di scultore e
inventore , di trovare il modo per rendere possibile
tale unione, forse nell'intima convinzione che non
vi sarebbe mai riuscito. Questi allora escogitò e
costruì una vacca di legno e di pelle (un po' come
quelle che esistono oggi presso i centri di
inseminazione artificiale) che permise a Pasifae di
copulare effettivamente con l'animale. Da questa
unione nacque il Minotauro, un mostro metà uomo e
metà toro. Di nuovo interpellato da Minosse per
rimediare alla situazione, Dedalo inventò il suo
famoso labirinto dove nascondervi il mostro. Accadde
poi che uno dei figli di Minosse, Androgeo, venne
ucciso dagli ateniesi. Il padre dichiarò guerra e
riuscì a vincere contro gli ateniesi, costringendoli
quindi al tributo annuale di sette giovani e
altrettanto fanciulle da mandare in pasto al
Minotauro.
A questo punto la vicenda s'incrocia con un altro
mito, quello di Teseo, altra grande figura eroica
della Grecia antica. Questi venne incaricato di
uccidere il Minotauro per ovviare al sacrificio
annuale imposto dal re cretese. Arianna, figlia di
Minosse, si innamorò di Teseo e chiese al solito
Dedalo di escogitare uno stratagemma che permettesse
al suo benamato di uscire dal labirinto.
L'impareggiabile inventore escogitò allora la
tecnica del gomitolo di filo da srotolare durante il
percorso di andata nel labirinto. Grazie a tale
astuzia Teseo, dopo avere ucciso il mostro, uscì dal
labirinto seguendo il filo ma dimenticandosi Arianna
per strada! Forse a causa di questa perdita oppure,
a secondo delle varie versioni dello stesso mito,
come punizione per avere permesso a Pasifae di
copulare con il toro, Minosse imprigionò Dedalo e
suo figlio Icaro nel labirinto. Ma Dedalo,
evidentemente molto fiducioso nei propri espedienti
tecnici, fabbricò per lui e suo figlio delle ali
fatte di cera e di piume di uccelli che gli
permisero di fuggire al volo dal labirinto. Così
Ovidio narra nelle Metamorfosi : "Dedalo, annoiato
di Creta, e punto dalla nostalgia del luogo natio,
non soffrì a lungo la prigionia impostagli. "Possono
precludermi il mare e la terra - disse - ma il cielo
è certamente libero: andremo via per di là". Icaro
tuttavia, esaltato dal volo, preferì non seguire il
monito del padre. Egli si avvicinò troppo al sole,
le ali si staccarono dal corpo e quindi precipitò
nel mare sotto agli occhi del padre disperato.
Jacob Peter Gowy, da bozzetto di P. P. Rubens, La
caduta di Icaro (1636-1638), olio su tela, Madrid,
Museo del Prado
Questa vicenda mostra bene come, partendo da una
richiesta illegittima, sprovvista del giusto
contrappeso d'anima, il ricorso sistematico alla
tecnica non fa che generare nuovi problemi fino ad
arrivare al tragico esito finale. Il modo di
procedere di Dedalo è freddo e circostanziale. Egli
non si pone mai il problema del significato più
profondo delle sue azioni. Scrive la
Frontisi-Ducroux: "Dedalo è uno scienziato senza
scrupoli, che per interesse o vanità è in grado di
concorrere alla creazione di mostri disumani, come
appunto il Minotauro. E' un uomo pericoloso (…)
potenzialmente disposto a tutto (…) è anche colui
che uccide, che aiuta a uccidere o che fa uccidere,
assassino geloso del proprio allievo e discepolo,
omicida per imprudenza del proprio figlio Icaro,
complice dell'uccisione compiuta da Teseo del
Minotauro, istigatore dell'assassinio di Minosse suo
sovrano" . Lo stesso atteggiamento fu per esempio
all'opera presso gli ufficiali che progettarono e
organizzarono i campi di concentramenti nazisti,
quelle vere e proprie "fabbriche della morte" che
dovevano rispondere in maniera freddamente razionale
al problema di come gestire la massa di deportati
ebrei. L'unico "dettaglio" che, secondo la
testimonianza dei sopravissuti, gli inventori dei
lager nazisti non seppero risolvere fu l'odore
nauseabondo e terribilmente macabro dei corpi
carbonizzati. L'uomo che rinuncia a capire il senso
più profondo delle proprie azioni e si affida
completamente alla tecnica per risolvere i problemi
che incombono si stacca dalla propria anima e cade
inconsapevolmente preda del complesso di Dedalo.
Questa dinamica inconscia è presente in molti
settori della società moderna. La ritroviamo per
esempio nella psicoterapia che si affida sempre più
a tecniche protocollate nel tentativo di rimediare a
sintomi senza comprenderne il significato inconscio.
Alcuni "psicoterapeuti analisti" addirittura
affermano che a volte può essere giusto interpretare
i sogni rapportandoli unicamente alla sintomatologia
del paziente . In psicoterapia l'efficacia e
l'efficienza si misurano esclusivamente sul metro
della diminuzione della sintomatologia e della
durata del trattamento. La parola d'ordine non è più
capire, ma risolvere. I cosiddetti "criteri
oggettivi" tendono a sostituirsi alla parola del
soggetto. Ma il disagio in questi casi rimane in
sottofondo per riproporsi prima o poi sotto ad altre
forme. Una di queste forme è appunto la depressione,
nella società moderna uno dei "mali d'anima" in
assoluto più diffuso, incompreso e refrattario alle
cure tecniche e troppo parziali di Dedalo. Un altro
settore dove il complesso di Dedalo si ritrova in
maniera lampante è quello del trattamento delle
malattie infettive dove l'annoso ricorso massiccio e
cieco agli antibiotici ha finito per produrre
batteri sempre più farmaco-resistenti e quindi
sempre più pericolosi per la salute. Solo
ultimamente gli immunologi hanno convenuto che il
modo più efficace di rispondere al problema dei
virus e dei batteri non è fare loro la guerra, ma
ridurre il più possibile le vie di contagio grazie
ad una buona igiene e accettare di convivere con
loro, recuperando così una strategia ampiamente
collaudata tra i sistemi biologici . Ancora,
l'onnipresenza di Dedalo è chiaramente riscontrabile
presso i politici, veri e propri maniaci dei
provvedimenti a breve termine, le cui azioni
risultano spesso controproducenti e che non di rado
per risolvere problemi di tenuta del governo
ricorrono all'espediente del cosiddetto "governo
tecnico", ossia costituito da tecnici anziché da
politici.
Non si può, ovviamente, negare l'esistenza di
problemi soddisfacentemente risolvibili con la sola
tecnica. Di solito sono problemi semplici la cui
risoluzione tecnica ha una scarsa incidenza
sistemica. Ma convocare Dedalo, come l'uomo moderno
fa in modo sistematico, per risolvere problemi di
natura complessa come per esempio quelli legati
all'ecologia o quelli appena citati inerenti la
psicologia e l'immunologia, è profondamente
sbagliato. In realtà dire che Dedalo è convocato non
è nemmeno corretto visto che egli si invita da solo
e continuerà molto probabilmente ad imporsi alla
nostra psicologia fintanto che la lente della nostra
coscienza non riuscirà a focalizzarlo meglio.
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